.:2:.
Open mind for a different view
and nothing else matters
Our
friends are sayin'
We ain't gonna last
’Cause I move slowly
And baby you’re fast
I like it quiet
And you love to shout
But when we get together
It just all works out
Si
sarebbero incontrati direttamente di fronte al cinema alle 7:30 p.m. in
punto,
avrebbero visto “Shutter Island”, sarebbero andati
a mangiare al KFC e poi,
prima di tornare a casa, sarebbero passati per la caffetteria dei Tweak
per un caffé
e un dolce.
Semplice,
lineare, senza una sbavatura o una qualche proposta che sarebbe potuta
essere
messa in discussione. Era sicuro, quindi, che sarebbe filato tutto
liscio come
l’olio. Come no.
In
quel preciso momento, ripensando a tutto questo e soprattutto a quanto
si era
sentito stupido nel constatare che sì, era decisamente
emozionato al solo
pensiero di uscire finalmente con Kyle, Eric si guardò un
attimo attorno per
fare il punto della situazione.
Era
di fronte al cinema: bene.
Erano
le sette e mezzo in punto, non un minuto di più: bene.
Erano
lui e Kyle: più che bene.
C’era
Kenny: male.
C’era
anche Stan: malissimo.
<
Non credo d’aver capito bene: cos’è che
ci fate voi qui? >
<
Il cinema non è di tua proprietà, culone. Ognuno
può venirci quando più gli
pare >
Eric
sollevò un sopracciglio nel sentire le parole di Stan,
pronunciate tra l’altro
con un tono talmente scontroso che se in quel momento ci fosse stata la
finale
del premio “Il più acido del
mondo”… diavolo, probabilmente non sarebbe stato
Kyle a vincere!
<
E a te proprio stasera è venuta voglia di vedere un film,
non è così? >
<
Hai qualche problema? >
“Che
perspicacia”, pensò Eric, palesando
però soltanto una smorfia divertita. Certo che ce
l’aveva, un problema. Era
alto un metro e settanta circa, aveva i capelli neri e lisci, una
fidanzata in
corsa per diventare santa, portava il nome di Stanley Marsh. Il
suddetto
problema, d’altro canto, doveva aver intuito la decisa nota
di scherno della
sua reazione, considerando che si era avvicinato a lui di qualche passo
con un
cipiglio piuttosto arrabbiato.
<
Ti ho chiesto se- >
<
Stan, non c’è bisogno di litigare. Ormai ci siamo,
vediamo insieme questo
benedetto film e siamo tutti contenti, no? >
Eric
mise una mano sulla spalla di Kyle, messosi in mezzo ai due litiganti
per
sedare ogni possibile battibecco sul nascere. Al
litigante, per essere precisi, visto che uno dei due aveva avuto
il buon senso di non far presente all’altro che aveva appena
rovinato un
appuntamento, cosa che di certo avrebbe potuto scatenare una rissa.
<
Sì Stan, godiamoci questo bel film tutti assieme >
esclamò soltanto, dirigendosi
immediatamente alla biglietteria per evitare di venire ulteriormente
risposto.
Fece due biglietti, uno per sé e uno per Kyle, e si
congedò dagli altri con la
scusa di voler andare a fare la fila per i pop-corn. Aspettando il suo
turno
davanti al bancone ebbe tutto il tempo di ricamare nella sua testa una
sfilza
di offese dirette a Stan e, al contempo, di pensare ad una piccola
vendetta che
certamente prima o poi si sarebbe preso.
Un
mese.
Tanto aveva aspettato prima che Kyle
riuscisse a farsi entrare in testa che stare con una persona non
equivaleva a
darsi qualche fugace bacetto nascosti nell’ombra e fare finta
di nulla davanti
agli altri. Aveva insistito più volte, avevano discusso,
Kyle aveva protestato
urlando con quella vocetta stridula che si ritrovava perforandogli i
timpani…
ma alla fine si era convinto ad uscire con lui. Eric non ci sperava
quasi più, ma
a quanto pareva aveva cantato vittoria fin troppo presto. Il suo
ragazzo, nella
sua immensa ingenuità -giusto per non dire stupidità-,
aveva infatti avuto la brillante idea di dire tutto al suo Super
Migliore Amico
del cazzo, finendo col farglielo ritrovare tra i piedi in un momento
che
sarebbe dovuto essere di certo non “intimo”,
ma ci si sarebbe potuto avvicinare molto, volendo. La presenza di
Kenny,
invece, proprio non riusciva a spiegarsela, ma di certo non era lui a
rappresentare il problema maggiore. Il ragazzo dietro al bancone lo
richiamò
alla realtà, porgendogli la sua porzione gigante di pop-corn
affogati nel burro
fuso. Eric pagò, fissando l’enorme confezione come
se si aspettasse che essa
gli potesse suggerire il modo più facile e doloroso per
liberarsi di Stan, se
non per sempre, almeno per quella sera. Avendo capito, dopo qualche
secondo,
che dai pop-corn non sarebbe mai arrivata la risposta
sospirò sconfitto, deciso
ormai a raggiungere gli altri -e non l’altro,
cosa piuttosto fastidiosa da sottolineare- e a godersi per lo
meno il film.
