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Autore: Alkimia    08/07/2010    2 recensioni
“Ah! Stai forse insinuando che io, la dea del canto acclamata da tutta Europa, ho bisogno di fare le prove?!- esclamò- Il fatto che io vada a provare con quel branco di incapaci è una gentile concessione che faccio loro perché mia madre mi ha insegnato a essere generosa con i meno abbienti! Io sono Carlotta Giudicelli, nel caso non te ne fossi accorto! Io sono la Diva!”.
C'è una cosa che una fan(atica) del Fantasma dell'Opera dovrebbe fare almeno una volta nella vita: scrivere di Carlotta Giudicelli! Vi siete mai chiesti come è la quotidianeità di una Diva? Questa è la mia (stupidissima) risposta...
Genere: Commedia, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dal momento che mi si chiede spesso della Signora Giudicelli...
Questa è per voi, dedicata a tutte le seguenti, seguaci, segutrici delle mie storie. Ricordate mie care: c'è una DIVA dentro ognuna di noi! ù_ù

Because DIVA is better!

Ubaldo Piangi si svegliò di soprassalto: aveva fatto un brutto sogno.
Aveva sognato di essere inseguito in aperta campagna da un enorme geko con due grossi occhi tondi, giallastri e liquidi come gelatina.
Forse la sera prima aveva mangiato pesante. Anzi, no, improbabile, dal momento che da un po' si era messo a dieta. O meglio, che da qualche settimana a questa parte lei aveva deciso di tenerlo a stecchetto.
Ma allora cos'era quel peso che sentiva sullo stomaco?
Il tenore sbatté più volte le palpebre per abituarsi alla penombra della stanza e vide che in cima al suo pingue addome se ne stava appollaiato Clementino, il barboncino prediletto della padrona di casa. Ubaldo guardò la bestiola incerto sul da farsi, poi allungò una mano come per scrollarselo da dosso ma un attimo prima che le dita paffute arrivassero a toccare il fianco del cane questi si svegliò.
Clementino sollevò la testolina che sembrava un batuffolo di bambagia, mosse le orecchie simili a piumini di cipria e guardò con i suoi occhietti neri prima il viso del tenore e poi la sua mano rimasta a mezz'aria. Ubaldo avrebbe giurato che in fondo a quegli occhi di cucciolo si fossero accese scintille rossastre. Con un ringhio sommesso simile al rumore di una teiera, Clementino schiuse il muso mettendo in mostra i piccoli canini che in quel momento parvero assai più affilati del normale.
Dopo l'incubo del geko ci mancava giusto il risveglio con il barboncino vampiro! Pensò Piangi non osando però sospirare per timore che il movimento della pancia irritasse Clementino e lo istigasse a mordergli la giugulare che pulsava un po' troppo velocemente, sepolta sotto un generoso strato di doppio mento.
Qualche minuto dopo la domestica entrò nella stanza e aprì le tende alle finestre lasciando che il sole di Parigi allungasse le sue dita fino al baldacchino sormontato da una composizione di piume di struzzo. La cameriera si dileguò senza emettere alcun suono sapendo quanto la sua padrona fosse irritabile appena sveglia.
Carlotta Giudicelli si destò con un aggraziato sbadiglio. In quello stesso istante Clementino drizzò le orecchie e scese dalla pancia di Piangi per correre sotto al letto.
Ubaldo si voltò verso la donna, oltre le ampie maniche a sbuffo della sua camicia da notte emerse un ciuffo di capelli rossi e poi...
L'uomo soffocò un grido di panico e cadde dal materasso. Addormentato accanto a lui c'era il geko del suo incubo!
“Mi devo svegliare! Mi devo svegliare!” mormorò coprendosi gli occhi con la mano
“Sei già sveglio!” gracchiò il geko emergendo dalle coperte per poi lasciarsi scappare un acuto risolino di scherno.
Ubaldo tornò a guardare verso il lato opposto del letto. Il geko lo fissava con quei suoi occhi tondi e gialli e lui era sul punto di mettersi a urlare. Poco importava se l'urlo di un tenore avrebbe svegliato l'intero quartiere.
