Il neurone viaggia da solo. L’unico modo per
tenerlo a freno è quello di mettergli un limite in termini di parole. Questa flash-fic ne contiene solo mille.
Una volta arrivata alla fine è stato
difficile fermarmi, non lo nego.
Mi auguro che questo nuovo delirio piaccia a
voi così come piace a me.
Buona lettura.
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Miracolo
Edward
“Edward, la
colazione è pronta!”
Sono sveglio da mezzora,
ma il mio corpo non vuole saperne di alzarsi. Fa freddo, le nuvole coprono gran
parte del cielo, e non ho voglia di andare a scuola.
Un’altra fantastica
giornata al liceo di Forks, evviva.
“Edward, muoviti!”
ripete mia madre.
Un ‘toc toc’ leggero sulla porta, che si apre prima che io
possa impedirlo.
“Ehi, che ti prende
stamattina?” Jasper, mio fratello, è già pronto per andare a scuola. “Hai
intenzione di rimanere a casa?”
“L’idea è quella.”
“Andiamo,” dice avvicinandosi al letto. “Non hai quel progetto da
consegnare? Sbrigati o faremo tardi.”
“Edward! Tesoro, scendi!”
“Va bene, va bene! Arrivo!” Sollevo il piumone e mi metto a sedere. “Potrei
avere un po’ di privacy?”
“Come vuoi,” risponde Jasper. “Nervosetti, eh?” Evito di ribattere e
lo accompagno fuori.
Se potessi,
eviterei di mettere piede in quella scuola.
Ogni giorno diventa
sempre più difficile: entrare in classe, sedermi accanto a lei, sopportare che
non mi degni di uno sguardo.
Sono uno stupido.
Uno stupido ciccione con i capelli rossi.
Guardo il mio corpo
attraverso allo specchio ed abbasso gli occhi. Sono disgustoso.
Lo so io, lo sanno
gli altri. Lo sa anche Bella.
Bella è la ragazza
di cui sono innamorato. Non ho mai avuto il coraggio di dichiararmi, né di
parlarle per più di cinque minuti, sempre e solo nell’aula di biologia.
Lei è bellissima. Gentile,
simpatica, intelligente.
Proprio per questo
non vorrebbe mai avere nulla a che fare con un ciccione disadattato come me.
A mensa siede sempre
con un ragazzo dell’ultimo anno, Riley, ma non li ho mai visti in atteggiamenti
intimi. Se io fossi Riley le chiederei di uscire. Andremmo a Port Angeles, mangeremmo
un gelato. Proverei a farla sorridere e poi la inviterei a cena.
E le direi che da
quando è arrivata a Forks non ho occhi che per lei.
Ho anche provato a
perdere peso per essere più carino, ma solo un miracolo potrebbe rendermi magro
e attraente.
Quando arriviamo a
scuola lei è già lì, appoggiata al suo pick up rosso in compagnia di Angela
Weber.
“Eccola.”
“Lasciami perdere,” rispondo a Jasper. Non ho voglia di ascoltare i suoi
consigli su come far colpo. Lui non è obeso, non ha mai avuto problemi con le
ragazze. Per lui è tutto facile.
Per me è complicato
anche passare fra due auto parcheggiate.
Mi odio. Mi odio.
Il professor Connor
è soddisfatto del mio progetto. Guadagno una A ed un
sorriso da parte di Emmett. Con certe persone riesco ad essere abbastanza
socievole. Ho impiegato diverso tempo per inserirmi a scuola, e per alcuni di
loro sarò sempre il ciccione con i capelli rossi, ma con un paio di ragazzi ho
un buon rapporto. Emmett e Ben, ad esempio.
Per loro il mio
aspetto fisico non conta, e in loro compagnia riesco quasi ad essere me stesso.
Con gli altri è più
difficile perché, quando mi guardano, la prima cosa che vedono è il grasso. Poco
importa che la mia famiglia sia benvista, poco importa che io non faccia male a
nessuno.
Il mio peso mi
imprigiona, impedendomi di essere chi vorrei. E’ una zavorra eterna. E’ un
limite che non supererò mai. E’ ciò che mi separa da Bella.
Abbiamo molte cose
in comune, io e lei. Potremmo essere amici. Bella non mi prenderebbe mai in
giro a causa del mio peso, ma non voglio rischiare che diventi mia amica per
pietà, come hanno fatto tanti in passato. Non potrei sopportarlo.
Darei tutto pur di
passare qualche ora con lei, pur di dimostrarle chi sono davvero.
Faccio la fila per
conto di Jasper, impegnato a parlare con una ragazza dai capelli neri. Non ho
ancora avuto modo di adocchiare Bella, ma so che è qui. Quando siamo vicini
posso sentirlo. Il suo profumo è ovunque.
Riempio il vassoio
e cammino verso il tavolo, facendo attenzione a non farlo cadere. Non sono
particolarmente aggraziato.
“Edward.” Rischio
di inciamparle addosso quando si avvicina e mi rivolge la parola.
“Ciao,” rispondo abbassando gli occhi sul vassoio. “Ciao, Bella.”
“Io… umh… posso
farti una domanda?”
Alzo la testa e
vedo i suoi occhi marroni. Brillano. Le guance sono color porpora. “Sì.”
“Ecco… io…
vorresti… ti andrebbe di…” Solitamente non ha difficoltà a parlare. Non è
insicura come me. “Ti andrebbe di sederti con me oggi? Al mio tavolo?”
“Come, scusa?”
Devo aver detto
qualcosa di sbagliato, perché il suo sorriso scompare. “Io... beh… niente, non
importa… non…”
Prova a girarsi per
andare via, ma riesco a fermarla facendo due passi e mettendomi dinanzi a lei.
Sento di non voler
perdere questa occasione.
“Sì,” rispondo meravigliandomi della mia audacia. “Voglio
sedere al tuo tavolo.”
“Davvero?” chiede.
“Davvero.”
“Grazie, Edward” mi
dice arrossendo. “Aspettavo questo momento da quando sono arrivata a Forks.”
“Non credevo che
avresti mai accettato.”
Deglutisco a
fatica. “Perché non avrei dovuto?”
“Perché non mi hai
mai rivolto la parola all’infuori dell’aula di biologia.”
Non so cosa dire. Non
so come spiegarle che dal primo giorno in cui l’ho vista non faccio che
sognarla.
“Non so se è perché
sono nuova o se forse non sono… non sono il tuo… il tuo… tipo.”
“No,” dico con il cuore in gola. “Non è… non è così.”
“Ogni giorno… ogni
giorno spero sempre che… che tu…”
“Che io?”
“Che tu ti accorga
di me. Mi siedo qui sperando che tu mi chieda di farti compagnia, ma non lo fai
mai, non mi vedi mai… e poi Riley viene a darmi noia e…”
“Io ti vedo,” le dico. “Ogni giorno, da quando sei arrivata. Ti vedo
qui, in classe, nel parcheggio. Ti vedo sempre,
Bella. Sempre.”
“Davvero?”
“Davvero.”
“Ma allora perché
non hai mai…”
Abbasso gli occhi.
La mia pancia tocca il bordo del tavolo.
Sono un ciccione
pieno di insicurezze, e non so come dirglielo.
“Edward… vorresti
essere… mio amico?”
“Come?”
“Ti va di essere
mio amico?”
Forse i miracoli
esistono. Forse questo è il mio miracolo.
“Sì,
Bella. Sì.”
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