Prima di entrare nella sala, però, volle comunque fare
un’ ultima, piccola
preghierina.
“Fa’
che siano giusto quattro posti liberi e
solo un paio vicini“.
Varcò
la soglia con gli occhi chiusi, fiducioso che tutte le persone presenti
quella
sera nel cinema fossero lì per guardare il loro stesso film.
Li aprì di colpo,
pronto ad individuare quei due fantomatici e unici posti vuoti e
occuparli
seduta stante.
Gli
bastò appena un decimo di secondo per rendersi conto che
esisteva al mondo un
unico appellativo adatto alla situazione in cui si trovava invischiato
in quel
momento: sfiga.
La
sala era completamente deserta, praticamente tutta la gente si era
riversata in
quella adiacente a vedere chissà quale romanticheria. Altro
che “due soli posti vicini”,
avevano
l’imbarazzo della scelta su dove sedersi! Per giunta, una
volta deciso dove
sistemarsi, Stan aveva fatto in modo che Kyle finisse esattamente tra
loro due,
evidentemente per tenerlo meglio sott’occhio. Certo, avrebbe
potuto protestare
e chiedere di cambiar posto, ma aveva decisamente troppa stima di
sé stesso per
poterselo permettere. Per quanto potesse essere egoista, narcisista,
insensibile e anche un po’ viziato non era di certo
più un poppante col moccio
al naso, per cui giudicò fin troppo l’essere
finito per lo meno vicino a Kyle,
il quale, dal canto suo, gli concesse un “Mi
dispiace” sussurrato un secondo prima che la sala
si oscurasse e partissero
i trailer. A quel punto Eric decise di deporre le armi e mettersi il
cuore in
pace, rosicandosi il fegato in silenzio e contando di far scontare il
tutto a
Kyle il prima possibile in modi decisamente piacevoli. Per lui, almeno.
Gli era
persino passata la fame, tanto che diede l’enorme confezione
di pop-corn a
Kenny senza averne toccato uno, con sentiti ringraziamenti di
quest’ultimo.
Così, senza null’altro che potesse fare,
cercò per lo meno di concentrarsi sul
film e goderselo, riuscendo a stare tranquillo per una ventina di
minuti circa
e avendo modo di apprezzare notevolmente l’inizio e il suo
dolce profumo di
frutta.
“Profumo
di frutta?”.
Lentamente,
col collo irrigidito e con estrema circospezione, si voltò
pian piano alla sua
destra, venendo quasi investito da quel profumo agrodolce proveniente
dalla
testa rossa di Kyle, mollemente appoggiata sullo schienale a meno di un
centimetro dalla sua spalla.
Troppo
vicino.
Dette un’occhiata veloce a Stan, rincuorandosi
nel vederlo totalmente assorbito dal film e… no, un attimo.
Si era sentito… rincuorato?
No, cazzo! Come gli era
saltato in mente di preoccuparsi di Stan anche per un solo, misero
istante? Chi
credeva di essere per imporre a quel modo la sua volontà su
di lui e su Kyle?
Qualcuno si era forse mai permesso di dirgli che non doveva stare con
Wendy o
di mettergli i bastoni tra le ruote quando usciva con lei? Non gli
sembrava
fosse mai andata così, per cui al fastidio si
sostituì inevitabilmente -e ovviamente-
la rabbia. Stan aveva fatto di tutto per far sì che Kyle lo
lasciasse fin dal
primo giorno in cui era venuto a conoscenza di loro due, che per una strana coincidenza, chiamiamola
così, corrispondeva
proprio al giorno stesso
in cui si erano messi insieme, dopo una settimana circa di sms,
chiamate e
discorsi del tipo “Decidiamoci o
facciamo
vecchi”, “Pensiamoci
ancora qualche
anno, così magari ci passa” o ancora
“Se
lo viene a scoprire mia madre mi scuoia vivo”, e
questa di certo non
l’aveva detta lui. D’accordo, forse non erano
esattamente la coppia perfetta,
per non dire la più insospettabile di tutte, ma questo dava
per caso il diritto
a Stan, come a chiunque altro, di metter dito tra di loro? No, certo
che no. Ovviamente no! Per questo
doveva fargliela
pagare, altro che comportarsi da persone mature! No, qui ci voleva
qualcosa che
facesse per lo meno rosicare Marsh in modo atroce e vistoso. La sua
attenzione,
a quel punto, era ormai completamente distolta dal film e dedita a ben
altro
tipo di pensieri. Doveva cercare di farsi venire una buona idea,
possibilmente
qualcosa di sottile, subdolo e cattivo.
