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Autore: Val    19/07/2010    4 recensioni
"Lei era una strega...
No, niente cappello a punta o naso adunco...la scopa sì, ma per pulire in terra e...beh il calderone è una cosa che stregoneria o non stregoneria, bolle comunque, a prescindere dal colore del liquido che contiene e indipendentemente da quanto inquietante e denso siano l’odore e il fumo che ne fuoriescono.
Insomma Sìle, anche se a prima vista non si vedeva, era una strega."
Niente a che vedere con la wicca o con qualcosa di Potteriano, senza nulla togliere loro, è ovvio. L'ispirazione per me è nata tutta da Brian Froud e le sue splendide illustrazioni che aiutano a capire meglio il mondo affascinantissimo delle fate e...più "bassamente", da un sacco di pensierini fatti su quel bel figliolo di Gerard Butler(fisicamente il protagonista maschile è lui ;p).
Grazie di cuore a coloro che,seguendo la mia storia, consigliandomi e incoraggiandomi, mi hanno portato a concludere per la prima volta un racconto.
Genere: Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'There's Something Magic'
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Capitolo 22 –

Solita serie di raccomandazioni:
- capitolo sempre suscettibile a variazioni, provvederò quanto prima a una rilettura accurata.
- ritorna per un attimo la vecchia Black Annis, la quale come suo solito parla in Scots, ma c'è la traduzione.
- per chi fosse interessato a sentire la canzone che da il titolo al capitolo e viene citata in esso, questa è la versione che mi ha ispirata: "The snow it melts the soonest"



”Come stai William?” fu la risposta laconica di Alec.
”Bene credo e tu?”
”Morto, lo sai…”
”Ah già…”
Liam lo guardava, sorpreso di quanto non lo sorprendesse trovarselo di fronte.
Lo sorprendeva così poco che si girò verso il vecchio e con curiosità gli chiese…
”Long John?”
Il vecchio gli sorrise appena facendogli capire che era un modo affettuoso di chiamare l’uomo.
”Scusi ma…” disse Liam abbassandosi appena per guardarlo meglio in faccia ”ci conosciamo noi due?”
“In un certo senso…”

