Crossover
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Autore: Dk86    01/09/2010    2 recensioni
Nell’Universo ci sono un sacco di cose.
Per la maggior parte si tratta di fenomeni interessanti e visivamente spettacolari ma non molto utili all’atto pratico, come giganti rosse, pulsar o nane brune. I buchi neri, se non altro, possono risultare efficaci se ci si vuole liberare di qualcosa di scomodo… Sempre che il buco bianco corrispondente non decida di aprirsi proprio davanti alla persona a cui si stava tentando di nascondere il problema in questione (ed era successo almeno una volta, a quanto si diceva).
Pianeti e satelliti invece sono molto meglio, soprattutto perché c’è la possibilità che ospitino forme di vita intelligente, o quantomeno non troppo stupida. Inoltre possono rivelarsi ottimi luoghi di villeggiatura, come la ciurma della Crazy Diamond aveva imparato a proprie spese.
E poi, ogni tanto, ci sono anche delle astronavi.
(dal capitolo 14, "Salvare l'Omniverso e altri sport estremi")
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga, Fumetti, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO UNDICESIMO – IL MARE È PIENO DI STELLE


Da: watanukikun@xxxxxxx.com
A: luckyanne@xxxxxxx.com
Oggetto: Stiamo arrivando!

Ciao mamma! Come va? Spero tutto bene.
Vuoi sapere una bella notizia? Dato che abbiamo qualche giorno di ferie, il capitano ha detto che possiamo passare qualche giorno sulla Terra! Non è fantastico?*_*
Dovremmo arrivare all’inizio della prossima settimana… Credo. Insomma, appena so qualcosa di certo te lo farò sapere, d’accordo?^^
In effetti, c’era da immaginarselo che un sacco di gente avrebbe pensato alla fine del mondo, vedendo arrivare le astronavi… Vabbé, tanto voi lo sapete che non è così. Quelli della Confederazione potranno sembrare un po’ strani, ma di sicuro non sono cattivi! Però mi immagino che casino sarà venuto fuori in televisione, Giacobbo di sicuro ci avrà fatto una puntata di Voyager e sarà riuscito a tirare in ballo i templari come suo solito.XD
Saluta tutti da parte mia!
Marco



Sigla d’apertura: Blue Water, di Miho Morikawa


“Sapete cosa ci vorrebbe?”, disse Marco. “Delle camere singole”. Fissò i tre amici – Elena seduta accanto a lui, Pietro e Riccardo accomodati sul letto della ragazza – poi proseguì. “Non fraintendetemi, a me fa piacere dividere la stanza, è come essere in campeggio… Però insomma, siamo gli unici membri effettivi dell’equipaggio oltre ad Haruhi e Kyon, eppure siamo i soli a dormire tutti insieme!”.
Pietro fece spallucce. “Mah, non credo che la nave sia abbastanza grande da avere camere per tutti noi”.
“Piuttosto, sapete che giorno è oggi?”, esclamò Riccardo in tono esaltato. “È passato un mese esatto da quando abbiamo cominciato ad allenarci!”.
“In effetti abbiamo fatto un sacco di progressi”, convenne Elena, guardandosi con aria pensierosa le dita fasciate. “Adesso riesco a colpire un bersaglio in movimento con gli occhi bendati”.
“E io riesco a reggere almeno cinque minuti prima che Zaraki mi dia il colpo di grazia! Cioè, quasi di grazia”.
Ma che razza di allenamenti stanno facendo?, Marco deglutì al solo pensiero. “Noi, beh… Piton e la maestra Totenkinder ci stanno insegnando un mucchio di cose… Soprattutto a Pietro”, aggiunse poi, in tono mesto.
Il diretto interessato allungò una pacca sulla spalla dell’amico. “Eddai, non sminuirti così! Stiamo andando entrambi benissimo!”.
Marco scosse la testa, sospirando. “Ma sei ieri notte mi sono svegliato per andare a bere qualcosa e il tuo letto levitava a mezzo metro dal soffitto! Io senza bacchetta riesco a sollevare a malapena uno stuzzicadenti!”.
“Sul serio?”, Pietro fece tanto d’occhi, mentre iniziava a scuotersi sul materasso, forse per controllare la stabilità della branda. “Eppure sembra fissato al suolo…”.
“Certo, questo è il mio letto!”, gli rispose Elena. “Davvero, dovresti fare qualcosa per queste fuoriuscite di magia…”.
“Comunque anche tu stai seguendo degli allenamenti speciali, Marco”, intervenne Riccardo. “Come sta andando con…”.
Non-dirlo”. Il viso del ragazzo era stato risucchiato dal colore, e i suoi occhi avevano un aspetto vitreo da pesce sul banco del mercato. “Non-aggiungere-nulla”.
“Ma è così…”, tentò Elena, ma l’altro la bloccò con un cenno secco della mano.
Non-ne-voglio-parlare”. Il tono di Marco continuava ad essere inquietantemente meccanico. Sulla fronte gli scese una gocciolina di sudore, che poi andò a lasciare una macchia rotonda sul lenzuolo azzurro.
“Vabbé, ma tu la giudichi in questo modo perché la prima cosa che ha fatto quando ti ha visto è stata tentare di ucciderti. Ma l’ha fatto per errore, sono sicuro che in realtà è una bravissima persona!”. Pietro come sempre non riusciva a cogliere il giusto valore di una bocca tenuta chiusa.
“Ehm, comunque”, Elena intervenne di corsa, tentando di impedire che Marco svenisse con un cambio di discorso. “Sbaglio o il capitano ha detto che ci farà un regalo?”.
“Intendi dire oltre a farci visitare la Terra?”, domandò Riccardo. “Non riesco proprio a pensare che cosa possa avere organizzato, quella...”.


