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Autore: Meiko    28/11/2003    4 recensioni
L'ispirazione mi è venuta ascoltando "At the beginning", un pezzo molto bello, che è stato usato per il cartone di "Anastasia". Quando l'oscurità è attorno a te, hai solo due possibilità: conviverci, o impazzire. Lei ha scelto la prima, e da quel momento la sua vita ha preso quella piega. Poi...qualcosa risvegliò in lei la curiosità perduta. Un viso che non sarebbe mai riuscita a vedere...
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il lungo corridoio dai muri bianchi era piastrellato da piccole mattonelle di colore azzurro, mentre le seggiole di plastica bianco- grigio (colpa di certa gente che li confondeva con portacenere) erano saldamente incollate alla parete con viti e bulloni, che però staccavano piccoli pezzi di intonaco alla parete apparentemente bianca e pulita, che però mostrava qualche alone.
Lui era seduto li da più di tre ore, l’attesa lentamente lo stava uccidendo, mentre il suo sguardo era fisso su un punto preciso, un grosso orologio tondo dalla cornice semplice smaltata di nero, le lancette nere segnavano esattamente che mancava un minuto alle sette.
Erano entrati li alle quattro di pomeriggio, lei tesa come una corda di violino, che camminava a stento, il nervosismo la bloccava ad ogni passo, mentre lui con dolcezza l’accompagnava, stringendole la mano con fare dolce eppure al tempo stesso possessivo.
Si erano lasciati con la promessa che lui sarebbe rimasto li, ad attenderla, fino alla fine dell’operazione.
E lui, fedele, era ancora li, a passarsi per l’ennesima volta la mano sui capelli neri cortissimi, alcuni ciuffi birichini gli solleticavano il collo, il suo berretto in mano, le gambe incrociate.
Con uno sbuffo guardò per l’ennesima volta la porta che lo separava dalla stanza di chirurgia dove lei, in quel momento, stava commettendo il tutto per tutto per un desiderio che fino a quel momento era sembrato assurdo, impossibile per lei.
Eppure…quell’innato desiderio nato da un viso nascosto da un berretto…un berretto rosso…lo stesso berretto che in quel momento aveva appoggiato al ginocchio libero, e che fissò intensamente.
Non con rabbia, non con gratitudine…ma con uno strano senso d’inquietitudine.
Un senso che non l’aveva mai lasciato, da quando aveva messo piede in quella clinica, da quando aveva stretto con decisione la mano all’oculista, un senso che era cresciuto quando aveva visto Yuko allontanarsi da lui, facendosi strappare quella promessa di se banale, ma fondamentale per lei in quel momento.
“Promettimi che mi aspetterai…”
“Si, sta tranquilla, resterò qui”