Mentre Liam guardava entrambi quegli uomini, il vecchio si prese tutto il tempo per un sorso di birra, un altro sguardo cogitabondo fuori dalla finestra mentre si ripuliva il labbro superiore dai consueti baffi di schiuma.
Fatto questo, fece per scrivere qualcosa, posò il pennino sul foglio, ma quello non produsse segni sulla carta.
”Accidenti…” brontolò l’uomo, quindi guardò Liam ”certi pensieri è difficile coglierli, se non ci si sbriga ad annotarli è un guaio…” considerò.
Liam annuì mentre lo guardava allungare la mano ossuta verso un calamaio che era costituito da una simpatica statuetta che riproduceva un folletto dalla folta barbetta rossa e il naso a patata: aveva una buffa pelatina delineata da un cerchio d’inchiostro, che trovava un contenitore nel cappello, proprio sulla fronte.
”E poi tu ne fai una miriade ragazzo mio…è davvero un’impresa starti dietro sai?”
“Ancora?”
domandò Alec.
Liam annuì vedendo che il calamaio si animava porgendo al vecchio uomo il cappello, facendogli intingere il pennino…lasciava una scia di piccole gocce bluastre sul legno del tavolo.
Poi, una volta fatto questo, si distraeva un istante perché una lumachina gli passava vicino, una delle migliaia di lumache che strisciavano in giro per il locale umido, muschioso e con qualche accenno neonatale di foresta, e quindi provava a rimetterselo il cappello.
”Ehi no, ti sporchi…” gli disse Liam, dovendo constatare un attimo dopo che sì…in effetti aveva avuto un impeto di premura verso una specie di leprechaun.
“Lui è un voghee lyno” spiegò l’anziano quasi leggendo nei suoi pensieri, guardando il folletto che sorrideva a Liam con fare un po’ confuso e assonnato.
”Ehi…hai ragione amico…” bofonchiò il folletto che guardò prima Liam, poi il vecchio, poi Liam, poi nel cappello che si mise tra le gambe; ci chinò il capo sopra, più che altro anzi, sembrò che la testa gli ci crollasse dentro perché gli pesava troppo, poi ci ficcò una mano dentro fin sopra la manica, uscendone con mezza faccia sporca di blu e una bella giacca verde prato di foggia settecentesca inzuppata d’inchiostro “ecco cos’era quel cerchio alla testa eh? Di’…buona questa vero?”
Liam inarcò le sopracciglia.
“Sembra anche ubriaco a dirla tutta…”
“Certo che lo è…Tirlogh è sempre brillo”
confermò Alec.
E di nuovo il folletto a Liam, dopo un bel singhiozzo.
“Senti un po’ ragazzo…non è che hai una pignatta lì dentro insieme al tuo gatto? Poi te la restituisco…” aggiunse inserendo ad arte anche un rutto e una scusa.
Eppure prima era immobile!
Liam guardò la micetta che lasciava spuntare le orecchie dallo sporran e quindi guardò Tirlogh.
“No, mi spiace, ho lasciato la mia dentro l’altro kilt…”
”Vacca miseria!” replicò il voghee lyno.
”Che vuoi farci?”
”Neanche una piccola? Magari sotto…”
”Fritto e scroccone eh? Non ho neanche le mutande sotto il kilt amico, e per quanto io possa andarne orgoglioso, Pignatta, non l’ho mai chiamato il mio tesoro nascosto…” gli disse Liam, quindi si abbassò davanti a lui “Di’ un po’ Tirlogh…non è che forse è meglio se ti dai una pulita al naso e ti fai un sonnetto?”
”Mh…dici?”
Liam annuì.
”Dico…”
Sguardo vacuo ma ponderante sul viso rosso di Tirlogh.
”…”
Crollò addormentato col naso nel cappello nell’arco di tre secondi.
Liam rimase ammirato per le sue doti di persuasione.
”Devo provarci con quelle scalmanate di Loughrigg…” si disse mentre tornava a guardare il vecchio.
L’uomo non distoglieva molto l’attenzione da ciò che faceva lui però.
Scriveva, scarabocchiava, annotava vicino a dei disegni…
”Garlicky…” disse Liam vedendo uno scarabocchio sgraziato che diceva qualcosa a Mr.Dunno.
L’uomo fece una risatina divertita e annuì.
”Eh già…mi fa ancora compagnia…” bisbigliò l’uomo provocando in Liam un improvviso brividino di apprensione.
Si guardò intorno: era in un posto in cui sapeva di non potersi trovare, ma d’altronde la particolare immobilità dell’ambiente faceva capire abbastanza bene quanto non fosse reale il contesto…d’altronde poi era in compagnia di due uomini morti tra i quaranta e vent’anni prima e di un folletto che russava provocando bolle d’inchiostro che scoppiando schizzavano il tavolo.
O sognava…o…
”Scusate, ma sono morto?”
Alec grugnì qualcosa che voleva essere una risposta negativa, Liam sapeva ancora interpretarlo bene suo padre.
”Allora voi siete sogni…”
“Ma siamo anche morti…”
gli rispose Paulie, perché, se per caso prima aveva qualche dubbio giusto per evitare figure da presuntuoso, ormai era chiaro che si trattasse di lui.
Liam li guardò entrambi.
”Ah…” fece come uno che non aveva capito davvero niente ”Ma che ci facciamo tutti qui? Quando uno muore diventa un sogno?” domandò infatti.
”Ma che domande fai?” gli chiese Alec un po’ irritato, probabilmente più dalla prospettiva di dover dare spiegazioni che altro.
”Guarda che…”
“Mh-mh?”
“Scusa ma io mi ricordavo d’averti lasciato sei piedi sotto terra Akhab…”
“Long John…e poi proprio per quello: ancora ti domandi che ci faccio io qui?”
“Per me puoi anche essere Edward Teach, Davy Jones o il Capitano Nemo: ero al tuo funerale, è inutile che ti incazzi se mi trovi un po’ sorpreso dopo quasi vent’anni!”
“Non dire parolacce!”
“Dorcas, la tua voce non può uscire da mio padre!”
breve momento di stacco dallo scambio di battute con Alec che portò Liam a guardarsi intorno come cercando una direzione verso cui farsi sentire meglio dalla strega che era intervenuta nello scambio di opinioni attraverso la bocca di suo padre.
”Beh ha ragione comunque…” gli disse Alec di nuovo con la sua voce.
Liam si fece una risata.
”Detto da te poi…lo sa signor Dunne da chi ho imparato…”
“Devo darti ancora lezione di buone maniere ragazzo?”
disse Alec in tono cupo, la voce cavernosa invece che roca e spessa, cosa che la rese piuttosto innaturale.
Fece per alzarsi in piedi, come faceva quando Liam era bambino e aveva combinato qualcosa per cui Jane, magari impegnata in altro, chiedeva ad Alec di occuparsene.
Liam se lo ricordava benissimo: appoggiava le mani sul tavolo con i palmi e pareva darsi una spinta per alzarsi.
Solo che Liam ricordava benissimo anche un’altra cosa…
”Senti pa’, sono più alto di te, sono vivo e tu non hai mai fatto sul serio quando facevi così, quindi risparmiati le scene autoritarie…”
Alec però più che per un ripensamento, parve come un bamboccio meccanico che dietro un preciso ordine, si rimetteva nella stessa posizione di prima, pipa in bocca e braccia appoggiate la tavolo…sembrava muoversi a ritroso.
Sì ora gli risultava più chiaro: Alec, quanto Paulie, sembravano pupazzi in realtà…certo vivi, interagenti con lui, ma con delle limitazioni.
Lo vide meglio quando si accorse che Paulie, non riusciva ad allungare la mano verso la micetta che si sporgeva verso il tavolo.
Ci provava, ma era come se un meccanismo nella sua spalla e nelle articolazioni del suo braccio, gli consentisse solo un certo determinato raggio d’azione, ovvero quello tra il calamaio e il quaderno, a destra, e quello tra la pinta e la bocca e sinistra.
Poteva lasciare il bicchiere, poteva pulirsi le labbra, poteva scuotere il pennino se lo vedeva troppo carico d’inchiostro, ma nulla più.
L’unica cosa libera erano gli occhi.
Per Alec non era diverso: poteva fumare la pipa, svuotarla, accenderla o spegnerla, ma non poteva alzarsi da lì dov’era.
“Voi due…siete bloccati qui?” chiese Liam rivolgendosi a Paulie.
”Ci voleva tanto?” mugugnò Alec.
“Ma che significa? Non sono mica il Padreterno!” replicò Liam.
“E allora che ci fai qui?”
Paulie si fece un risata tentando però di trattenerla.
”Signor Long John, mi perdoni, ma credo che suo figlio non abbia tutti i torti…non può saperle certe cose…”
Alec aggrottò le sopracciglia sugli occhi chiari e si passò le dita sotto il mento, solleticandole un poco con la barba: una delle espressioni in cui Liam somigliava al padre e che piacevano a Sìle.
Pensando a Sìle gli venne istintivo guardare la gattina e grattarla con dolcezza sotto un orecchio.
”Io devo andare tra poco…” disse Alec proprio in quel momento, ma fu strano il modo…pareva parlare come uno che si sentisse di troppo, che si stesse ritirando in buon ordine.
Liam si girò a guardarlo annuendo: non riuscì a dirgli nulla per trattenerlo, neppure di aspettare un solo attimo, perché si ricordò che Una gli aveva raccomandato di non farsi distrarre da altro e si rese conto di aver già cominciato a farlo.
Alec gli concesse uno sguardo affettuoso.
”Non è mica l’ultima volta che mi sogni, amico…” gli disse mentre pareva testare la libertà di movimento che man mano sembrava venirgli concessa un po’ di più ” ma di’ a tua madre, che mi faccia cremare e tutto il resto, se uno crepa, Cristo Santo, avrà diritto a un po’ di tranquillità, non mi va di sentire le idiozie di tua zia Polly anche il giorno dei morti!”
Liam piegò un angolo della bocca, ironico, ma un po’ malinconico.
”E abbiamo dovuto quasi litigare prima che ti decidessi a dirmelo?” gli rispose guardandolo mettersi in piedi, svuotare la pipa nel posacenere e poi stringerla in mano per sentirne il calore.
Alec sorrise appena e guardò fuori anche lui, sospirando appena mentre con l’altra mano, si frugava in tasca e, prendendolo da lì, posava sul divisorio tra il sedile di Liam e quello alle sue spalle, il suo vecchio coltello.
”…lo sai ragazzo?” fece dopo aver invitato il figlio a prendere il coltello ”sei un testone, orgoglioso e anarchico…ma credo che mi piaccia come sei diventato. Tratta quella ragazza un po’ meglio di come ho fatto io con tua madre…” ammise sorprendendolo.
A Liam però parve proprio un addio definitivo quello.
”Aye aye, Sir…” gli rispose con un sorriso, esaminando il coltello che aveva preso e che sognava di poter usare da bambino; sempre secondo le buone vecchie abitudini della Royal Navy, per salutare il padre si portò alla fronte l’indice destro piegato su sé stesso, ma un po’ sollevato rispetto alle altre dita chiuse contro il palmo e mentre lo guardava uscire, da una porta che nella realtà, al vero Ratty Arms, era interdetta al pubblico e comunque sempre chiusa a chiave, e poi ricomparire sul piccolo ponte che poco più lontano attraversava i binari, riprese ad accarezzare la gattina.


