Crossover
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Autore: Dk86    27/07/2010    2 recensioni
Nell’Universo ci sono un sacco di cose.
Per la maggior parte si tratta di fenomeni interessanti e visivamente spettacolari ma non molto utili all’atto pratico, come giganti rosse, pulsar o nane brune. I buchi neri, se non altro, possono risultare efficaci se ci si vuole liberare di qualcosa di scomodo… Sempre che il buco bianco corrispondente non decida di aprirsi proprio davanti alla persona a cui si stava tentando di nascondere il problema in questione (ed era successo almeno una volta, a quanto si diceva).
Pianeti e satelliti invece sono molto meglio, soprattutto perché c’è la possibilità che ospitino forme di vita intelligente, o quantomeno non troppo stupida. Inoltre possono rivelarsi ottimi luoghi di villeggiatura, come la ciurma della Crazy Diamond aveva imparato a proprie spese.
E poi, ogni tanto, ci sono anche delle astronavi.
(dal capitolo 14, "Salvare l'Omniverso e altri sport estremi")
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga, Fumetti, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO NONO – IL FIORE CHE DANZA IN PATRIA, PARTE PRIMA


“All’Inferno”, disse il Cavaliere del Sagittario.
“Aspetta, fammi capire”, riuscì ad articolare Edward dopo qualche secondo. Era così confuso e perplesso che per sbaglio si grattò la testa con l’automail, finendo per staccarsi due o tre ciocche di capelli. “Non stai dicendo ‘All’inferno’ come per dire ‘Vada all’inferno Cancro, mi sono stufato di doverle sempre fare da balia’, intendi proprio…”.
“Gli Inferi, già”, rispose Yue, monocorde come suo solito. Per l’occasione aveva rinunciato ad esibire le enormi ali candide, per la fortuna di chi poi avrebbe dovuto spazzare le piume (incarico che toccava invariabilmente ad Al). “Pare che è lì che si sia rifugiata”.
“Beh, è naturale”, commentò Critical dal suo trono. Proprio come una settimana prima i sei Gold Saint rimasti al tempio – sette, contando il ritorno di Sagittario – si erano riuniti nella stanza del Gran Sacerdote. “Non è un caso che venga chiamata ‘la fanciulla dell’inferno’, d’altronde”.
“E quindi che cosa proponi di fare?”, chiese Gray. “Gli Inferi non sono un buon posto per una ragazza”.
Il Santo dei Gemelli scoppiò a ridere. “Ovviamente andiamo a recuperarla, che domande. Il problema rimane come raggiungerla, semmai”.
“In effetti Cancro è l’unica a conoscere l’Onda Infernale dello Tseih She Ke; il Cavaliere della Vergine è in missione con la signorina Anthy, quindi non possiamo neppure usare la sua proiezione astrale”, osservò Kusanagi. “Qualcuno ha qualche idea?”.
Yue scosse la testa, i lunghissimi capelli d’argento che spazzavano il pavimento. “Sono venuto qui solo per ottenere dei rinforzi. Il cammino per l’Inferno non è mai stato un problema…”. Il famiglio guardò Critical dritta negli occhi. “Anche se mi servirà il tesoro, come prezzo”.
Il Santo dei Gemelli annuì subito. “In fondo la signorina Anthy ci ha detto che avremmo dovuto separarcene, prima o poi”. La donna sogghignò. “E comunque non ho mai capito che cosa ci fosse di tanto importante in un semplice uovo”. Si piegò in avanti, tendendo la mano e passandola sulla base del trono, che scivolò di lato rivelando una teca in cui era contenuto un piccolo scrigno. Un cenno della testa di Critical e il bauletto si sollevò in aria, uscendo dal suo nascondiglio per atterrare con delicatezza nelle mani di Yue. “Ecco qui. Due compagni sono ciò che ti è concesso, non posso permettere che il tempio rimanga privo di difese”.
“Saranno più che sufficienti”, rispose Yue.
“Bene…”, disse Critical, in tono riflessivo. “Ed, Gray? Andrete voi due”.
“Ok”, rispose con aria laconica il Santo dell’Acquario. “Poi dicono che all’Inferno faccia caldo, quindi non dovrei avere problemi con i vestiti”.
Ma che ti importa?, pensò Ed. Tanto tu stai a petto nudo praticamente sempre… “Anche per me va bene”, aggiunse ad alta voce. “In effetti è parecchio che non faccio qualcosa di interessante…”.
“E io non dovrò vedere la tua faccia da moccioso per un po’ di tempo, piccolo Ed”, intervenne Critical.
A CHI AVRESTI DATO DELLA LARVA DI ZANZARA!?”.
“L’hai fatto così tante volte che ha quasi smesso di essere divertente… quasi”. Dopo aver soffocato un fintissimo sbadiglio la donna smise di badare alla sua principale fonte di divertimento per rivolgersi di nuovo al Santo del Sagittario. “A chi pensavi di domandare per un portale sugli Inferi, comunque? Se è uno degli Eterni puoi benissimo rinunciare subito, quelli ultimamente non concedono favori a nessuno”.
“È una strega che risiede sulla mia Terra d’origine”, spiegò l’angelo. “Una vecchia conoscenza del mio creatore”.
“Aspetta… non intenderai Yuko Ichihara, la strega delle dimensioni?”, disse Kurama, in tono scettico. “Quella donna fa parte del Consiglio Iperuranico, e fidarsi di una persona tanto vicina ad Akio Ohtori sarebbe…”.
“Dimentichi che noi non ce l’abbiamo con il Consiglio, ma solo con Othori”, lo interruppe Critical. “Altrimenti non dovremmo fidarci nemmeno di Scorpione, che ha lavorato per centinaia d’anni a stretto contatto con il consigliere Unohana”.
“Sì, ma…”, tentò di nuovo di protestare Kurama, ma stavolta fu Yue a bloccarlo.
“Posso garantire io per Yuko Ichihara. Quella donna ha sempre agito in maniera imparziale, servendo quello che considera come un destino inevitabile. Al massimo potrebbe negarci il suo aiuto, ma di sicuro non si metterebbe contro di noi”.
Il Santo dei Pesci sospirò. La rosa che teneva fra le dita parve percepire la frustrazione del proprietario, e uno dei petali scarlatti si staccò planando fino al pavimento di pietra. “Nessun’altra obiezione”, disse Kurama.
“Bene”, rispose Critical, alzandosi in piedi. “È meglio se non perdete altro tempo. Anch’io, comunque, ho il mio incarico da portare a termine”.
“Oh, il sommo Cavaliere dei Gemelli in persona che si mobilita?”, ghignò Ed. “A cosa dobbiamo questo onore?”.
La donna sorrise, ed era un sorriso pericoloso. “Non è ovvio, piccolo Ed? Andrò a convincere Bilancia ad uscire dal suo letargo”.


