Crossover
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Autore: Darik    19/08/2010    1 recensioni
Un omicidio chiaro. Tutto indica chi è il colpevole. Ma quel colpevole è una delle persone più care al mondo per Negi. Chi può aiutarlo nel tentativo di scagionarla? Forse un misterioso e abilissimo detective.
Genere: Generale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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3° CAPITOLO

La persona che si era presentata come L con calma avanzò verso Negi, che intimorito si scansò.

Ma L si limitò a saltare agilmente sulla poltrona per sedersi, restandoci poi con i piedi sopra.

Prese da uno dei vassoi alcuni confetti, cominciando uno dopo l’altro a mangiarli.

Il tutto ignorando Negi.

Il quale decise di azzardare un tentativo di dialogo. “Ehm, ecco, buongiorno. E’ lei il detective?”

“Sì” rispose semplicemente l’altro.

“Io sono quello che le ha scritto ieri sera. A proposito dell’omicidio di Takahata Takamichi”.

“Lo so. Ho studiato il caso. Non c’è molto da dire. E’ colpevole”.

“Che cosa!?”

L parlava tenendo sempre lo sguardo rivolto verso i monitor. “Sono sbucati due testimoni che l’hanno vista commettere l’omicidio e poi scappare via dal luogo del delitto. Quindi è colpevole”.

Negi si sentì fremere di rabbia. “Come… come osa dire una cosa del genere?! Cosa ne sa lei di Asuna Kagurazaka?”

“Il mondo è pieno di ragazzine stupide. Forse era un’amante arrabbiata perché stava per essere mollata”.

“Non è vero! Asuna non è niente del genere!”

“O magari era andata lì per fare un servizietto e poi non è stata pagata a dovere”.

Negi inizialmente non sembrò capire il riferimento, poi sbiancò e pieno di rabbia sferrò un pugno contro quello sconosciuto, usando il braccio con l’orologio.

L lo bloccò senza problemi afferrandolo al volo per il polso.

E solo allora guardò Negi negli occhi.

“Mi dispiace, ma questo non sembra essere un caso per me interessante”.

Fremendo per la rabbia e la disperazione, Negi scappò via.

L riprese a mangiare dolci versandosi una tazza di the.


Asuna era in una stanza del carcere adibita ai colloqui privati con i detenuti, intenta a parlare col suo avvocato, Teru Obata.

Erano anche in attesa dei risultati degli esami tossicologici che la ragazza, su consiglio dell’avvocato, aveva svolto subito, la sera precedente.

Questo perché lei affermava di essere stata drogata da Takamichi.

“Si mette male per me, vero?” esordì Asuna.

“Temo di sì, signorina. Purtroppo sono sbucate fuori queste due testimonianze che sembrano davvero incastrarla” rispose Obata.

“Ma con esattezza, cosa hanno visto questi due?”

Obata tirò fuori dalla sua borsa alcuni fogli, si sistemò meglio gli occhiali sul naso e si schiarì la voce: “I due testimoni si sono presentati insieme al commissariato. La prima testimonianza è di Chisame Hasegawa. La ragazza abita nel palazzo affianco a quello dove è avvenuto l’omicidio”.

****

“Uff, che pizza, non c’è mai niente di buono in tv. Tranne che la sottoscritta” sbottò Chisame chiudendo la televisione e sdraiandosi su una poltrona per leggere un po’.

Il tutto in attesa che arrivasse la mezzanotte, così lei avrebbe potuto andare a letto rispettando la tabella di marcia fissata insieme al suo dietologo.

Improvvisamente udì delle grida provenire dal palazzo affianco al suo e più precisamente, dall’appartamento che stava di fronte al suo.

I due palazzi distavano una quarantina di metri, e anche a causa dei vetri fissi della parete del soggiorno, non riusciva a comprendere le parole. Comunque capì che si trattava di un uomo e di una donna.

E che erano impegnati in una discussione molto accesa.

Forse pure troppo accesa.

Chisame scrollò le spalle e riprese a leggere.