un senso che ora riviveva in lui, mentre fissava con aria turbata quel berretto rosso, incerto se rimetterselo in testa, o lasciarlo la, sulla gamba, una macchia rossa sul jeans blu.
Doveva ringraziare o maledire quel berretto?
Boh!
Genzo sbuffò ancora, per poi avvertire un tintinnio, e alzarsi di scatto colpito da uno strano senso di terrore.
Era conclusa l’attesa…l’operazione era conclusa.
Il dottore uscì dalla stanza, dietro di lui una figura bendata lo seguiva con passo incerto, ancora un po’ traballante, segno che l’anestetico era ancora in circolo, anche se ormai l’effetto era gia passato.
Genzo si fece subito vicino alla ragazza, che sentì stringersi la mano, e sorrise, le bende candide coprivano i suoi occhi alla vista del portiere preoccupato e ansioso, che guardò l’oculista, che fece un cenno positivo del capo.
-L’operazione è riuscita brillantemente. Venite, vi porto in un’altra stanza, per verificare l’esito-
Genzo strinse ancora la mano a Yuko, che sorrideva gentile, i capelli racchiusi prima in una crocchia ora erano sciolti e liberi sulle spalle, mentre le bende candide facevano risaltare la pelle pallida ma dalle sfumature scure di lei, lei che sorrideva come una bambina che aspettava il suo gelato.
Era agitata, sentiva tutto il sangue ribollirle dal nervosismo, e sorrideva come una sciocca, scatenando solo però affetto a Genzo, che senza spiegazioni le diede un bacio sulla guancia, facendola arrossire lievemente, stringendosi di più a lui, mentre s’incamminavano verso la piccola saletta dove ad attenderli c’erano il dottore ed un suo assistente.
Agl’occhi del SGGK, la stanza era abbastanza piccola e spoglia, quattro mura intonacate di un colore che andava verso il marroncino, una specie di beige, ai loro piedi una moquette rossa, e solo una finestra, chiusa dalle tende bianche che lasciavano far passare fili di raggi di luce che tendeva a scurirsi, segno dell’ormai prossimo tramontare del sole.
L’arredamento spartano costituiva in un grande tavolo ad un angolo e una sedia di legno poggiata al muro.
Yuko si sedette nervosa sulla sedia, le mani strette appoggiate sulle gambe magre, vestiva di un maglione e di jeans neri.
-Bene, signorina Makoto. Ora le toglieremo le fasciature. Mi raccomando, apra lentamente gli occhi-
con fare esperto, il dottore cominciò a sfilare via le bende bianche dagl’occhi chiusi delle ragazze, levando anche i pezzi di ovatta appoggiati sopra, ora i capelli liberi scivolarono accarezzando il viso, mentre la ragazza con lentezza e incertezza socchiudeva le palpebre, aprendole come scrigni preziosi.
Davanti agl’occhi ansiosi di Genzo, si aprirono due meravigliose praterie verdi, lo scintillare dei suoi occhi sembrava la rugiada sull’erba di prima mattina, illuminata dolcemente dai primi raggi di sole.
Erano magnifici, le pupille nerissime restarono fisse per un punto, prima di guardarsi intorno, Yuko si trovava confusa.
-Vedo…vedo tutto strano…-
perché non vedeva i visi, i contorni?
L’oculista la calmò subito con un sorriso gentile.
-E’ normale, dopo tutti questi anni, vedrà leggermente sfuocato. Aspetti…-
uscì un attimo dalla sala, prima di tornare con una lattina, e porgerla alla ragazza, che l’afferrò con entrambe la mani, tastandola con sapienza e forse con paura.
Genzo era li di fronte, a fissare spaventato quella creatura che ora appariva fragile e delicata come una farfalla appena uscita dal bozzolo.
Yuko, invece, si trovava spaesata, tastando ancora quella…lattina…che pian piano cominciava a prendere forma, il colore si faceva più lucente, e pian piano il grigio metallo si faceva vedere più nitidamente.
Alla fine, Yuko vide chiaramente una lattina, una lattina di Coca Cola, e sorrise, sorrise felice, emozionata, una sensazione di gioia sembrò strariparle.
-E’…un lattina…una lattina rossa!-
Genzo la guardò sconvolto, lo shock lo bloccò, svuotandogli le energie, per poi caricarlo…di gioia…
Yuko…vedeva…Yuko ci vedeva…
L’oculista sorrise, mettendo affettuosamente la mano sulla spalla di Yuko.
-Complimenti, signorina Makoto. Lei è guarita dalla sua cataratta-
la ragazza annuì, sorridendo, mentre stringeva ancora tra le mani quella lattina, per poi chiamare…
-Genzo?-
-Sono qui Yuko -
aveva la voce rotta, e gli s’inginocchiò di fronte, guardandola con gioia, accarezzandole una guancia, mentre lei cominciava a fissare quel viso sfuocato, passandoci sopra le mani, quasi a volersi ricordare quel disegno in bianco e nero che aveva nella sua memoria.
I suoi occhi…il naso…le guance…la bocca…i capelli…
Di fronte a lei, lentamente, si mise a fuoco l’immagine di un bellissimo uomo, dagl’occhi neri, caldi come braci ardenti, la pelle abbronzata, e i capelli neri corti…
Yuko sentì le lacrime venirle agl’occhi, e sorrise, poggiando la sua fronte contro quella di Genzo, sorridendo felice, tenendo per le guance il viso del portiere.
-Posso vederti….posso vedere…-
-Si…si Yuko…-
i due furono lasciati soli dall’oculista e l’assistente, lasciandoli sussurrare parole cariche di dolcezza, mentre Yuko si convinceva di quel miracolo.
Poteva…di nuovo…vedere…

*

(Cambio scena!)