“Ecco, capitano…”.
Haruhi, una luce esaltata negli occhi, se ne stava al centro della sala di comando con un indice puntato contro il soffitto dell’astronave in maniera smargiassa. “Allora, miei cari sottoposti, siete pronti per ricevere il vostro regalo?”.
I quattro terrestri tenevano gli occhi bassi. Le punte delle orecchie di Pietro erano quasi viola. “E-ehm… Detto così, insomma… Suona un po’ equivoco, ecco…”, borbottò Riccardo, a nome del gruppo (Elena, in effetti, più che imbarazzata sembrava scioccata e pure un po’ arrabbiata).
Haruhi sollevò un sopracciglio. “Cosa suona equivoco?”, domandò. “Non credo che esista qualcosa di più innocente di una gita al mare in compagnia, no?”.
Tutti i presenti tirarono un mezzo sospiro di sollievo. “È per questo che indossi quel costume da bagno che grida ‘fanservice!’ da ogni filo?”, domandò Elena, ma come se la spiegazione non la soddisfacesse per niente.
“Ovvio!”, la risposta dell’altra fu secca e serissima. “Il pianeta dove stiamo andando è molto caldo, non ci posso certo stare in uniforme!”
“Sì, ma perché ti sei già cambiata adesso?”.
“Oh, adesso, dopo, che differenza vuoi che faccia?”, borbottò Haruhi, incrociando le braccia sul seno generoso e messo ancora più in mostra dai due ridicoli triangolini di tessuto che con un certo sforzo di immaginazione potevano passare per un bikini. “Piuttosto, andate anche voi a cambiarvi, fra poco saremo arrivati!”.