Quando una delle due persone che aveva sentito litigare, improvvisamente urlò.

Non era una parola gridata, ma un urlo strozzato.

A quel punto Chisame si preoccupò e si mise a scrutare l’appartamento di fronte attraverso il vetro.

Si vedeva chiaramente il soggiorno, illuminato ma deserto.

Poi sulla scena arrivarono due persone, un uomo e una ragazza con i capelli rossicci e vestita di bianco.

Lui teneva per i polsi lei, e sembravano impegnati in una lotta.

D’un tratto, con uno strattone la ragazza in bianco si liberò e colpì più volte l’uomo al petto, con un coltello.

Infine entrambi caddero a terra, e rotolando scomparvero dalla sua visuale.

Sconvolta, Chisame afferrò il telefono portatile.

****

“Ed è stata proprio lei a chiamare la polizia. Quando poi gli agenti l’hanno interrogata, l’ha identificata come la persona da lei vista nel momento del delitto” concluse Obata.

“Che follia” commentò Asuna portandosi una mano sul viso “Non c’è stata alcuna lotta. Quel bastardo mi aveva drogata. Ne sono sicura. Magari quando mi ha portato da bere. Di quando mi ha condotto nel suo appartamento, ricordo solo immagini, come in un sogno. Ma quando mi ha messo sulla poltrona, ho cominciato a riprendermi. E non appena l’ho visto avvicinarsi a me slacciandosi i pantaloni, ho capito. Mi sono alzata, mi sentivo le gambe deboli, lui ha cercato di afferrarmi. Mi sono concentrata, l’ho spinto indietro, e quando lui è tornato alla carica, chiamandomi ‘lurida puttana’ gli ho rifilato un calcio in bocca. L’ho imparato guardando i film di arti marziali. Lui è caduto a terra ed io mi sono diretta alla porta. E poi… poi…”

“Poi cosa?”

Asuna si mise le mani sulla testa. “Non… non lo ricordo. La mia memoria si blocca nel momento in cui metto la mano sulla maniglia. Poi… il buio”.

“Non ricorda cosa ha fatto?”

La ragazza scosse la testa.

“A questo punto, sembra doversi inserire la seconda testimonianza, quella del signor Ken Masters, rilasciata subito dopo quella di Hasegawa”.

****

Ken Masters aveva appena finito di fare sollevamento pesi.

Dato il suo lavoro, non aveva perso tempo a trasformare il suo nuovo appartamento in una sorta di mini-palestra perfettamente accessoriata.

Come ultimo tocco, aveva finito di ascoltare per la decima volta la canzone ‘Eye of tiger’.

Anche gli atleti hanno le loro credenze, e Masters credeva che, dopo l’allenamento, bisognasse sempre attendere la fine della canzone e non spegnere lo stereo non appena finiti gli esercizi.

Un gesto scaramantico.

Poi, una bella doccia e infine a nanna.

Gli atleti come lui dovevano rispettare programmi quotidiani precisi.

I corpi allenati, infatti, si acquistano con grande sforzo, ma basta un niente per perderli.

L’uomo quindi finì di ascoltare la canzone, e si preparò per la doccia.

Fu allora che udì qualcuno litigare, nell’appartamento sopra il suo.

A quanto pare erano un uomo e una donna, impegnati in una discussione molto accesa.

“Mah, Takahata sta litigando con la sua ultima fiamma?”

Riuscì a capire alcune parole e frasi brevi, del tipo: “Non puoi non pagarmi”, “Sei solo una puttana”, “Sparisci” o “Fottiti”.

Poi udì un urlo, dopo alcuni tonfi, come di corpi che cadono a terra.

A quel punto si preoccupò abbastanza.

Decise di andare a vedere cosa fosse successo, indossò un capotto e andò alla porta.

Proprio allora sentì qualcuno correre nel corridoio.

Aprì la porta e intravide una ragazza vestita di bianco e con capelli rossicci, correre via infilandosi per le scale.

La inseguì, ma raggiunto il piano sottostante, la figura era scomparsa.

