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Autore: WindGoddess    31/08/2010    4 recensioni
[Kyman, ma tanto tanto tanto eh!]
Eric Cartman e Kyle Broflovski: due persone che in comune non hanno praticamente niente.
Per questo vanno d'accordo, perché "Gli opposti si attraggono", al di là di litigi, diversi punti di vista su qualsiasi cosa, ingiurie, prese in giro e parolacce varie.
Un rapporto "idilliaco", praticamente, ed io mi ripropongo di mostrare al mondo che, effettivamente, è così.
[Dedicata a Setsuka]
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Eric Cartman, Kyle Broflovski
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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cap 3
.3.
Keep in touch with mama kin




Who'd have thought we could be lovers?
I make the bed
And you steal the covers
I like it neat
And you make a mess
You take it easy
Baby, I get obsessed



“O Signore, nella tua infinita bontà e misericordia, nello smisurato amore che provi per ogni creatura della Terra, ascolta la mia preghiera. Se davvero mi ami, ti prego, ti scongiuro… uccidimi adesso!”
< Kyle? Kyle mi senti? KYLE! >.
La sentiva. Oh, sì, che la sentiva. E quanto avrebbe preferito essere sordo!
< S-sì… mamma >.
Che a Kyle qualche volta squillasse il cellulare alle sette del mattino non era cosa inusuale. C’era sempre Stan che aveva litigato con Wendy e aveva bisogno del suo Super Migliore Amico, Ike che si lamentava del fatto che lui fosse via da casa e che gli mancava e Kenny che chiamava perché… perché era Kenny, doveva pur rompere le palle ogni tanto e ad orari assurdi. In effetti non c’era molta gente che lo chiamasse, ma la cosa certa è che, fino a quel giorno, sua madre non l'aveva mai telefonato.
Era a Denver da ormai sei mesi, finalmente al college e non c'era stata volta che Sheila Broflovsky avesse chiamato suo figlio maggiore. Il motivo di tutto quell'astio lo conosceva perfettamente. Erano due, per la precisione.
Il primo: la sua scelta di frequentare medicina a Denver e non legge ad Harvard.
La seconda: il suo coinquilino, che, per un incredibile sovrapporsi di coincidenze, era anche il suo ragazzo.
La sua cara mammina già aveva digerito con estrema difficoltà il fatto che uno dei suoi figli fosse omosessuale, ma che si fosse messo con una certa persona... Kyle preferì non pensarci. Già sopportare quasi un anno di litigi alternati a lunghi silenzi, soprattutto da parte di suo padre, era stato faticoso, ma il problema maggiore venne fuori quando, finita la scuola superiore, aveva espresso senza il minimo timore -o quasi- il suo desiderio di andare a Denver, studiare per diventare medico e prendere un piccolo appartamento in città e non nel dormitorio del college... col suo ragazzo. Quel giorno, dopo aver sgranato gli occhi per la sorpresa alla richiesta del figlio, Sheila Broflovsky era diventata una perfetta attrice.
Fingeva di essere preoccupata che suo figlio cominciasse ad affrontare la dura vita collegiale, apprensiva affinché si trovasse un piccolo ma decente appartamento per due, indaffarata mentre lo aiutava a preparare un veloce trasloco.
Fingeva di essere felice per lui, sorridendogli e rispondendo con un “Ma certo che sono d'accordo, Kyle” a qualsiasi cosa lui dicesse o a qualsivoglia idea esponesse. Una falsità talmente evidente da risultare fastidiosa ed irritante, tanto che Kyle aveva cominciato a rimpiangere i silenzi e le occhiate astiose della donna. Ma, poi ci pensò, in fondo andava bene così. Non si pentì neppure per un secondo della via intrapresa, considerando che, in tale maniera,  aveva potuto facilmente provvedere a immatricolazione, ricerca dell'appartamento e trasloco senza nessun pensiero per la testa o fastidiose urla di rimprovero nelle orecchie.
Tuttavia, una volta trasferitosi e cominciato ad affrontare il suo primo anno accademico, si aspettava per lo meno un minimo di venti chiamate al giorno, almeno di circostanza, e invece... niente.
Solo quando lo telefonava Ike sentiva di sottofondo qualcosa del tipo “Salutami Kyle”, nemmeno fosse un amico o un semplice conoscente.  
Ma, dopo aver visto che i suoi nervi ne risultavano vincitori grazie a quella commedia da due soldi, Kyle mandò mentalmente a cagare sua madre e suo padre e si godette i suoi primi mesi da collegiale alla grande. Fino a quella mattina.
< Bene, allora hai capito? Saremo lì da voi per mezzogiorno >.
< Ah, aspetta! Mamma, perché tu e papà volete venire a pranzo qui? Insomma, io credevo che voi… che tu... ce l'avessi con me >.
Un sospiro, dall'altro capo del telefono.