“Incredibile…”, mormorò Marco, senza riuscire ad aggiungere altro. In effetti non c’era bisogno di ulteriori parole: il paesaggio davanti a lui, dopo che il portello dell’astronave si era spalancato, era così bello che qualsiasi tentativo di descriverlo sarebbe suonato banale e superfluo. Sembrava di trovarsi di fronte alle immagini dei paradisi tropicali che appaiono sui depliant delle agenzie turistiche, ma cento volte più vivida e ricca di colori; l’immensa distesa sabbiosa, che si perdeva sulla sinistra fino a dove l’occhio poteva arrivare, sfumava dal rosa all’azzurro passando per ogni possibile sfumatura di lillà e viola. Nell’altra direzione, invece, si levava una scogliera composta da enormi cristalli bluastri. Il sole era una piccola sfera bianca, che trasmetteva un intenso calore; la luce, però, era molto meno intensa di quanto ci si sarebbe potuti aspettare, e le cose gettavano ombre lunghissime e quasi crepuscolari.
“Vedrete questa notte”, disse Haruhi, un sorriso soddisfatto che le animava le labbra. “Dopo che il sole tramonta vengono fuori le due lune e le stelle… Il modo in cui si riflettono sull’acqua ti fa quasi pensare che si possano raccogliere a mani nude!”.
Sulla sabbia multicolore le onde si infrangevano piano, spinte da una brezza leggerissima. Il mare era ametista fusa, e tanto trasparente che il fondale si poteva distinguere con chiarezza anche a decine di metri dalla riva. Strane creature affusolate, più simili a piccoli calamari che ai pesci terrestri, nuotavano in folti branchi con aria placida.
Tutti sembravano incantati dallo spettacolo, anche coloro che avevano già visitato quel pianeta. “L’abbiamo scoperto giusto tre settimane prima di trovare voi”, aveva spiegato Haruhi ai terrestri qualche minuto prima dell’atterraggio. “Non ospita forme di vita dotate di sufficiente intelligenza da poter entrare nella Confederazione, quindi ho deciso di tenere per me il tutto. Domani ripartiremo verso la vostra Terra, ma nel frattempo godetevi la vacanza!”.
Perfino Kyon, notoriamente compassato e scazzato, dovette riscuotersi. “Forza, datemi una mano a sistemare!”, esclamò, lo sguardo che si spostava fra il mare davanti a lui e il prosperoso seno di Haruhi lì accanto.
Qualche minuto dopo, il campo base era stato montato a qualche decina di metri dall’astronave: asciugamani stesi sulla sabbia iridescente, quattro o cinque ombrelloni aperti, un enorme frigo portatile pieno di bibite… Decisamente Haruhi si era data da fare per preparare tutto quanto (anche se Marco sospettava che come al solito la gran parte del lavoro fosse stata eseguita da Kyon).
Sotto uno degli ombrelloni si erano già piazzati Frau Totenkinder – accompagnata dall’onnipresente sedia a dondolo e dal lavoro a maglia – e Piton, con una pila di tomi a fianco; erano vestiti di tutto punto, e non sembravano avere nessuna intenzione di cambiarsi. Tutti gli altri uomini di bordo erano stati costretti dal capitano a mettersi in calzoncini da bagno, ma le donne, tranne appunto la stessa Haruhi, ancora indossavano i loro normali abiti. “Bene, ragazzi!”, esclamò il capitano. “Vi ho preparato una sorpresa: ora andremo a cambiarci e poi faremo una sfilata!”.
“EHI!”, fu il grido che uscì da almeno quattro gole diverse.
“Che sarebbe questa storia?”, protestò Elena.
“Non siamo mica delle esibizioniste come te, sai?”, aggiunse Bielorussia.
“Oh, forza, forza!”, Haruhi alla fine riuscì a condurre le ragazze dentro l’astronave ancora aperta. “Cosa pensavate, di entrare in acqua vestite?”.
Quando il gruppetto fu scomparso all’interno del veicolo, gli occupanti dei salviettoni iniziarono a guardarsi l’un l’altro con aria d’aspettativa e un leggero imbarazzo. “Dite… dite che metterà dei costumi come quello che indossa lei a tutte?”, domandò Riccardo, dopo qualche secondo.
Hayate deglutì. Era strano vederlo con addosso qualcosa di diverso dalla sua uniforme da maggiordomo, ma per quel giorno anche a lui era stato concesso uno strappo alla regola. “Beh, insomma… N-non a tutte starebbero bene, p-però…”.
“Però immaginatevi Nasu no Yoichi con uno di quelli, per dire”, continuò Marco, con aria sognante.
“Anche tua sorella non è messa affatto male, Russia-kun!”, esclamò Pietro.
“NO!”, risposero all’unisono il diretto interessato e Marco. I due si fissarono, poi scrollarono le spalle. “Non dirlo davanti a lei, per favore…”, borbottò Russia, con un filo di voce. “Davvero, meglio se non glielo dici”.
Zaraki e Stein, da uomini duri e coperti di cicatrici – e c’era davvero di che fare a gara su chi ne possedesse di più – quali erano, non partecipavano alla conversazione ma si limitavano a guardare il mare in silenzio; ogni tanto, però, anche loro lanciavano una fuggevole occhiata verso il portello aperto.
Finalmente, una ventina di minuti d’attesa dopo, dall’astronave emerse qualcuno… Ma era solo Yachiru, che corse verso il gruppo con un allegro costume arancione e un paio di braccioli dello stesso colore gridando: “Ken-chaaaaaaaaaaaaaaaaaan! Andiamo a fare il bagno?”.
Zaraki borbottò qualcosa di incomprensibile, ma si alzò e si incamminò verso l’acqua a fianco della ragazzina; se non fosse stato per la pettinatura assurda, la benda sull’occhio, le cicatrici e il ghigno ferino, sarebbe sembrato un padre amorevole in spiaggia con la propria figlioletta.
“Ehm… Noi che facciamo?”, domandò Pietro, un po’ deluso. “Andiamo a buttarci anche noi? Tanto qui mi sa che per ora…”.
“Ehi, eccole!”, esclamò Riccardo alzandosi in piedi. Tutti si voltarono come un sol uomo; anche Frau Totenkinder, presa di sorpresa, si concesse un paio di secondi per capire cosa stesse succedendo prima di tornare a dedicarsi al suo uncinetto con un’espressione sorniona sulle labbra rugose.
A condurre la fila c’era ovviamente Haruhi, con indosso lo stesso striminzito bikini bianco di prima. A seguirla Bielorussia, le braccia incrociate sul petto e un’espressione indecifrabile; il suo era un costume intero, bianco e blu come il suo consueto abbigliamento. Poi veniva Nagi, con un’aria decisamente arrabbiata visto che le era all’apparenza toccato in sorte un costume simile a quelli usati nelle scuole giapponesi, che contribuiva ad accentuare il suo aspetto da lolita. Marie, in un due pezzi arancione e nero imbarazzante quanto quello di Haruhi, sembrava volersi seppellire sotto la sabbia e restarci, mentre Yoichi – con lo stesso modello di costume, di un rosso molto scuro – non sembrava preoccuparsi granché. Ultima veniva Elena, che indossava un normalissimo costume nero; il capitano ogni due o tre secondi si voltava verso di lei lanciandole uno sguardo di disapprovazione, che lei ignorava senza grossi problemi.