Il geko sbuffò e si passò una mano tra i capelli spettinati. Piangi sgranò gli occhi: il geko era Carlotta. Per la precisione, Carlotta con due enormi fette di cetriolo sugli occhi e il viso coperto da una sostanza oleosa e bianchiccia.
Senza più curarsi di lui, la donna si mise a sedere e restò per un attimo con i piedi sollevati dal pavimento mentre da sotto al letto proveniva il rumore di qualcosa che raspava contro la moquette del tappeto color anguria con ghirigori argentati.
Clementino emerse da sotto al materasso spingendo con il muso un paio di pantofole di raso bianco decorate da due grossi pon-pon rosa. Il cagnetto avvicinò le calzature ai piedi della sua padrona che le indossò con un rapido movimento per poi togliersi le fette di cetriolo dalle palpebre e pulirsi il viso con un fazzoletto. Dopo aver riacquistato sembianze vagamente umane, Carlotta si chinò per prendere il braccio Clementino.
“Buon giorno batuffolino profumato della mamma!- gli disse strofinando il naso contro il naso contro quello della bestiola che guaì compiaciuta- hai dormito bene? Ma si che hai dormito bene, nel lettone della mamma!”
“Io invece ho avuto gli incubi...” mormorò titubante Ubaldo, che nel frattempo era rimasto a terra, aggrappato alla trapunta di raso rosa. Carlotta parve non averlo nemmeno sentito.
“Andiamo a fare colazione!” concluse la donna avviandosi fuori dalla camera con Clementino tra le braccia.
Ubaldo Piangi si mise in piedi a fatica, indossò la vestaglia e seguì Carlotta fuori dalla stanza, sperando che lei non fosse troppo lontana, lui odiava dover percorrere da solo il corridoio che separava la camera da letto dalle altre stanze della casa.
Si dia il caso che sulla parete di quel corridoio fossero appese, in cornici bianche decorate ognuna con un fiorellino di porcellana di colore diverso, le foto di tutti i defunti cagnolini di Carlotta. Ubaldo trovava la cosa vagamente inquietante e ogni volta che passava di lì aveva come la sensazione che le bestiole lo fissassero da quelle cornici e che i loro occhietti tondi e scuri lo seguissero mentre si muoveva lungo il corridoio.
Stringendosi nella vestaglia, l'uomo imboccò il corridoio ripetendo a se stesso che quelle erano solo vecchie foto, che non c'era nulla di cui aver paura, ma proprio mentre passava sotto alle cornici udì l'eco di un abbaiare lontano e si ritrovò a correre a perdifiato fino alla sala da pranzo.
Sicuramente era stato solo l'abbaiare di un cane in strada e lui si era lasciato suggestionare. Si, era stato solo il verso di un cane randagio... forse...
Carlotta era seduta a un lato del tavolo mentre il garzone del fioraio deponeva davanti a lei due grossi mazzi di fiori dai colori sgargianti.
“Oh Ubaldo! Hai visto!- esclamò la donna con la voce che le si alzava di diverse ottave per la contentezza- Hai visto il mio pubblico quanto mi ama? Non c'è un giorno che mi lasci senza fiori!”.
Piangi sorrise. Come ogni mattina il fioraio aveva rispettato l'accordo preso con il tenore: lui gli avrebbe procurato i biglietti gratis per gli spettacoli dell'Opèra e il fioraio in cambio avrebbe fatto recapitare ogni mattina due o tre mazzi di fiori di “ammiratori anonimi”. Carlotta non avrebbe mai sospettato di nulla e a lui andava bene così, del resto cosa può volere di più un uomo se non rendere felice la donna che ama? Con quei fiori Carlotta era felice e Dio solo sa quanto il mantenimento dell'autostima della soprano giovasse alla salute mentale di tutti!
“Non c'è da stupirsene mia cara” mormorò con tenerezza, una tenerezza che gli accese una scintilla di calore alla bocca dello stomaco quando il volto di Carlotta gli sorrise radioso.
Anche quella mattina era cominciata bene. Più o meno...
La domestica arrivò a servire la colazione. Latte e miele e una fetta di torta per Carlotta e un vassoio di carote lesse e una tazza di the senza zucchero per Ubaldo.