< Sì e sono ancora arrabbiata, ma ho avuto modo di parlare molto con Liane in questi giorni. Sembrava tanto sicura della buona fede di suo figlio, quindi ho pensato di venire a trovarvi. Se vedrò che le cose vanno bene, che stai studiando senza distrarti e che quel ragazzo si comporta... >.
< Mamma, almeno chiamalo per nome! > si lasciò sfuggire Kyle, sperando di non aver svegliato il diretto interessato. Guardò il letto di fronte al suo, ma sembrava proprio che non avesse combinato alcun danno.
< Che... Eric Cartman si comporta bene, allora... potrei provare a darvi una possibilità >.
Chissà perché, ma le parole della madre non gli furono di alcun conforto. A lui andava più che bene che non gli parlasse, cos'era ora quel tentativo di riavvicinamento non richiesto?
< M-ma mamma, così all'improvviso... non è meglio se venite... >.
< Niente “ma”, giovanotto! Oggi io e tuo padre saremo da voi, quindi vedi di farci trovare tutto in regola o giuro che ti porterò via a forza da quella città! >.
Eccolo, il vero spirito della signora Broflovsky.
< S-sì, mamma >.
< Bene. A oggi, allora! >.
E riattaccò.
L’ondata di panico che investì Kyle in quel momento fu un qualcosa di indescrivibile. Si sentì percorrere da un brivido di paura che andò ad aumentare esponenzialmente quando riuscì, in un momento di lucidità, a fare il punto concreto della situazione.
Sarebbero venuti i suoi genitori a pranzo.
Quel giorno.
A casa sua.
Sua e di…
< CARTMAN! >.
Accese la luce, balzando in piedi.
Vide il diretto interessato scostare il cumulo di coperte sotto il quale era seppellito e scattare seduto, guardandosi intorno spaesato e spaventato.
< Cosa? Che c’è? Spegni questa cazzo di luce! >.
Ma Kyle non l’ascoltò. Anzi, si premunì di andare ad alzare la serranda del balcone e spalancarlo, lasciando che un tiepido raggio di sole primaverile entrasse ad illuminare la stanza.
< Kyle, ma che cazzo succede!? >
< Alzati subito! Dobbiamo preparaci, mettere in ordine, fare la spesa! >.
< Ma che ti prende? Che è successo? Mi vuoi... > e si era perso, fissando l’orario sulla sveglia digitale poggiata sul suo comodino < SONO LE SETTE DEL MATTINO! >.
< Non è vero, sono le sette e un quarto > puntualizzò l’altro, mettendosi subito a rifare il proprio letto.
Eric, innervositosi, balzò in piedi e gli si avvicinò minaccioso.
< È DOMENICA, PORCA PUTTANA! Spero tu abbia un ottimo motivo per avermi svegliato a- >.
< Verranno qui! > esclamò Kyle, nervoso.
< MA CHI? >.
< I miei genitori! Verranno oggi a pranzo qui! > e finalmente si fermò, fissando Eric… terrorizzato? Speranzoso? Un po’ tutte e due, a dire il vero. Era pronto a ricevere come risposta urla di spavento con contorno di strappate di capelli e panico totale, che lui stesso avrebbe immediatamente contribuito ad alimentare affinché si fosse creato un magnifico effetto d’isteria collettiva. Lo vide alzare un sopracciglio, sgranare leggermente gli occhi e… niente.
Eric se ne ritornò a letto così come si era alzato, avendo anche cura di sprimacciare il cuscino e accucciarsi ben bene sotto le coperte a mo’ di fagotto.
< C-che diavolo fai? Non hai sentito quello che ho detto? > urlò l’altro, non appena ebbe recuperato un po’ di lucidità, ricevendo come risposta un dito medio issato in bella vista. Irritato non poco da quella reazione totalmente inaspettata, si avvicinò al letto di Eric con un ringhio e tirò via le coperte con mala grazia.
< Alzati subito! Abbiamo un sacco di cose da fare! >.
Sussultò quando lo vide tirarsi su come un vampiro che esce dalla propria tomba, come se non avesse compiuto alcuno sforzo.
< Se non la smetti immediatamente di fare l’isterico, ti infilo con la testa nel cesso e ti ci lascio finché non vedrò più una sola bollicina >.
Forse fu il tono di voce roco e incazzato, forse la consapevolezza di aver esagerato oppure l’espressione da demone che Eric aveva stampata in viso, fatto sta che Kyle si decise a prendere un respiro profondo e ad imporsi calma, giusto il tempo affinché gli facesse comprendere in quale gigantesco mare di merda stavano nuotando... Metaforicamente parlando.
< Cartman, forse non capito bene la situazione. Oggi v- >.
< Quella stronza di tua madre e quel senza palle di tuo padre verranno a scroccare il pranzo da noi. Ho sentito, non sono sordo >.
< Bene > e sorrise soddisfatto, nemmeno stesse parlando con un bambino di cinque anni < Che ne diresti allora di alzarti, scegliere dei vestiti decenti, aiutarmi a sistemare casa, fare la spesa e cucinare? >.