Sembrava
proprio, tuttavia, che il suo lato oscuro e dispettoso quella sera non
volesse
funzionare. Non gli veniva in mente assolutamente nulla di appropriato
o di
anche lontanamente soddisfacente e questo, neppure a dirlo, lo
indispettì non
poco. Cominciò a pensare che ormai stava diventando
decisamente troppo buono,
che si stesse rammollendo, che stesse insomma perdendo il suo smalto cartmanesco. Mentre era ancora
tutto impegnato a escogitare, pensare, architettare,
d’improvviso sentì Kyle
spostarsi ancora di più verso di lui, fino a poggiare
completamente la testa
sulla sua spalla con estrema naturalezza, come se fosse stato lui in
persona a
chiedergli di farlo. E lì ebbe un’idea
incredibilmente stronza.
Non
particolarmente cattiva né subdola, ma di sicuro fortemente
irritante. Forse la
sua astuzia era tornata improvvisamente indietro, forse era appena
diventato la
prova vivente che un aiuto, per qualsiasi cosa ti serva, te lo
dà sempre la
persona più impensabile, forse era quel dannato profumo
fruttato che gli stava
dando alla testa, fatto sta che fece semplicemente la cosa
più spontanea del
mondo: alzò un braccio e lo poggiò sulla spalla
di Kyle. Non c’era nulla di
male, nemmeno se non fosse stato il suo ragazzo, ma come previsto il
suo
movimento non sfuggì a Stan che, Eric notò con la
coda dell’occhio, assunse
un’espressione prima leggermente sorpresa, ma che poi si fece
via via più
scioccata e, soprattutto, arrabbiata.
Macchè,
troppo riduttivo! Furiosa, era
questo
il termine esatto.
In
quel preciso istante la sua attenzione tornò stranamente al
film, che fece
ovviamente solo finta di guardare. Un po’ perché
non stava capendo un accidenti
di quanto stesse accadendo, un po’ perché era
troppo occupato a godere di una
vecchia quanto amata sensazione.
Ah,
il dolce e delizioso Sapore della Vendetta,
quel nettare paradisiaco che si riesce a gustare solo nel momento in
cui una
tua semplicissima e innocente azione riesce a far girare notevolmente
le palle
al tuo nemico e a danneggiarlo visibilmente!
Un
sapore gustoso ma, ahimè, di breve durata. Non erano di
certo circondati da una
folla di persone, sarebbe stato di sicuro inevitabile almeno un urlo da
parte di
Stan, se non un vero e proprio susseguirsi di offese a lui dirette. Le
cose,
invece, andarono meglio di quanto previsto. Come se gli avesse
involontariamente letto nel pensiero, Kyle alzò la testa
dalla sua spalla, gli
lanciò uno strano sorriso d’intesa e
cominciò a baciarlo. Eric non poté dirsi
di certo preparato ad una simile azione da parte sua, anzi, lo credeva
totalmente incapace di prendere iniziative del genere. Non
poté però fare a
meno di scoppiare a ridere dentro di sé quando
sentì Stan emettere un mugolio
di frustrazione. Non poté dargli torto, in effetti. Di certo
avrebbe voluto far
scoppiare un putiferio, peccato solo che non fosse stato lui a
cominciare ma aveva
fatto tutto Kyle. Non che gli dispiacesse, semmai tutto il contrario,
ma
l’aveva visto che lui non aveva fatto niente, no? Era stato
il suo amico a
cominciare, evidentemente era quello ciò che voleva e lui si
stava
semplicemente impegnando a non fare altro che darglielo.
Perciò che Stan si
fottesse, lui di certo avrebbe continuato. Dopo una manciata di
appaganti
minuti decise che, per il momento, poteva anche ritenersi soddisfatto e
fece
per allontanarsi, anche perché aveva una voglia matta di
lanciare un’occhiata
furtiva a Stan e controllare il suo stato di incazzatura, molto elevato
secondo
le più rosee previsioni. Prima che potesse fare un altro
movimento,
sorprendentemente, Kyle lo afferrò per la nuca di scatto,
imponendogli così di
continuare ciò che avevano fatto fino a pochi attimi prima:
limonare
selvaggiamente.
E,
ovviamente, come dire di no?