L'uomo guardò con poco entusiasmo gli ortaggi davanti a sé.
“Mangia!” gracchiò Carlotta addentando la sua fetta di torta
“Ma, mia soffice baguettina,- tentò di protestare Piangi- non ti sembra un po' drastica questa nuova dieta?”
“A mali estremi estremi rimedi, mio adorato panino troppo lievitato” concluse la donna con uno sguardo che non ammetteva repliche, tuttavia Ubaldo le lanciò un'occhiata ancora non troppo convinta.
“E va bene...” sospirò la donna con fare arrendevole, mentre negli occhi del tenore si accendeva una scintilla di entusiasmo pensando che finalmente gli sarebbe stato concesso del cibo degno di tale nome.
“E va bene- fece Carlotta- sai che facciamo? Non zucchero il mio caffè, così, per solidarietà. Contento adesso?”
Ubaldo deglutì costernato,
“Si... si... mia splendida tortina glassata, del resto tu sei già dolce abbastanza”.
In quel momento Clementino guaì e Ubaldo fu certo che quel suono fosse una vera e propria risata in lingua canina.  
Consumarono in silenzio la colazione poi andarono a vestirsi.
Piangi impiegò venti minuti per la toeletta e la vestizione. Al termine di quei venti minuti l'uomo andò a bussare alla porta della stanza degli abiti di Carlotta in un rito che si ripeteva uguale ogni mattina: lei non era mai pronta e lui si sentiva in dovere di provare a sollecitarla.
L'uomo bussò alla porta della stanza dalla quale proveniva un rumore simile al ronzio di un alveare:  il fruscio della stoffa e i passi frettolosi delle domestiche che sistemavano vestiti, acconciavano capelli, preparavano gioielli. Piccole api ronzanti al servizio dell'ape regina.
Quando la bussata di Ubaldo arrivò a interrompere per un attimo le operose faccende che si stavano svolgendo al di là della porta, la cameriera stava giusto tirando fuori dal baule una stola di velluto color ciclamino, con l'orlo decorato da perline e piccoli ghirigori in cristallo swarosky.
“Chi è?!” la voce infastidita di Carlotta fece tremare i vetri alle finestre. La scelta del vestiario per una DIVA è un'operazione di tale importanza che non poteva venire disturbata da interventi esterni!
“Mio dolce bocciolo di primavera, si farà tardi, in teatro ci attendono” disse Ubaldo
“Che aspettino! Cosa vuoi che facciano senza di me?!” sentenziò la donna
“Ma mio tesoro sberluccicoso, le prove per lo spettacolo...”.
All'interno della stanza le cameriere si lanciarono uno sguardo atterrito, Clementino accucciato sul sofà di raso damascato color confetto drizzò le orecchie boccolose. Carlotta si alzò di scatto facendo cadere la sedia, lo specchio del mobile da toeletta davanti al quale era seduto cominciò a stridere ancora prima che lei cominciasse a parlare.
“Ah! Stai forse insinuando che io, la dea del canto acclamata da tutta Europa, ho bisogno di fare le prove?!- esclamò- Il fatto che io vada a provare con quel branco di incapaci è una gentile concessione che faccio loro perché mia madre mi ha insegnato a essere generosa con i meno abbienti! Io sono Carlotta Giudicelli, nel caso non te ne fossi accorto! Io sono la Diva!”.
L'epica dichiarazione fu seguita dall'abbaiare entusiasta di Clementino, un suono che parve simile ad un applauso. Nel frattempo le due cameriere che erano nella camera si erano nascoste dietro l'armadio sopraffatte dal timore.
Fuori di lì Ubaldo Piangi era corso via per sfuggire al suono di quella voce adirata che gli impastava il cervello. L'uomo si era ritrovato appiattito contro la parete del corridoio, contrito per quello che aveva fatto. Proprio mentre i battiti del suo cuore stavano cominciando a tornare regolari si accorse di essere fermo proprio sotto la fila di fotografie di cani. Una di esse si staccò dalla parete coperta di carta da parati a fiori azzurri e gialli e cadde proprio in mezzo alla testa di Piangi.
I cani di Carlotta lo odiavano anche da morti!