Sigla d’apertura (stavolta un po’ più tardi del solito): Re-sublimity, di Kotoko


Pioveva a dirotto sulla Terra di origine di Yue. E, dato che nessuno di solito si preoccupava di caricare degli ombrelli di scorta sulle navi di classe F, i tre Cavalieri erano bagnati fradici.
“Non manca molto, vero?”, domandò Ed. “Perché potevamo pure parcheggiare più vicini… Non è che mi lamenti della pioggia, ma visto che dobbiamo portarci pure in giro questa roba…”.
I tre tenevano sulla schiena gli scrigni contenenti i rispettivi Gold Cloth a mo’ di zaino, i fregi dorati coperti con dei grezzi teli bruni – e ovviamente a quel punto zuppi d’acqua – giusto per non attirare troppa edizione.
“Non mi sembra un problema così grande”, intervenne Gray, come al solito senza maglietta.
“Tu sei quello che dovrebbe soffrire più di tutti”, replicò l’alchimista. “Quelle cinghie non ti stanno segando le spalle?”.
“È pur sempre allenamento”.
“Non è quello che ti ho chiesto”.
“Siamo arrivati”, intervenne Yue, in un tono di voce tanto gelido che c’era da chiedersi come mai le gocce di pioggia non si trasformassero in fiocchi di neve quando si posavano sul suo viso. “Questo è il negozio di Yuko Ichihara”.
Ciò che il famiglio stava indicando era un piccolo edificio in stile tradizionale stretto fra due modernissimi grattacieli. La casa, però, non sembrava affatto oppressa dalla presenza di quei giganti; se ne stava lì, placida e imperturbabile, come una remora attaccata al ventre di una balenottera azzurra.
“Siamo sicuri che ci riceverà?”, domandò Ed, mentre i tre percorrevano il vialetto d’ingresso.
Nessuno degli altri due rispose. Quando però Yue aprì senza troppi complimenti la porta principale, un paio di vocette esclamarono, perfettamente in sincronia: “Benvenuti! Vi stavamo aspettando!”.
L’Alchimista d’Acciaio si fece largo oltre i compagni: davanti a loro c’erano due bambine, una con corti capelli rosa, l’altra con un’improbabile chioma celeste ripartita in due ciuffi laterali che sembravano sfidare qualsiasi legge fisica e gravitazionale. Indossavano eleganti vestiti da gothic lolita bianchi e neri, dagli stessi motivi ma a colori invertiti, decorati da un paio di alucce piumate. “Davvero?”, non riuscì a trattenersi dal chiedere il ragazzo.
Le due bambine si guardarono, poi scoppiarono in una risata simultanea. “Sì”, risposero poi. “Venite, la padrona è impaziente di incontrarvi”.
I tre furono condotti attraverso un breve corridoio. “Da questa parte”, dissero le bimbe, aprendo una delle porte scorrevoli. Ed fu il primo ad entrare; come mise un piede nella stanza qualcosa di piccolo e morbido gli atterrò sulla faccia. “Puuu! Finalmente! Eccoli qui!”, berciò una vocina acutissima a qualche millimetro dal suo orecchio destro.
“Waaah! Toglietemelo! Qualsiasi cosa sia, toglietemelo!”, iniziò a gridare Ed.
Giusto un attimo più tardi l’invasore peloso venne tolto dalla faccia dell’alchimista. La creatura, tenuta per la collottola da Gray, era un incrocio fra un folletto con evidenti problemi di peso e il disegno di un coniglio fatto da un bambino dell’asilo: corpo a forma di pera, lucido pelo nero, lunghe orecchie a punta. Nel centro della fronte splendeva una lucida gemma blu, e la sua bocca quasi felina era atteggiata in un’espressione soddisfatta. “Finalmente siete qui!”, continuava a sbraitare, facendo di tutto per divincolarsi dalla presa del Santo dell’Acquario. “Non vedevo l’ora di conoscervi!”.
“Su, Mokona, non infastidire i nostri ospiti”. Una voce di donna sensuale e un po’ roca giunse da dietro un alto paravento finemente decorato con un paesaggio al tramonto e delle gru in volo. La sua proprietaria la seguì subito: una donna alta e bella, i lunghissimi capelli neri lasciati sciolti sulle spalle e la schiena, coperte da un kimono leggero di un viola molto scuro. “Benvenuti. Io sono Yuko Ichihara. Dunque ditemi, qual è il vostro desiderio?”.