“Ma
sì, fanculo a Stan e a Di Caprio!” pensò.
Non
era tipo a cui piaceva andare al cinema solo per sbaciucchiarsi con la
propria
ragazza –o, come nel suo caso, col proprio ragazzo-,
anzi. Da amante di film quale lui era non si sarebbe mai permesso di
cadere in
simili sciocche tentazioni in quello che lui considerava quasi un luogo
sacro,
tuttavia pensò che, per una volta, poteva anche permettersi
un simile lusso.
Non solo perché Kyle baciava dannatamente bene e quella era
la prima volta che
mostrava le sue doti per un periodo di tempo superiore al minuto, ma
anche
perché… cazzo, Stan stava stringendo i braccioli
della sua poltrona in modo
tanto convulso che se ne sentiva lo scricchiolio anche a due posti di
distanza!
Va
bene, la serata di certo non era andata come previsto e, anzi, pensava
che
fosse completamente rovinata. Invece non solo si era vendicato per bene
di
colui che avrebbe voluto mandarla completamente a monte, ma
c’era anche il
piccolo, importante particolare che si stava eccitando da morire.
Quelle
labbra, quella lingua, quel sapore, quel… Kyle, porca
puttana!
E
pensare che si era insultato mille e più volte davanti lo
specchio quando aveva
realizzato che si era preso una cotta per lui! Ma chi, al posto suo,
avrebbe
mai potuto dargli torto? Dove diavolo aveva imparato a baciare a quel
modo? E
perché solo in quella situazione aveva tirato fuori questa
sua arte? Proprio
quando cominciò a pensare alla maniera più
discreta possibile di farselo lì,
sulle poltrone, senza che gli altri due se ne accorgessero minimamente,
le luci
si accesero all’improvviso e sul maxi-schermo presero a
scorrere i titoli di
coda. Il film era ormai giunto alla sua conclusione e con lui anche
quella
situazione così dannatamente piacevole. Si staccarono con un
sonoro schiocco di
labbra. Eric guardò Kyle in viso, deciso a sussurrargli un
ringraziamento per
avergli fornito quella splendida occasione, ma tutto ciò che
riuscì a fare fu
soffocare una risata quando notò che il volto del ragazzo
era diventato del colore
dei suoi capelli: rosso come il fuoco.
<
Finalmente ci avete dato un taglio! Credevo vi voleste mangiare a
vicenda!
>.
La
voce di Kenny risuonò alta e cristallina per la prima volta
in quella serata,
spezzando anche il palese imbarazzo in cui era piombato Kyle, seppur
per poco.
<
Che vuoi, avevo un bel po’ da recuperare > rispose
Eric con un sorriso
soddisfatto.
<
Certo, come no > bofonchiò irritato Stan, mettendosi
il giubbotto con una
certa fretta e annunciando il suo imminente ritorno a casa.
<
Ma Stan, dove vai? Possiamo andare a mangiare da qualche parte,
è ancora presto
p- >
<
Non mi va, e poi mi sembra proprio che a te piaccia la cattiva
compagnia >
sbottò, sorpassando Kenny con poca grazia e dirigendosi
verso l’uscita. Kyle
rimase interdetto da quella risposta, ma era pur sempre del suo
migliore amico
che si trattava e non avrebbe mai potuto lasciarlo andare a quel modo.
<
Scusami. Torno subito > disse rivolto a Eric,
dopodichè si affrettò a
raggiungere l’amico anche se non aveva la più
pallida idea di cosa dirgli.
Uscito fuori dalla sala si stupì nel non vederlo e, al
contempo, ci rimase
decisamente male. Possibile che fosse tanto arrabbiato con lui da
scappare a
quel modo? Uscì fuori dal cinema e, fortunatamente, lo
scorse camminare a testa
bassa poco lontano.
<
Stan! > lo chiamò < Ma che diavolo ti prende?
> domandò una volta che
l’ebbe raggiunto, afferrandolo per un braccio.
Stan
si fermò, divincolandosi con forza e guardandolo decisamente
arrabbiato.
<
Non puoi avere la faccia tosta di chiedermi una cosa del genere!
>
<
Non credi di stare esagerando, adesso? >
<
Esagerando? T-tu… l’hai
fatto apposta!
Ti sei fatto abbracciare e sbaciucchiare da Cartman apposta! >
<
Grazie tante, stiamo insieme > esclamò in un
sussurro, temendo che qualche
passante casuale potesse origliare cose che, per il momento, era meglio
tenere
segrete il più possibile alla popolazione di South Park.
Peccato solo che la
sua uscita avesse contribuito a far innervosire Stan maggiormente.