“Scusate, ci abbiamo messo più del previsto…”, esclamò Haruhi, per poi lanciare l’ennesima occhiata in direzione di Elena. “Qualcuno ha insistito per indossare il suo costume da bagno invece di quello che avevo gentilmente fornito…”.
Pietro annuì. “Ah, mi pareva di averlo già visto prima! È quello di quando siamo andati in piscina quest’estate”.
“Manco me ne ero accorto…”, mormorò Marco, gli occhi fissi sui davanzali di Yoichi e Marie.
“Non mi dispiacerebbe essere uno di quei reggiseni…”, aggiunse Pietro.
“Ho cercato di riunire tutti i possibili fetish per i costumi da bagno… Anche se mi sono venuti in mente solo i bikini e i costumi scolastici…”, continuava intanto il capitano, prima di essere interrotta da Nagi.
“Stupida Haruhi! Perché solo io devo indossarne uno, eh?”.
“Perché sei l’unica con le tette abbastanza piccole, ecco perché! Se poi dovessi decidere che è l’ora del topless, che figura ci faresti tu?”.
“CHE!?”, strillò Marie, coprendosi i seni con le mani (visto che in effetti il suo bikini non stava facendo grossi sforzi). “Non si era mai parlato di topless!”.
“Sciocchezze! Se non avete il coraggio di mostrarvi nude non potrete mai pilotare dei robot giganti per proteggere l’Universo!”.
“Ma quello è un altro tipo di Topless!”.
“Oh, fatela finita!”. Piton si era alzato in piedi, bacchetta sguainata. “Non avrei voluto arrivare a tanto, ma… BIKINIS ENGORGIO!”. E con un movimento ampio e rapido, quasi una scudisciata, lanciò un fascio di luce azzurrognola nella direzione del gruppetto di ragazze.
“Ehi, ma che…”, iniziò Haruhi, prima che gli occhi le si spalancassero in un’espressione inorridita. “PITON! COME HA OSATO!”.
Il mago si riaccomodò sulla sua sedia a sdraio come se nulla fosse accaduto; poi lanciò uno sguardo obliquo verso il capitano, che ora – così come anche Marie e Yoichi – indossava un costume intero dall’aria assolutamente innocente. “Almeno la smetterai di fare del baccano inutile e mi farai leggere in pace”, disse, in un tono che non ammetteva repliche.
E Haruhi, in maniera assolutamente inaspettata, si calmò all’istante. “Uffa, però”, fu l’unica lamentela che uscì dalle sue labbra. “Io volevo solo fare qualcosa di divertente…”. Poi vide il mare e – a giudicare dalla sua espressione – fu come se il suo cervello si fosse formattato. “L’ultimo che arriva dovrà correre nudo per tutta la spiaggia!”, gridò, prima di lanciarsi verso le acque viola e cristalline dell’oceano.
“Certo che è davvero meraviglioso, qui”. Qualche minuto dopo, Marco stava facendo il morto nell’acqua bassa, gli occhi puntati verso il cielo grigio e limpidissimo. Ogni tanto dei vortici di bollicine gli frizzavano sulla schiena, strappandogli una risatina. “Come avete fatto a trovare un posto simile?”.
“Nello stesso modo in cui troviamo gli altri, ovvio”. Kyon era seduto lì vicino, immerso nell’acqua fino al collo; muoveva le mani davanti a sé con un ritmo lento e ipnotico, ed era riuscito ad attirare l’attenzione di quattro o cinque delle seppioline argentate che sguazzavano lì intorno: ogni tanto una di esse si avvicinava al ragazzo con circospezione, sfiorava con il muso una delle dita e poi si ritirava in tutta fretta, in una sorta di gioco. “Esploriamo le aree che ancora non sono state mappate dalle navi della Confederazione e teniamo le dita incrociate. Ogni tanto abbiamo fortuna”.
Marco spostò lo sguardo a includere la spiaggia: Piton e Frau Totenkinder leggevano e filavano sotto il loro ombrellone, con Tama e Shiranui a sonnecchiare lì accanto; Pietro stava scattando decine di foto alle formazioni cristalline della scogliera e intanto gesticolava entusiasta fra sé e sé, mentre Yachiru costruiva con perizia un castello di sabbia sotto l’occhio vigile e un po’ imbarazzato di Zaraki. Tutti gli altri erano stati schierati sul bagnasciuga, dove Haruhi stava sbraitando per cercare di organizzarli in un gioco con la palla a squadre all’apparenza complicatissimo. “E quindi non avete detto a Silente di questo posto, insomma”.
“Già”. I calamaretti erano almeno dieci, ora. Sembravano attirati dalla presenza umana; per loro doveva essere un’interessante novità. “In realtà dovremmo farlo, perché può sempre essere che qualcuno ne approfitti e lo usi per qualche attività illegale… Ma riceviamo gratifiche solo per i pianeti abitati da vita intelligente, e sai benissimo com’è fatta quella”, e con la mano libera fece un gesto vago in direzione di Haruhi, che aveva perso ogni interesse per la palla e aveva indetto una gara a chi trovava più conchiglie (gara di cui peraltro era la sola partecipante). “Credo sia delusa dal fatto di non aver trovato nessun pianeta abitato in quest’ultimo mese e stia facendo di tutto per non darlo a vedere”.
Marco sogghignò. “Non avrete mica bisogno di entrate extra?”.
Kyon aggrottò la fronte, poi vi passò il dorso della mano per scostare le ciocche di capelli umidicci. “Non intendevo quello, con il discorso di prima”, borbottò. “Il problema con Haruhi è riuscire a divertirla e a mantenerla sempre, beh… interessata. Non è affatto facile riuscire a starle dietro, che cosa credi?”; le lanciò un’occhiataccia scazzata, ma Marco notò con chiarezza che oltre al fastidio c’era molto altro: un miscuglio diseguale di divertimento, accettazione, tenerezza… e forse anche amore.
“Sei cambiato, sai? Da quello che si vede nel vostro anime, almeno”, disse Marco. Certo che una frase del genere suona parecchio strana… E cacchio, spero che nominare l’opera d’origine di qualcuno non sia un tabù o che so io.
Kyon, però, non parve granché turbato dall’affermazione, ma si limitò a fare spallucce. “Immagino che tutti cambino, almeno un po’”. Rabbrividì, anche se l’acqua aveva la temperatura ideale. “Oddio, sembra il tipo di frase fatta con cui potrebbe uscirsene Koizumi…”, aggiunse a bassa voce, di sicuro più rivolto a se stesso che al suo interlocutore.
“Ah, giusto!”, esclamò Marco. “Quando salimmo a bordo della nave Pietro chiese ad Haruhi dove fossero finiti gli altri membri della Brigata SOS, ma lei quasi gli saltò al collo. Cioè, insomma… non saranno mica morti?”.
Ma doveva ancora passare parecchio tempo prima che Marco scoprisse la risposta: proprio in quel momento, con un tempismo davvero sconveniente, Haruhi si mise ad urlare, un braccio alzato verso il cielo. “Evvai, ne ho preso uno! Finalmente!”. Notò che Kyon e Marco la fissavano sconcertati a poca distanza e corse verso di loro, sollevando un sentiero di spruzzi violetti. “Guarda, Kyon!”. La ragazza tese verso il suo sottoposto la mano destra, fra le dita della quale, stretto in una morsa di ferro, si agitava una delle seppioline argentee. “L’altra volta in una settimana non ci sono mai riuscita, ma questa volta invece ce l’ho fatta al primo tentativo!”, gongolò.