Dritta al punto, eh?, pensò Ed, che continuava a guardare con sospetto la piccola Mokona, arrampicatasi fino alla spalla di Gray. “Noi vogliamo…”, iniziò, ma Yue gli si parò davanti, impedendogli di continuare.
“Somma Yuko Ichihara, Strega delle Dimensioni, colei che è in grado di esaudire qualsiasi desiderio, è un onore potervi incontrare di nuovo”, disse in tono ossequioso, mentre si esibiva in un profondo inchino.
Yuko si lasciò sfuggire un sorrisetto ironico. “Risolleva la testa, creatura di Clow Reed, non mi spettano tali onori”, rispose, accomodandosi su uno dei divani presenti nell’enorme stanza. “Comunque so che siete qui per un motivo, e sono davvero curiosa di sapere di che si tratta. Quindi forza, Yue della Luna, parla”.
Edward scoccò al famiglio un’occhiata di sbieco che pareva dire: Visto? Era meglio se non mi interrompevi. “Noi vorremmo un portale per gli Inferi”, disse Yue, in tono deciso.
Gli occhi di Yuko si sgranarono di vera sorpresa, anche se per meno di un secondo. "Richiesta insolita", rispose poi. "Ma dovrete prima spiegarmi perché volete raggiungere quel luogo. Se volete riportare in vita qualcuno, temo che sarei costretta a chiedervi di lasciare immediatamente il mio negozio. Anche se ho fatto una promessa, ho dei principi da rispettare".
Yue decise di non indagare sul senso dell’ultima frase, e si limitò a scuotere la testa. "È vero, dobbiamo recuperare una persona. E in effetti questa persona è morta molto tempo fa. Ma lei si è recata all'Inferno di sua spontanea volontà, e altrettanto facilmente potrebbe uscirne; noi stiamo solo andando a recuperarla".
Yuko annuì con lentezza. La Mokona nera intanto era scesa dalla spalla di Gray, aveva trovato una bottiglia di saké non si sapeva bene dove e aveva cominciato a scolarsela allegramente. "Credo di avere capito la situazione. Tuttavia, visto che sei stato creato da Clow, saprai bene come lavoro: se volete che io esaudisca il vostro desiderio dovrete darmi in cambio la cosa più preziosa che possedete".
Ed si fece avanti, un ghigno quasi arrogante sul volto. "Ovvio. Io sono un esperto quando si tratta di scambi equivalenti, dopo tutto". Infilò la mano sana nella tasca della sua giacca rossa e ne estrasse lo scrigno che Critical aveva consegnato loro, aprendolo in modo che Yuko potesse vedere ciò che si trovava al suo interno senza doversi alzare dal divano.
La donna fece tanto d'occhi. "Incredibile", disse, in tono ammirato. "Non credevo ne esistessero ancora, dopo l'unificazione delle dimensioni".
Nello scrigno, su un cuscino di velluto blu, era posato un uovo dal guscio nero e lucido, grande quanto quelli recuperabili in un qualsiasi pollaio. "Spero che basti, almeno", disse l'alchimista. "Anche perché non ho ancora capito che cos'abbia di tanto speciale".
Yuko tese una mano dalle lunghe dita pallide e afferrò l'uovo, facendoselo ruotare davanti agli occhi come se fosse stata una gemma. "Questo è un uovo mondano".
Lo sguardo di Ed continuava ad essere vacuo e confuso. "Mondano nel senso di banale? Non credo varrà molto, allora".
Yuko sospirò e si accinse a spiegare. "Le uova mondane contengono una dimensione che ancora non è venuta alla luce. Sono come dei Big Bang portatili, per così dire. Ma ora che i mondi si sono riuniti in uno solo, non credevo avrei visto ancora uno di questi…”. La donna sorrise. “Immagino che questo voglia dire che le dimensioni continuano a nascere, dopotutto”.
“Quindi accetterai la nostra proposta?”, domandò Ed, strusciando un piede sul pavimento.
Yuko lo fissò. “Ho già acconsentito, in effetti”.
Un attimo dopo, la stanza sparì.


