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Autore: Meiko    05/12/2003    4 recensioni
L'ispirazione mi è venuta ascoltando "At the beginning", un pezzo molto bello, che è stato usato per il cartone di "Anastasia". Quando l'oscurità è attorno a te, hai solo due possibilità: conviverci, o impazzire. Lei ha scelto la prima, e da quel momento la sua vita ha preso quella piega. Poi...qualcosa risvegliò in lei la curiosità perduta. Un viso che non sarebbe mai riuscita a vedere...
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’appartamento del padre di Taro e del ragazzo non era troppo grande, ma consentiva movimento.
Un bagno, due camere da letto, il salottino collegato alla cucina.
In quel momento, Taro stava lavorando ai fornelli, mentre Lucille si era messa comoda sul divano del piccolo salotto, anche se era poco largo era molto confortevole, dava una sensazione di familiarità che, in qualche modo, lei sentiva di avvertire, mentre sentiva Taro al lavoro in cucina.
Da quando gli aveva rivelato che François (così si chiamava il figlio di Lucille) era nato da uno stupro, Taro aveva fatto di tutto per evitar e l’argomento, e la ragazza lo ringraziava mentalmente di questo.
In fondo, però, Lucille sentiva che prima o poi con qualcuno si sarebbe dovuta sfogare, quell’orribile sensazione di sporco che tratteneva dentro di se ogni tanto le dava dei problemi con i bambino.
Era così bello quel piccolo, che lei temeva di sfigurarlo anche solo toccandolo ,temeva che la sua sporcizia si sarebbe passata a lui.
E lei non voleva questo, lei voleva abbracciare e stringere a se quel bambino così bello e dolce.
-E dimmi…quanti mesi ha François?-
Lucille sorrise affettuosamente, mentre Taro cerava di attaccare discorso, quel silenzio non gli piaceva nemmeno un po’…
-Ha quattro mesi-
-E’ davvero un bellissimo bambino, sembra molto dolce-
-E lo è! E’ tranquillo, non piange molto, però a volte è un pigrone-
Lucille rise al pensiero di quel bambino, e Taro si lasciò scappare un sorriso dolce, vederla sempre con quell’aria serena lo faceva stare bene.
Era un po’…come vedere Yuko…
No, Yuko era molto diversa da Lucille.
Lei era…diversa…

-Yuko come sta? Da quando è tornata in Giappone, le ho fatto solo una telefonata!-
-Oh, sta bene, pensa che a adesso è ad Amburgo-
-Amburgo? E che ci fa li?-
-Abita insieme a Genzo Wakabayashi, non so se lo conosci…-
-Il grande SGGK? Stai scherzando?-
-No, sono serissimo-
Lucille spalancò la bocca, sbalordita: Yuko con il SGGK?
Beh…doveva riconoscere che Yuko era una bella ragazza, aveva fatto gola a tutti…
Anche a Taro…
No! Quella era storia passata!
Adesso doveva pensare al presente…
Si alzò dal divano, avvicinandosi a Taro, che lavorava ai fornelli, dandogli una mano a preparare la tavola per loro due.
-E dimmi…tu?-
-Io cosa?-
-Tu come l’hai presa?-
Taro si bloccò qualche secondo, giusto per riordinare i ricordi e mantenere il controllo, poi sorrise triste, riprendendo a scrivere.
-Come vedi, adesso sto cucinando con una bella ragazza francese-
Lucille si voltò a guardarlo, tenendo fra le mani il piatto, fissando la schiena e il profilo del ragazzo, che manteneva sempre quel sorriso tranquillo.