< Che ne diresti se invece dormissi fino alle dieci, indossassi la prima cosa che prendo nell’armadio, scendessimo a fare venti dollari di spesa e cucinassimo mezz’ora prima che i tuoi vengano a rovinarci il pomeriggio? >.
< Dannazione, allora non hai proprio capito! Dobbiamo essere perfetti e fare bella figura o mia madre mi riporterà a casa a suon di calci nel culo! >.
< E perché? Non siamo mica sotto esame >.
< Siamo ufficialmente sotto esame, dannato culone! Sai quello che ho passato per essere qui con te! >.
< No, so quello che hai passato per studiare medicina qui a Denver > puntualizzò.
Inutile descrivere con che espressione offesa Kyle lo guardò, neppure avesse pronunciato qualche terribile blasfemia contro il suo dio.
< C-come puoi dire questo? Io credevo… credevo che ti facesse piacere l’idea di stare in casa con me! >.
< Ma se abbiamo deciso di venire qui prima che ci mettessimo assieme! >.
< M-ma oggi i miei vengono e… >.
< E cosa? Senti… > si tirò i capelli indietro in un gesto nervoso < Non siamo una coppia di sposini novelli, io non sono in attesa dei suoceri, con l’ansia di essere perfetto! I tuoi vogliono venire a pranzo qui? Che vengano pure, troveranno il loro prezioso primogenito con uno dei suoi amici d’infanzia più che col suo ragazzo, né più né meno! >.
Detto ciò si riappropriò nuovamente delle coperte e si mise in posizione fetale, aspettando che Kyle dicesse “Hai ragione” e se ne andasse a dormire anche lui. Non avvertì, tuttavia, nessun movimento del materasso che gli facesse capire che l’altro si era alzato, anzi. Sembrava proprio che si fosse puntellato sulle mani per potersi avvicinare meglio a lui.
< Eric > sussurrò, infatti < Quello che dici è vero, ma… io non voglio rischiare che mi riportino a casa. Se il pensiero che vada via ti fa dispiacere anche solo un pochino… non è che potresti comportarti bene solo per oggi? Per favore > miagolò alla fine, sorridendo soddisfatto quando notò che il suo ragazzo aveva scostato le coperte e lo stava guardando in maniera… furbetta?
< Il sexy shop che sta a due isolati da qui ha messo in offerta le manette col peluche. Se faccio tutto quello che dici dovrai permettermi di comprarle… e usarle, s’intende >.
Concluse, aspettando una risposta. Kyle si ritrovò completamente spiazzato da quella richiesta. Non si aspettava di certo che Eric Cartman gli facesse un favore senza poter avere nulla in cambio, il solo pensare che potesse accadere un simile miracolo era assurdo, per non dire un gran spreco di energie, ma era piuttosto titubante nel dargli una risposta affermativa. Nonostante ormai stessero insieme da un bel po’, tendeva ancora a vedere certe richieste come un qualcosa di troppo… perverso per poter avere il coraggio di assecondarlo. Il solo pensiero, anzi, lo metteva profondamente a disagio e in imbarazzo. Tuttavia, quella era una vera e propria questione d’emergenza, Dio solo sapeva cosa avrebbe potuto combinare Eric se gli avesse detto di no. Decise di dare un calcio al proprio orgoglio -e alla propria timidezza- pur di non trovarsi la casa arredata in stile Auschwitz con Cartman vestito da SS nazista che sproloquiava in tedesco con tanto di Wagner in sottofondo. Perché, lo sapeva, ne sarebbe stato capace.
< O-ok > biascicò.
Ricevuta la risposta desiderata, Eric si scostò definitivamente le coperte di dosso e si alzò in piedi, stiracchiandosi per bene alla tenue luce del mattino. Sollevato da quel comportamento, Kyle ritornò ad ordinare il suo letto, cominciando ad appuntarsi mentalmente tutte le cose da fare.  Cose che, purtroppo, andarono ad irrobustire poco dopo il già gonfio bagaglio culturale di Eric. Infatti, dopo che quest’ultimo ebbe finito di sistemare la propria scrivania, togliendo una montagna di libri scritti in almeno tre lingue diverse, vocabolari e fotocopie varie, alla vista di Kyle che gli porgeva spugna e detergente per le superfici di ceramica pensò che, forse, fare quel patto non era stata poi un’idea tanto furba.
< No, non ci pensare proprio > sbottò.
< Non protestare! Ѐ l’unica stanza che ti faccio pulire, sii più collaborativo! >.
< Cominciamo già a trasgredire i patti? Io cucino, faccio le lavatrici e stiro, tu pulisci! >.
< Ѐ per velocizzare i tempi! È solo una cazzo di stanza, non- >.
< Non è una stanza, è un cesso! >.
< Esatto, e tu lo pulirai >.
< No! >.
< Sì! >.
< No! >.
< Sì! >.
< Basta! > Eric urlò, decisamente spazientito. Non aveva la minima intenzione di mettersi a fare una delle poche cose al mondo che davvero lo faceva sentire un idiota: pulire il bagno.