-Mi sei mancato da morire…-
-Che cosa vuoi?-
era infastidito, turbato, le dava la schiena, fissando quella grande finestra nel suo appartamento, il temporale fuori sembrava entrasse dentro, le gocce colpivano con ritmo intenso e frenetico sul vetro freddo, dove Kojiro vi si era appoggiato lo sguardo, andando oltre il riflesso di quella donna, andando a cercare oltre quella figura, cercando disperato quei grandi occhi verdi di gatto…cercando disperato il suo amato micino…
Invece…invece quella pantera selvaggia ancheggiava felina e pericolosa verso di lui, le mani ben curate si appoggiarono sulla grande e calda schiena dell’attaccante, che avvertì come una serie di pugnali colpirlo, una scarica elettrica attraversò violenta il corpo.
Perché…perché provava ancora questa emozione, quando lo toccava così?
Lui non l’amava…NON L’AMAVA!

“Tu ami ancora Maki?”
“…si…”

no Neko! Non era così! Lui non l’amava più!
Lui ama solo te, solo te!

“Forse…è meglio non vederci più…”

no Neko! Non lasciarmi solo! Non lasciarmi! Non voglio!
Voglio te, Neko, VOGILO TE!
NEKO!
-Non mi toccare, Maki. La tua presenza, se non l’hai ancora capito, non è ben accetta…-
la ragazza fissò stupita l’atteggiamento freddo e ostile di Kojiro, e con stizza tolse le sue mani dalla morbida e calda schiena dell’uomo, morsicandosi un unghia, senza però togliersi dalle labbra quel sorriso felino, i suoi occhi fissavano il ragazzo come il cacciatore quando osservava la preda.
Voleva avere quel ragazzo…voleva averlo di nuovo tutto per se…
No…quella stupida mocciosetta, quel gatto schifoso non l’avrebbe avuto!
Quello era solo un misero e pulcioso micetto, mentre lui era una grande e fiera tigre!
E quella tigre era sua, SUA!
-Perché dici questo, Kojiro? In fondo, io ti amo ancora…-
la ragazza si trovò di fronte al ragazzo, afferrandogli il viso tra le mani, avvicinandosi la bocca del ragazzo alla sua…
voleva quel sapore…lo voleva ancora…
-E so che tu ami ancora me…-
-Lasciami! Non mi toccare!-
l’allontanò con un gesto di stizza, schifato da quell’atteggiamento di quella ragazza, che ora appariva come una ruggente pantera, vestita in modo attillato da mostrare il suo magro corpo e le sue curve stupende, che in quel momento però Kojiro trovava inguardabili, non riusciva più a guardare quegl’occhi scuri.
Gli sembravano sporchi…gli sembravano macchiati…
Quel corpo gli sembrava macchiato dallo sperma di altri uomini dopo di lui.
Maki gli si fece ancora incontro, non avrebbe rinunciato alla su preda.
-Avanti, non fare il timido. Tanto quella stupida gatta morta non c’è ora. Ci siamo solo io e te…-
-Non chiamare così Neko! Tra voi due l’unica gatta morta sei tu!-
era furioso, glielo si leggeva negl’occhi.
Non gli piaceva che Neko venisse chiamata così.
Lei non era Maki, non si strusciava contro il corpo di altri uomini, come invece aveva fatto la ragazza.
Il cannoniere la guardò ancora rabbioso, parlando con voce seria e autoritaria.
-Credi che non sappia quanti uomini tu hai scopato dopo di me? Mi fai schifo…-
-QUESTO NON C’ENTRA NULLA!-
-SI CHE C’ENTRA, IO NON SONO IL TUO GIOCATTOLO!-
stavano cominciando a gridare, Maki non sopportava quell’atteggiamento testardo nei confronti di Kojiro.
Lui doveva capire che era suo! Suo!
-Tu non devi parlarmi così! Tu mi amavi, MI AMAVI!-
-Io non ti ho mai amata, mi sono messo con te credendo che quello che provava fosse amore! Ma ora ho capito che era solo gratitudine, amicizia! Una cosa che ormai è sfiorita da quando sei diventata una ragazza possessiva ed egoista!-
Kojiro la fissava con le fiamme agl’occhi, i suoi occhi neri brillavano con rabbia e disprezzo, sentimenti così violenti che colpivano Maki con furia, lasciando la ragazza sbalordita a quelle parole.
Come poteva dire quelle cose…lui era innamorato di lei!
-Tu…tu non puoi dire così…TU SEI MIO!-
Kojiro la guardò per un ultima volta, con rabbia, disprezzo e…tanta pena…
-Maki…vattene via da qui…
Io non sono il tuo oggetto…
E se provi ancora a parlare male di Neko…allora queste mie mani peseranno molto sulla tua schiena…-
la ragazza spalancò gli occhi, sconvolta, stringendo i pugni con rabbia, con odio…
-Io…io…IO TI ODIO, KOJIRO HYUGA!-
-Ti odio anch’io, Maki -
la ragazza lo guardò, per poi precipitarsi su di lui e dargli uno sonoro schiaffone, prima riandarsene da quella casa, il ragazzo rimase per qualche momento a guardarla allontanarsi fuori, verso la macchina, partendo a tutta birra, allontanandosi da quella casa.
Poi, velocemente, il ragazzo afferrò la giacca e le chiavi, e uscì di casa, in mezzo al temporale, alla ricerca di un povero micino abbandonato…