Marco si avvicinò, incuriosito dalla forma di vita aliena che stava lottando per liberarsi: sembrava davvero un piccolo calamaro, grigio, lungo e affusolato; corti tentacoli – dodici, per l’esattezza – sferzavano l’aria disposti a losanga intorno ad una bocca simile in modo disturbante a quella umana, completa di denti e di una linguetta rosa. E fu proprio mentre il ragazzo le fissava che le labbra rosa e sottili della creatura si spalancarono, lasciando uscire uno strillo lacerante al cui confronto una sirena d’ambulanza sarebbe sembrata il rumore della neve che cade.
Marco si schiantò nell’acqua di schiena, stordito dall’attacco sonoro che aveva appena subito. Intorno a lui brulicavano impazzite piccole schegge luminose, che sfrecciavano tutte in una direzione. Poi, però, sentì qualcuno che lo afferrava per una caviglia e lo trascinava fino a riva, spiaggiandolo tossente e ansimante sul bagnasciuga.
“Te l’avevo detto o no che era una brutta idea disturbare quei cosi, vero?”, sentì domandare Kyon. “Perché se vuoi te lo ripeto senza problemi”.
Marco poggiò i gomiti tremanti contro la sabbia e riuscì a mettersi seduto; tutti i membri dell’equipaggio erano usciti dal mare e osservavano con aria preoccupata i calamaretti moltiplicarsi nel tratto di mare davanti a loro, tanto che ormai il fondo era stato coperto da una compatta barriera argentea. Una mano grande e dalla stretta forte scese nel campo visivo di Marco, consentendogli di alzarsi in piedi con un po’ di sforzo. “Sono davvero delle creature interessanti, non trovi?”, gli bisbigliò Russia nell’orecchio; Marco si pentì all’istante di avere accettato il suo aiuto. “Chissà come si comporteranno ora, sono davvero curioso…”, aggiunse, nel suo tono cantilenante da bambino cresciuto troppo in fretta e molto male.
Le migliaia di seppioline aliene nel frattempo si erano concentrate in un banco fittissimo e si stavano spostando più al largo e in profondità fino a diventare un’enorme e confusa chiazza nerastra. “Beh, pare che fosse solo un fuoco di paglia, in fin dei conti”, minimizzò Haruhi con aria soddisfatta. “Anche perché in effetti che cosa avrebbero potuto farci degli affarini minuscoli come…”.
Il capitano non completò la frase, ma in compenso emise uno strillo acutissimo che non aveva nulla da invidiare a quello del mollusco extraterrestre di poco prima: un tentacolo spesso come un torso umano le si era avvolto intorno a una caviglia e la stava sollevando a gambe all’aria di una buona decina di metri. Stessa sorte toccò a Nagi, Marie e Bielorussia, preda di altrettante mostruose protuberanze.
“Ma che…”, mormorò Marco, gli occhi tondi e sgranati come monete. E proprio in quel momento la creatura emerse.
Era molto simile ai piccoletti che l’avevano preceduta, ma al posto delle fauci aveva un grosso becco chitinoso e all’apparenza affilatissimo, molto simile a quello dei suoi colleghi terrestri. I suoi occhi, bulbosi, vitrei e sporgenti, luccicavano come sfere da discoteca mezze rotte.
“Hanno… hanno chiamato la mamma?”, domandò Pietro a bassa voce, facendo seguire alle sue parole un click ben udibile: nonostante la drammatica situazione, non riusciva a trattenersi dallo scattare foto.
Stein si strofinò un indice sotto il mento con aria pensosa, mentre con l’altra mano si accendeva l’ennesima sigaretta. “Dal loro comportamento di poco fa mi sento di poter affermare che sono loro stessi la loro mamma”.
“Intende dire che… insomma, che si sono fusi insieme?”. Il tono di Pietro era scettico, ma per precauzione fece un’altra fotografia.
“Mi sembra un’ipotesi plausibile, sì”, ribadì il dottore,prima che sul suo viso si dispiegasse un ghigno da squalo. “Spero che una volta che avremo finito ne rimanga un pezzo abbastanza grande per poterlo sezionare…”.
“Ehi, che fate ancora lì impalati? Noi vorremmo anche scendere, sapete?”. Haruhi, nonostante fosse sospesa a testa in giù a qualche metro da terra, non sembrava affatto spaventata o preoccupata, semmai un po’ seccata, e lo stesso valeva per Bielorussia e Marie. Gli urli di Nagi, in compenso, erano bastanti per tutte e quattro.
HAYATEEEEEE! AIUTO, SALVAMIIIIIIII! HAYATEEEEEEEEEEEE! ”.
Un ruggito fece voltare tutti quanti: Tama, che fino a qualche istante prima stava sonnecchiando all’ombra, era stato evidentemente risvegliato dagli strilli della padroncina e ora si faceva avanti, pelo della schiena ritto e fauci scoperte; sembrava quasi una tigre seria, così. L’animale lanciò un altro possente ringhio, saltò in avanti a zampe tese e artigli sguainati… e venne messo prontamente KO da un tentacolo che gli si abbatté fra la testa e il collo. Che spettacolo penoso, però…, pensò Marco, guardando la tigre riversa sul bagnasciuga, la lingua a penzoloni dalla bocca spalancata e gli occhi rovesciati in un’espressione di beata incoscienza.
HAYATEEEEEEEEEEE! LASCIA PERDERE QUELL’IDIOTA DI TAMA E AIUTAMIIIIIII!
“Vi prego, fate qualcosa per farla stare zitta…”, borbottò Piton.
“Arrivo, padrona!”. Hayate si piegò sulle ginocchia, pronto a spiccare un salto verso il calamaro gigante, ma una mano rugosa calò sulla sua spalla. “Scusa, caro, posso chiederti di farti da parte, per questa volta? Mi piacerebbe vedere come se la cavano in un vero combattimento i nostri ultimi giovani acquisti”, e Frau Totenkinder lanciò uno sguardo significativo verso Marco, Pietro, Elena e Riccardo.
“Ehi! Io voglio essere salvata da Hayate, mica da quei quattro!”, tentò di protestare Nagi, sbattendo le gambe per quanto la stretta del tentacolo glielo permettesse.
La strega alzò gli occhi glaciali su di lei. “Scusami, cara, ma sei veramente troppo rumorosa”. Un gesto di un dito ossuto, e la bocca della giovane ereditiera continuò a muoversi… senza che ne fuoriuscisse più alcun suono. “E ora forza, voi quattro, vediamo cosa avete imparato”.
“Sì!”. Riccardo e Elena erano già pronti, espressione determinata in volto e armi strette in pugno.
“E quelle?”, domandò Pietro, accennando alla katana e all’arco.
Riccardo fece spallucce. “Non puoi mai sapere quando ti servono, no?”.
Marco e Pietro si fissarono, alzarono anche loro le spalle, ed estrassero le bacchette da una tasca dei costumi da bagno.
“BECCATI QUESTO, MOSTRO DEL CAZZO!”, urlò Riccardo, lanciandosi in avanti. Un fendente orizzontale, e il tentacolo che reggeva Nagi fu reciso quasi alla base. Hayate, com’era prevedibile, afferrò senza problemi la padrona – ancora senza voce dopo lo scherzetto di Frau Totenkinder – prima che toccasse il suolo. Il calamaro, dal canto suo, emise un urlo breve e acuto, che parve esprimere sorpresa più che dolore vero e proprio; là dove il tentacolo era stato reciso, infatti, non sgorgò una goccia di sangue o di qualsiasi altro liquido analogo: la sezione era piena, senza vene o arterie, di una sfumatura più chiara rispetto alla pelle all’esterno. A Marco, con non poco disgusto, ricordò una treccia di liquirizia tranciata a metà da un morso.