Riguardo all’Inferno esistono molteplici scuole di pensiero, soprattutto per quel che concerne la sua composizione. In quanto dimensione spirituale, infatti, non esiste una qualche regola fisica o logica che possa dettarne i principi.
Tutti, comunque, sembrano concordi nell’affermare che gli Inferi siano un posto orribile, che lo rappresentino come una caverna di fuoco, una distesa ghiacciata o un deserto brullo e senza vita. Queste convinzioni derivano dal fatto che il luogo in questione è abitato da demoni, altre creature da incubo e – ultime, ma di certo non meno importante – dalle anime dei dannati, e quindi dev’essere per forza spaventoso.
Si tratta, per la stragrande maggioranza, di credenze errate.
L’Inferno gode semplicemente di cattiva pubblicità.
“Dove… dove siamo?”, chiese Ed. I tre Cavalieri erano in piedi al centro di un ampio corridoio che sembrava uscito da un albergo di lusso: moquette color crema, stucchi, enormi lampadari a gocce di cristallo. A circa una decina di metri dal gruppo il corridoio svoltava a sinistra ad angolo retto; alle loro spalle, invece, sembrava continuare per chilometri e chilometri, o comunque fin dove il loro sguardo poteva arrivare.
“All’Inferno, ovvio”, rispose la voce di Yuko da qualche parte vicino alla moquette. I Cavalieri abbassarono lo sguardo scoprendo che la Mokona nera li aveva seguiti e che dalla sua bocca spalancata stavano uscendo le parole della strega delle dimensioni. “È dove vi ho detto che vi avrei mandati, e io non faccio mai errori”.
“E come mai ci hai mandato dietro la palla di pelo?”, domandò Ed.
“Mokona è la vostra sagola di salvataggio. Senza di lei non riuscireste più a tornare a casa, quindi vedete di non farle succedere niente”, spiegò Yuko. La sua voce stava diventando sempre più debole e confusa, come se uscisse da una radio sintonizzata male. “Non ho molto tempo prima che il passaggio si richiuda, quindi sarò breve…”.
Ma il passaggio si richiuse proprio in quel momento, visto che dalla bocca della creaturina smise improvvisamente di uscire qualsiasi suono.
“Beh, meglio così che se il collegamento fosse saltato mentre stava per dire: ‘L’unico modo in cui potete salvare la vostra amica è…’ o qualcosa del genere”, disse Gray, dimostrando di prendere la cosa con filosofia. “Almeno non dovremo preoccuparci inutilmente”.
“La fai facile, tu”, rispose Ed. “Noi ora dove andiamo?”.
“A cercare Cancro”, disse Yue, iniziando a sfilarsi dalle spalle le cinghie del suo scrigno.
“Anche tu non scherzi, in quanto a praticità…”, osservò l’alchimista.
Qualche minuto dopo, i tre indossavano i rispettivi Cloth. L’armatura dell’Ariete, per qualche strano motivo, faceva sembrare Ed ancora più basso. “Che ce ne facciamo dei bagagli, ora? Se dobbiamo combattere ci staranno fra i piedi”.
Mokona, che fino a qualche secondo prima si stava rotolando con aria beata nella moquette, iniziò a saltellare eccitata. “Me ne occupo io, me ne occupo io!”, e spalancò la bocca, rivelando un varco largo almeno un metro che risucchiò all’istante scrigni e vestiti dei tre.
“Un buco nero portatile? Comodo”, osservò Gray, che stava ancora terminando di aggiustarsi l’armatura. Mokona gli si arrampicò fino alla testa e si accomodò dietro l’elmo. “Certo che ne sai fare di cose, palletta di pelo!”. La creatura emise un borbottio soddisfatto in risposta.
Intanto, senza proferire parola, Yue aveva cominciato ad incamminarsi verso la svolta del corridoio. Le ali bianche erano ora ricoperte dal piumaggio dorato del Cloth; il che, oltre ad essere di grande effetto, voleva dire anche meno penne sparse in giro.
“Ehi, aspetta!”, gli gridò dietro Ed lanciandosi in una corsetta per inseguirlo, mentre il clangore dell’armatura rimbalzava in echi metallici sulle pareti. “Si può sapere che fretta hai?”.