Una, notando che le parole che Liam pronunciava erano sempre più fitte e sempre più flebili, tanto che bisognava avvicinarsi alle sue labbra per afferrarle, stava iniziando a preoccuparsi.
Aveva già detto che si stava lasciando distrarre troppo da quelle due presenze, che si stava facendo fuorviare.
Poi però, ad un certo punto lo avevano visto iniziare a muovere il pollice sulla mano si Sìle.
Non sapevano cosa stesse vedendo lui in quel momento, ma Una si era tranquillizzata.
- Sta passando troppo tempo ma la sente ancora…- aveva detto sottovoce mentre Sìle, sempre più debole, accennava un sospiro soddisfatto…anzi…
- Che sfacciata…- commentò Ceday prendendo di sorpresa le altre presenti.
- Perché?- chiese Jane che era l’unica a sorprendersi ancora di qualcosa, forse più per staccare qualche istante dall’apprensione per il figlio che altro però.
Ceday si abbassò appena su Sìle e si rialzò con un risolino.
- Sembra stia facendo le fusa…-


Infatti la micetta nera, sotto le dita di Liam, ronfava che era un piacere.
”Ti voleva molto bene…”
“A modo suo…sempre troppo laconico. Non avevamo mai parlato così tanto quando era vivo…”
disse Liam guardando Alec che prendeva a camminare lungo il marciapiede dal lato opposto dei binari.
Alla fine ricordò la canzone, perché lui si rimise a fischiettarla e mentre usciva l’aveva anche accennata con la voce: The Snow it melts the soonest”.
Liam si trovò di nuovo a chiedersi perché si fosse tanto appassionato al canto negli ultimi tempi.
”Ah sono loro...amano moltissimo la musica" gli spiegò Paulie alludendo, senza bisogno di specificarlo, alle fate...non c'era neppure bisogno di chiedersi come l'avesse capito che Liam si stesse domandando proprio quello, lo sapeva, punto.
"Vedi ragazzo…” riprese a dire Paulie, poi però si fermò ”scusa, mi sono lasciato influenzare dal capitano…”
Liam sollevò gli occhi su di lui e gli sorrise.
”Non c’è problema, tra poco dovrò iniziare a crescere, mi mancherà…” rispose, poi indicò la panca di fronte all’uomo, dall’altro lato del tavolo ”posso?” chiese e quando Paulie gli rispose con un sì un po’ metallico, come non fosse tra le cose che era programmato per fare in autonomia di intenti, Liam si accomodò e si prese la gattina in mano.
”Dicevo…quello che tu vedi qui…è un mondo di passaggio. Qui risiedono i sogni in tutte le loro forme ed accezioni…non solo di chi dorme…anche di chi, alla fine della sua vita, li lascia privi di una realizzazione…o di chi li attraversa per un momento e deve stare attento a mantenere ben presente qual è la via del ritorno” detto questo sorrise appena e gli indicò la gattina ”perché pensi che le streghe vadano così d’accordo con i gatti?” gli chiese poi quasi senza considerare il discorso che facevano.
Liam fece spallucce.
”Perché…non appartengono a niente e a nessuno e se ti seguono, ti si affezionano…è perché lo decidono loro…”
Paulie fu d’accordo.
”Eppure sono capaci di un amore incondizionato verso chi scelgono…cieco chi non ha la pazienza di guardare per capirlo e muoia impiccato chi fa loro del male…ma c’è una cosa forse vera, in quella follia dilagante che regnava qualche secolo fa, e solo un po’ meno oggi, anche ai loro danni…”
“E cioè?”

Paulie sorrise di nuovo e invitò Liam a guardare il musetto della gattina…che pareva essere un po’ cresciuta, ma Liam non si chiese se fosse possibile, ormai non si chiedeva più niente in quel senso.
”In ogni gatto…può nascondersi una strega…” disse Paulie.
Liam allora ricordò un paio di cose…tipo l’aver sentito dire che i gatti vanno e vengono attraverso mondi diversi, ecco perché li si vede comparire e scomparire in un lampo…o che…
Le streghe sono visitatrici ben accette nel mondo degli Sidhe…piccole donne scoiattolo, rosse con occhi da rapace…stregatte dalle ciglia lunghe…
”Sìle…” bisbigliò Liam prendendo il musetto della bestiola e facendosi guardare sfiorandole il pelo in mezzo agli occhi.
”Chiunque lei sia, non ti ha abbandonato e tu non devi abbandonare lei. Ora possiamo andare…prendi il coltello, è importante” gli disse Paulie.
Si alzò un po’ a fatica, si appoggiò ad un bastone ricoperto di edera e si mise in tasca il quaderno e Tirlogh, prima scrollandolo un po’ in aria per scolarlo dell’inchiostro.
”E perché prima no?” gli domandò Liam alzandosi a sua volta e rimettendo la gattina, Sìle, nello sporran, e infilando il coltello nella cintura che aveva in vita.
”Prima non sapevo cosa cercassi…ora lo so…”
“Perché ora sì?”
“Perché anche lei canta quella canzone…”

Perché lui glielo aveva detto a Sìle, che Alec, cosa in cui erano molto diversi, cantava più di quanto non sorridesse…e che quando cantava quella canzone e vedeva Jane arrossire, allora sorrideva…
“Sìle? E’ qui davvero?”
“Certo che è qui, altrimenti tu che ci fai, qui?”
“Beh a dirla tutta io ero convinto d’essere a Ambleside o dintorni e mi ritrovo a Ravenglass…”

Paulie si fermò, sbuffò un po’ spazientito, si girò come per recriminare, ma poi rinunciò.
”Che diavolo…ha ragione…non l’ha mica deciso lui come funzionano i sogni…” borbottò uscendo dalla stessa porta da cui era uscito Alec.
Percorsero il parcheggio deserto, si avviarono verso la scaletta, poi salita quella sul ponte e quindi attraverso il vialetto che passando tra due file di casette, tre o quattro al massimo, sbucava sull’ingresso di un campeggio…
”Ehi Liam!” chiamò una voce femminile.
Lui aveva appena passato il cancello che usciva sulla strada quando sollevò gli occhi.
”Come va Susan?”
“Sono sola…”
“Ah sì?”
domandò lui vedendola coperta, se così si poteva dire, solo da un asciugamano da doccia.
”Una settimana memorabile quella eh?” commentò Paulie.
”Non sono cose che riguardino un maestro elementare irlandese…” ribatté Liam, poi però voltandosi a salutare Susan, ricordando quella bella settimana passata chiusi in una tenda in Spagna senza prendere un raggio di sole, dovette ammettere qualcosa “beh sì…sa fare certe cose quella ragazza che neanche...”
“William!”
“E ricordati che sei in nostro potere e che io sono la migliore amica della tua fidanzata highlander! Dopo Sìle e prima di ogni altra donna, vengo io!”