<
V-voi… > balbettò,
cercando di
trovare le parole adatte, < Voi non state insieme come tutti gli
altri!
Siete… cazzo, siete fuori dal mondo!
>
<
Posso capire che sia incredibile ma… so che ti chiedo uno
sforzo enorme, ma
potresti per favore provare a non
comportarti a quel modo scontroso quando siamo tutti insieme? >
<
Perché non capisci? > esclamò
l’altro, addolcendo leggermente il tono e
guardando Kyle con espressione a metà tra il triste e lo
scoraggiato, < Io…
ti giuro, non avrei detto una singola parola se fosse stato…
non lo so,
qualunque altra persona! Persino Garrison mi sarebbe andato bene, ma
Cartman…
> fece una smorfia disgustata al pronunciare il suo nome,
< Che sia lui…
proprio non riesco a sopportarlo, figurarsi accettarlo! >
<
Ma non potresti- >
<
Cazzo, amico, è Cartman! Avreste dovuto insultarvi e
fregarvi i pop-corn a
vicenda, magari… lanciarveli addosso, ma di certo non stare
lì a scambiarvi la
saliva! >
<
Scusa, ma non sarebbe stato peggio? Abbiamo trovato un modo per andare
d’accordo, non è meglio così? >
domandò Kyle, cercando di buttarla un po’
sul banale e sperare che quella discussione finisse al più
presto.
<
Andare d’accordo? Voi non potete andare d’accordo!
Siete… siete un nazista ed un ebreo,
sembrate una grottesca coppia di
comici! Se non fate ridere fate ribrezzo, te ne rendi conto?
L’unico motivo per
cui ancora non ho detto nulla a tua madre è che ho troppa
pietà di te per
poterlo fare, anche se sono convinto che il tuo sia… non lo
so, un fottuto capriccio
che durerà al massimo qualche altro giorno! >
<
Stan, adesso basta! Stai esagerando e mi stai offendendo! >
<
Non sto esagerando, voglio farti ragionare! >
<
Credi non ci abbia già pensato? Ci ho ragionato eccome, e
questa è stata la
decisione che ho preso! Non accettare un bel cazzo se proprio non ci
riesci, io
di certo non vengo a importi niente! >
<
Ma come, non è questo che hai cercato di fare fino a poco
fa? >
<
NO! >
Quel
suo grido, contrapposto al tono piuttosto pacato con cui aveva condotto
la
discussione fino a quel momento, stupì Stan a tal punto da
ammutolirlo e Kyle,
da parte sua, non si curò di certo di moderarlo. Era ora che
dicesse all’amico
ciò che riteneva giusto.
<
Mi parli come se avessi deciso di uccidere qualcuno e non mi sta bene!
Non sto
commettendo un crimine, lo capisci che te la stai prendendo troppo per
una
stronzata? Sì, sto con Cartman. E non uno qualsiasi, ma Eric
Theodore, lo
stronzo che mi prendeva per il culo un minuto sì e
l’altro pure da bambini. Da
bambini, Stan! Abbiamo diciassette anni adesso, te ne rendi conto? No, non mi interrompere! >
esclamò,
notando un’azione di protesta, < Se proprio non hai
alcuna voglia di
accettare la cosa mi sta bene, ma per lo meno prova a rispettare la mia
decisione se davvero ti reputi il mio migliore amico! >
Parlò
quasi senza riprendere fiato e, quand’ebbe finito, non si
diede nemmeno pena di
aspettare la risposta. Semplicemente, girò i tacchi e
ritornò verso il cinema
senza voltarsi. All’ingresso lo aspettavano Eric e Kenny,
alquanto perplessi
nel vederlo così nervoso e anche perché non
avevano potuto far finta di non
sentire l’ultima parte della discussione. Con la voce alta
che si ritrovava
Kyle c’era piuttosto da chiedersi chi fosse il sordo che non
aveva sentito
nulla, in tutta South Park. Eric tentò di dire qualcosa ma
venne zittito,
afferrato per un braccio e trascinato letteralmente via.
<
Scusaci Kenny > sbottò Kyle verso il ragazzo biondo,
che mormorò qualcosa
facendo spallucce. Eric lo salutò con un cenno della mano,
poco prima che
girassero un angolo e Kenny scomparisse dalla loro vista.
<
Kahl, dove st- >
<
Zitto! > lo interruppe,
continuando a trascinarlo incurante degli sguardi curiosi delle persone
che
incrociavano. Con tutti i crucci che aveva per la testa figurarsi se
aveva
spazio per occuparsi delle occhiate di qualche semi-sconosciuto che non
sapeva
farsi i cazzi propri! Piuttosto, la sua mente era tutta incentrata
sulla figura
di Stan trafitto da mille freccette immaginarie, anche se il sentimento
predominante non era la rabbia. Più che altro, si sentiva
decisamente avvilito.