-Scusa se lo dico, Taro, ma secondo me…Yuko ha fatto bene a scegliere di seguire Wakabayashi…-
Taro si bloccò, voltandosi verso Lucille, che appoggiò tranquillamente il piatto sulla tavola, pensando alle posate e ai bicchieri, continuando a parlare, non le interessava se Taro l’ascoltava o meno.
-A volte…quando vi guardavo…mi sembrava di vedere…mi sembrava di vedere un ragazzo che aiutava un andicappata anche solo per alzarsi da una sedia-
Taro fece cadere il mestolo su lavandino, voltandosi verso la figura di schiena di Lucille, che si era fermata, per poi riprendere a mettere a posto la tavola, sistemando le pieghe della tovaglia.
-Io…io so che tu volevi molto bene a Yuko…che l’amavi…
Ma…ma non hai mai pensato…
Che questo tuo amore…fosse un po’ troppo soffocante?-
Lucille si era voltata verso Taro, che la guardava con sorpresa.
Non rabbia, ma stupore, ansia…vergogna…
La ragazza si trovò improvvisamente in imbarazzo, e si mise un ciuffo biondo dietro l’orecchio.
Ora che aveva cominciato, doveva finire quel discorso, altrimenti non sarebbe mai stata più capace di prenderlo in mano un’altra volta.
-Intendo dire…che a mio parere…il tuo atteggiamento verso Yuko era…come dire…soffocante…
So che le volevi molto bene, e non lo voglio negare…
Ma forse…-
-Forse ho esagerato?-
Lucille guardò preoccupata Taro, che si limitò a sorridere, tornando alle pentole, sistemando le ultime cose, versando le pietanze su dei vassoi, pulendosi alla fine le mani.
-Hai ragione.
Si, devo ammettere che a volte con Yuko ero decisamente soffocante.
Mi preoccupavo sempre per lei, e certe volte la mia ansia doveva averla stancata.
Io…io ho capito tutto questo…quando ha scelto Genzo a me…
Lui…lui le aveva sempre dimostrato il suo amore, la sua cieca fiducia, la sua gentilezza…
Non…non le ha mai fatto notare che era…era…-
-Un’invalida?-
Lucille si era avvicinata a Taro, che non riusciva a trattenere le lacrime, mentre restava appoggiato sul tavolo della cucina.
-Io…io l’ho fatta sempre sentire invalida.
Ma lei non lo era, non lo è mai stata!
Sono…sono stato un’ipocrita, come tutte le persone che hanno avuto a che fare con lei…-
Taro si coprì il viso con una mano, per poi spalancare gli occhi, avvertendo le braccia di Lucille avvolgergli la vita, la testa della ragazza appoggiata alla schiena del ragazzo.
-No Taro.
Tu non sei stato ipocrita come tutte le altre persone.
Perché, al contrario di queste, non hai mi nascosto i tuoi sentimenti a Yuko.
Per lei tu eri importante.
Eri…il suo angelo custode…
L’hai sempre protetta.
…lei ti ha voluto molto bene…-
Taro scosse il capo, sorridendo mestamente, per poi girarsi, e stringersi a Lucille, sussurrando con voce rotta.
-Scusami-
-Non dire sciocchezze. Sfogati-
il ragazzo annuì, mentre Lucille gli accarezzava dolcemente la testa bruna, assaporando di nuovo quel contatto che tra di loro era venuto a mancare.
Si…ne stava approfittando, che vergogna…
Ma non poteva farci niente…lei amava ancora Taro…
E l’avrebbe sempre amato.
Si lasciò scappare una lacrima, per poi asciugarsela velocemente, mentre Taro si liberava dalla sua stretta, tornando a sorridere come al suo solito.
-Grazie, ora sto meglio. Vieni, andiamo a mangiare, prima che si raffreddi-
la ragazza annuì, mettendosi a tavola con il ragazzo, facendogli i complimenti per l’ottima cucina.
Trascorsero la serata tra momenti di chiacchiericcio a momenti di silenzio, un silenzio che alcune volte era anche piuttosto imbarazzante.
Ma stavano così bene…sorseggiando del buon vino rosso…parlando di ricordi, di progetti, di passato e futuro, che venivano mescolati come gli ingredienti per la ricetta della vita.
Alla fine, però, Lucille sospirò tristemente, fissando con aria stanca il liquido rosso nel suo calice, sotto lo sguardo attento e preoccupato di Taro.