Il famiglio, però, non rispose; addirittura non si preoccupò nemmeno di quali indicibili orrori potessero celarsi oltre l’angolo del corridoio e lo imboccò senza esitare, seguito con un po’ di titubanza dagli altri due.
In effetti oltre la svolta non c’era nulla di minaccioso; il passaggio in cui i tre sbucarono sembrava anch’esso infinito come il precedente, ma sulle pareti si aprivano porte di ogni forma, colore e materiale: alcune di pietra, altre di legno, un paio erano dipinte di tenui colori pastello e ce n’era anche una che sembrava composta di materiale organico, rosa e attraversata da venature blu e carminio come enormi capillari. A una ventina di metri dall’inizio del corridoio era stata piazzata una scrivania, dietro la quale un uomo occhialuto era impegnato nella lettura assorta di un enorme registro. Sul davanti del mobile era affisso un cartello che recitava a grandi lettere “IN PAUSA – SI PREGA DI NON DISTURBARE”.
I tre Saint si avvicinarono all’impiegato. “Scusi…”, iniziò Ed. L’uomo non alzò nemmeno gli occhi dal volume che – poté notare l’alchimista – conteneva solo file e file di nomi scritti in una grafia aguzza a sottilissima.
“Non vedi? C’è scritto che è in pausa e non va disturbato”, gli fece notare Gray, col tono sussiegoso di chi sta parlando con una vecchia zia un po’ tocca.
“So leggere anch’io, grazie”, rispose Ed a denti stretti.
“E allora perché gli hai parlato?”.
“Ma non è questo il punto, è che…”.
Un rumore sordo, come se l’impiegato avesse tamburellato sul piano della scrivania. I due Saint si voltarono e poterono constatare che il cartello era cambiato. Ora diceva: “IN SERVIZIO – SI PREGA DI NON PARLARE AL CONDUCENTE”.
“Oh, meno male che la pausa è finita!”, esclamò il Cavaliere dell’Ariete. “Adesso può per favore…”.
L’impiegato tese una mano. Fra le dita lunghe e nervose stringeva una penna a sfera con il cappuccio blu, con cui picchiettò un paio di volte sul cartello.
“Ma se non possiamo parlare con lei, come…”.
Altri due colpetti sul cartello, stavolta accompagnati da uno schiarimento di gola.
“D’accordo, io ci rinuncio”, sbottò Ed. “Altrimenti finisce che lo ammazzo, questo qua!”.
Mentre l’alchimista si ritirava sconfitto, il misterioso uomo chiuse il registro e lo mise da parte; aprì un cassetto con religiosa lentezza e ne estrasse un piccolo plico di moduli. “Siete voi i signori Edward Elric, Gray Fullbuster, Yue e Larg?”, disse, sollevando per la prima volta lo sguardo.
Ed e Gray fecero un passo indietro, le bocche spalancate. Gli occhi dell’impiegato, dietro le lenti quadrate degli occhiali, erano composti da cerchi concentrici sempre più scuri, senza la minima traccia di sclera. Era come guardare dentro un binocolo puntato al contrario verso un abisso senza fondo. “Sì”, rispose il Cavaliere dell’Acquario dopo qualche secondo, anche se non aveva la più pallida idea di chi fosse Larg. “Ma perché…”.
Terza serie di colpetti al cartello. “Limitatevi ad annuire o a scuotere la testa, grazie”, lo redarguì l’uomo. “Comunque, sembra tutto in regola”. Fra le sue dita si materializzò un timbro con cui impresse dei netti marchi d’inchiostro sui quattro documenti davanti a lui. “Perfetto, controllo ultimato”. Ed aprì la bocca, con il chiaro intento di dire qualcosa. “Non costringermi a battere sul cartello per la quarta volta, ragazzo”. Il burocrate sollevò la mano sinistra e fissò con i suoi spaventosi occhi abissali l’orologio che aveva al polso. “Il vostro ingresso all’Inferno è autorizzato fra tre… due… uno… ora”.
La porta alla destra dei tre Cavalieri – quella che sembrava fatta di materia organica – si spalancò, e un enorme tentacolo d’ombra li avviluppò, trascinandoli con sé. Prima che la porta si chiudesse dietro di loro intrappolandoli in un universo di tenebra sentirono distintamente la voce dell’impiegato dire: “Passate una buona e proficua giornata!”.