< La mia risposta è no! Sinonimi: mai, scordatelo, toglitelo dalla testa, no, no, no e ancora NO, cazzo! >.


**********


< Dannazione a quella troia scassa palle! >.
Con un gesto stizzito, Eric si accasciò a terra e lanciò via la spugna. Un lungo e sottile arco di schiuma bianca si andò a delineare per aria, finendo poi col cadere a terra mentre la spugna, non trovando l’ostacolo di una porta chiusa, andava elegantemente a spiaccicarsi sul muro del corridoio, restando per un secondo appesa prima di finire in terra con un secco “splat”. In quel momento passò Kyle con in mano uno spolverino, fermandosi appena in tempo per evitare di venire colpito. Con uno sbuffo di rassegnazione, prese la spugna con due dita, fissandola per un attimo prima di poter rivolgere ad Eric uno sguardo seccato. Sguardo che, a dirla tutta, si trasformò ben presto in una smorfia, una di quelle che potrebbero uscir fuori quando si cerca di evitare di scoppiare a ridere, perché fu la prima cosa che avrebbe voluto fare quando vide la sua tenuta da pulizie: una logora canotta bianca, che portava impressi i segni della lotta della sera prima tra il suo ragazzo e un tubetto di ketchup che proprio non voleva saperne di aprirsi -inutile specificare chi avesse avuto la meglio-, un paio di mutande nere sgualcite e vecchie ciabatte infradito di almeno due numeri più grandi.
< Oddio, non ti si può guardare > lo prese in giro, entrando in bagno con l’intenzione di controllare, per l’ennesima volta, che non ci fossero panni sporchi in giro. Si vide costretto a bloccarsi, minacciato da Eric che brandiva a mo’ di spada lo scopettino del water.
< Chiudi quella dannata bocca ebrea! Mi hai costretto tu a fare tutto questo! >.
< Mamma mia, e che sarà mai? >.
Kyle non lo guardò neppure, andando invece a prendere un calzino che aveva adocchiato sulla scarpiera.
< Esatto, mamma tua! È proprio colpa sua se adesso fai il rompicoglioni e mi costringi a pulire come un servo! >.   
< Eh, esagerato >.
Kyle pose fine alla discussione con un gesto stizzito della mano. Stava per uscire dal bagno, per permettere ad Eric di continuare nelle sue faccende, ma poi si voltò.
< Appena hai finito mettiti qualcosa di decente addosso, che andiamo a fare la spesa >.
Eric dovette trattenersi dallo strozzarlo. Concluse la sua odiata mansione di fretta e di furia, per poi lavarsi e vestirsi velocemente per evitare ulteriori rimproveri o, peggio, qualche altro incarico.
Non appena misero il naso fuori casa, un vento pungente li fece rabbrividire leggermente, ricordando loro il motivo principale per cui non erano andati all’università lontano da casa, come avevano fatto invece Stan e Butters: a Denver c’era, pressappoco, lo stesso clima freddo di South Park, che entrambi amavano tanto. Si incamminarono a passo svelto, anche se il supermercato più vicino era ad appena un centinaio di metri da casa loro.
< Cos’è che dobbiamo comprare? > domandò Eric quasi distrattamente, camminando a testa alta e osservando i gonfi nuvoloni grigi che troneggiavano in cielo, carichi di pioggia.
< Non so. Potremmo cucinare del pesce > suggerì Kyle.
< Già, in effetti potrei cucinare del pesce >.
Ricevette un’occhiataccia come sola risposta. Giunsero al piccolo negozio senza più scambiare una parola, Kyle era troppo concentrato sulla spesa, mentre Eric… Beh, non pensava a niente, se non al fatto di avere il sabato pomeriggio completamente rovinato. Aveva la faccia talmente cupa che persino il proprietario del negozio non poté non notarlo.
< Hola, Eric! Cómo estás?(¹) > domandò, mostrando il suo largo sorriso mezzo sdentato.
< Buenos días, señor Aguilar. Podría ser mejor, gracias(²) >.
Il signor Aguilar, un messicano di sessant’anni immigrato negli U.S.A. una ventina d’anni prima, aveva una predilezione particolare per i suoi due giovani clienti. Soprattutto, aveva molto in simpatia Eric, col quale poteva conversare ogni tanto in spagnolo per poterlo aiutare a migliorare la sua pronuncia, già tuttavia molto buona.
< Oh! Come mai dici questo, niño(³)? >.
Ma la curiosità dell’uomo non poté essere soddisfatta. Con uno strattone, Kyle ebbe premura di ricordare ad Eric che loro avevano una certa fretta -o meglio, solo lui-, così i due si congedarono per potersi addentrare tra gli scaffali del supermercato.
< Non c’era bisogno di essere maleducati > lo rimproverò Eric.
< Senti chi parla. Piuttosto, andiamo al banco del pesce e prendiamo… qualcosa >.