-Sai…dopo lo stupro, pensavo che non sarei mai più riuscita a vivere una vita così. Una vita...normale…-
il ragazzo la guardò attento, memorizzando la linea delicata del viso, gli occhi brillanti ametista, i lunghi e soffici capelli sciolti che cadevano con delicatezza lungo le spalle e la schiena.
Si passò nervosamente una mano sopra la testa.
-Posso chiederti…com’è avvenuto?-
lei sorrise divertita, bevendo qualche goccia dal calice.
-Lo hai gia fatto…-
prese il bicchiere tra le mani, ammirando il vino rosso scuro alla luce della lampada sopra la sua testa, mentre cercava di mettere in ordine i vari ricordi confusi di quella serata…
-E’ accaduto…un anno fa…un mese prima di incontrare la compagnia…
Io…ero ancora un po’ giù per la nostra separazione…oltre che per aver fallito ad un esame per entrare alla Scala…-
sbuffò, passandosi una mano tra i capelli.
-Ero davvero giù di corda…ed entrai in un locale a bere qualcosa di forte…senza accorgermene, cominciai ad essere infastidita da tre ragazzi, che mi facevano un sacco di proposte…
Così…decisi di andarmene…
Ho fatto la più grossa sciocchezza della mia vita…-
Lucille sembrava raccontare qualcosa di non suo, il suo atteggiamento era sicuro e tranquillo, non sembrava affatto una ragazza che aveva subito una violenza.
-Quando uscii dal locale, li rividi che m aspettavano…decisi di allontanarmi da loro…ma mi afferrarono con la forza per le braccia, trascinandomi in un vicolo…
Erano tutti e tre ubriachi…
Due mi tenevano per le braccia, e tenevano larghe le gambe, mentre il terzo…-
Taro trattenne un conato di vomito, mentre l’ira per qualche secondo lo accecava, mentre Lucille continuava a parlare, il suo tono si era fatto più sofferente.
-Facevano a cambio tra loro…poi mi abbandonarono in quel vicolo…
Quando i genitori di mio padre seppero questo, tagliarono con me ogni collegamento.
Conosci mio padre e la sua famiglia.
Tutti con la puzza sotto il naso, troppo impegnati a tenere alto l’onore della famiglia.
E chi voleva aiutare una puttanella?-
Non c’era ira o rabbia, solo un senso di sofferenza.
Taro si alzò, avvicinandosi con la sedia a Lucille, che continuò a parlare, un sorriso felice, ma molto debole sulle labbra.
-Solo la mia nonna materna e mia cugina mi aiutarono. Poi ci fu la compagnia…e la nascita di François…
E’ un bimbo bellissimo…ma ogni volta che lo vedo…mi sento così sporca…
Ho paura…persino...a toccarlo…
Non sono la madre adatta a lui-
-Non dire sciocchezze!-
Lucille guardò Taro, le lacrime cominciarono a scivolare giù dalle guance.
-François è fortunato ad avere te come madre.
Io ho avuto l’onore di conoscere il carattere forte di Lucille.
E Lucille è coraggiosa, testarda, protettiva, affettuosa.
Insomma, è la madre perfetta…
Io…mi sento orgogliosa di averla conosciuta-
Lucille sorrise, asciugandosi le lacrime, stringendosi poi a Taro, che dopo un attimo d’incertezza la strinse forte a se.
No…
In fondo…nulla era stato perduto…
Una piccola scintilla che era a fatica vissuta, ora stava lentamente diventando una fiammella.
Si erano sostenuti, si erano rincontrati.
Si erano parlati, aiutati.
Come amici, in cerca di affetto.
Lucille si allontanò di scatto da Taro, stupendo il ragazzo.
-Taro…io…-
il ragazzo la zittì con un dito sulle labbra, per poi sfiorare quelle stesse labbra con le sue.
Erano dolci, sapevano di vino.
Lentamente, il contatto prese fuoco, fermato però dagl’occhi viola spaventati e tristi di Lucille.
-Taro…non voglio…che sia solo una storiella così..
Io ti amo veramente..-
Taro la guardò.
Cosa voleva?
Voleva solo una storia?
Voleva solo farla solo sua per una notte e poi via?
Non lo sapeva…
Seppe solo che la baciò con ancora più passione, stringendola a se, portandosela in camera da letto.
E fondendo il suo spirito con quello di Lucille.
Quando poi, la mattina dopo, si svegliò, trovò solo un biglietto scritto velocemente dalla ragazza.