Ci mancava solo la palude, ci mancava…, pensò lugubre Ed mentre sguzzava nella fanghiglia nerastra che gli arrivava alla vita. Qualcosa con le pinne e troppi occhi lo fissò pigramente per poi tornare a immergersi. Il ragazzo benedisse che l’illuminazione fosse scarsa. Doveva proprio scaricarci qui, quel cazzo di tentacolo? “Come facciamo a sapere che questa è la direzione giusta?”, domandò poi. Qualcosa ad una ventina di metri alla sua sinistra emise un verso a metà fra un muggito e un gracidio e si tuffò nell’acqua melmosa.
“C’è Mokona che ci guida”, rispose Yue, da cui come al solito non si poteva sperare di cavare più parole di quante ne fossero strettamente necessarie. Dalla testa di Gray l’animaletto esclamò: “Siamo quasi arrivati!”.
“Ma che c’è lì dentro, anche un GPS?”, esclamò sbalordito Ed. “Comunque, questo vuol dire che siamo quasi arrivati da Cancro?”.
“No”, disse Yue. Per qualche strano motivo la sua chioma argentea levitava a qualche centimetro dalla superficie della palude, come se fosse refrattaria all’acqua. “Ci sta guidando verso la terraferma. Nessuno sa dove sia finita Cancro”.
“Oh”. Beh, almeno questo…
In effetti un paio di minuti dopo i tre riuscirono ad emergere dall’orrido pantano e a riguadagnare del terreno solido sotto i piedi. “Che schifo”, si lamentò Ed, pulendosi alla buona i gambali della Cloth con un mazzo di foglie cineree raccolte lì vicino. “Ci vorranno settimane prima di riuscire a scrostare ‘sta fanghiglia”.
“Qualcuno ha idea di dove siamo, esattamente?”, domandò Gray, guardandosi intorno. Se alle spalle dei tre Cavalieri si stendeva la palude, il paesaggio davanti a loro non era molto più stimolante: una brughiera sabbiosa punteggiata ogni tanto da cespi di ortiche e sterpaglie. A qualche chilometro di distanza sorgeva qualcosa di enorme nascosto dalla bruma; qualcosa che sembrava una montagna, anche se aveva un aspetto bizzarro, come se avesse dei grossi bitorzoli.
“In una delle paludi stigee, immagino”, rispose Yue. “Di certo Cancro sarà qui da qualche parte, dobbiamo solo trovarla”.
“E chi te lo dice?”, intervenne Ed. “Non hai pensato che quel tizio inquietante alla scrivania ci abbia spedito apposta da tutt’altra parte? Voglio dire, era chiaramente un demone!”.
Il famiglio scosse la testa. “Non vedo perché. I demoni cercano di far funzionare gli Inferi nel miglior modo possibile, in fondo… Se avessero potuto, probabilmente ci avrebbero consegnato Cancro di persona. Dev’essere lei che non desidera andarsene, per il momento”.
“Bah, sarà come dici tu…”. L’alchimista era poco convinto, ma alzò gli occhi verso la colossale forma davanti a loro. “Che facciamo, andiamo in quella direzione?”.
“Che dici, palletta di pelo?”, domandò Gray. “Di lì va bene?”.
Mokona si agitò per qualche secondo. Non sembrava molto convinta, e i suoi occhietti sottilissimi erano piegati in un’espressione preoccupata. “Sì…”, mormorò. “Ma c’è qualcosa di strano, lì”.
I tre si misero in marcia. D’altronde, che altro avrebbero potuto fare? Dopo qualche minuto di cammino, però, Ed iniziò a rimpiangere la palude e i suoi rumori spaventosi; il silenzio che regnava sulla brughiera era opprimente e soffocante, premeva sulle orecchie con la forza di una pressa, ed era accompagnato da un crescente senso di aspettativa, come se da un momento all’altro il terreno dovesse spaccarsi e da esso emergere un indicibile orrore da qualche recesso dimensionale… ma nulla di tutto questo accadeva, e così i tre continuavano a camminare verso il bizzarro monte avvolto dalla nebbia, nel continuo timore che qualcosa potesse accadere. Era come guardare un film horror sapendo che non puoi metterti le mani davanti agli occhi, moltiplicato per diecimila.
“Sapete”, disse ad un certo punto Ed, arrivando molto vicino a terrorizzarsi da solo tanto gli sembrava estraneo il suono della propria voce. “Quella… quella cosa verso cui ci stiamo dirigendo… Insomma, non mi sembra proprio una montagna”.
“Già”, gli fece eco Gray. “Insomma, non è normale che la base sia più stretta rispetto al suo centro, no? Voglio dire, franerebbe”.
“Non è una montagna”, disse Yue, ieratico come sempre.
“D’accordo, signor So-Tutto-Ma-Non-Lo-Dico, allora spiegacelo tu che cos’è”, ribatté Ed.
“Ci siamo quasi”, rispose il famiglio. “Lo vedrete anche voi”.
La foschia sembrava addensarsi mentre si avvicinavano, cosicché la mastodontica costruzione non accennava ad acquistare chiarezza. Ormai dovevano essere ad un paio di centinaia di metri, eppure era come se avessero appena iniziato il loro cammino. “Non possiamo fare qualcosa, per questa dannata nebbia?”, domandò Gray, ad un certo punto. “Se volete potrei usare un incantesimo che…”.
“Non ce ne sarà bisogno”, lo interruppe Yue. “Guardate”.
Fu come se avessero attraversato un muro impalpabile spesso circa una trentina di centimetri. Improvvisamente, davanti ai loro occhi il misterioso enorme oggetto apparve in tutta la sua chiarezza.