Aveva commesso un’azione che tra amici non bisognerebbe mai
fare: aveva
litigato con lui e l’aveva piantato in asso per il suo
ragazzo, ma la cosa non
gli dispiaceva affatto.
Quando
aveva deciso di mettersi con Eric il suo primo pensiero era stato
proprio il
timore di come avrebbe reagito Stan alla cosa e i fatti avevano
dimostrato che
era una paura più che fondata. Ma lui lo stava trattando
come se fosse pazzo o
chissà quale terribile azione avesse commesso, senza fare il
minimo sforzo per…
no, non “accettare la cosa”. Kyle sapeva benissimo
che una richiesta del genere
avrebbe voluto dire davvero troppo, ma dannazione! Erano amici,
sì o no? E
allora perché non poteva semplicemente dire “Rispetto la tua decisione ma sappi che non la
condivido per niente e
forse non ci riuscirò mai”? Di certo non
lo avrebbe fatto saltare dalla
gioia, ma era già qualcosa, una sorta di patto a cui avrebbe
potuto benissimo
sottostare. E invece…
<
Cosa diavolo c’è di sbagliato in tutto questo?
> sbottò a voce alta.
<
Che mi stai rovinando il giubbotto a furia di tirarlo! Vuoi lasciarmi
sì o no?
>
Ma
Eric non aspettò che Kyle si fermasse. Con uno strattone si
liberò dalla sua
presa, fermandosi poi per constatare il danno che, per fortuna, era
pressoché
nullo.
<
S-scusami > arrivò una flebile risposta.
<
Un cazzo! Che t’è preso? >
<
Stan… >
A
quel nome Eric alzò gli occhi al cielo. Si stava davvero
spazientendo.
<
E basta, Kyle! Non ne vuole sapere di me e te, punto! Fattene una
ragione! >
<
Ma è il mio migliore amico! Non… >
deglutì, abbassando lo sguardo, < Non
posso… far finta di niente. Non mi va che lui non mi parli
più perché… > e
non riuscì a finire la frase. Continuare sarebbe stato come
ammettere che anche
per lui stare con Cartman era un problema, un intralcio al tranquillo
scorrere
della sua vita. E da una parte era effettivamente così, ma
lui vedeva quella
perturbazione della sua tranquillità come una cosa positiva,
quel piccolo
cambiamento che ogni tanto è bene che avvenga
perché, in caso contrario, si rischia
di affogare nella routine e, di conseguenza, nella
noia.
<
Perché stai con me? > fu Eric a concludere la frase.
Ricevette come risposta
un cenno d’assenso con la testa.
<
E questo è davvero un problema così grosso?
>
<
N-no >
<
Riformulo la domanda: tu lo vedi davvero come un problema
così grosso? >
<
No! Certo che no! >
<
E allora cosa, maledizione? Gli passerà, di che ti
preoccupi? >
Già,
di cosa si preoccupava?
<
Che… che non gli passi >
<
Che stronzata >
Kyle
sollevò di scatto la testa, irritato da quella risposta.
Faceva presto a
parlare, Eric, visto che l’unica persona il cui giudizio
potesse vagamente
interessargli, saputo che stavano insieme, aveva emesso un lungo e
sonoro
fischio di approvazione e gli aveva anche regalato qualche preservativo
colorato! Inutile dire che questa persona era Kenny.
<
Tu… sei fortunato, ecco! Non ti fai problemi a preoccuparti
solo di te stesso,
per te i giudizi degli altri contano meno di zero! >
<
Beh, chiamami scemo >
<
Io non sono fatto così! Per me è importante che
Stan rimanga mio amico, gli
voglio bene e non voglio perdere la sua amicizia
perché… >
<
Perché stai con me? >
Di
nuovo. Kyle si morse la lingua quando incontrò lo sguardo
carico di sufficienza
di Cartman.
<
Io… non voglio dire che lo vedo come un problema >
cercò di giustificarsi.
<
Mi sembra proprio il contrario. Pensavo fossi
convinto, visto anche quanto ne abbiamo parlato >
<
Sono convinto, infatti! Non voglio tornare indietro, voglio solo andare
avanti,
mettere un piede davanti all’altro e vedere questo dove mi
porterà! >
<
E se questo comportasse camminare senza Stan? >
Kyle
aprì la bocca per rispondere, ma quando il suo cervello ebbe
metabolizzato alla
perfezione la gravità di quella domanda riuscì
solo a produrre un gemito
strozzato. Come rispondere ad una domanda del genere?
<
Io… io non lo so > disse sinceramente.