“Sappi che non importa chi incontrerò, chi sposerò, con chi vivrò. La mia mente, il mio corpo, il mio cuore apparterranno ad un'unica persona...
Ti amo, e ti amerò per sempre.
Solamente tua.
Lucille”

*

(Cambio scena! Consigliò di ascoltare come sottofondo “Se tu non torni” di Miguel Bosè)

Aprì lentamente gli occhi gli occhi, cercando di afferrare brandelli di ricordi. Dov’era? Cos’era successo?
…ricordava solo…la pioggia…Maki…aveva lasciato Kojiro…era corsa sotto la pioggia…si era nascosta in un vicolo…
Poi…poi aveva visto Kojiro che la guardava…ed aveva avvertito delle braccia sollevarla da terra. E adesso?
Neko alzò lievemente la testa da morbido cuscino, alzando lo sguardo dal corpo seminascosto dall’oscurità al viso addormentato di Kojiro, che la teneva stretta a se in un caldo abbraccio.
Per un attimo a Neko sembrò mancargli il fiato, mentre osservava emozionata quel viso a lei così vicino, tinto però…di sofferenza.
Le braccia di Kojiro la stringevano quasi con prepotenza, lei appariva ancora più piccola e minuta di quanto non lo fosse gia.
Era silenzio intorno a loro, e Neko ascoltò stanca lo scrosciare della pioggia, il temporale non aveva smesso, ma si era leggermente calmato.
Neko fissò ancora il volto addormentato di Kojiro, per poi accucciarsi ancora un po’ in quel calore così piacevole.
Aveva indosso uno di maglioni del ragazzo, infatti per lei era molto grande, le copriva tutto il corpo, raggiungendo metà coscia.
La ragazza, lentamente, si avvicinò al petto nudo del ragazzo, assaporando quella pelle calda dall’odore virile.
Poi, lentamente, nella mente della ragazza arrivò un piccolo messaggio di consapevolezza.
Maki…
Lentamente, Neko si staccò da quelle braccia, uscendo a malavoglia dal letto, spostandosi verso il salotto, dove le finestre semicoperte dalla tenda rivelavano nello sfondo grigio la città immersa nella pioggia.
L’orologio sul bancone della cucina, dalle lancette che s’illuminavano, avvertiva la ragazza che erano ormai le otto di sera.
Aveva dormito per tutto il pomeriggio…
Beh, con tutti i fatti che erano avvenuti, era normale che si fosse addormentata.
Ma allora…perché stava così male?
Non lo sapeva cosa aveva…si sentiva triste, eppure al tempo stesso felice di stare di nuovo li, in quell’appartamento, con quel ragazzo, che ora la guardava, seduto sul letto.
Neko sembrava non guardarlo, mentre con una mano delicatamente apriva la tenda.
Poi parlò con voce roca.
-Da quanto tempo eri sveglio?-
-…da un’ora…ma ho preferito tenerti vicino-
un sensazione di benessere avvolse Neko, che sperò svanì, spazzata via da un pensiero fisso. Maki…
-Lei...-
-Maki se ne andata, l’ho cacciata via-
Kojiro restò in silenzio, contemplando la magra figura di Neko: il maglione del ragazzo la faceva apparire ancora più bambina, mentre i capelli ramati leggermente spettinati incorniciavano il volto e i grandi occhi verdi, che però si tenevano fissi sul vetro della finestra, sembrava che la pioggia si riflettesse in quello sguardo.
Kojiro l’ammirò ancora un po’, gli sembrava di vedere uno di quei dipinti ad olio che si vedevano nei musei, nelle mostre d’arte.
Ma nessuno dei più grandi maestri sarebbe riuscito a mettere su tela tanta delicatezza e quella sensazione impalpabile, quel silenzio che abbracciava, non pesava, quelle sensazioni legger,e aeree, come strutture di case fatte di cristallo, bolle di sapone e carta.
Niente sembrava reale, eppure tutto era li.
Sensazioni leggere quali la tristezza, la serenità, la consapevolezza, la sincerità, tutte racchiuse in quella figura magra e snella, una mano teneva delicatamente spostata la tenda della finestra, nei grandi occhi verdi si rifletteva la pioggia e l’intera città.
Kojiro era completamente affascinato da lei, era come se una dolce melodia lo rapisse via, un suono lontano di violino, mentre con tutto se stesso desiderava provare di nuovo la sensazione di stringersi a se Neko, che restava in silenzio, a contemplare il delicato gioco della pioggia.