Elena intanto aveva incoccato una freccia e stava prendendo la mira con calma. “Sei stato bravo, ma potevi anche tenerti la volgarità per te”, disse, scagliando il dardo che compì una rapida ed elegante parabola ascendente e tagliò il tentacolo a pochi centimetri dai piedi di Marie; la donna approfittò della caduta per assumere la forma di arma ed essere presa al volo da Stein.
Pietro si guardò intorno, un po’ spaesato. “Che faccio, vado io?”, domandò.
“Non so, Riguardi, se vuoi aspettare che arrivi la mezzanotte e la tua testa si trasformi di nuovo in una zucca…”, gli rispose Piton.
“Mh? Beh, sì, forse è meglio fare qualcosa. Ecco, professore, tenga un attimo questa; e mi raccomando, non la faccia cadere”. Piton riservò alla macchina fotografica che gli era stata cacciata fra le mani lo stesso sguardo che avrebbe diretto ad una fiala colma di bacilli di vaiolo di drago. Pietro finse di rimboccarsi le maniche, agitò la bacchetta e per un paio di secondi sembrò incerto su cosa dovesse fare. Poi parve rendersene conto all’improvviso e esclamò. “Ah, già… Diffindo!”.
L’incantesimo non ebbe l’effetto sperato: invece di tagliarsi, il tentacolo finì vaporizzato in una pioggia di coriandoli bruciacchiati di pelle di mollusco che planarono sull’acqua con aria mesta. Haruhi precipitò, ma per sua fortuna riuscì a centrare proprio lo stesso Pietro, attutendo così la caduta. “Che diavolo ti è preso? Volevi uccidermi?”, stava sbraitando un paio di secondi dopo il capitano, seduta a cavalcioni sulla schiena di lui. “Non voglio nemmeno pensare a che cosa sarebbe successo se avessi puntato quella cosa contro di me!”.
Pietro cercò di rispondere, ma la faccia affondata nella sabbia non lo aiutava.
“Devo ricordarmi di non stare sullo stesso pianeta di Riguardi quando tiene in mano una bacchetta”, mormorò Piton, continuando a cincischiare con la fotocamera. “Forza, De Angelis, almeno tu vedi di fare un lavoro accettabile…”.
“Ok!”, esclamò Marco. Sollevò la bacchetta, pronto a lanciare un incantesimo, quando qualcosa piombò dall’alto andando a piantarsi nella sabbia a qualche millimetro dal suo alluce sinistro. Il ragazzo abbassò lo sguardo e rabbrividì: la lama di quel pugnale era la stessa che gli era stata puntata alla gola in passato. Certo, era trascorso più di un mese da allora, ma era difficile dimenticare una situazione come quella. “Ehi!”, Marco alzò la testa. Ma perché lei devo salvarla proprio io? “Ma ti sembra il caso?”.
Bielorussia lo ricambiò con la sua consueta espressione impenetrabile e un po’ imbronciata. “Già, da qui non riesco a prendere bene la mira…”.
Stai dicendo che volevi colpirmi?!”. Lei distolse lo sguardo. “Lo vedi, volevi colpirmi!”.
“Muoviti a tirarmi giù”.
“Potresti almeno dire ‘per favore’”, borbottò Marco a bassissima voce. Alzò di nuovo la bacchetta, gesto che fu seguito da un sibilo e un altro pugnale – uno un po’ più piccolo – che stavolta andò a piantarsi accanto al piede destro.
“Usa uno di quelli, non la magia”, ordinò Bielorussia. “E vedi di riuscirci al primo tentativo come ti ho insegnato, oppure te ne tirerò un altro e ti assicuro fin da ora che stavolta non sbaglierò mira”.
Marco si chinò lentamente e raccolse il primo pugnale, mentre con l’altra mano faceva sparire la bacchetta in una tasca dei pantaloncini. Soppesò l’arma fra le mani, cercando di ignorare le fitte di dolore che si inseguivano su e giù per il braccio. Forza, ce la posso fare, si ripetè. Anche perché se dovessi sbagliare mira lei mi ucciderà di sicuro… Ma ce la posso fare. Non era certo la miglior rassicurazione possibile, ma era uno di quei momenti in cui si doveva fare di necessità virtù.
Il coltello si staccò dalla sua mano in un movimento fluido e preciso, che Marco dubitava sarebbe stato in grado di ripetere una seconda volta; roteò in una parabola ascendente e tagliò il tentacolo a pochi centimetri dalle caviglie di Bielorussia, che compì un’elegante mezza piroetta in aria e atterrò sulla spiaggia con la grazia di una ginnasta, senza che nessuno dovesse aiutarla.
Il calamaro gigante sembrava confuso: aveva estroflesso da sotto la superficie del mare un altro set di tentacoli e li stava usando per tastare i moncherini degli arti amputati, emettendo dei suoni bassi e discordanti da cornamusa. Marco sentì la pena accumularglisi all’altezza dello stomaco come una colata di cemento. In fondo ci ha fatto solo quello che Haruhi aveva fatto prima con lui: ci ha presi in mano per osservarci meglio; e anche ora che l’abbiamo ferito non reagisce contro di noi. Non credo abbia mai avuto intenzione di farci del male.
“Sapete cosa penso?”, iniziò, voltandosi verso il resto dell’equipaggio. “Che in realtà lui non…”.
Zing. Zing. Zing. Zing.
“Ma che…”, mormorò, mentre un dolorino gli pungeva un orecchio. Vi portò due dita e le ritrasse macchiate di sangue. “Che accidenti…”, poi si voltò di nuovo verso il calamaro.
Nel cranio dell’animale ora erano piantati quattro coltelli che di sicuro non c’erano fino a pochi secondi prima. Il mollusco tese uno dei tentacoli sani per tastare il manico di uno di essi, poi emise un breve guaito spezzato, come un lupo bloccato da una tagliola, e si riversò su un fianco.
Per un paio di secondi sulla spiaggia calò il silenzio. Poi scoppiò un applauso. “Wow, sei stata davvero fantastica!”, esclamò Haruhi, battendo una mano sulla spalla di Bielorussia. “A guardarti non si direbbe affatto, ma anche tu a volte riesci a essere utile!”.
“M-ma…”, cercò di dire Marco, gli occhi sgranati come monete. “Ma perché l’ha…”.
“Incredibile, vero?”, disse Nasu no Yoichi. “Ha lanciato quattro coltelli con una rapidità impressionante, non l’ho nemmeno vista estrarli… Davvero temibile, non vorrei mai trovarmela come avversaria”.
“Sì, m-m-ma…”.
“Che c’è, Marco, non ti senti bene?”, domandò l’arciera avvicinandoglisi. “In effetti non so se è normale che uno abbia uno sguardo del genere, dovresti farti visitare da Stein”.
Prima che il ragazzo potesse rispondere, una mano si strinse con fermezza sulla sua spalla. “Non credere di poterla scampare”. La voce di Bielorussia era calma, ma vibrava di minaccia come il la emesso da un diapason. “Il pugnale che hai tirato è il mio preferito, e dato se sei stato tu a farlo finire in mare, mi sembra il minimo che tu vada a recuperarlo. O sbaglio?”.
Mentre si immergeva sospirando nell’acqua violetta, Marco sentì Haruhi esclamare: “Ehi, non possiamo certo lasciare che questo coso qui sia morto invano! Scommetto che se accendiamo un falò sulla spiaggia e ce lo arrostiamo sopra verrà squisito!”.
E infatti fu proprio così.