< Che ne dici di un bel carico di frutti di mare? > .
< Sei pazzo? Lo sai che non posso mangiare quella roba! >.
< Ma se la mangi sempre, quando la cucino! >.
< Ci sono i miei a pranzo oggi e loro non mangiano cibo non kasher(*)! >
< Dovrebbero essere loro ad adeguarsi a noi! È a casa nostra, che vengono! >.
< Sono loro che pagano l’affitto, culone! >.
< Ah sì, pero por eso me gusta(⁴) >.
Entrambi si girarono nella direzione da cui era provenuta la voce. Quando ne vide il proprietario, Kyle pensò che, davvero, quel giorno Dio voleva punirlo per qualcosa che aveva fatto. Dietro al bancone del pesce, con le mani poggiate sui fianchi, una canotta bianca che gli aderiva perfettamente al torace tonico e muscoloso e una bandana blu a fasciargli la testa, c’era, impettito, il nipote del padrone del negozio, il giovane Felipe Aguilar. Era un bravo ragazzo, lavoratore e di gran bell’aspetto, ma Kyle non poteva assolutamente soffrirlo e il motivo era semplice: era stra-maledettamente gay e, soprattutto, aveva una cotta per Cartman che non si premurava certo di nascondere.
< Felipe? Ma non eri tornato in Messico per stare un po’ con tua madre? > gli domandò Eric, sorridendogli e stringendogli la mano.
< Ah, ma come puoi pensare che possa stare lontano da te per un mese, mi dulce Enrique(⁵)? >.
A Kyle venne quasi da vomitare. Non solo per l’eccessivo contenuto di zucchero contenuto in quella frase -e, a lui che era diabetico, faceva davvero male- ma anche per quell’odioso nominativo col quale il giovane messicano aveva cominciato a chiamare il suo ragazzo da un po’ di tempo.
Ma che Enrique e Enrique! Per lui “culone” va più che bene” pensò, irritato.
< Abbiamo bisogno di roba buona, Felipe. Cos’è arrivato stamattina? > rispose Eric, fingendo di non aver sentito ma, al contempo, gongolando per l’espressione visibilmente arrabbiata di Kyle.
< Trote, carpe, gamberi, salmone… Tutto quello che vedi qui sul bancone è fresco di giornata, Enrique. Ma se vuoi… > e sorrise, malizioso < …puoi venire dietro in magazzino con migo(⁶). Potresti trovare qualcosa di mucho más interessante que-(⁷) >.
< SALMONE! >.
Eric e Felipe sobbalzarono allo strillo di Kyle.
< Salmone, per favore. Vorremmo mangiare quello, sì! >.
< Veramente io volevo andare a vedere cos- >.
< Ho detto… > e gli diede un pizzicotto sul braccio < …che voglio del salmone >.
Eric sorrise, contento che Kyle mostrasse la gelosia in maniera tanto evidente.
< Salmone, d'accordo. Felipe, daccene  quattro belli grossi >.
L'interpellato aprì la bocca per fare una battuta sconcia su quanto aveva appena sentito, ma lo sguardo incazzato del suo rivale lo fece desistere da ogni proposito. Accartocciò velocemente i quattro pesci in carta di giornale, ponendoli poi ad Eric e salutandolo con enfasi, stringendo le sue mani nelle proprie e cominciando a blaterare in spagnolo cose che Kyle, nonostante non capisse, poteva benissimo immaginare, con un piccolo sforzo di fantasia. Quando pensò che la sceneggiata fosse durata abbastanza, afferrò Eric per un braccio e lo trascinò verso la cassa. Pagò senza rivolgergli la parola, sotto lo sguardo divertito del signor Aguilar che aveva sentivo tutto, per poi uscire dal negozio senza neppure salutare. Eric lo raggiunse, subito dopo aver porto le dovute scuse.
< Quanto siamo acidi > esclamò, dopo qualche secondo di silenzio.
< Vaffanculo! Va' a scoparti quel porco messicano, visto che ti piace così tanto! >.
L'urlo del ragazzo ebreo fu tanto alto da aver permesso a molti passanti di capire ogni singola parola, scatenando reazioni tra le più disparate. Quella che fece sorridere Eric, tuttavia, fu quella di una donna, che assunse una smorfia stupita talmente esagerata che mancava poco che il -palese- botox le schizzasse fuori dalle pieghe delle rughe. Il sorriso, però, non durò che un breve istante. Il pensiero che Kyle fosse così nervoso perché sarebbero arrivati i suoi genitori lo faceva incazzare non poco. Seriamente, ma che diavolo voleva Sheila Broflovsky? Aveva rotto le palle a suo figlio per anni, spesso, com'era successo prima che partissero per il college, gli aveva reso la vita un vero e proprio inferno. Come cazzo si era permessa di auto-invitarsi a pranzo, quindi? Senza preavviso, poi! Li aveva buttati giù dal letto, li aveva costretti a lustrare la casa, fare la spesa, cucinare e, sopratutto, aveva mandato Kyle in paranoia, cosa che gli dava fastidio più di ogni altra. Quando il pensiero di infilare un po’ di veleno per topi nei loro piatti cominciò a delinearsi nella sua testa, erano ormai giunti sulla soglia di casa. Kyle stava trafficando con le chiavi, ma le mani gli tremavano tanto che le fece cadere a terra. Eric lo vide irrigidirsi, stringere i pugni e incassare la testa nelle spalle senza però muoversi di un millimetro. Sospirò.