Prima di partire per un lungo viaggio
Devi portare con te la voglia di non tornare più
Prima di non essere sincera
Pensa che ti tradisci solo tu

Non voleva più tornare…avrebbe voluto scappare, fuggire via da quel mondo…quel mondo che ora le appariva macchiato, estraneo…malvagio…
La pioggia l’aveva infradiciata, si sentiva il cuore farle male, era debole, e restò rannicchiata in quel vicolo, sotto i colpi del temporale, la gente che passava neanche si accorgeva di lei…del uso senso di vuoto…della sua disperazione…

Prima di partire per un lungo viaggio
Porta con te la voglia di non tornare più
Prima di non essere d'accordo
Prova ad ascoltare un po' di più

Prima di non essere da sola
Prova a pensare se stai bene tu
Prima di pretendere qualcosa
Prova a pensare a quello che… dai tu

Era sola, sola al mondo…Yuko se n’era andata, la mamma non er ali accanto a lei…
E Kojiro…
Kojiro era con Maki…
Il solo pensiero di cosa stavano di sicuro facendo era come una stilettata nel cuore di Neko, che l sentiva sempre più debole, respirava a fatica.
Ma lei in fondo cosa aveva chiesto? Voleva stare solo con Kojiro…
Ma forse….il desiderio di stare con una tigre per un piccolo gattino era troppo, troppo da esaudire…
Infatti…ora una pantera l’avrebbe preso, catturato…

Non è facile però
È tutto qui
Non è facile però
È tutto qui

Non sarebbe stato facile lasciarlo…ma era sapeva che lui amava ancora Maki. L’amava ancora…ancora…
Neko lasciava sgorgare le lacrime, senza impedire alle gocce calde e salate di mescolarsi a quelle fredde e dolci di pioggia, che impertinenti s’infilavano nei vestiti, bagnando la pelle, mentre i suoi capelli fradici erano appiccicati al suo volto, che non mostrava altro che un sordo e ceco dolore…
Ceco…Yuko…
Chissà…magari poteva raggiungere Yuko…
Si…andare in Germania… da Yuko…