****

“A quel punto ha deciso di chiamare la polizia. Ed è stato immediatamente informato che alcune pattuglie si stavano già dirigendo lì”.

“Io non ricordo quella corsa. Gliel’ho già detto: dopo che ho toccato la maniglia, tutto diventa buio per me. Mi sono risvegliata in quello sgabuzzino e concentrandomi ho chiamato la mia amica, Konoka Konoe” spiegò Asuna.

“Però, se lei era davvero sotto l’effetto di qualche droga, non può escludere a priori di aver davvero fatto quella corsa” replicò Obata.

“Be, penso di no… cioè… oh, al diavolo! Non ho nessun ricordo!”

Bussarono alla porta dell’ufficio, entrò un uomo che porse un fascicolo a Obata.

L’avvocato lo lesse, accigliandosi leggermente man mano che leggeva.

“Buone nuove?” domandò Asuna.

“No, non credo proprio” dichiarò con rammarico Obata “Questi sono i risultati degli esami tossicologici. Non hanno trovato delle tracce di sostanze chimiche. Unito al fatto che la polizia non ha trovato tracce di sostanze stupefacenti o simili nell’appartamento di Takamichi, le cose si mettono davvero male per noi”.

Asuna s’irrigidì. “Cosa sta dicendo? C’è la testimonianza di Konoka…”

“A cui credo. E anche un giudice e una giuria potrebbero crederle. Il guaio però è che essere in buona fede, non assicura la veridicità di ciò che si è visto”.

“Cioè, vuole dire che potrebbero accusarmi di aver fatto la commedia davanti a Konoka?!”

Serio, Obata annuì. “Purtroppo non ci sono vere prove che lei sia stata drogata. C’è solo la sua parola. Una cosa del genere, unita alle due testimonianze, rischia di farla apparire solo come carnefice. Potrebbero accusarla di aver ucciso Takamichi in preda alla collera, perché era la sua amante e lui voleva scaricarla. O peggio ancora…”

“Non lo dica!” urlò Asuna. “Io non sono una puttana!”

“E le credo!” rispose prontamente Obata. “Solo che l’accusa ha gli elementi necessari per farla condannare per omicidio, magari pure premeditato”.

Asuna si alzò e diede le spalle a Obata, stringendosi tra le braccia e chinando il capo.

L’uomo le andò vicino. “Si faccia coraggio. Studierò una strategia di difesa, io credo che lei sia innocente. E farà di tutto per farla scagionare. Intanto sono riuscito ad ottenere di anticipare al prima possibile l’udienza per fissare la cauzione, sperando grazie alla giovane età e alla fedina penale immacolata in una cifra ragionevole”.

“La ringrazio di cuore”.


Negi tornato a casa, era steso sul suo letto e piangeva.

L’incontro con quel misterioso L aveva fatto nascere qualche speranza.

Durata solo qualche secondo.

“Maledetto! Come si è permesso di dire quelle cose su Asuna?! Bastardo! Bastardo!”

Il ragazzo si sentì spiato e si voltò verso la porta, senza vedere nessuno.

Forse era sua madre.

Ma che gli importava ormai?

Tanto era sempre come se non ci fosse.

Solo Asuna c’era sempre stata per lui.

E ora che era nei guai, lui non sapeva come aiutarla.

Cosa poteva fare?

Farla evadere?

Sì, come no, un ragazzino di tredici anni che s’improvvisa maestro delle evasioni.

Non poteva neppure andare a trovarla da solo, perché al penitenziario difficilmente avrebbero fatto entrare un bambino neanche accompagnato.

Insomma, era inutile.

Poteva solo aspettare e pregare perché tutto si risolvesse per il meglio.


Il giorno dopo, Negi andò a scuola con l’espressione distrutta.

Aveva dormito poco, avendo passato molto tempo a piangere, e ora barcollava.

“Ehi Negi!” lo salutò da lontano Kotaro, per poi andargli subito incontro.

“Cavolo! Ma che hai fatto? Sembra che non dormi da una settimana”.

“Solo una nottata” precisò l’altro.