< Faccio io > mormorò, chinandosi perprenderle. Quando si fu rialzato, mentre era intento a scegliere la chiave giusta, sentì Kyle tirarlo per la manica della felpa.
< Che c'è? >.
< S-scusa, Eric > biascicò l’altro, quasi con le lacrime agli occhi. < Sono… un po’ nervoso, cerca di capire >.
Eric alzò gli occhi al cielo, sospirando ancora. Come avrebbe potuto tenere il muso a Kyle quando si comportava a quel modo?
< Non fa niente, tanto questa giornata finirà, prima o poi. Cerchiamo di fare bella impressione >.
L’altro annuì senza alzare la testa, ma in cuor suo era contento che Cartman gli avesse risposto a quel modo. Quei gesti così inaspettati, quella maturità che sembrava non aver mai raggiunto e che, invece, usciva fuori quando era lui ad averne più bisogno lo portavano sempre di più a convincersi che, alla fine, la scelta di mettersi insieme era stata la migliore che potesse prendere.


**********


La casa era linda come uno specchio e profumata come un campo di fiori, non c'era un granello di polvere che fosse fuori posto e il bagno era stato rifornito di asciugamani puliti e saponette, nemmeno fossero in albergo. I due inquilini erano puliti, profumati e ben vestiti, jeans e camicia stirata di fresco per entrambi. Sarebbe parso tutto deliziosamente perfetto se non forse stato per un piccolo, irrilevante particolare.
< I tuoi ce l'hanno un orologio? No, te lo chiedo perché vorrei sapere se si saranno accorti di che ore sono >.
Dopo aver pronunciato queste parole, Eric picchiò con un pugno sul tavolo e si alzò in piedi, spazientito. Fissò con rabbia i piatti col cibo che aveva preparato con tanta cura e che si stavano impietosamente raffreddando. A saperlo, avrebbe ordinato qualcosa al ristorante cinese.
< Forse... hanno trovato traffico >.
< Già, o magari sono finiti in qualche scarpata >.
Kyle lo guardò seriamente spaventato.  
< E se è davvero successo loro qualcosa? >.
< Ehi, guarda che scherzavo >.
< Lo so! Ma se fosse davvero- > ma non finì la frase.
Si alzò in piedi anche lui, prendendo a camminare su e giù per la piccola sala da pranzo nervoso e preoccupato. Aveva fatto pensieri del genere già a partire da mezzogiorno e un minuto, ma non aveva voluto dare ascolto alla parte pessimista del suo cervello. Tuttavia, tra un pensiero e l’altro, si erano fatte quasi le due del pomeriggio. Era evidente che ci fosse qualche problema.
< Perché non provi a chiamarli? >.
< Lo avrebbero fatto loro, se fossero stati in ritardo! >.
Ulteriormente spazientito, Eric si avvicinò al divano e afferrò il cellulare di Kyle, rimanendo alquanto allibito quando il suo sguardo si posò sullo schermo.
< Stupido ebreo spilorcio! Risparmi anche sulla batteria del cellulare! > esclamò, arrabbiato, accendendolo < Questo coso era spento e non te ne sei nemmeno accorto! >.
< COSA?! >.
Kyle fece un balzo all’indietro da record. Sentì distintamente un sudore freddo scendergli giù per la schiena insieme ad una serie di brividi. Era spento? Non se n’era neppure accorto! Doveva interpretare il tutto come un brutto segno, allora? Avrebbe ricevuto qualche messaggio d’aiuto o la chiamata della polizia? O, peggio, di qualche medico dell’obitorio?
“Signore, mi pento di tutti i pensieri cattivi fatti sui miei genitori! Ti prego, fa’ che stiano bene!”.
Non fece neppure in tempo a terminare di formulare un pensiero del genere che partì la suoneria. Nel silenzio generale, le note polifoniche di quella sciocca canzoncina rimbombavano come una marcia funebre.
< È tua madre >.
Si irrigidì, il cuore gli batteva all’impazzata. Se era lei a chiamare vuol dire che stavano bene, ma non voleva rispondere. Ormai si era impaurito, aveva fatto tanti brutti pensieri, per cui poteva anche darsi che, dall’altro capo del telefono, ci fosse qualche medico o qualche volontario del pronto soccorso. Magari avevano estratto quel cellulare da un mucchio di lamiere contorte e chiamato il suo numero, che doveva essere tra le ultime chiamate effettuate. Di certo avrebbero detto “Ah, lei è il figlio. Ci dispiace, dobbiamo darle una brutta notizia” o qualcosa del genere, come se simili notizie potessero essere date con…
< Pronto, signora Broflovsky? Salve signora, sono Eric >.