Mamma e Ceday…rispettivamente per bocca di Susan e di Paulie.
“Sentite basta con questi giochetti da esorcista! Non mi angosciate!” protestò.
Paulie sghignazzò e indicò, come incitandolo a continuare, la strada sotto gli alberi che correva davanti a loro, quella che portava ai “bagni” romani.
”Cosa devo fare?” si informò Liam tanto per capire cosa lo aspettava.
Paulie allargò le braccia.
“Le risposte spesso vengono da sole…basta guardarsi intorno, interpretare i segnali che arrivano da ciò che ci circonda…vedere, ascoltare…”
Allargò un braccio accompagnando quella frase e a Liam venne istintivo guardarsi intorno: vide volti tra le foglie, ombre tra i rami, udì voci bisbigliare.
”Non esiste un attimo, in cui sei solo qui…e loro ti conoscono ormai…”
Da dietro le spalle, Liam si sentì toccare, si voltò di scatto…
”Mynd o cannie Nansie, hinnie?”
“Oh cazzo!”
esclamò.
Se si ricordava della vecchia Annis? Che lo chiamava tesoro? E come scordarsene?
Ritrovandosi di fronte la vecchia fata che sghignazzava sgranocchiando la cioccolata che le sporcava il viso e i capelli, sobbalzò e mosse due o tre passi frettolosi all’indietro, “riparandosi” in modo un tantino vigliacco dietro Paulie, che invece, vedendola, si fermò, si girò e le puntò il bastone contro.
”Che ci fai qui, vecchia cariatide? Non è il tuo posto questo, fila via!”
“Ill, auld erse! Ill!”
cattivo, vecchio irlandese, cattivo, gracchiò la megera prima di ripiegarsi quasi su sé stessa e strisciare di nuovo nell’ombra del bosco.


Avevano sobbalzato tutte, quando Liam era stato scosso da un tremito profondo, Una e Dorcas si erano avvicinate a lui per controllare che stesse bene.
Era ovvio che non sapevano cosa avesse visto.
Jane si fece più avanti, una mano sulle labbra, gli occhi sgranati, Ceday che le stringeva le spalle.
- Tutto a posto…- disse Dorcas alla donna, con un sorriso rassicurante – dovrà arrivare in fondo prima di risalire…e la discesa è iniziata da poco…- spiegò.
Jane inspirò a fondo, rifacendo un passo indietro.



”Così…è questo che devo fare? Camminare la dove vedo strada libera?”
Paulie annuì.
”Quando sono entrato dalla porta nella roccia…ho visto l’uomo verde e quella figura tra i rami della betulla…lei lo sa vero?” domandò e Paulie annuì, ma poi si ricordò di qualcosa di importante.
Si fermò e si voltò verso Liam posandogli una mano sul petto.
”A lei devi stare molto attento…l’uomo verde ti porta alla tua vera essenza e questo può spaventare davvero, ma la betulla, è assai più pericolosa! La Madre, lei è lo spirito più antico di tutti, ricorda sempre: colei che ha bianche dita, può essere amorevole e benevolente, ma se pensasse che hai cattive intenzioni…se pensasse che vuoi portare via la ragazza alla piccola fata…”
Liam d’improvviso afferrò il braccio di Paulie che sembrava un po’ troppo eccitato dai suoi pensieri e disattento.
“Lily?” chiese serio ”…allora è davvero lei che tiene qui Sìle?”
Paulie non rispose, ma era come avesse detto di sì.
“La piccola fata, non sa che la strega morirà e la giovane strega non è forte abbastanza, da sola, per opporsi all’influenza di questo luogo…” gli disse Paulie toccandogli ancora il petto con l’indice e poi lo guardò negli occhi ”…la Bianca Madre ti ha concesso di entrare, ti concede d’andare avanti e forse ti permetterà ti portare a termine il tuo intento, ma fa’ che non ti creda mai un nemico suo o di uno qualunque dei suoi figli…perché allora la vedrai mutare e se toccherà il tuo capo, ti porterà alla follia, e se toccherà il tuo cuore…non avrai più vita cui tornare”.
Liam rimase immobile sotto lo sguardo chiaro e pulito di Paulie.
”La piccola fata, deve lasciare di sua volontà la giovane strega libera di abbandonare questo luogo…” gli disse.
Liam era spaventato…non poteva negarselo.
Rimase fermo in mezzo al sentiero mentre Paulie si rimetteva in cammino…si girò come per essere sicuro di vedere ancora la via da percorrere per tornare, ma non c’era più nulla dietro di lui…solo brughiera alla luce crepuscolare, solo vento che non sembrava soffiare, solo rumore d’acqua…ecco quella, in un piccolo rivolo che scorreva nel bosco, c’era davvero, o almeno così pareva.
”Non guardarti indietro…” lo avvisò Paulie scuotendo la testa, ma senza guardarlo ”non è mai la stessa la via per uscire…anzi” disse chiamandolo a sé con un gesto stanco della mano: pareva stare invecchiando di attimo in attimo, quando Liam lo raggiunse, era ancora più ricurvo sul bastone, il viso era più scavato, le mani più magre. Si frugava in tasca ”…ricordi questa?” gli chiese prendendo una pagina volante dalla tasca della giacca e porgendogliela.
Liam la prese e la scorse: era scritta da lui, non da Paulie, anche se le frasi riportate erano quelle di Dunne.
”Prendila con te…potrebbe servirti…e attento alle voci d’ora in poi…”
Liam lo ringraziò.
”Vuol dire che dovrò andare avanti da solo?”
L’irlandese lo scrutò per un attimo.
”Saprai come fare, conosci abbastanza gli abitanti di questo luogo ormai…io devo solo indicarti la via maestra…”
“ E lei?”
domandò Liam mentre prendevano un sentiero che attraversava un prato su cui si intuiva la rimanenza di un terrapieno circolare.
Non c’erano terrapieni circolari nei pressi dei bagni romani di Ravenglass, ma quella sembrava proprio(pur non ricordandone i nomi in quel momento preciso) la Round Table di Mayburgh, quella che poi, qualche decina di metri più in là, aveva come vicina di casa la solitaria pietra di Mayburgh Henge…
Paulie camminava senza curarsi dell’acqua che gli bagnava la punta delle scarpe.
”Io appartengo a queste creature più di quanto non sia mai appartenuto al Signore; loro di contro sono piuttosto aggreganti, a ben vedere. Io vengo…” lo anticipò Paulie, poi sbuffò un sorriso ”gentilmente ospitato, mettiamola così…la mia pace è poco meno che eterna, diciamo che io mi occupo di aprire una delle porte che introducono in questo mondo di interminabile tramonto…”.
Liam si sentì cogliere da uno strano senso di angoscia a sentirlo parlare così: come poteva essere pace quella? Era una prigionia…
”Come c’è arrivato qui, signor Dunne?” gli chiese mentre percorrevano il prato proprio verso la pietra eretta.
Paulie sghignazzò di nuovo.
”Per seguire un violino…” disse, quindi guardò fuori e seguendo il suo sguardo, Liam vide che guardava sulla sommità della collina che era creata dal terrapieno attorno a Mayburgh Henge ”è molto tempo che dormo ormai…credo di iniziare a somigliare ad un vecchio ramo ritorto…”