Prima di partire per un lungo viaggio
Porta con te la voglia di adattarti
Prima di pretendere l'orgasmo
Prova solo ad amarti

Prima di non essere sincera
Pensa che ti tradisci solo tu
Prima di pretendere qualcosa
Prova a pensare a quello che… dai tu

Aveva chiesto solo un po’ d’amore da parte di Kojiro, da parte di quell’uomo…
Si, ormai era uomo, ma lei…
Lei era solo una diciassettenne…
No…non era adatta a lui…
Per lui ci volevano donne formose, magari modelle o…
O Maki…
Il solo pensare a quel nome faceva male al cuore di Neko, che strizzò gli occhi, lo sentiva sempre più debole e affaticato…
Maledetto, anche lui aveva deciso di lasciarla?
Possibile che…era tutto perduto?…
Neko tentò di muoversi, ma sentiva le forze mancargli, e le lacrime non smettevano di scendere…

Non è facile però
È tutto qui
Non è facile però
È tutto qui

Non è facile però
È tutto qui

No, la vita non è facile…
Ma era stanca di combattere contro fantasmi e pensieri fatti di bolle di sapone.
Stanca di illusioni, di bugie…
Voleva solo Yuko…
Voleva solo Kojiro….
Voleva solo amare Kojiro…
Kojiro…

Prima di pretendere qualcosa

Di colpo, avvertì dei passi fermarsi di fronte a lei, e alzò lentamente lo sguardo, il respiro affaticato.
Un ragazzo…no, un uomo…davanti a lei…bagnato fradicio…
Quegl’occhi….quella segreta forza dirompente…
-Kojiro…-

Prova a pensare a quello che… dai tu

In mezzo alle strade oramai deserte di una Domenica sera, sotto un terribile temporale, un ventenne si teneva stretto a se, come il più grande tesoro che gli avessero dato, una ragazza bagnata come lui, infreddolita, che dentro a quell’abbraccio tremava come una foglia, ma si sentiva scaldata, protetta…
Al sicuro…

(So’ che la canzone non c’entra granché, ma mi piaceva molto l’atmosfera “piovosa” che dava, spero che mi perdonerete!
Solo un piccolo appunto, una frase che ho leto da qualche parte…
“L’odio è la forma più disperata di amare…”)

*

b>(Altro cambio scena!)