Kyle si sentì prossimo all’infarto. Guardò Eric con gli occhi sgranati per la rabbia, ma anche con un po’ di sollievo. Aveva risposto sua madre, vuol dire che stavano davvero bene. Allungò la mano per farsi porgere il cellulare, ma l’altro lo liquidò con un gesto stizzito della mano, stupendolo non poco.
< No signora, Kyle è in bagno. Può dire a me se vuole, noi comunque vi stiamo… >.
Si bloccò, mettendo su un cipiglio che non faceva presagire nulla di buono.
< Ah… capisco. No, ma si figuri, nessun disturbo. Certo, mi rendo cont… sì. Sono sinceramente dispiaciuto, signora >.
“È successo qualcosa! Lo sapevo, cazzo!”
Kyle si afferrò i capelli in un gesto di frustrazione. Quel dannato cellulare, negli ultimi tempi, doveva avere qualcosa che non andava, visto che si spegneva spesso da solo! Se solo lo avesse controllato un po’ prima!
< Lo dirò io a Kyle, non si preoccupi. Sì… d’accordo, gli dirò che richiamerà tra un paio d’ore, le va bene? Ottimo. Sì… sì. Arrivederci, signora >.
Lentamente, allontanò il telefono dal suo orecchio, chiudendo la chiamata. Kyle si gli avvicinò pian piano, timoroso. Le parole che aveva udito gli facevano davvero pensare al peggio.
< C-che ti ha detto? Che è successo? >.
All’inizio, lo sguardo di Eric era inespressivo, guardava solo il cellulare con sguardo vuoto e non proferiva una sola parola. Poi, però, alzò un sopracciglio fino all’inverosimile e la sua espressione divenne… seccata.
< Succede che è ora di comprarti un cellulare nuovo >.
Senza aggiungere altro, gettò con disprezzo l’apparecchio sul tavolo, strappandosi il grembiule bianco che ancora aveva indosso.
< N-non capisco. Mamma e papà stanno bene? Perchè non sono qui? > pigolò Kyle, che aveva le idee decisamente confuse. Si vide rivolgere uno sguardo irritato, accompagnato da un sorriso nervoso.
< È da quando il tuo cellulare si è spento, a quanto pare almeno dalle dieci di stamattina, che tua madre cerca di chiamarti. Tuo padre- >.
< Ah! È successo qualcosa a papà? >.
< Ha un attacco di diarrea fulminante, a quanto pare. Non riesce a stare per più di dieci minuti senza dover correre in bagno, quindi per oggi i tuoi cari genitori non verranno. Abbiamo buttato la nostra domenica mattina nel cesso nella maniera più stupida e inutile possibile > concluse, gettando il povero grembiule a terra e accasciandosi poi su una sedia, lo sguardo puntato sul cibo, ormai quasi congelato. Kyle, dal canto suo, era rimasto in piedi, sconcertato. Anzi, completamente spaesato.
< Non… posso crederci > biascicò, dopo qualche secondo di silenzio tombale.
< Sapessi io > sbottò Eric in risposta, cominciando a mangiare.
< Io… > ma si bloccò. Sentì un’enorme, colossale sensazione di imbarazzo esplodergli nella testa, che poi andò a colorare tutto il volto di un rosso acceso e, al contempo, avvertì le lacrime pizzicargli gli occhi.
< Mi sento… davvero stupido >.
< Fai bene. Anzi, direi che dovresti sentirti il più titanico idiota sulla faccia della Terra, nell’intero Sistema Solare, in tutto il vasto e inesplorato univ- >.
< Ok, ho afferrato il concetto! Non c’è bisogno di essere così esagerati! >
< Non ce n’è bisogno? Guarda qua! > e Eric fece un gesto con la mano, indicando il tavolo < Ho cucinato questo ben di Dio apposta perché quei due rompicoglioni dei tuoi genitori non avessero nulla da ridire su di me, abbiamo reso questa casa uno specchio, ho pulito il bagno, messo la camicia buona, mi sono svegliato alle sette e ho sprecato una delle mie poche domeniche libere solo per far contento te! Adesso chiudi il becco, poggi le chiappe sulla sedia e mangi tutto quello che c’è su questo cazzo di tavolo senza lasciarne neppure una briciola! >.
A quel fiume di parole, Kyle non seppe proprio cosa replicare. Si ritrovò soltanto a boccheggiare e pensare che qualsiasi cosa avesse potuto dire in sua difesa sarebbe suonata inutile. Cartman aveva dannatamente ragione, sotto ogni punto di vista. Abbassò il capo, dispiaciuto e amareggiato. Aveva combinato un casino, si era innervosito per nulla, aveva fatto la figura della donnetta isterica per… un pugno di mosche. Si sedette, sentendosi in colpa mentre si ficcava in bocca un pezzo di salmone e constatando quanto fosse squisito. Si sentiva che Eric, nonostante avesse sbuffato per la maggior parte del tempo, ci aveva messo il cuore nel cucinarlo. Gli occhi gli si inumidirono di nuovo. Quanto tempo sarebbe occorso prima che potesse perdonarlo?