Dorcas aveva lasciato da qualche minuto la stanza in cui si trovavano Liam e Sìle, era andata da Lily.
La bambina era distesa sul suo lettino, con gli occhioni lucidi e sembrava lontana, come insensibile a qualunque richiamo e inaccessibile da qualunque porta.
Sembrava più pallida, meno bambina…i suoi capelli odoravano di terra e bosco e aveva quell’ombra antica e selvaggia nello sguardo.
Stava succedendo senza alcun dubbio ora: il richiamo della sua origine, stava facendo mutare Lily e questo stringeva il cuore dell’anziana strega in una morsa di dispiacere.
Le accarezzò una guancia con le dita e sentì la gola chiudersi, le labbra contrarsi.
Lily le diede un’occhiata che aveva qualcosa di vivace in fondo, ma pareva quella che avrebbe dato ad un’estranea che poteva trovare simpatica a prima vista, che poteva magari incuriosirla.
Dorcas, per non contrariarla, le rispose al sorriso, ma con quanta fatica...
-Come sta?- domandò Jane affacciandosi dopo aver bussato.
Dorcas si strinse nelle spalle, non sapeva dirlo davvero.
- Venga…- la invitò – venga pure avanti, non credo sia di disturbo…-
Jane accettò l’invito, ma fu delicata e prudente nell’entrare: era una donna molto dolce…la stessa dolcezza e delicatezza di cui a volte era capace Liam, anche se in modo più sornione e ironico.
Dorcas la guardò osservare la stanzetta della bambina.
- E’ un posto molto accogliente…- commentò studiando il lettino accostato al muro, pieno di pupazzi di stoffa fatti in casa e dalle fisionomie un po’ folli(Jane non poteva sapere dei vari visitatori che frequentavano anche quel cottage).
- Sìle è bravissima per queste cose…ruba tutto con gli occhi e sa indovinare benissimo cosa può piacere a Lily…-
Jane annuì e quindi sbirciò con prudenza la bimba.
- Io non credevo potesse essere…- si interruppe come temendo di dire qualcosa di importuno forse – …Ceday mi ha detto alcune cose di lei e…-
- Sembravano solo vecchie fandonie da ubriaconi vero?-
Jane fece un sorriso imbarazzato e dondolò il capo in segno affermativo.
- Che cos’ha?- domandò dopo un attimo a Dorcas, ma sempre osservando la bimba.
Dorcas si passò una mano sul viso e si strinse nelle spalle di nuovo.
- E’ legata a Sìle in un modo vitale…la sua stessa presenza qui, è dovuta ad un evento che vedeva Sìle ferma al bivio tra vita e morte…- spiegò – Lily ha riportato Sìle in sé, l’ha salvata, e forse, ora che Sìle è entrata nel suo mondo, vuole seguirla…-
Jane era stupefatta, ma niente in lei lasciava pensare che potesse deridere o sottovalutare la spiegazione che Dorcas le stava fornendo.
- E Liam come c’entra?-
Dorcas fece un sorriso affettuoso al pensiero di Liam.
- Liam è un uomo straordinario…- disse guardando negli occhi Jane che lo prese per un complimento eccessivo lì per lì.
– Non lo dico per compiacenza o gratitudine, sono seria. E’ straordinario nel senso più profondo del termine: è una persona non comune, ha qualcosa di diverso da molti altri. Nella sua semplicità, nella sua praticità…ha un grande cuore, è forte, ma soprattutto è pieno di una sensibilità e una grazia che sono doni molto umani, ma rari quanto uno degli animali che lui va fotografando in giro per il mondo perché almeno non se ne perda la memoria…- spiegò e allora Jane si rese conto che parlava davvero al di fuori di gentilezza, riconoscenza e formalità. Si appoggiò al davanzale della finestra e si strinse il cardigan addosso mentre ascoltava Dorcas che riprese subito - Sìle grazie a lui è tornata ad irrigare una parte di sé che stava lasciando inaridire dopo quell’evento tragico, mentre cresceva rigogliosa quella che lei dedicava in tutto e per tutto alla piccola. Lily era un linimento, un oppiaceo, se vogliamo dire…e credo che Lily, da una parte, lo capisca, sappia che il suo compito qui è terminato e senta che è ora di tornare al suo posto…e Sìle questo lo sa, ma non può accettarlo, mentre Liam lo capisce...-
Jane era seria e pensosa.
- Questo cosa significa?-
Dorcas gonfiò il petto e trattenne il fiato per qualche istante.
- Liam ha, d’istinto, instaurato un legame con Lily che nessuna di noi, io o Sìle, si sarebbe aspettata. E’ stato come un segno capisce? Lily rifugge gli uomini per lo più, ma Liam è stato la sua passione quasi dal primo momento, sembra davvero innamorata di lui certe volte. Ci sono attimi durante la giornata, in cui Liam è di Lily più di quanto non sia di Sìle…e Lily sa, che non c’è una persona al mondo più giusta di lui cui lasciare Sìle. Ma poi c’è un altro fatto: Sìle non vuole lasciare Lily e Lily…-
- E’ pur sempre una bambina che vede in Sìle la sua mamma…- intuì Jane.
Dorcas le fece segno di sì e per la prima volta, vide che sul viso della donna, c’era un’espressione cupa e scura.
- E’ un ruolo molto infelice, e ingiusto, in cui mettere un uomo – sentenziò in modo piuttosto dogmatico, se pure non arrogante - metterlo in condizione di doverle separare. Come un padre che deve dire ad una madre che non può lasciarsi morire dietro suo figlio mentre anche lui ne soffre la perdita; sentirsi dire che lui non può capire…lui non lo sa…cosa si sente…- le tremò un po’ la voce e si portò una mano alla gola, abbozzando un sorriso verso Dorcas – ma per una volta ci sarebbe davvero da sperare che per una madre adottiva, sia diverso…- aggiunse.
Dorcas la guardava soltanto, ma Jane capì che aveva intuito qualcosa.
- Un anno prima che Liam nascesse, io e Alec perdemmo un bambino, Robbie…aveva due anni. Era sano come un pesce, biondo con due belle guanciotte rosse e una mattina non si è svegliato - raccontò, poi guardò Dorcas che si era stupita di trascurare una cosa così importante, Liam non le sembrava tipo da nascondere un fatto che si, era delicato senza dubbio, ma in fondo non lo poteva toccare troppo da vicino un fratello mai conosciuto – Liam non lo sa neppure…non gliene parlammo mai - aggiunse infatti Jane –perché io non volevo altri bambini, io volevo solo morire…avevo dentro un vuoto che mi aveva convinta che se mi avessero dato una coltellata in pieno petto, avrebbe attutito il dolore…forse neppure l’avrei sentito…e Alec lo vedeva. Ricordo che due mattine dopo, mi portò via Robbie di nascosto, lo seppellirono lui, il prete e mio cognato, non lo dissero a nessuno, poi tornò da me. Sapeva che non poteva fare altrimenti. Quando me lo disse, io lo odiai come non credevo sarei stata capace di fare con nessuno in vita mia e lui aveva quasi la stessa espressione di Liam quando mi è venuto a prendere l’altro giorno: sembrava gli stessero strappando via il cuore e lui non fosse capace neppure di lamentarsi…eppure mi riprese. Fu come se mi stesse tirando via per i capelli da una tempesta di quelle che a volte mi raccontava e in cui io volevo solo sprofondare…e aveva ragione a dirmi che non era tutto finito, perché poi è nato Liam e io e suo padre eravamo più forti insieme – accennò un inatteso sorriso – non abbiamo neppure mai soffocato Liam con l’ansia o la troppa protettività, siamo stati bravi in questo – si riconobbe-…ma a mio marito io non ho fatto in tempo a chiedere perdono per quell’odio che non meritava, per non aver capito che anche lui soffriva e perché altrimenti non avrei avuto Liam, che è stato la cosa più bella che Alec potesse regalarmi, e ora non sono felice di non poter evitare a mio figlio di rischiare lo stesso trattamento…-
Ci fu ancora un attimo di silenzio che Dorcas non si sentì di interrompere, Jane si asciugò di nascosto una lacrima.
- Ma…anche se ho rischiato di perdere anche lui, quando ormai era grande, e…ora lo stesso…so che per quella ragazza sopporterebbe tutto e che non sarebbe contento altrimenti. Avrei solo voluto poterlo avvertire… -
Dorcas a quel punto, accarezzò di nuovo i capelli a Lily, poi però si alzò e si mise vicina a Jane, circondandole le spalle con un braccio.
- Liam sa come fare…- la tranquillizzò – conosce Sìle e conosce Lily e se capirà qual’è il nodo che le lega davvero, riuscirà a scioglierlo senza far loro del male…-
- Lei dice?-
Dorcas annuì con decisione.