I lampioni della piazzetta non davano il minimo cenno di fastidio allo spettacolo che si stava svolgendo, molti spettatori erano in piedi o seduti di fronte alle prime file, i bambini battevano spesso le mani a tempo, divertiti dai buffi pagliacci che ogni tanto spuntavano nello spettacolo, pronti a far ridere la gente.
Taro era sulla fila davanti, ammirando la bravura dei ballerini e di Lucille, che si erano esibiti per ora in musiche moderne ed etnico, un miscuglio che non dispiaceva a nessuno.
In quei momenti, tutti i ballerini avevano saputo la loro parte a memoria, esibendosi anche in pezzi di improvvisazione, che davano un tocco originale a quella parte di spettacolo.
In quel momento, tra gli applausi del pubblico, apparvero tre ragazze vestite con frac corti brillanti, calze lunghe e cappello a cilindro, una delle tre era Lucille, che si posizionò.
Di colpo, uscì la simpatica musichetta che lei e Taro avevano sentito al locale dove avevano trascorso il pomeriggio, e la ragazza con le altre due si esibì con grazia sbarazzina e con bravura ineguagliabile, in tutto quel tempo aveva migliorato il suo modo di ballare.
E dire che una volta quella stessa ragazza aveva intenzione di frequentare la Scala!
Ora era li, a ballare per divertire la gente, sotto lo sguardo stupito ed ammirato di Taro, che ammirava il corpo ben fatto, che si esibiva in una serie di piccoli passi a tempo di musica e piccole acrobazie come ruote o ponti, il viso manteneva sempre un sorriso felice e divertito.
Poi, tute e tre, di colpo, terminarono con uno scivolone assurdo, scatenando l’ilarità generale di tutti, bambini e adulti, che applaudirono con grinta, segno che si erano divertiti per quella prima parte di spettacolo.
Taro, velocemente, si allontanò verso i ballerini dietro piccoli tendoni che ricordavano vagamente quelli del circo, il piccolo palco era gia stato assediato dai bambini, che saltavano e ballavano allegri.
Velocemente, il ragazzo andò in direzione dei tendoni, alla ricerca di quegl’occhi color ametista, mentre le varie ballerine della compagnia ammiravano con commenti ammirati il bel moretto che passava tra di loro.
Alto, fisico ben fatto, gambe lunghe e magre, braccia forti, petto grande e duro, schiena grande, capelli castani leggermente spettinati, occhi color nocciola, sorriso dolce.
Le ragazze cominciarono a fare gli occhi dolci verso Taro, che cominciò a preoccuparsi, per poi sentire una voce amica dietro di lui.
-Taro, sono qui!-
il ragazzo si voltò, ed incrociò a pochissima distanza dal suo viso gli occhi violacei brillanti di Lucille, che sorrise, i capelli biondi erano legati in una crocchia che lasciava libero qualche ciuffo birbante, che accarezzava il viso ben fatto, il neo sopra il labbro in bella mostra.
Taro le sorrise.
-Complimenti! Tu e la compagnia siete straordinari!-
-Beh, hai visto solo metà dello spettacolo! Il bello deve ancora venire-
-Mi avevi detto che facevi qualche pezzo da sola-
-Faccio da coreografia a due cantanti, e poi faccio un brano di danza classica, non so se conosci la morte del cigno…a proposito, devo andarmi a cambiare costume! Ci vediamo!-
e volando via come una farfalla gentile, Lucille si allontanò da Taro, che ritornò a sedersi al proprio posto, aspettando impaziente il pezzo di Lucille, che non tardò a venire.
Lentamente, alcuni lampioni si spensero, lasciandone solo qualcuno che illuminasse la figura di una fanciulla dai capelli biondi, vestita di un body bianco con una gonna bianca semplice,gli occhi ametista sottolineati dall’ombretto argentato, i brillantini sul viso la rendevano ancora più etera.
Taro ci restò di sasso, mentre ammirava quella dolce figura cominciare a danzare accompagnata dalle dolci e al tempo stesso tristi noti di Ciaikovsky, del “lago dei cigni”.
Era così bella, danzava come un angelo…
Taro non riusciva a staccare gli occhi da quella figura così dolce e gentile, che ora appariva debole e fragile, mentre rappresentava il cigno- fanciulla che danzava leggiadra.

“Nel parco del suo castello il principe Siegfried festeggia il suo ventunesimo compleanno. Il precettore Wolfgang introduce gli ospiti. La regina madre entra e rimprovera il figlio amorevolmente comunicandogli che è ormai giunto il momento di scegliere una fidanzata tra le ragazze che ella ha invitato alla festa.
Terminati i festeggiamenti Siegfried, rimasto solo, è turbato e pensieroso. Il precettore cerca di riportarlo alla realtà ma egli continua a sognare il suo amore ideale.
Siegfried va a caccia con gli amici nei pressi del lago. Cigni bianchi vengono presi di mira dai cacciatori. Il principe, rimasto solo, punta la sua faretra verso uno splendido cigno bianco che fa da guida agli altri. Il cigno, che nel frattempo si è trasformato in una fanciulla, gli confida di essere la principessa Odette trasformata in cigno, come le altre fanciulle, dal mago Rothbart. L'incantesimo potrà essere spezzato solo il giorno in cui qualcuno le giurerà eterno amore. Siegfried promette a Odette di salvarla e la prega di partecipare alla festa durante la quale sceglierà la sua sposa. Ma Odette non può perchè è un cigno. Il giovane, allora, le giura amore eterno affermando che non sposerà nessun'altra che lei.
E' giunta l'alba, Rothbart richiama nel lago Odette e le compagne che si trasformano nuovamente in cigni.
Nella sala da ballo del castello iniziano i festeggiamenti. Entrano la regina madre e Siegfried seguiti da sei damigelle che aspirano alla mano del principe. Egli però le rifiuta finchè non giunge il barone Rothbart con sua figlia Odile le cui sembianze sono identiche a quelle di Odette. Siegfried, soggiogato dalla fanciulla che danza con lui, la chiede in sposa. Rothbart trionfa per lo spergiuro di Siegfried che, disperato, fugge verso il lago.
Sulle rive del lago le fanciulle cigno sono tristi per Odette che piange per il destino a cui è stata condannata. Giunge Siegfrid che, disperato e pentito per il tradimento, implora il suo perdono.
Odette sta morendo. I due innamorati si immergono nelle acque del lago, sconvolte dalla tempesta scatenata da Rothbart, che li sommergono ma i loro spiriti uniti si levano al di sopra del lago tornato calmo.”