< Dopo dammi otto dollari > lo sentì dire all’improvviso.
< P-perché? > chiese, tirando su col naso.
< Perché domani vado a comprare le manette. Non mi importa se i tuoi non sono venuti, io il mio dovere l’ho fatto >.
Appena qualche minuto, ecco il tempo necessario che ad Eric era bastato per perdonarlo. Una lacrima gli sfuggì davvero, ma non per la tristezza. In quel momento, Kyle sentì distintamente tutta l’ansia accumulata quella mattina fuggire via dal suo animo in un istante. Come aveva potuto pensare di prendersi tanta pena per la visita dei suoi genitori? Se anche a sua madre non fosse andata bene qualcosa, lui che cosa avrebbe fatto? Sarebbe tornato a casa a capo chino e avrebbe obbedito a tutti i suoi ordini? No, ovviamente. Studiare medicina lo appassionava, il pensiero che, una volta terminati gli studi, avrebbe potuto aiutare concretamente le persone lo spronava ad impegnarsi e a dare il meglio di sé, Denver era una città fantastica e, in tutto questo, c’era Eric con lui. Certo, litigavano ancora parecchio per delle sciocchezze, battibeccavano su quisquilie, spesso davano spettacolo e più volte gli altri inquilini del palazzo li avevano rimproverati affinché abbassassero quantomeno la voce, ma per la prima volta nella sua vita, e per davvero, Kyle poteva dire di essere felice, di essere soddisfatto di sé stesso e della sua vita. Non avrebbe permesso mai più a sua madre di scombussolarlo a quel modo, anzi, pensò che ci avrebbe fatto una bella chiacchierata quanto prima. In quel momento, tuttavia, non era a lei che doveva pensare ma al ragazzo seduto di fronte a sé. Nonostante era ormai palese che le cose si fossero aggiustate, decise comunque di farsi perdonare.
< Direi che… potrei anche dartene venti >.
Eric alzò lo sguardo, curioso.
< E come mai? >.
< Beh, perché… potresti anche trovare qualcos’altro che… ti piacerebbe provare, ecco >.
All’ennesimo, violento rossore che seguì quelle parole, Eric rispose con un ghigno divertito. Cosa che, a dire il vero, un po’ fece pentire Kyle di quanto aveva detto.  
< Ci puoi giurare, Kahl. Ci puoi giurare >.



**************************

(¹): Salve, Eric! Come stai?
(²): Buongiorno, signor Aguilar. Potrebbe andare meglio, grazie.
(³): Ragazzo.
(4): Eh sì, ma è per questo che mi piace.
(5): Mio dolce Eric.
(6): Con me.
(7): Molto più interessante che-.
(*): Il termine ebraico Kasher (o casher) si riferisce al cibo che risponde ai requisiti di Kasherut (o Casherut), termine che indica l'idoneità di un cibo ad essere consumato da un ebreo, in accordo con le regole alimentari della religione ebraica stabilite nella Torah. Tra questi cibi sono esclusi, per l’appunto, tutti gli invertebrati marini, considerati “impuri”.


Note dell’autrice
Finalmente sono riuscita a scrivere una one-shot che mi soddisfi. Non so quante volte l’ho cancellata prima di riuscire a dire “Ok, può andare bene”!
Comunque, la traduzione della strofa di Opposites Attract è (sempre tradotta alla buona) :
Chi avrei mai pensato che noi potessimo stare insieme?
Io rifaccio il letto
E tu rubi le coperte
A me piace il pulito
E tu fai disordine
Tu la prendi alla leggera
Baby, io mi ossessiono.
Il titolo, invece, è un verso di Mama Kin degli Aerosmith (una cover è stata fatta anche dai Guns 'n Roses, consiglio l’ascolto di entrambe). Il bello, però, è che vuol dire “Tieniti in contatto coi parenti di mamma”, cosa che con la storia c’entra poco. Mi sembrava molto ironico, se lo si vuol rivedere riferito a Kyle, ma… anche no, voglio dire. Comunque l’ho trovato azzeccato perché il mio cervello ha deciso così, quindi godetevelo, che dire?? XD
Voglio fare qualche altra precisazione: il signor Aguilar e suo nipote Felipe li ho inventati io al momento, poiché mi servivano per la storia. Poiché io non parlo spagnolo, inoltre, mi sono dovuta affidare al traduttore di Google. Ergo, se ci fosse qualcuno che ne capisce più di me mi farebbe piacere che mi segnalasse eventuali strafalcioni. Ringrazio tutti coloro che hanno letto il precedente capitolo, chi l’ha recensito e chi ha messo la storia tra i preferiti o le seguite. Grazie davvero.
WindGoddess
  
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