<
Proprio la risposta che mi aspettavo >
Eric,
contrariamente a qualunque aspettativa, sorrise. Gli mise una mano
sulla spalla
e cominciò a camminare lentamente, seguito da Kyle come un
cagnolino.
<
Lo sai che mi piaci parecchio, ma non ti negherò che sarei
pronto a lasciarti
se a te venisse in mente anche solo per un attimo di scegliere quel
cretino a
me. Non perché vorrei monopolizzarti…
cioè, in realtà lo vorrei, ma…
lasciami dire
che tu hai proprio un concetto distorto di come si sta con una persona
>
<
C-che intendi dire? > chiese Kyle, timoroso che con quel
discorso Eric
volesse lasciarlo per davvero. E diavolo,
se gli dispiaceva.
<
Che non puoi pensare ad ogni possibile e immaginabile fattore esterno e
fartene
un problema. Se sei deciso a fare una cosa devi farla per davvero, non
puoi
essere buono solo a parole! Vuoi stare con me? Bene, allora devi
smetterla di
farti i problemi per Stan. Lo so che non capisco, che non me ne frega
mai niente
e che sono un insensibile, ma potresti anche fidarti di quello che
dico, una
volta tanto! >
<
Cioè? >
<
Gli passerà, Kahl. Gli do qualche giorno al massimo, poi
finirà di fare
l’idiota e ti chiederà scusa >
Kyle
annuì, ma senza troppa convinzione. Non era in una maniera
così semplice che
Stan Marsh sarebbe tornato sui suoi passi per una cosa che lui
considerava
tanto grave, crescendo era diventato decisamente cocciuto su alcune
cose.
Eppure… fidarsi di Eric? Poteva anche provarci, in fondo non
aveva poi tutti i
torti.
<
Forse… forse hai ragione tu > convenne alla fine,
sentendosi decisamente più
sollevato.
A
quel punto, però, l’unica cosa che rimaneva da
fare era pregare che anche Stan
la pensasse come Eric e che si preoccupasse della loro amicizia come la
cosa
più importante di tutte.
+ + + + + + + + + +
Quando
aprì la porta e vide un Kyle dall’espressione
indecifrabile piantato sulla
soglia, Eric dovette ammettere che, probabilmente, non si sarebbe mai
abituato
alle sue frequenti visite, soprattutto se si presentava con uno
smagliante
sorriso a trentadue denti.
<
Avevi ragione > esclamò, entrando in casa Cartman
senza neppure chiedere il
permesso.
<
Su cosa? >
<
Su Stan. Mi ha chiamato poco fa e… beh, si è
scusato. Insomma, abbiamo fatto
pace >
Eric
fece finta di stupirsi della cosa mentre si richiudeva la porta dietro
le
spalle.
<
Ottimo, ci ha messo solo una settimana. È più
sveglio di quanto credessi >
<
Smettila di sfotterlo > lo rimproverò Kyle, ma la sua
voce non aveva per nulla
un tono aspro, più che altro l’aveva detto per
abitudine. Non era mai capitato
che litigasse a quel modo con Stan, che entrambi si arrabbiassero al
punto da
dirsi delle cattiverie. Il fatto che si fossero riappacificati, quindi,
lo
faceva sentire estremamente contento. Tuttavia, in quei giorni, aveva
riflettuto anche molto sulle parole di Eric, sentendosi estremamente
stupido al
pensiero che, alla domanda “Sceglieresti me o
Stan?” non aveva saputo dare una
risposta concreta. Certo, la domanda non era delle più
semplici e forse la sua
era stata la risposta che, al momento, poteva risultare la
più giusta. Il
motivo per cui si era sentito stupido, in realtà, ce
l’aveva proprio di fronte
agli occhi in quel momento: era Cartman che gli faceva mettere in
discussione
il suo stesso modo di essere, con la sua dannata e innata sicurezza nel
sapere
alla perfezione ciò che voleva e come avrebbe agito in
questa o quella
situazione. Lui era praticamente tutto l’opposto,
prima di dare una qualsiasi risposta aveva bisogno di riflettere,
pensare bene,
rimuginare su qualsiasi altra opzione possibile e disponibile. Non
poteva non
ammettere, quindi, che un po’ lo ammirava per questo.
<
Sei da invidiare, sai? > disse all’improvviso e con la
più assoluta
sincerità.
<
Lo so, sono un ottimo esempio >
<
Ora non esageriamo > lo ammonì <
Piuttosto… non mi chiedi cosa mi ha
detto? Come abbiamo fatto pace? >
<
Ti ho per caso fatto capire che me ne frega qualcosa? Tu, piuttosto!