Qualche ora dopo sul pianeta ancora senza nome era calata la notte. Purtroppo il cielo nel frattempo si era coperto di nuvole, privando i viaggiatori interstellari dello spettacolo del firmamento riflesso sulla superficie del mare; per fortuna la sabbia e le formazioni cristalline risplendevano di una tenue fosforescenza azzurro-violacea che consentiva di vedere quasi come se fosse giorno, senza ovviamente considerare l’enorme falò eretto su ordine di Haruhi.
Pietro osservava lo spettacolo da lontano, oltre la scogliera; sospirò, il volto macchiato dal disappunto. “Che palle, possibile che ogni volta che tento qualche incantesimo succede qualche casino?”, protestò, rivolto al cristallo più vicina. Formazioni di gemme di quel tipo erano ottimi ascoltatori, ma decisamente non molto appaganti quando si trattava di un dialogo; accanto ai piedi del ragazzo, però, sbucò dalla sabbia un esserino giallo limone con zampe dalle molteplici articolazioni che emise un borbottio roco, come se si stesse lamentando per essere stato svegliato. “Oh, perfetto, e ora sto pure parlando da solo. Questo non è davvero un buon segno”, si lamentò Pietro. La creaturina aracniforme lanciò un altro basso richiamo irato, ma non venne ascoltata; allora ricacciò la testa sotto la sabbia, dalla quale per qualche secondo continuarono a provenire dei mugugni insoddisfatti.
Pietro lanciò un’occhiata distratta ai compagni di viaggio, riuniti attorno al falò: dalla sua posizione riusciva a vederli piuttosto bene, ma dubitava che loro fossero in grado di scorgerlo. Recuperare il necessario per il fuoco era stato difficoltoso, soprattutto per l’assenza sul pianeta – o quantomeno nella zona dove erano atterrati – di qualcosa che potesse anche vagamente rassomigliare a legna. Ad un certo punto avevano trovato dei lunghi pali verdi che spuntavano dal terreno e che con un po’ di fantasia potevano considerati gli alberi autoctoni. Bruciavano bene, ma emettevano anche strani rumori simili a lamenti gorgoglianti quando veniva appiccato loro fuoco; dopo un attimo di esitazione, i presenti avevano deciso che era meglio fare finta di nulla.
Tutti sembravano divertirsi, seduti intorno al fuoco; solo Marco – che aveva passato quasi un’ora a cercare uno dei pugnali di Bielorussia che era finito in mare – se ne stava in un angolo, gli occhi fissi sulla sabbia; non aveva voluto nemmeno assaggiare un tentacolo del polpo/calamaro/seppia gigante che avevano contribuito ad abbattere quel pomeriggio.
“Bah, vediamo di fare quello per qui sono venuto qua”, borbottò Pietro, distogliendo lo sguardo dal festino ed estraendo di tasca la bacchetta magica. Aveva detto agli altri che si allontanava per scattare qualche fotografia, ma nei dintorni non c’era nulla che non avesse già immortalato; inoltre, un po’ di allenamento non gli avrebbe fatto di certo male.
Insomma, il mio problema è che ci metto troppa energia, rifletté, giocherellando con il legnetto, che sprizzò una scarica di scintille sfrigolanti (da sotto la sabbia giunse un’ulteriore protesta che come le altre non venne ascoltata) quasi a volergli dare ragione. Quindi, mh… Che potrei fare? Abbassare il volume della voce quando recito gli incantesimi? Bah, tanto vale provare…
Pietro alzò la bacchetta e sollevò gli occhi sul mare, preparandosi a lanciare una magia di prova. E fu allora che la vide.
Stava emergendo dall’acqua scura, splendida e senza nemmeno un vestito addosso. Lunghi capelli castano ramato le scendevano lungo la schiena in onde folte, senza fare nessuno sforzo per nascondere il suo seno prosperoso e le sue forme sinuose; il suo viso era particolare, non bellissimo ma affascinante, con lineamenti un po’ irregolari, dall’aria esotica eppure familiare in maniera quasi inquietante. La sua pelle luccicava pallida, come la sabbia sotto i suoi piedi, e Pietro poteva vedere con chiarezza i suoi occhi color azzurro intenso e la bocca sottile, atteggiata in un sorriso complice e un po’ beffardo.
Pietro saltò un paio di respiri e rischiò di infilarsi la bacchetta in un’orbita; lei gli si era avvicinata senza proferire parola, e ora stava in piedi di fronte a lui, fissandolo con aria divertita. “Che stai facendo tutto solo qui?”, disse alla fine. La sua voce era bassa e un po’ roca, come se fosse una fumatrice abituale. “Non dirmi che volevi spiarmi…”.
“N-n-n-n-n-n-no, ma c-c-che dice!”, farfugliò Pietro, il volto scarlatto alla debole luce dei cristalli. Aveva provato a guardare la donna in faccia, ma gli occhi continuavano a cadergli sulle tette, per non parlare di ciò che c’era ancora più sotto… Alla fine aveva deciso di fissarle i piedi, e gli sembrava già di essere un maniaco sessuale così. “I-io n-n-nemmeno sapevo d-di non essere l-l’unico qui”.
“Beh, non c’è problema”, rispose lei.
Come “non c’è problema”? Di problemi io ne vedo eccome!, pensò Pietro. La sua faccia era così rossa che ormai sulle guance avrebbe potuto cuocerci delle bistecche. “E-ehm…”, iniziò, sentendo la voce scemargli in un rantolo secco. Si schiarì la gola un paio di volte, poi riprovò. “Cioè, ecco… L-lei chi sarebbe? È d-di questo pianeta?”.
La donna si lasciò scappare una risata. “No. Sono una viaggiatrice… Esattamente come te, Pietro”.
Lui sobbalzò, dimenticando per un paio di secondi di trovarsi di fronte ad una donna nuda. “Come sa il mio nome?”, esclamò, riuscendo a trattenersi dal sollevare lo sguardo solo all’ultimo secondo. Stava cercando con tutte le sue forze di pensare alle cose meno stimolanti possibili – fra cui Piton e Zaraki vestiti da donna – ma controllare l’eccitazione diventava di secondo in secondo più difficile. Pietro pregò che la donna misteriosa non notasse il sospetto rigonfiamento sul davanti dei suoi calzoncini da bagno.
“In effetti non ti biasimo per non avermi riconosciuta”, rispose lei. “Sono un po’ diversa rispetto a come mi vedi di solito”.
“S-sta dicendo che la conosco?”, domandò lui. Ormai era certo che avrebbe potuto riconoscere le dita dei piedi di lei fra altre centinaia di migliaia. “Eppure sono sicuro di non averla mai vista!”.
Lei rise un’altra volta. “Sono sicura che se chiudi gli occhi per qualche istante tutto ti sarà chiaro”. Pietro si ritrovò le palpebre abbassate ancora prima di averci pensato, e cercò di normalizzare il ritmo del respiro che gli si era fatto quasi affannoso. Ma che vorrà fare?, pensò, mentre sentiva le guance infiammarglisi di nuovo. Di sicuro non spogliarsi, era già nuda… Forse allora vuole rivestirsi! Però aspetta, tanto già l’ho vista senza niente addosso e non mi sembrava che la cosa le creasse problemi. Cacchio, pensavo che una situazione del genere potesse capitare solo in un film! Magari adesso mi chiederà una mano perché non riesce ad allacciarsi da sola il costume da bagno, uhuh…
“Puoi riaprire gli occhi, caro”. La voce di lei suonava diversa rispetto a qualche secondo prima, ma Pietro non ci fece caso: sollevò lentamente le palpebre, e ciò che vide davanti a sé era completamente diverso da ciò che si aspettava: per prima cosa la donna misteriosa era scomparsa.
E poi, il mare era pieno di stelle.
Per la seconda volta in pochi minuti Pietro trattenne il respiro: la cappa di nubi era stata spazzata via in un colpo, e il firmamento si rifletteva sull’acqua con un’intensità e una chiarezza da far impallidire qualsiasi specchio. Era uno spettacolo meraviglioso e terrorizzante allo stesso tempo: era come se tutto il resto fosse stato annullato e restasse soltanto il cielo stellato, in qualunque direzione; sembrava che bastasse un solo passo per cadervi dentro e perdervisi per l’eternità.
“Uno spettacolo splendido, non trovi?”. Ancora prima di girarsi, Pietro riconobbe lo scricchiolio della sedia a dondolo e seppe chi gli stava accanto: Frau Totenkinder, il perenne lavoro all’uncinetto appoggiato in grembo, fissava l’invisibile linea dell’orizzonte con i suoi occhi azzurri da rapace atteggiati in un’espressione soddisfatta, come se la spettacolare visione fosse merito suo. “Anche io che ho i miei annetti alle spalle non posso fare a meno di emozionarmi di fronte a tanta magnificenza”.
“Maestra, ma…”, iniziò Pietro, nemmeno troppo sorpreso di ritrovarsela di fianco all’improvviso. Poi, però, si ricordò della donna misteriosa e i suoi occhi si dilatarono tanto da sembrare sul punto da uscirgli dalle orbite e andare a rotolargli sulla sabbia. “Oh, mio Dio… Non mi dica che era lei che…”.
“Non so di cosa tu stia parlando, caso, io sono solo una vecchietta”, lo interruppe lei, con un sorrisetto che le ornava il volto rugoso come l’orlo di pizzo di una vecchia tovaglia. “Beh, ora è meglio tornare dagli altri, che ne pensi? Non ho ancora avuto modo di assaggiare quel mollusco gigante che avete pescato oggi, a sentire il capitano sembra davvero squisito!”. Frau Totenkinder scomparve, e un attimo dopo Pietro la scorse fra la piccola folla che circondava il falò; anche il resto dell’equipaggio ora aveva notato lo spettacolo del cielo riflesso sull’acqua, e Haruhi – chi, altrimenti? – stava additando le stelle e gridando qualcosa, i piedi nudi che si agitavano impazziti sul bagnasciuga.
Pietro si alzò in piedi, mentre le sue labbra emettevano uno sbuffo sonoro. Era arrossito un’altra volta. Sono davvero un cretino, pensò, scuotendo la testa. E alla fine non ho fatto nemmeno ciò che ero venuto a fare… Gettò un’occhiata all’oceano scintillante e non poté fare a meno di sorridere. “Bah, in fondo non ho mica fretta”, si disse, infilandosi la bacchetta in tasca. Poi, canticchiando a mezza bocca una canzone inventata sul momento, si incamminò verso i suoi amici, il mare pieno di stelle a fargli da sfondo.