”Cos’è questo posto?” chiese Liam trovandosi in cima ad una collina rocciosa che apriva una bella vista su un panorama fatto di erba e piccole paludi e…cerchi di pietre integri, antichi come non ne esistevano più in nessun luogo forse.
”E’ la tua strada…devi andare avanti” rispose Paulie indicando con la mano sempre più magra che un attimo dopo, gli fece cenno verso la gattina ”manda lei avanti…” gli suggerì.
Liam guardò la bestiola e aggrottò le sopracciglia dubbioso, poi sbirciò in direzione della processione di megaliti: in qualche modo era certo che fossero “abitati”.
”Non voglio che le succeda niente…” mormorò.
”Lei sa dove andare…vedrai…coraggio ragazzo…”lo spronò sedendosi con l’aiuto del bastone su un grosso macigno muschioso ”più avanti di così, io non credo di poter andare…” sospirò, quindi gli fece ancora cenno verso un tronco cavo e tagliato a poco più di un metro d’altezza ”metti qui il coltello…questa sarà la tua porta, devi mantenerla aperta “ e mentre Liam eseguiva, faceva mente locale su quanto aveva da raccomandargli ancora ”…quella pagina di appunti che hai, non dimenticarla e non dimenticare che l’unica protezione che avrai qui, sarai tu stesso: niente vecchi chiodi, niente erbe in tasca, solo te stesso...per impedire loro di operare su di te, devi metterti a testa in giù o dire qualcosa al contrario”
Liam che fino a quel momento era rimasto serio e attento a quello che poteva esserci intorno, si voltò con gli occhi sgranati.
”E come diavolo faccio a sapere cosa dire anche facessi qualcosa di così strambo? E poi non ha detto che la porta per uscire non è mai la stessa?”
“Oh beh qualcosa ti verrà…”
rispose Paulie con una voce che sapeva…di legno…come venisse dalla pancia di un vecchio albero…un vecchio tronco ritorto"...e una porta l'importante è lasciarla aperta, non dove si apre..." aggiunse con un po' di sforzo.
Quando gli venne in mente questo, Liam lo guardò e sotto i suoi occhi Paulie iniziò a mutare davvero in legno e corteccia e muschio…le sue gambe, mentre lui pareva abbandonarsi alla stanchezza, venivano avvolte da terra, erba e foglie, divenendo pian piano radici.
”Paulie, che sta succedendo?” chiese Liam quasi tentato di aiutarlo anche se non sapeva proprio da che parte iniziare per farlo.
Gli faceva una certa impressione vedere quel cambiamento in atto, non era affatto divertente o interessante.
L’uomo intanto però parlava, parlava come per placare la sua ansia.
”Dicono di oscuri e sinuosi incanti, intricati e insidiosi come i rami degli alberi stessi…anche l’albero più nodoso, è generoso di parole per raccontare la sua storia…” disse mentre un serpeggiante ramo di edera, lo cingeva in un abbraccio ”…e se è vero che Loro, ti mostrano quella che la reale è l’essenza della tua anima…sono contento d’essere un albero nella brughiera…”
Liam ricordava che gli avessero detto qualcosa riguardo il Glenridding Dodd, parlando di Paulie, il forte delle fate nei pressi di Ullswater…proprio Sìle glielo aveva detto anzi…e sul Glenridding Dodd, c'era in effetti un piccolo castagno, forse dell'età giusta per essere nato ai tempi della morte di Paulie e di certo non il tipo di albero più comune nel Lake District.
Sembrava che il pensiero di Sìle, desse sempre adito a cambiamenti: non appena la sua immagine gli si compose in mente, la gattina, saltò via dallo sporran e si fermò a uno o due passi da Liam.
Non era più piccola come prima, ora era una aggraziata, filiforme micetta, dalla lunga coda in incessante movimento.
Si fermò, si stiracchiò protendendo in avanti le zampette anteriori, sollevò il posteriore, quindi si rimise dritta, si sedette, si diede una leccatina ad una zampetta.
”Ehi micia…” la chiamò Liam.
Lei si girò, lo guardò come dire beh? Che aspetti? e quindi si incamminò attraverso una stradina che correva proprio verso i megaliti.
”Dove vai?” le gridò dietro Liam, ma vedeva che lei non accennava neppure a fermarsi; diede un’occhiata a Paulie che ormai pareva davvero dormire come un sasso.
Gli dispiacque ringraziarlo quando ormai forse non lo sentiva più.
L’ultimo gesto cosciente che aveva fatto, era stato estrarre Tirlogh dalla tasca e deporlo con cura su un lettino di muschio dove ora il folletto dormiva beato, russando come una trebbiatrice.
Prima di seguire la gattina, si assicurò che il coltello di Alec fosse ben piantato nel legno e che la pagina del quaderno fosse lì, nello sporran.
La prese per tranquillità…e la prima cosa che gli capitò di rileggere fu tutta una serie di annotazione sul lato oscuro delle fate, raccomandazioni con tanto di esempi.
[…]Il Piccolo Popolo, come l’umanità, è legato alla natura e alla sua capacità di generare quanto di distruggere, il lato oscuro degli Sidhe non è da trascurare, perché si presenta con tutta la rude potenza naturale.[…]
[…]Molti racconti insegnano a guardarsi dal pericolo di incontrarli, di disturbarli…
I nixies sono adorabili da guardare mentre giocano nell’acqua, ma se si viene scoperti, si rischia di finire a mollo e di annegare; i Cappelli Rossi, prendono il loro nome dall’abitudine di usare sangue umano, per tingere i loro simpatici berretti.[…]
[…]Uno dei peggiori difetti che si possono trovare nelle fate, è la mancanza di emozioni: esse appartengono ad un mondo in cui ogni singola creatura è legata all’altra e ai fenomeni naturali, solo così raggiungono una forma di completezza, ma questo fa sì, che in ogni singolo individuo possa nascondersi anche soltanto oscurità o assenza di emozioni.[…]