Lentamente, Kojiro si alzò dal letto, la sua figura alta e poderosa, il petto nudo, addosso solo pantaloni di cotone elasticizzato, che sottolineavano le gambe lunghe e muscolose, mentre in bella mostra il petto scolpito, i capelli neri lasciati liberi e selvaggi, i suoi occhi neri carichi…di paura…
La paura di perderla…e con lei…un sogno che si frantuma…come uno specchio che si rompe…
Si avvicinò lentamente, fino ad arrivare dietro a Neko, che restava immobile ad guardare fuori dalla finestra.
Mille pensieri attraversavano i suoi occhi e la sua mente, mentre avvertiva chiaramente la grande presenza della tigre dietro di se.
Una tigre…che ora appariva docile e tranquilla.
…quante facce aveva, quella tigre…
Poteva essere violenta e ruggente…
Ma poteva anche rivelarsi orgogliosa e piena di coraggio…
Oppure…poteva diventare docile e affettuosa…
Oppure…
Oppure spaventata e indifesa…
Neko sospirò, continuando però a tenere lo sguardo rivolto alla finestra, anche se ormai le sembrava di non vedere altro che colori mischiarsi a colori, in un acquarello sciupato dalla pioggia…
E lei…lei com’era?
Lei era solo…un gatto…un gatto che chiedeva di essere solo amato…
Restarono immobili, entrambi.
Senza parlarsi.
A che servono le parole?
Lui era dietro di lei, distante pochi centimetri, il calore dei loro corpi si attraversavano, scambiandosi.
Poi, ad un tratto, l’irrealtà di quel silenzio venne rotta dal sussurrare di Neko, che continuava a fissare quella finestra.
-…Maki?-
-…l’ho cacciata di casa…le ho detto che la odiavo…che non l’amavo più…-
-Perché?-
Kojiro guardò la schiena di Neko, quel maglione che la rendeva ancora più piccola dei suoi diciassette anni.
Dio, aveva una voglia matta di abbracciarla e stringerla a se!
Ma si trattenne, alzando lo sguardo verso la finestra, seguendo il correre delle gocce di pioggia sul vetro freddo.
-Quando chiudevo gli occhi…non vedevo il volto di Maki….non vedevo gli occhi neri e vuoti, privi di qualsiasi emozione di Maki…
Ma vedevo…vedevo due occhi grandi, di colore verde smeraldo, brillanti come gemme preziose…
Due occhi di fata…due occhi felini…due occhi di gatto…
E poi…vedevo una matita disegnare…disegnare su un foglio di carta un viso, mentre una voce mi chiamava, gentile, dolce, allegra…-
Neko sentiva le lacrime salirgli, ma le trattenne, limitandosi a stringere la mano a pugno sulle labbra, per poi tornare alla posizione di prima, chiudendo un attimo gli occhi, riaprendoli, formulando la sua domanda.
-E…e questo volto…aveva un nome?-
Kojiro sorrise, annuendo, sicuro che Neko, in quell’istante, lo guardasse del vetro della finestra.
-Si…si chiamava Neko…-
la ragazza sorrise, un sorriso sereno, anche se possedeva una malinconia dolce.
Lentamente, il ragazzo allungò una mano, che fu afferrata da Neko, che la strinse intorno alla sua vita.
Lentamente, Kojiro l’abbracciò da dietro, stringendola dolcemente a se, baciandole il capo, mentre lei sospirava, sorridendo sollevata.
Poi, gentilmente, la ragazza riaccompagnò Kojiro sul letto (dovevo dirlo prima: la camera da letto e il salotto sono collegati, non ci sono porte che li separano N.d.Meiko), sdraiandosi accanto a lui, lasciandosi stringere in un caldo e dolce abbraccio, formulando la sua ultima domanda…
-E…che cosa hai provato…quando hai visto quel volto?-
-…l’ho amato…e l’avrei voluto baciare…e sussurrargli all’orecchio…ti amo…-
Neko sorrise, lasciando scorrere le lacrime, mentre si stringeva a ancora di più a Kojiro, lasciandosi cullare dalle braccia calde del ragazzo…e dallo scrosciare della pioggia, che pian piano si allontanava, lasciando solo l’immensità del cielo notturno, una mezza luna fredda tentava di spiare curiosa, ma le tende della stanza le impedivano di ammirare due innamorati, che dormivano abbracciati, quasi a volersi fondere in un unico essere…