“Ma che cazzo…”, balbettò Ed, troppo stupito per continuare.
Yue aveva ragione. Non era una montagna.
Era un water.
Un water colossale. Era un comune gabinetto in ceramica bianca, ma avrebbe potuto essere usato da duecento persone allo stesso tempo e ancora ci sarebbe stato spazio.
Quel che era peggio, aveva un occupante.
“Guarda, guarda, guarda”, ghignò il demone. Era viola, con corna da antilope e una folta barba che gli copriva il mento; l’unica cosa che indossava erano dei mezzi guanti e dei calzari gialli, e non sembrava molto di buon umore. “Dei viventi al mio cospetto. Erano… In effetti non è passato molto tempo, ma mi dà sempre un certo piacere vedere che vi agitate come formichine davanti a me. Potrei schiacciarvi anche solo sollevando un piede, sapete?”. La voce della creatura rimbombava direttamente nel cervello come una sequela di colpi di grancassa.
“Ma non lo farete”, rispose Yue, facendosi avanti. “Voi siete Belphegor, Sovrano dell’Accidia, Principe della Corruzione e Protettore delle Scoperte, dico bene? So che siete malizioso e cinico, ma non malvagio”.
Belphegor sorrise, mettendo in mostra file di zanne regolari. Ci tiene alla pulizia dentale, anche se è un demone, pensò Ed in maniera abbastanza incoerente, considerando la situazione in cui si erano cacciati. “Vedo che il tuo padrone o chi per lui ti ha istruito a dovere, familiare: non sono il tipo di demone che si diverta a fare questo genere di cose. In effetti, si può dire che siete stati fortunati ad incontrare me”, e si lasciò prendere da una risata secca e raschiante, mentre si batteva sulle ginocchia ossute le enormi mani artigliate. “Come mai avete raggiunto il mio regno?”.
“Siamo stati buttati qui da un tentacolo, a dire il vero”, intervenne Ed. “Quel tizio inquietante all’entrata ci ha detto che potevamo entrare ed eccoci qua”.
Belphegor sollevò un indice e lo infilò nella narice destra, iniziando a muoverlo con voluttà. “Da quando ha ceduto la sua nave per quella scrivania Caronte ha perso tutto il suo smalto”, si lamentò. “Prima non rifiutava mai una bella bevuta, quando non era in servizio, ma ora sempre e solo lavoro, lavoro, lavoro… Bah, gente del genere proprio non la capisco”. Il demone si chinò in avanti. “Ancora non mi avete spiegato perché siete qui, però”.
Yue decise di prendere di nuovo la parola. “Marchese della Pigrizia, siamo giunti qui perché dobbiamo trovare una nostra compagna dispersa, che fino a qualche tempo fa era una vostra dipendente. Credo si facesse chiamare ‘la fanciulla dell’Inferno’”.
Belphegor grattò la barba arruffata con lo stesso dito con cui aveva appena finito di scaccolarsi. “Oh, certo, certo. Di poche parole, ma davvero graziosa. In effetti so che è riapparsa recentemente qui negli Inferi, anche se è più grande rispetto a come me la ricordavo… Non mi abituerò mai ai modi strani in cui voi viventi cambiate nel corso del tempo”.
“E quindi”, disse Gray, rivolgendosi al demone per la prima volta. “Perché non ci dite dove si trova?”.
La creatura si agitò in un altro attacco di risa, la testa che ballonzolava di qua e di là tanto che pareva dovesse staccarsi da un momento con l’altro. “Per chi mi hai preso, per un angelo? Non sarò particolarmente malvagio, è vero, ma questo non vuol dire che sia un idiota. Se volete sapere dov’è la Fanciulla dell’Inferno dovrete dimostrare di meritarvi l’informazione”.
“Meritarcelo?”, ripeté Ed. “Spero che non sia una cosa che ha a che fare con la pulizia del vostro, ehm… trono, perché se è così vi posso assicurare che non ho nessuna intenzione di…”.
“Voglio divertirmi, è semplice”, spiegò Belphegor. “Insomma, lo vedete anche voi, qui intorno non si può dire che sia un parco giochi. Non che non abbia provato anch’io a rimodernare, come hanno fatto i miei colleghi, ma la mia corte è – giustamente – troppo pigra per ottenere risultati apprezzabili. Un bello scontro, però…”, il demone sfregò i palmi delle mani uno contro l’altro. “Quello riesce sempre a mettermi di buonumore”.
Gray lo fissò, come se stesse soppesando un pesce al mercato. “Intendete dire che dobbiamo scontrarci con voi?”.
“No, ovvio. Non ho bisogno di divertirmi tanto. Tre dei miei sottoposti saranno più che sufficienti”. Il demone levò la testa, come un coyote che si prepari ad ululare in cima ad una duna, ed emise un richiamo che suonava come l’incubo di un cantante di yodel.
Ci ha chiamati, padrone?”. Una creatura dalla pelle blu e dalla testa di elefante alta almeno due metri e mezzo si era materializzata ai piedi dell’enorme tazza del cesso. Con lui un uomo avvolto in un mantello, la carnagione grigia segnata da grandi cicatrici rosse, e un essere dalle fattezze umanoidi, il muso da leone e quattro ali d’aquila che gli spuntavano dalla schiena.
“Ecco, lo sapevo…”, borbottò Ed. Fece schioccare le ossa delle dita e del collo, poi la sua espressione abbattuta si trasformo in una smorfia decisa. “A quanto pare ci toccherà combattere, come al solito!”.