Sei venuto
solo per dirmi questo? >
<
Più o meno >
<
No, perché avr… Che vuol dire “più o meno”?
>
Kyle
incrociò le braccia dietro la schiena, assumendo
un’espressione fintamente
ingenua.
<
Beh, passavo di qui e… > si avvicinò ad
Eric < … ho notato che la
macchina di tua madre non era in garage… > era a
pochi centimetri dal suo
viso < … e pensavo che fossi solo. Magari potrei
tenerti un po’ di
compagnia, così mi faccio perdonare per venerdì
scorso >
Il
sorriso che Eric sfoggiò nel sentire quelle parole era
talmente largo che
avrebbe potuto far invidia allo Stregatto. Idem dicasi per
l’espressione
furbetta che ne seguì subito dopo.
<
Cavolo, così sì che mi piaci! >
esclamò, attirandolo a sé prendendolo per la
vita.
Con
un gesto fulmineo gli tolse anche il cappello, facendolo cadere a terra
e,
incredibilmente, Kyle non se ne curò.
<
Potresti cominciare con un bacio > gli sussurrò Eric
soffiandogli sulle
labbra < Ma bada che non ne accetto uno di durata e
intensità minore di
quello che mi hai dato venerdì al cinema. Vedi di darti da
fare > concluse.
<
Saprò farmi perdonare > rispose Kyle, un attimo prima
di spingerlo contro il
muro del corridoio e cominciare a baciarlo esattamente come gli era
stato
richiesto. Doveva ammettere a sé stesso che un bel
po’ imbarazzato si sentiva
ma, incredibilmente, anche la voglia di farsi perdonare da Eric era
tanta.
Di
farsi perdonare.
Da
Cartman.
“Mi
sto rincretinendo, perdo colpi” pensò, ma non
poteva negare che
quella situazione aveva già del paradossale di suo, tanto
che tutto il resto
poteva solo essere oro colato. Ebbene, anche cercare il perdono di Eric
Cartman
passava in secondo piano rispetto allo starci insieme. Eric, dal canto
suo, se
solo avesse saputo quello che gli frullava nella testa in quel momento
lo
avrebbe spiaccicato al muro. Non tanto per il tipo di pensieri, ma
più che
altro perché se Kyle pensava quelle cose voleva di certo
dire che non si stava
concentrando abbastanza per il bacio. Questo, senza ombra di dubbio, lo
avrebbe
fatto incazzare da morire. Già quell’ultima
settimana era passata in modo
pessimo a scuola, con loro due praticamente divisi per evitare casini e
altri
litigi, e quel poco che parlavano a telefono era tutto un lamentarsi
per Stan,
pensare a Stan, parlare di Stan. E diavolo, a pensarci bene anche lui
in quel
momento stava pensando a Stan! Decise definitivamente di scacciare via
la sua
immagine, concentrandosi solo nel godersi meglio Kyle e quelle labbra
tanto
dotate che si ritrovava. Un’ultima promessa, però,
non poté non farla a sé
stesso: la prossima volta che Stan si fosse messo in mezzo a loro due
sarebbe
stata la volta buona che l’avrebbe ucciso, togliendolo
definitivamente via
dalle palle sue, di Kyle e di quella sfortunata donna che rispondeva al
nome di
Wendy Testaburger.
_____________________________________________
Note dell’autrice
Questa
storia mi ha fatto penare. L’ho
riscritta tre volte, riletta un milione e ancora non mi soddisfa. Ma
credo
proprio che più di così non possa fare,
è già tanto essere riuscita a
completarla in un limite di tempo inferiore a dieci anni. Il finale
è un po’
alla buona, portato avanti in maniera piuttosto veloce ma, lo ripeto
ancora una
volta, meglio di così non sono riuscita fare.
Il titolo, trovato all’ultimo momento,
è preso da quella stupenda canzone che è
“Nothing
else matters” dei Metallica,
invito
come al solito chi non la conoscesse ad ascoltarla, che ne vale la
pena. La traduzione del titolo è "Apri la mente per un nuovo
punto di vista e nient'altro ha importanza" , mentre
quella della seconda strofa di Opposites Attract usata all'inizio di
questa storia, è:
"I nostri amici dicono
che tra noi non
durerà
Perché io
mi muovo piano
e, baby, tu sei
veloce.
A me piace la
tranquillità
e a te piace gridare
Ma quando stiamo
insieme
tutto funziona alla
grande"
Ringrazio
di cuore chi ha commentato
il capitolo precedente, chi ha letto senza commentare, chi ha messo la
raccolta
tra i preferiti e chi tra i seguiti :)
Spero che questo capitolo non vi
faccia troppo schifo *w*
Alla prossima