Dodici.
Dopo
mesi, forse tre, forse cinque, Ulquiorra aveva intrapreso un
vagabondaggio in
cui puntualmente incontrava qualche anima ingenua da divorare, o
qualche hollow
da sfidare. Aveva sentito dire che gli hollow si classificavano tra
loro e la
classe più alta era composta dai vasto lorde. Che avevano un
aspetto quasi umano.
Forse, per un lontano senso di nostalgia, volle riacquisire
quell’aspetto che
lo teneva legato alla vita terrena. O forse perché voleva
semplicemente
diventare più forte.
Non si
mise più a contare i minuti che passavano, non si mise
più a pensare che giorno
era o in che mese. Non sentiva più il caldo estivo o il
freddo invernale,
mentre la gente che vedeva attorno a lui si copriva e scopriva
periodicamente.
Aveva definitivamente perso il contatto con la realtà, o
meglio, col mondo
terreno. Lui non faceva più parte di loro, già da
quando Nike era andata a
Budapest. Non andò mai fin laggiù per vederla.
Ormai lei apparteneva a un mondo
che non lo riguardava più.
Si trova
poco lontano da una cittadina di provincia, seduto ai piedi di un
albero a
fissare il vuoto, intorno a una distesa di anime divorate, che si
stavano
lentamente riducendo in cenere.
Ormai la
solitudine non era più un problema per lui.
L’aveva accettata come una naturale
condizione dell’essere, sia umano che spiritico.
Quando
sentì qualcuno avvicinarsi. Qualcuno di potente. E non era
da solo. Erano
almeno tre. Quattro. Cinque.
Vestiti
di bianco. Tutti diversi tra loro. Uno dai capelli argentati, uno
castano, uno
moro dalla pelle scura, un vecchio con delle cicatrici, un ragazzo dai
capelli
azzurri e gli occhi in tinta, con un buco sulla pancia. Quella persona
era
simile a lui.
Il castano, che si fece avanti,
con un sorriso a dire di Ulquiorra equivoco e un ciuffo ribelle
cadergli
davanti, gli rivolse la parola, con un tono di voce profondo e pacato. « A
quanto vedo, ne hai fatti fuori parecchi. »
Ulquiorra
non gli rivolse la parola, limitandosi a squadrarlo e lasciandolo
parlare.
« Ho
sentito parlare di te. Tu sei quello che non è voluto venire
alla Soul Society,
lasciandosi andare al potere di hollow. »
A
quel punto lo degnò di attenzione, assottigliando lo
sguardo. « Sei uno
shinigami? »
«
Sosuke Aizen. »
« Se
sei venuto ad uccidermi, ti conviene andartene. Non ho tempo da perdere
con la
spazzatura. »
« Io
credo invece che ti interesserà molto ciò che ho
da dirti. »
Ulquiorra,
in tutta risposta, si voltò da un’altra parte.
«
Posso offrirti un potere ben più alto di un vasto lorde.
Posso darti qualcosa
di estremamente potente, soggiogare chi vuoi, eliminare tutta la
spazzatura che
vuoi. »
« Mi
hai preso per uno spazzino? Sparisci, shinigami. »
« Sei
testardo, a quanto vedo. Ma così forte…
E’ uno spreco tenerti qui. »
Ulquiorra
si voltò, per osservarlo meglio. Sembrava differente dagli
altri shinigami. Non
aveva intenzione di ucciderlo, né di portarlo alla Soul
Society. Ma allora cosa
voleva dagli hollow?
« Non
mi interessa fare comunella con te. » disse infine. In
effetti non gli
importava molto.
Quel
tale, Aizen, senza smettere di sorridere, pronunciò un nome.
« Grimmjow. »
Fu il
ragazzo dai capelli azzurri a rispondere, sbuffando tra sé e
sé e prendendo la
spada. Assalì poi Ulquiorra, il quale lo schivò
tempestivamente. Iniziarono a
combattere, quel Grimmjow con la spada ed Ulquiorra a mani nude, e per
un po’
combatterono alla pari, anche se quel ragazzo azzurro rideva, quasi di
gusto,
per poi avere la meglio. Ulquiorra si ritrovò col labbro e
il naso sanguinante.
«
Basta così, Grimmjow. »
Si
avvicinò al ragazzo, ferito, che lo guardava con un certo
odio. Cosa diamine
voleva da lui?
« Dal
tuo sguardo mi sembra di capire che non ti sei convinto…
Pazienza. Ho metodi
più convincenti. »
Prendere
una spada non sembrava un chissà che di minaccioso. Ma nel
momento in cui
pronunciò delle parole, quasi come una formula magica, la
spada iniziò a
fluttuare in aria.
«
Spezzati, Kyoka Suigetsu. »
Era
un sogno. Doveva per forza essere così, perché
vedeva Nike che veniva uccisa da
un ladro. Poi investita da quella macchina rossa perché lui
non aveva fatto in
tempo. Poi la vedeva tra le braccia di un altro uomo. La vedeva
sorridente,
senza di lui. Probabilmente era la vita che stava facendo in quel
momento.
Che
si trovasse in un lago di sangue o tra le braccia di qualcuno, era
sempre una
sofferenza per lui.
Gridava,
chiedeva di smetterla, di cancellare quelle immagini dove una ragazza
dai
capelli corvini sorrideva, piangeva, viveva attraverso di lui.
Colto
da una crisi, rubò la spada dalle mani del ragazzo azzurro,
e si fiondò addosso
ad Aizen.
« Smettila! »
Ma
quello shinigami lo fermò subito. Ulquiorra si
ritrovò bloccato a terra, con
una spalla che sanguinava. Aveva anche la bava alla bocca. Quelle cose
che
aveva visto erano state terribili per lui.