Intanto, nella camera dei vestiti erano ripresi i lavori delle piccole api operose.
Una delle domestiche stava allacciando i nastri della sottoveste color giallo oro (non sia mai detto che la biancheria di una donna speciale come la Giudicelli fosse di comunissima stoffa bianca come quella dei comuni mortali!) per poi procedere a stringere il corsetto color pesca (poco importava se nessuno avrebbe visto quegli indumenti visto che erano nascosti sotto i vestiti, ma era di vitale importanza che il colore della sottoveste si abbinasse a quello del corsetto!).
Nel frattempo l'altra cameriera, provvista di mappa, per non perdersi nei meandri dell'armadio, stava cercando il vestito che la sua padrona avrebbe voluto indossare. Quello che il sarto aveva chiamato “veduta di cielo al tramonto”, proprio come se fosse un quadro, dal momento che gli abiti per la signora Giudicelli dovevano essere realizzati come vere e proprie opere d'arte.
L'abito in questione era di un rosa sgargiante, ma la gonna era coperta da uno strato di organza color salmone che faceva assumere alla stoffa lo stesso colore di un cielo al tramonto.
La parte di sopra del vestito poi era decorata da fiocchi di raso color avorio al centro dei quali era cucita una grossa perla dalla lucentezza opaca degli ultimi raggi di sole prima del crepuscolo.
L'orlo della gonna era impreziosito da un pizzo color indaco, proprio come l'ultimo scampolo di cielo prima che arrivi il blu della sera.
Gli scenografi dell'Opèra avevano tutto da imparare dal sarto della signora Giudicelli!
“La signora cosa vuole indossare come soprabito?” chiese la cameriera quando la soprano ebbe indossato il monumentale vestito,
Carlotta arricciò le labbra con fare incerto e si diresse verso l'armadio, aprì una delle otto ante del mobile e davanti a lei si mostrò una distesa di cappe, cappotti e mantelle dai colori e dai tessuti più svariati. Dopo aver fissato per dieci minuti buoni il vano dell'armadio, la donna richiuse l'anta con un gesto stizzito,
“Cielo! Non ho niente da mettermi!” esclamò, poi disse alla cameriera che si sarebbe accontentata del cappotto color indaco (che si intonava graziosamente con l'orlo di pizzo della gonna) ma che quando sarebbe tornata a casa avrebbe voluto trovare il sarto per commissionargli qualche altro indumento da poter portare sopra i vestiti.
Carlotta puntò poi l'indice verso il vano di un mobile nel tacito ordine che le venisse preso il cappello numero 243.
Il cappello numero 243 sembrava una di quelle grosse composizioni di marzapane che i pasticcieri esibivano nelle vetrine durante il periodo di Natale. Si trattava di un copricapo con una semicupola di velluto che andava posta sulla testa, ai lati della semicupola si alzavano due volte di stoffa rigida coperte di soffici piume che facevano da cornice a un riquadro di raso decorato con un paesaggio bucolico, mentre la parte retrostante del cappello era decorata da un gruppo di nastri bianchi e rosa che scendevano sui capelli. Una piccola opera d'arte anche quella, così piena di colori di tinte pastello che poteva intonarsi con qualsiasi abito, in un'omeostasi cromatica di tutto rispetto.
Dopo essersi spruzzata una generosa dose di profumo all'aroma di gelsomino, Carlotta fu pronta per concedersi al mondo.
“Ubaldo! Andiamo!”