”Questo sì che è consolante…”
Liam si strofinò l’occhio destro, per una volta solo per un attacco improvviso di stanchezza, e poi guardò verso la gattina che pareva aspettarlo.
Miagolò un po’ impaziente.
”Arrivo, arrivo…” le disse, poi quando la raggiunse, lei lo guardò con un po’ di stizza ”Sembri la mia professoressa di letteratura quando arrivavo in ritardo…”
Brontolone…
pareva dire il miagolio successivo.
Continuarono a camminare, attraversarono la radura del cerchio di pietre senza attraversarlo, passandoci intorno.
La gattina pareva non curarsi di quello che avveniva al suo interno, invece Liam dovette fare un grosso sforzo per non mettersi a sbirciare tutte quelle piccole sagome e ombre che si muovevano tra cespugli e pietre.
Si ripetè più di una volta quello che aveva appena letto sulla pagina.
Con la coda dell’occhio, passando, poteva vedere delle creature con i capelli dritti, appiccicati e sporchi, ribelli come non ne aveva mai visti, figure per lo più scure, dalle lunghe braccia e grandi mani e piedi nodosi.
Strepitando e ridacchiando, si muovevano all’interno del cerchio, intorno ad una grossa pietra eretta, tutti tranne uno che era impegnatissimo nell’affilare un coltello su una pietra levigata.
Un altro gli rubò una ghinea da un sacchetto che teneva legato alla vita e lui per tutta risposta, tanto per saggiare la lama, gli punse il sedere con violenza.
L’altro per il dolore sobbalzò e lasciò andare la moneta in aria.
”Ha ragione…” commentò Liam a bassa voce, ma un altro verso un po’ impaziente della gatta lo richiamò.
Iniziarono gli alberi, il sentiero ora ci si incuneava di nuovo dentro, così si inoltrarono per un po’ nella foresta e camminarono fino a che il viottolo non si interrompeva bruscamente a causa di un possente, unico blocco di roccia che si innalzava di una buona decina di metri proprio davanti a loro, come un muro.
Intorno non sembravano esserci vie alternative, tra gli alberi era tutto come all’inizio: una cortina nera come il retro del palco in un teatro.
Liam arguì che se c’era una strada da prendere, era quella che portava in alto, sopra la roccia.
”Non proprio, non proprio…” commentò una voce allegra di cui Liam non riuscì a individuare subito la provenienza.
Anzi no, non era una voce…era come una ventata sonora che articolava parole.
Si guardò un po’ intorno, ma non vedeva nessuno se non la gattina che, dopo un attimo passato in una elegante posizione di agguato, si slanciava verso una pianta dalle larghe foglie che cresceva non lontana da una polla di acqua sorgiva.
”Ehi signorina!” la richiamò facendola girare: le fece cenno di non proseguire ”se sei davvero quella che penso, la coda ti è spuntata dopo un tuffo di troppo giusto?” osservò.
La gattina quasi con leggero imbarazzo si ritrasse dalla sorgente, ma ci rimase seduta abbastanza vicino.
”…hai paura dell’acqua?” domandò la voce, come roteandogli attorno al capo, tant’è che Liam girò su sé stesso cercando di intravedere qualcosa.
Quando gli parve di cogliere un’immagine umana, si fermò, gli occhi fissi su una figura femminile, vestita in modo lussuoso, con un abito di foggia cinque-seicentesca.
Teneva sul viso una maschera a forma di foglia, una foglia d’acero del colore autunnale, tra giallo cadmio e rosso, per il resto l’abito e il suo incarnato erano una gamma di verde pallido e grigio-verde, incarnato e capelli compresi, capelli che prendevano forma di licheni attorno al viso.
”No…” rispose vedendola abbassare la maschera fino a scoprire gli occhi che erano di una trasparenza assoluta, ma color turchese. “…non ho paura dell’acqua…ho paura di cosa c’è dentro, l’acqua”
Perché l’acqua teneva lontane alcune fate, diceva Paulie, ma bisognava stare attenti a non caderci dentro o si finiva dritti nelle mani di quelle ch l’acqua la abitavano.
Non era sicuro fosse stata quella donna a parlare, la bocca gli era rimasta coperta dalla maschera che lei teneva davanti al viso, ma i suoi occhi sembravano parlare per lei.
La gattina intanto si era avvicinata a lui e ora stava avvicinandosi alla figura femminile, incuriosita da un nastro fatto di lunghi filamenti erbosi intrecciati a pietre trasparenti e rotonde, come piccole gocce di luce.
La micetta pensò bene che fossero adatte ad un attimo di gioco, così con un balzo tentò di afferrarle.
“Oh…no, no, no, no!” esclamò la voce mentre la donna si disfaceva, senza mezzi termini,in un mucchio di foglie che crollò al suolo come da un albero secco che venisse scosso con violenza.
Liam rimase a bocca aperta per un attimo.
”Di che ti preoccupi? Sono solo foglie…” disse ancora la voce.
”Ma…prima…” tentò di dire Liam avvicinandosi al mucchio e individuando tra le tante la foglia che era la maschera.
”E adesso?” domandò di nuovo la voce venendo da molto vicino alle sue orecchie, costringendolo a voltarsi come si fosse sentito toccare.
Girandosi vide un’altra maschera a forma di foglia che lo scrutava, ma i suoi occhi erano vuoti, non copriva alcun volto…
”D’accordo, d’accordo…ho ancora l’illusione di essere in un mondo almeno in parte normale, chiedo scusa, forse sono ancora troppo sveglio e qui è troppo simile a casa…” sbuffò distogliendo gli occhi dalla maschera e guardandosi intorno, sempre in cerca di chi parlava e rispondeva alle sue domande da ogni dove.
”Stai andando bene…”
“Davvero?”
“Sì…hai smesso di sentire le streghe no?”
“Non sono sicuro sia un bene in termini assoluti, potrebbe anche voler dire che sto morendo…”
e quella volta non venne risposta ”Ehi? Chi tace acconsente? La vogliamo mettere così?” ancora niente ”ehi! C’è nessuno?”
Il silenzio così ostinato lo angosciava un po’, c’era solo il lievi gorgoglio della sorgente e la gattina, che però ora stava accoccolata sopra una pietra.
Liam si guardò intorno e non c’era neanche l’ombra di una creatura.
”Fantastico…” brontolò.
Rifletté un momento sul da farsi: la voce aveva detto che non era proprio in alto la direzione da prendere…non proprio sopra la roccia.
Non rimaneva che provare, lui lì, di certo non ci sarebbe rimasto.
Si fece largo tra le felci, diede un’occhiata alla conformazione della roccia…lisciata dal vento, ma ruvida in superficie, con delle fessure orizzontali che potevano fungere benissimo da appoggio e da appiglio per piedi e mani.
Strofinò le mani tra loro, quindi chiamò a sé la gattina che arrivò subito e si fece rimettere nello sporran, ma miagolò come invitandolo alla prudenza.
”Beh tanto se sono morto o sto morendo, che vuoi che sia?” commentò lui.
Prese a salire, l’arrampicata non fu neppure faticosa, era come una grossa, fredda scala a pioli in fondo.