“Dimmi, com’è andata all’appuntamento?”

Negi strinse a pugno le mani. “Una stronzata! Tutto falso!” sbraitò.

“Eh? Sei sicuro?”

“Sì! E per favore, non parlarmene più!”

Kotaro alzò le mani. “Ok, ok”.

I due entrarono e cominciarono le lezioni.

Che a Negi non interessavano.

Si limitava a guardare fuori dalla finestra, verso il liceo.

Come faceva prima dell’inizio di quella dannata faccenda.

“Negi Springfield!” lo chiamò qualcuno.

Negi non se ne curò, non gliene importava nulla se l’insegnante lo riprendeva.

“Negi, c’è un pacco per te” lo avvertì Kotaro.

Davanti alla porta della classe era apparso un corriere, con indosso una tuta e un berretto rossi.

In mano aveva un pacco abbastanza grosso.

“Scusi” intervenne l’insegnante “Ma io sto facendo lezione”.

“Mi dispiace, signora. Ho ricevuto istruzioni di consegnare questo pacco a Negi Springfield qui e a quest’ora” spiegò il corriere.

La cosa destò la curiosità di Negi.

Con lieve irritazione, la donna acconsentì e li fece andare nella sala professori, in quel momento vuota, cosi la consegna del misterioso pacco non avrebbe disturbato le lezioni.

Rimasti soli, Negi cominciò a scartare il pacco.

“Non dovrei firmare una ricevuta?”

“Non deve. Semmai sono io che devo fare qualcosa per lei, signorino”.

“Eh?”

“Accetto il suo caso”.

Negi si bloccò: non solo per le parole, ma perché la voce del corriere era cambiata.

Alzò lentamente lo sguardo e scrutò l’uomo.

Il quale si tolse il berretto, cui era attaccata una parrucca di capelli castani.

Sotto quest’ultima, dei folti capelli neri.

Il falso corriere con la punta del dito si tracciò una linea a scendere, dall’occhio destro fino alla bocca: aveva la faccia truccata.

Sotto l’occhio s’intravedeva un forte coloro scuro, mentre il resto della pelle smascherata era molto pallido.

Infine l’uomo si toccò la base della colonna vertebrale, e come se fosse scattato un meccanismo, la sua posizione passò da perfettamente dritta a leggermente curvata in avanti.

Davanti a quest’ultima azione, venne a Negi la tentazione di ridere, ma lo stupore lo trattenne.

“L?!”

“Esattamente. Accetto il tuo caso. Mi dispiace delle parole di ieri, ma dovevo saggiare le tue intenzioni. E questa Asuna Kagurazaka merita una chance, poiché per lei hai pianto tutta la notte”.

“Eh? Come fa a saperlo?”

L prese un polso di Negi, lo sollevò e gli indicò un punto dell’orologio, affianco ad una delle piccole viti del cinturino.

Aguzzando la vista, Negi si accorse di un cerchietto sottile e grande quanto la punta di una matita.

“E’ un piccolo microfono” spiegò.

Negi rimase sbalordito: davvero facevano microfoni cosi piccoli?

“Ehi, un momento, vuole dire che ha spiato le mie parole a casa mia?!”

“Una cosa sbagliata ma nel mio mestiere necessaria. Dovevo sapere le tue intenzioni. Se studi una cosa la cambi. Quindi bisogna studiarla quando si esprime spontaneamente. Allora, accetti il mio aiuto?”

Negi si chiese se valeva la pena fidarsi di questo L.

Certo era un tipo quantomeno strano.

Ma anche intraprendente, forse pure troppo.

E comunque aveva delle capacità.

Pensò infine ad Asuna e il resto gli venne facile.

“Ci sto!”

“Bene, allora finisci di aprire il pacco”.

Negi obbedì: dentro il pacco c’erano due bastoncini, sui quali erano state infilate due fila di mele caramellate a mo di spiedini.

L prese uno dei bastoncini e cominciò a mangiare con calma.

Negi fece altrettanto.

E trovò tutto davvero buono.

 

  
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