*

(Cambio di scena!)

Il rumore della pagina si espanse come una macchia d’olio per tutta la sala, offuscata solo dal tranquillo e dolce suono di violini proveniente dallo stereo.
La grande sala era colorata di tinte calde, come il rosso bordeaux e il marrone nocciola, e in uno dei grandi e soffici divani stava sdraiata una ragazza, non doveva avere più di vent’anni, i lunghi capelli castani assumevano a tratti le tinte dell’oro, ed erano messi da una parte in modo che non le dessero fastidio durante la lettura.
I suoi occhi verdi scorrevano veloci lungo le righe piene di caratteri scuri.
Era affascinata da quei caratteri, dalle parole, dalle frasi, dai paragrafi.
Era totalmente immersa nella lettura, attorno a lei il mondo sembrava diventare più irreale, modificarsi, cambiare, divenire qualcosa di malleabile, attorno a lei figure strane, ragazzini coraggiosi, istanti di tante vite passavano, si fermavano accanto a lei, e poi scomparivano.
Sorrideva, un sorriso all’apparenza non reale, come il sorriso della Madonna.
Il suo spirito viveva tra quelle righe, i suoi occhi scorrevano incatenati a quelle parole, a quelle lettere.
Un’altra pagina, un'altra scena.
Era così immersa nella lettura, che non si accorse di qualcuno che entrava nella villa, sbuffando, notandola poi nel salotto, di spalle, che ignorava quella presenza che, lentamente, si avvicinava a lei, i suoi passi erano silenziosi, mentre i suoi occhi si concentravano sulle spalle esili della figura, che alzò di scatto la testa, per poi voltarsi di scatto, sorridendo sollevata.
-Genzo! Ben tornato!-
il ragazzo sorrise, abbracciando Yuko dietro le spalle, ammirando con orgoglio i stupendi occhi verdi della ragazza, che brillavano privi di qualsiasi nebbia.
Era ormai più di un mese che Yuko era guarita, e ormai la ragazza aveva fatto il giro di tutta la città, ammirando Amburgo con i suoi curiosi e brillantissimi occhi.
E lui, fiero, l’accompagnava, stringendole la mano o sottobraccio, rivolgendole sguardi felici e sereni.
Com’era bella la sua Yuko…com’era sorridente…
Ora assomigliava a quello stupende giornate di Maggio, carico di sole.
La guardò ancora, ammirandola, mentre lei gli sorrideva, appoggiandogli la fronte sulla guancia, tenendo stretto a se il libro che stava leggendo, mettendogli poi una foglia come segnalibro, e alzarsi dal divano, abbracciando meglio Genzo.
Così vicini….non erano mai stati così vicini…
Una gioia che si poteva toccare, stringere…godere…
Genzo le schioccò un bacio sulla guancia, prima di sentirla allontanarsi da lui.
-Ma…aspetta un attimo Genzo, ma oggi non dovevi restare tutto il giorno con la squadra? Che ci fai qui?-
-Volevo chiederti se potevi accompagnarmi questo pomeriggio agli allenamenti, così ti faccio conoscere la squadra-
Yuko annuì tranquillamente, afferrando il cappotto, fermandosi un istante a guardare un bastoncino di metallo con alla fine una striscia gialla fosforescente.
…sorrise malinconica
Genzo la fissò, per poi guardare il bastoncino.
-Nostalgia?-
-Beh, per undici anni quel bastone mi ha aiutato ad andare avanti…-
-Beh, adesso io sono il tuo bastone-
il ragazzo strinse la mano di Yuko, baciandola dolcemente sulle labbra, per poi avviarsi verso la macchina, raggiunto dalla ragazza.