Arrivò in cima, si mise in piedi sulla parte più alta della roccia, ma quando fece per raddrizzarsi sulle gambe, diede una testata fortissima, come se sopra di lui non ci fosse il cielo che vedeva, ma altra roccia.
”Ma che cazzo…” mugugnò massaggiandosi dove aveva sbattuto.
Cercò comunque di sbirciare oltre la roccia, ma c’erano sempre, solo i solito alberi disegnati nel buio da quella luce artificiale.
”Sono finito in un maledetto videogioco…”riflettè notando la somiglianza tra quel luogo e certi giochi di avventura in cui si doveva esplorare un mondo affrontando ogni genere di nemici, salvo poi trovarsi chiusi in angoli morti e inattivi che stavano a significare che lì, non c’erano accessi né motivo di inoltrarsi, semplicemente non esisteva nulla oltre quel punto.
Sospirò e decise di scendere dalla cima della roccia, fermandosi su un gradino più largo che correva tutto intorno alla formazione come una specie di cornicione.
Lo percorse con attenzione, lo percorse tutto, fino a quando non girò all’estremità destra del grande macigno, lì, per fortuna premurandosi di protendere prima in avanti una mano, di nuovo trovò un muro di foglie e rovi attraverso cui poteva spingere lo sguardo ma non il corpo.
Prima di scoraggiarsi, decise di dare un’occhiata alla pagina di diario, sentendosi tra l’altro piuttosto idiota, come un turista sperduto in qualche grande città, ma soprassedette, aveva altro cui pensare.
La cosa, tra le tante scritte, che gli saltò agli occhi in quel momento, fu il consiglio di fare la cose al contrario, di nuovo.
L’utilità di camminare a testa in giù non la vedeva in quel frangente però…non c’era nessuno cui dire parole al contrario…non c’era niente cui girare intorno “widdershin”, ovvero in senso antiorario.
Rimaneva solo tentare di camminare all’indietro.
Provò, in fondo chi lo vedeva? Forse Garlicky se proprio andava male, e fu sollevato di accorgersi che riusciva ancora a procedere, quindi quella era la strada giusta.
Un volta oltrepassato l’angolo però, decise che poteva bastare, preferiva sbattere una nasata ma tentare di piegare almeno in minima parte quel posto assurdo ai suoi criteri di normalità.
Non c’erano controindicazioni per fortuna, poté avanzare senza ostacoli, addirittura, la roccia da quella parte, iniziava ad essere scavata in modo da creare dei comodi gradini per scendere al di là.
Liam lo fece.
Proseguì lungo uno stretto sentiero che passava tra roccia, muretto a secco, felci, rigagnoli muschiosi che rendevano di un verde quasi accecante l’ambiente intorno.
A volte comparivano dal nulla strane sculture umanoidi su rocce e tronchi e tra gli alberi, Liam poteva sempre intuire piccole ombre, avvertire lievi sussurri, risatine…non ne aveva paura, ma non era molto rilassante quel momento.
Finì la foresta e allora passò attraverso una vallata simile a quella che portava a Rievaulx o a Tintern, poi però gli alberi intorno si diradavano e iniziavano ad esserci massi pesanti, affondati nel terreno durante i secoli a circondare la via.
Immancabile, il ruscello continuava a corrergli al fianco.
Nei tratti in cui l’acqua era più placida, sembrava di poter scorgere piccole figure in trasparenza.
Una poi la vide molto bene: una figurina femminile, nuda, in piedi sulla sponda di una pozza…appena lo vide, si sciolse divenendo una pozzanghera a sua volta.
Strano, era convinto d’aver letto di fate che facevano così solo colpite da un raggio di sole.
Più avanti ancora, incrociò un’altra figuretta femminile, questa alquanto brutta, mentre la precedente era di una bellezza abbagliante, che pareva intentissima a fare un impegnativa seduta di bucato nel ruscello.
Peccato tuffasse in acqua sudari sporchi di sangue.
Questa è una bean nighe, me lo ricordo…, si disse e al contempo si suggerì di girarle un po’ a largo, era innocua, ma non gli sarebbe piaciuto scoprire magari che il sudario fosse il suo.
Da un certo momento in poi invece si accorse di venire seguito da due presenze: uno era, ci avrebbe giurato, un Ghilly Dhu.
Si muoveva stando abbarbicato a questo o a quell’albero, come una specie di piccolo bradipo, ma più veloce e a aprte i primi momenti in cui gli veniva spontaneo cercarlo con lo sguardo per prudenza, pian piano Liam iniziò a sentirlo come una compagnia.
Si fermava quando lui smetteva di camminare, lo guardava un po’, magari raccoglieva una nocciola o una bacca da sgranocchiare e ricominciava a seguirlo.
Quando Liam provava a guardarlo più meglio però, si intrufolava tra rami e foglie con l’agilità di un felino.
In alto invece, là dove c’erano quei grossi massi e pietroni crollati dalle creste montuose intorno alla valle…c’era qualcuno di diverso.
Un’altra figuretta femminile che se ne stava appollaiata sulle rocce, come un grosso animale un po’ intontito, se fosse stata un animale, ma Liam si rendeva conto che dopo la prima volta che si era accorto di lei, ogni volta che l’aveva guardata, l’aveva percepita più vicina.
Alla fine non la vide più guardando di lato, ma portando lo sguardo in avanti, si accorse che se ne stava accovacciata su uno dei massi che lambivano la strada, per metà immersi nel ruscello.
Una leggera ansia lo colse alla prospettiva di passarle vicino, come la previsione di qualcosa di inatteso da parte sua.
Era delle dimensioni di un corvo più o meno e pareva grigiastra di colore, coperta solo dei proprio capelli, si teneva le ginocchia con le mani e appoggiava il petto contro le cosce.
Aveva le unghie dei piedi nere e lunghe, proprio come quelle di un corvo.
Liam già si figurava sé stesso intento a staccarsi una specie di piccolo vampiro dal collo.
Comunque avanzò e alla fine non successe niente…lei si limitò a guardarlo con inquietante insistenza…e lui, visto questo e visto che lei non pareva intenzionata a fare altro, pensò che forse quella creatura altro non faceva che guardare storto i passanti.
Comunque il sentiero finiva con il rituffarsi tra gli alberi, dove la piccola seccatrice non lo seguì, e con lo sbucare in uno spiazzetto di terra battuta non più largo di tre o quattro metri.
Lì Liam si trovò di nuovo nell’oscurità, nella luce crepuscolare, nel silenzio ovattato, eppure sentiva di non essere solo…
La sentì allora, dopo qualche minuto, anche se non aveva certo una cognizione temporale molto lucida lì…
La sentì aleggiare tra gli alberi, echeggiare languida nell’aria, lontana, delicata e dolcissima…


Oh the snow it melts the soonest when the winds begin to sing
And the corn it ripens fastest when the frosts are setting in
And when a young man tells me that my face he'll soon forget
Before we part, I'd better croon, he'd be fain to follow it yet

   
 
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