MOKONA: Sì! Combattimento, combattimento!

ED: Tu che hai da essere così esaltata?

MOKONA: Anche Mokona si diverte a vedere la gente che si pesta! Peccato non avere del saké da bere nel frattempo…

GRAY: Questo significa che sei maggiorenne?

YUE: Il decimo capitolo di “Il cielo è un’ostrica, le stelle sono perle”, si intitola “Il fiore che danza in patria, parte seconda”. E ora, nel nome della Luna, io vi punirò!

ED, GRAY, MOKONA: …CHE!?

YUE: …niente, niente.









Ed eccoci al nono capitolo! Scusate l’attesa.
Come avrete notato, è diviso in due parti e si concentrerà su personaggi che non sono i protagonisti. I Saint comunque avranno un ruolo abbastanza importante nella vicenda, quindi ho voluto dedicare un po’ di spazio ad alcuni di loro.
Questo è il mio ultimo capitolo prima delle vacanze, comunque! Domani parto per il Giappone, dove starò fino al 3 Settembre; ci vado per un corso di lingua, eh, non solo per svago.XD Comunque avrò con me il pc, quindi in realtà cambierà ben poco (per fortuna… Non riuscirei a stare senza Internet per più di un mese!).

Stavolta non ho grandi cose da dire, quindi passo direttamente alle risposte alle recensioni.

Per Morens: Sì, in effetti Zaraki non ci va mai leggero! Se non altro, essendo Stein un dottore proveniente da uno shonen, cura i suoi pazienti alla velocità standard di guarigione dei manga, quindi velocissima.XD

Per Anonimo: Piton in versione coniglio è puccioso, nevvero?XD Questo però è meglio non dirglielo, sennò un Crucio non ce lo leva nessuno (si china appena in tempo e la maledizione gli passa sopra la testa, bruciacchiandogli i capelli)!

Come sempre ringrazio anche chi ha messo la sua storia nelle preferite/seguite/ricordate e chi mi legge senza lasciare commenti.^^
E anche per stavolta è tutto. Appuntamento al decimo capitolo!
Davide

  
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