Il campo di allenamento era un vero e proprio centro sportivo, dove oltre al camp odi calcio c’era una piscina al coperta, due campi da tennis e una palestra super attrezzata.
La ragazza osservò il grande edificio, e per la prima volta si sentì super imbarazzata, mentre avvertiva tanti sguardi puntare a lei e a Genzo, che la teneva per mano, facendole da Cicerone. Era così imbarazzante!
Prima di allora non se n’era accorta a tutte le persone che li guardavano con sorpresa, anche se ogni tanto qualche paparazzo rompeva le scatole con domande o foto che Genzo trovava “inutili” D’accordo, ammetteva di avere avuto qualche altra storiella oltre a Yuko.
Ma quello era diverso, ora lui era completamente perso dietro a quella dolce ragazza, che adesso sembrava una di quelle giovani liceali, imbarazzata e con l’aria sbarazzina tipica di un adolescente.
Genzo sorrise, e l diede u bacino sulla guancia, facendola così calmare, la stretta alla mano si fece più salda.
Ma si, in fondo chi se ne frega!
L’importante era che Genzo fosse li accanto a lei.
Il ragazzo la portò verso il grande campo di calcio, dove sbracciò in direzione della squadra, al momento in riposo dopo la prima parte di allenamenti.
In meno di un minuto, tutta la squadra fu intorno al portiere.
(Fate finta che parlino in tedesco)
-Ehi, Genzo!-
-Ma dov’eri finito?-
-Per qualche momento credevamo che tu fossi scappato!-
ci fu uno scoppio di risate, mentre Yuko restava in silenzio sugli spalti ad ascoltare il chiacchierare dei ragazzi della squadra.
Dopotutto, aveva vissuto parte della sua vita in Germania, e il tedesco lo sapeva bene. Ad u tratto, una figura gli si avvicinò, e sorrise, riconoscendo il passo orgoglioso leggermente severo di…
-Karl Heinz Schneider…-
il ragazzo si fermò, per poi sorridere felice alla ragazza che si alzò in piedi, mostrando la sua magra figura nascosta in parte dal cappotto nero.
-Yuko! Amica mia!-
i due si abbracciarono, mentre Genzo si voltava, stupendosi dell’atteggiamento dei due, Karl accompagnò Yuko verso il portiere, che li guardò stupito e sospettoso.
-Yuko, conosci Karl?-
-Si, l’ho conosciuto durante uno dei miei viaggi…alla ricerca di una cura…-
-Lei era sempre seduta sugli spalti più in alto. Non puoi avertela dimenticata, Genzo! Era quell’ombra che stava lassù-
Karl indicò uno degli scalini più alti, che dava verso il cielo, in quel momento privo di nuvole, di un bel azzurro intenso.
Genzo concentrò tutta la sua memoria, prima di ricordarsi…di ricordarsi di quella figura che ad ogni allenamento si trovava sul gradino più in alto…
Come…come aveva fatto a scordarsi di lei?
Yuko fece spallucce.
-Mi pare ovvio che Genzo non si ricordi di me. E’ passato troppo tempo. E comunque io per voi ero solo la figura sulle scale più alte. Un giorno per caso Karl m’incrociò, e facemmo amicizia-
la squadra continuò a chiacchierare con Yuko, era davvero una ragazza intelligente e simpatica, e tutti potevano dire senza ombra di dubbio che era davvero carina.
Ma…per chiunque, lei rimaneva sempre la ragazza di Genzo, infatti i ragazzo le si era fatto più vicino mentre chiacchieravano, e aveva lanciato occhiatacce in infuocate.
Poi, l’allenatore richiamò all’ordine i ragazzi, mentre Yuko restava sugli spalti ad ammirare il portiere esibirsi in una partita di riscaldamento, la vera partita si sarebbe svolta Domenica, contro il Manchester United, e Yuko aveva tutta l’intenzione di andarci, anche se Genzo ci aveva pensato un attimo prima di dargli il consenso.

“Gli ultra del Manchester sono molto pericolosi. Dovrai stare molto attenta. Io ti posso dare un biglietto per la tribuna dei vip”
Yuko aveva abbracciato Genzo.
Che bello…che bello avere la sensazione di esser protetta, di essere amata così!
Yuko restò con la squadra per tutta la giornata, ammirando con stupore la bravura dei giocatori, soprattutto di Karl e del SGGK.