*

Quando Carlotta tornò a casa, dopo le prove per il teatro, trovò il sarto ad attenderla, come aveva ordinato.   
“Come vi avevo accennato- disse la donna continuando a camminare, costringendo il sarto a correrle dietro mentre lei si toglieva cappello e cappotto e lo lanciava verso le domestiche- la parola d'ordine per il mio prossimo cappotto dev'essere sobrietà! Mi occorre qualcosa da poter indossare per la messa della domenica”
“Si madame, certo madame!- esclamò meccanicamente il sarto- allora niente volant di raso dorato e merletti rossi per il collo del cappotto”
“No, santo cielo, qualcosa di più sobrio! MA che sia originale, non posso certo andare vestita come una donna comune!”
“No madame, certo madame!”
“Pensavo a qualcosa tipo... PIUME DI CODA DI PAVONE!”
“Si madame, certo madame”. Stavolta la voce del sarto fu incrinata da un conato di vomito mentre Carlotta rientrava nella sua stanza chiudendogli la porta sul naso.

Rimasta sola nella sua camera, la soprano si guardò attorno con circospezione. Di quella sua infantile abitudine nemmeno i suoi cagnolini dovevano essere al corrente...
Quando fu sicura di essere completamente sola, la donna si avvicinò allo scrittoio e, dal doppio fondo segreto di un cassetto, estrasse un quaderno rilegato in cuoio rosa con sopra disegnato un usignolo azzurro colorato con pittura smaltata e con due brillantini applicati al posto degli occhi.
Carlotta sollevò la copertina, scorse le pagine, intinse la penna nel calamio e cominciò a scrivere.

Caro Diario,
Oggi le prove sono andate molto bene. Come al solito, direi!
Alla fine della mia esibizione il maestro Reyer è scoppiato in lacrime, sembrava un pianto isterico a dir la verità, ma quell'uomo è così buffo quando si commuove, e vedessi, mio caro diario, quanto spesso io riesco a portarlo alla commozione!
Mi sento particolarmente felice oggi, per tanti motivi. Non solo per la buona riuscita delle prove.
Innanzitutto, il mio caro Ubaldo ha perso qualche centimetro di girovita nell'ultima settimana. So che non devo esagerare con il farlo dimagrire, dopotutto a un tenore serve la cassa toracica ampia e tutto il resto, ma sono certa che con qualche chilo in meno eviterà di stramazzare affaticato dopo ogni spettacolo, il mio adorato balenottero!
In secondo luogo, poche cose mi provocano gioia come poter sgridare quella specie di aringa salata con i ricci come Christine Daae! Oggi l'ho sorpresa a parlare da sola... con un angelo, così diceva... le ho detto che invece di star lì a perdere tempo dovrebbe prendere qualche lezione di canto in modo che quando starnazza non rischi di far venire giù il lampadario del teatro!
Io non sono cattiva, caro diario, ma visto che so che quella smorfiosa aspira a rubarmi il posto, in qualche modo devo pur difendermi.
E poi, oggi ho avuto la certezza che un mio sospetto è assai più fondato di quanto credo. Oggi il fondale di scena mi è di nuovo crollato addosso. Ho inveito contro il direttore del teatro, contro i macchinisti... e anche contro gli orchestrali, che non c'entravano niente, ma già che c'ero...
Dicevo, mi è crollato addosso il fondale di scena mentre stavo facendo i miei gorgheggi. Quello stormo di oche starnazzanti delle ballerine ha cominciato a sussurrare “Il fantasma! Il fantasma... il fanstasma, oddio, oddio il fantasma...”. Ormai sono certa anche io che ci sia un “fantasma”, che gli incidenti che mi capitano avvengono per mano sua, ebbene non posso che concludere che questo famigerato “fantasma” sia un mio ammiratore segreto, che non ha trovato altro modo per attirare la mia attenzoine. Oh, caro diario, non è tenero il fatto che il “fantasma” mi ami?
Del resto, come potrebbe essere altrimenti!
Ora ti devo lasciare. Vado ad assicurarmi che Ubaldo non corrompa il cuoco per farsi allungare a mia insaputa qualche fetta di salame.
Alla prossima.
Tua Carlotta


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Note:
Stamane ho dimenticato gli psicofarmaci, e si vede!
Posso dire una cosa? Lo so che è un personaggio che compare, in totale, cinque minuti in tutta la durata del film, però una parolina su Ubaldo la devo spendere. Sorvolando la fine infima che il Maestro gli riserva (ma cosa volete farci, in quel momento Unbaldo era lì, tra lui e Christine, e il Maestro avrebbe strangolato anche il diavolo in persona se si fosse trovato in una simile posizione), la scena di “why so silent...”, quando il Fantasma si volta, spada alla mano, verso Carlotta e Piangi si fa avanti mettendosi tra lei e la punta della spada con aria indignata... non è stato adorabile? Insomma questa era per la Diva, ma anche il buon Ubaldo si meritava il suo momento di gloria e ho voluto concederglielo.    

PS: sberluccicoso e boccoloso non sono parole corrette in italiano, lo so... sappiate che lo so XD
PPS: tra stasera e domani aggiorno anche la long-fic promesso!
   
 
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