B.B.: Finalmente è il momento!

RAVEN: Il momento? Di cosa?

B.B.: Ma delle anticipazioni, è ovvio!

RAVEN: Ma che hai da essere così agitato? Hai di nuovo bevuto troppo caffé di soia?

B.B.: Raven, non capisci? Sono le anticipazioni! Tutti sognano di fare le anticipazioni dell’episodio successivo, almeno una volta nella vita!

RAVEN: …Strano, una cosa del genere mi era
proprio sfuggita; mi chiedo come mai…

B.B.: Il dodicesimo capitolo di “Il cielo è un’ostrica, le stelle sono perle”, si intitola “La strada di casa”. Non perdetevelo! Forza, Raven, di qualcosa anche tu!

RAVEN: Ehm… Azarath, Metrion, Zynthos?

B.B.: Alla faccia dell’originalità, eh?








Ed eccoci con un nuovo capitolo! E’ il caso di postarlo finché siamo ancora in estate, visto il tema, eh?XD
Che c’è da dire a riguardo? Beh, il motivo del terrore di Marco – nel caso non fosse già ovvio che Bielorussia è il male (rumore di tuoni in sottofondo) – verrà esplicitato nel quindicesimo capitolo tramite un utile flashback. E per sapere chi sono i Topless che pilotano i robot giganti per salvare l’universo dovrete vedervi “Punta al top 2! Diebuster”.XD

Ma passiamo alle risposte alle recensioni!
Per Anonimo: Sì, poveri demonietti, di certo non hanno fatto una bella fine! Sono i classici nemici un po’ pezzenti che in ogni shonen che si rispetti vengono utilizzati semplicemente per fare capire che i protagonisti non sono il tipo di persona con cui è bene scherzare!
Ovviamente la questione di Lucifero sarà importante, anche se ci vorrà ancora un po’ prima di scoprire dov’è finito il padrone degli Inferi… Non è tipo da farsi scoprire così facilmente!
Spero che tu abbia gradito l’episodio al mare, anche se un mio amico ha detto che renderebbe di più con le illustrazioni delle ragazze in costume!XD

Per Morens: No, Ai Enma è la protagonista dell’anime “Jigoku Shoujo” e suoi seguiti (rispettivamente “Jigoku Shoujo Futakomori” e “Jigoku Shoujo Mitsuganae”); e non se ne va in giro a disossare la gente, di solito usa mezzi più sottili e psicologici per punire le sue vittime… E alla fine le porta all’Inferno. C’è anche il manga, ma è posteriore all’anime; in Italia lo sta pubblicando la Star Comics in questo periodo.

Come al solito ringrazio tutti quelli che leggono soltanto, spero che un giorno lascerete anche voi una recensione, a me farebbe molto piacere!^^
In ogni caso, per ora vi saluto. Vi aspetto al dodicesimo capitolo!
Davide

  
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