Lo stadio era letteralmente straripante di gente, tifosi delle due fazioni sembravano tori scatenati, e forse anche per questo l’inizio della partita venne ritardato per qualche minuto.
Yuko era nervosa, forse più di Genzo, che in quel momento le stava accanto, vestito con la maglia del portiere, il numero uno bianco su l’intero sfondo nero sembrava diventare piccola e minuta contro la grande schiena del portiere.
I guanti neri profumavano di nuovo, mentre le braccia erano incrociate contro il grande petto, i pantaloni rendevano la agre ancora più magre e lunghe.
Il berretto ben calcato in testa.
Da un po’ di tempo aveva cominciato ad usare quello grigio perla che gli aveva regalato Yuko, anche se ogni tanto la ragazza simpaticamente gli metteva quello rosso, con un sorriso malizioso sulle labbra sottili.
In quel momento, Yuko era li accanto a lui, anche lei appoggiata al muro, vestita con comodi jeans e una camicetta bianca nascosta dal capotto aperto, i capelli legati in una comoda treccia, gli occhi socchiusi che fissavano preoccupati un punto nel pavimento.
Era stranamente nervosa, non le piaceva quella situazione.
Genzo si voltò a guardarla, per poi sorriderle e abbracciarla sulle spalle, portandola verso di se.
-Tutto ok?-
lei si limitò ad annuire con il capo.
-Sono solo…un po’ preoccupata…-
-Ah, non devi. A volte capitano questo genere di situazioni…-
i ragazzo alzò la testa da Yuko, qualcuno lo stava chiamando.
Sorrise, lasciando a malincuore la presa dalla ragazza, scoccandole un bacio in fronte.
-Ma come vedi, tutto si risolve! Fammi gli auguri-
i ragazzo si avviò verso il compagno, mentre Yuko tirava un sospiro di sollievo, allontanandosi verso gli spalti.
Alla fine aveva preferito sedersi tra gli altri tifosi, per avvertire l’eccitazione che si provava a vedere la squadra del cuore giocare.
Inutile dire che il grande SGGK aveva difeso egregiamente la porta, mentre gli ultra del Manchester li vicino urlavano e bestemmiavano, Yuko li guardava con una punta di terrore che le gelava il sangue ogni volta che qualche ultra cercava di superare la cancellata.
Non…non aveva mai visto tanta violenza…solo…solo per una partita…
Era…era terribile…
Lentamente, nella mente di Yuko cominciarono a prendere forma varie immagini, senza significato, ma che le mettevano solo i brividi.
Questo era un aspetto delle persone…che non aveva mai conosciuto…
Aveva trovato nelle persone la compassione, l’amicizia, a volte anche la cattiveria…
Ma mai…mai aveva visto tanta violenza scatenarsi…
…paura…
Aveva paura…
Una paura matta…come non aveva mai provato…
E ad ogni grido, ogni urlo degli ultra, la sua paura cresceva, ora tremava come una foglia.
Per fortuna, il fischio della fina della partita le diede la possibilità di fuggire via.
Si alzò velocemente dalla sedia, quando un rumore violento la fece voltare, gli occhi colmi di terrore…
Gli ultra….avevano superato la barriera…e si stavano scatenando contro GENZO!
La ragazza rimaneva sugli spalti con il resto dei tifosi, che scioccati guardavano il portiere difendersi con rabbia dalla bande degli ultra, ad aiutarlo i compagni di squadra con in testa Karl.
La ragazza fissava scioccata il ragazzo che si, si difendeva…
Ma…ma stava… picchiando…
E vedeva…vedeva in quegl’occhi…solo…

VIOLENZA!

Yuko sentì le gambe cedergli, mentre vedeva la polizia intervenire, Genzo e gli alti ragazzi ai allontanavano aiutati anche dalla squadra del Manchester, gli ultra venivano bloccati dalla polizia. Con il cuore in gola, Yuko corse via dagli spalti, correndo come una matta verso gli spogliatoi, verso l’infermeria.
Aveva visto Genzo ferito….si stava reggendo la spalla.
Vide la figura di Karl che si avvicinava alla ragazza.
-Karl! Dov’è Genzo?-
-Vieni, di qua-
il ragazzo la condusse verso l’infermeria, sul lettuccio senza maglietta Genzo, che la guardò stupito, per poi sorriderle tranquillamente, Yuko tirò un sospiro di sollievo, notando che la spalla di Genzo non aveva nessun segno grave.
-E’ solo una brutta botta, si riprenderà prima di domani-
-Grazie dottore-
i ragazzo si mise velocemente la felpa che teneva nella sacca, e Yuko uscì permettendogli di cambiarsi i pantaloni.
Lo vide uscire con jeans e una felpa grigio fumo, i capelli liberi dal berretto che indossava.
Eppure…
Eppure Yuko non poteva a fare a meno di rivedere quel volto pieno di rabbia, mentre il portiere picchiava gli ultra…
Si stava difendendo…
No…
A lei faceva lo stesso paura…
Genzo la guardò preoccupato, e le allungò una mano verso la guancia.
Di colpo, però, Yuko scansò la mano, per poi spalancare gli occhi, colpita del suo stesso gesto.
Che…che cosa aveva fatto?
Yuko guardò Genzo, che si limitò ad avvicinarsi a lei, anche se per qualche istante la ragazza sembrava volersi allontanare da lui.
-Yuko, tutto ok?-
la ragazza la guardò, per poi scuotere la testa.
-Ho…ho avuto paura…-
Genzo le sorrise comprensivo, abbracciandola.
-Ehi, ora è tutto a posto. Forza…-
la ragazza annuì, lasciando che il ragazzo la stringesse ancora per un po’.
Anche se…
Anche se…

(Anche stavolta ho fatto tardi, mannaggia!
Meiko)

  
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