« Hai
fegato, ragazzo. » disse lo shinigami. « Vieni con
me. Posso farti dimenticare
quelle cose che hai visto. Posso renderti più forte.
»
Dimenticare?
Sì… Forse quella era la soluzione migliore. Far
finta che Nike non fosse mai
esistita, evitare di continuare a soffrire così, lasciarla
libera di viversi
ciò che voleva, liberarsi di un peso. Poter diventare privo
di sentimenti…
Sembrava quasi una liberazione.
«
Vieni con me. » ripeté Aizen.
E
Ulquiorra annuì, come se si fosse rassegnato alla potenza di
quell’essere. Il
quale sorrise, nel vedere il suo assenso.
«
Grimmjow, aiutalo a rialzarsi. »
Detto
ciò il ragazzo lo afferrò per una spalla,
aiutandolo per tutto il tragitto.
Era
arrivato in un luogo sconosciuto, forse un’altra dimensione,
che aveva sentito
chiamare Hueco Mundo. Arrivò poi davanti a un castello che
Aizen gli presento
come Las Noches, e che sarebbe stata la sua casa. Lo portò
poi in un’altra
stanza, da solo. Una stanza nera, senza finestre, al cui centro vi era
un
piccolo mobile bianco con una sfera nera sopra.
«
Questo ti renderà la persona potente che sogni. »
« Non
ho alcuna ragione per voler essere forte. » rispose
Ulquiorra. « Voglio solo
dimenticarmi della mia vita umana. Anzi, di tutto. Non ha senso
ricordare. »
Aizen
sorrise. « Tanto meglio, allora. tu sarai il mio occhio.
Vedrai tutto,
ricorderai tutto, mi dirai tutto. avrai capacità
sbalorditive per poter operare
al meglio. Avvicinati. Ti mostro di cosa è capace
quest’oggetto. »
Lo
fece inginocchiare. Lo fece rinchiudere in una specie di barriera. E
quella
sfera; sentiva da subito uno strano potere, terrificante. Che lo fece
tremare
per un po’. Poi avvertì solo fumo. E potere.
Sentì un qualcosa che gli
strappava via la mente, le ali, la maschera che gli copriva
integralmente la
testa.
Sentì
un violento giramento di testa. Si sentì vuoto.
E,
quando si accorse che era tutto finito, era completamente nudo, si
guardava
intorno spaesato, aveva un corpo umano, pallido, come lo aveva nella
sua vita
terrena. Sentiva sulla testa una specie di elmo, una maschera che lo
copriva a
metà. Si toccò, più volte. Che gli era
successo?
«
Qual è il tuo nome… Ragazzo? »
E lui,
non poté che rispondere, ritrovando la propria voce, rimasta
immutata. «
Ulquiorra… Ulquiorra Schiffer. »
Abbassando
lo sguardo vide un buco, sotto il collo, nel quale ci passava benissimo
una
mano. Si alzò in piedi, senza vergognarsi della sua
nudità. Quando Aizen gli
porse delle vesti bianche, e fece chiamare da qualcuno un tale
Grimmjow.
Ulquiorra ricordava vagamente di averlo sentito nominare.
Quegli
abiti gli donavano, doveva ammetterlo. Si sentiva a suo ago nel collo
alto di
quella giacca, nel mantello che si divideva in due, nei pantaloni
larghi che
ricordava vagamente uno stile samurai. Guardandosi allo specchio, si
rese conto
di avere il labbro superiore completamente nero, mentre delle lacrime
verdi,
profonde, gli rigavano le guance. E non sparivano. Così come
verdi erano i suoi
occhi, dalla pupilla molto più sottile, circondate dal nero
profondo delle
ciglia e da un espressione perennemente triste.
Quando
tornò alla realtà, Grimmjow era appena arrivato.
Gli lanciò una spada, una
katana, dall’impugnatura comoda e una guardia crociata dalla
forma curva e che
lo affascinava.
Aizen
chiese di vederli combattere. Perché voleva vedere come se
la cava quello
nuovo, disse.
Ulquiorra
gli era addirittura superiore, all’inizio. Si sentiva sicuro
di sé, forte, si
sentiva un tutt’uno con quella spada. Ci stava prendendo
gusto. E sembrava
anche Grimmjow, almeno finché Ulquiorra non lo
colpì al braccio, e quasi glielo
stava strappando via.
«
Basta così. » disse Aizen. « Molto
interessante… » fece un sorriso compiaciuto.
« Grimmjow, ho un bella notizia per te. Da oggi non sarai
più il dodicesimo
arrancar. Ti farò tatuare il numero sei. »
Il
ragazzo sorriso, con fare sbruffone. Come se fosse scontato che si
meritava un
posto più alto del dodici.
«
Ulquiorra… Sei un elemento valido. D’ora in poi,
sarai il quarto. Provvederemo
a farti tatuare il numero. »
Grimmjow
rimase di stucco, di fronte a quella scelta, ma non ribatté.
Mentre Ulquiorra
non fece che osservare quello shinigami dall’aria solenne,
che lo spinse ad inchinarsi.
« Sì…
Signore. »
« A
proposito, vedo che ti piace la spada che ti abbiamo dato. »
« Mi
ricorda… Qualcosa. Ho come un lontano senso di
nostalgia… » disse lui,
rigirandosi l’arma tra le mani.
« Hai
già pensato a un nome? »
Ulquiorra
ci pensò per un po’ , per poi dire, con
naturalezza. « Murciélago… Credo che
Murciélago vada più che bene. »
Grimmjow
sbuffò. « Che strano nome. »
notò. Ma Ulquiorra fece un piccolo sorriso, che
fece sparire in un battibaleno.