Una triste storia…
Ma ora a Taro sembrava non interessare, incatenato ormai a quella figura dolce e gentile che, lentamente, terminava il suo balletto, il suo incantesimo su tutto il pubblico lentamente andava a svanire, mentre Lucille lentamente eseguiva gli ultimi passi, scivolando dolcemente a terra, inginocchiandosi, prima di accasciarsi, rivolgendo però un ultimo disperato tentativo al pubblico, allungando una mano verso…
“Taro…”
per poi far cadere quella mano, terminando il suo balletto.

Passarono momenti interminabili, poi il silenzio venne fermato da uno scrosciare assordante di applausi, tutti si erano alzati in piedi, mentre Lucille si alzava in piedi e, imbarazzatissima, abbozzava un piccoli inchino, uscendo poi di scena, lasciando entrare le altre ballerine.
Lucille fece la coreografia ad una canzone irlandese cantata da una bella e brava voce femminile, poi lo spettacolo terminò con una danza generale e il saluto, tutto il pubblico era entusiasta dello spettacolo.
Appena dopo lo spettacolo, Taro corse verso i tendoni ,alla ricerca di Lucille.
Il giorno dopo sarebbe partita…
No! Non lo poteva permettere!
Almeno la voleva salutare per un ultima volta.
-Taro!-
il ragazzo la trovò a pochi metri da lei, e con un sorriso felice la raggiunse.
-Sei stata fantastica, i miei complimenti!-
la ragazza arrossì imbarazzata, per poi passarsi tristemente una mano tra i capelli: il giorno dopo sarebbe ripartita, non l’avrebbe più visto…
Poi un’ideale passò in mente: velocemente, trascinando con se Taro, afferrò un foglio e una penna, e scribacchiò velocemente un indirizzo e un numero di telefono, porgendolo poi al ragazzo.
-Tieni, così mi potrai contattare-
il ragazzo afferrò il foglietto, per poi sorridere felice, e prendere il coraggio a due mani.
-Senti, io non ho ancora mangiato, ti va di venire da me a mangiare qualcosa?-
la ragazza ci pensò un momento, turbata.
-Ma tuo padre?-
-E’ in giro anche lui per l’Europa, non torna prima di tre giorni-
-Allora aspetta!-
la ragazza si allontanò a pochi metri dal ragazzo, parlando con una ragazza sua coetanea, che teneva in braccio un bambino di qualche mese, che sbracciò verso Lucille.
Sotto lo sguardo intenerito di Taro, la ragazza abbracciò il piccolo e gli schioccò un bacio sulla guancia, per poi porgerlo di nuovo all’amica, ringraziandola, tornando poi dal ragazzo.
-Bene, possiamo andare!-
-Non mi hai detto di avere un fratellino!-
-Infatti non è mio fratello…è mio figlio-
Taro si bloccò, fissando la ragazza sconvolto.
-Ma…come…tu…-
-No, non sono sposata, se è quello che vuoi dire…-
la ragazza lo fissò seria, i suoi occhi mostravano un forte dolore e una grande vergogna…
-Lui….è frutto di uno stupro…-

(Al prossimo capitolo! Meiko)

  
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