Crossover
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Autore: Darik    03/09/2010    1 recensioni
Un omicidio chiaro. Tutto indica chi è il colpevole. Ma quel colpevole è una delle persone più care al mondo per Negi. Chi può aiutarlo nel tentativo di scagionarla? Forse un misterioso e abilissimo detective.
Genere: Generale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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4° CAPITOLO

Una volta finita la scuola, Negi volle subito cominciare le indagini con L.

Si trovavano in un vicolo poco distante dal Mahora.

“Sei certo di voler venire con me?” gli chiese il detective.

“Si! Non posso restarmene con le mani in mano mentre Asuna è nei guai!”

“Come vuoi. Ma le regole le fisso io, sia ben chiaro”.

“Chiarissimo”.

“Allora cominciamo stabilendo che tu verrai con me solo quando io te lo permetterò. Quindi continuerai ad andare a scuola la mattina. Tue assenze troppo prolungate potrebbero dare nell’occhio e guastare l’anonimato che mi è essenziale. E ogni pomeriggio, dovrai assicurarti di avere qualcuno che ti copra”.

“Ho un amico che sarà ben lieto di farlo”.

“E allora ci incontriamo oggi pomeriggio alle cinque. E mi raccomando, metti dei jeans azzurri”.

“Eh? Perché?”

Ma L era già sparito.


Negi, tornato a casa, chiamò subito Kotaro per informarlo degli ultimi sviluppi e creare insieme un piano di copertura.

Dopodiché attese trepidante il momento in cui avrebbero iniziato le indagini.

Accese la tv per sapere se c’erano state novità e non ne trovò.

La polizia era stata piuttosto abile nel nascondere le notizie alla stampa.

Intanto il nome di Asuna non era trapelato.

Si sapeva solo che la persona sospettata era una ragazza, un elemento sul quale i media si erano subito scatenati con illazioni tra le più varie, che andavano dall’amante fino alla sorella nascosta o alla figlia segreta.

Non si conosceva neppure il volto della ragazza.

Quella era un’altra buona cosa.

Cosi, quando Asuna sarebbe stata per forza scagionata, non avrebbe passato il resto della vita additata come una possibile assassina.

Ora bisognava passare al contrattacco e per farlo era prima necessario coprirsi.

Perciò, arrivata l’ora X, prese il telefono. “Kotaro, sono io. Allora è tutto pronto?”

“Affermativo. Vieni a casa mia, poi da lì andremo al cinema. Uscirai di nascosto usando una porta d’emergenza. Ufficialmente, per tre ore e mezza, tu starai con me al cinema. Verso le otto e mezza, rientrerai dalla stessa porta. Ricordati di farmi il segnale. Uao, è supereccitante! Mi sembra di essere in un film!”

“Cerca di non montarti la testa. Ora vengo” disse Negi chiudendo il telefono.

Uscendo di casa, vide la madre seduta nel soggiorno e impegnata nell’ennesima telefonata d’affari.

“Mamma, io vado al cinema con Kotaro”.

La donna gli fece un gesto con la mano, come a dire ‘ok’, dopodiché si rituffò nella telefonata.

Negi sospirò rassegnato e se ne andò.


Il piano andò come prestabilito. Kotaro rimase nel cinema a vedersi due film di Godzilla in successione, mentre Negi alla chetichella uscì da una porta antincendio e raggiunse la casa di L.

Il suo ‘capo’ lo attendeva davanti all’ingresso, con uno zaino sulle spalle.

E stava sgranocchiando dei biscotti.

“Sono qui” annunciò Negi.

“Bene. Per prima cosa ci recheremo sul luogo del delitto” dichiarò L.

Sotto la scalinata c’erano due biciclette con la quale si diressero verso il palazzo di Tokyo-Sol.

“Andiamo a cercare prove?” domandò Negi.

“Foffio fefificafe feffe fofe” rispose L con un leccalecca in bocca.

“Come prego?”

L si tolse il dolce dalla bocca. “Voglio verificare delle cose”.


L riprese a sgranocchiare i suoi biscotti. “Allora, il primo soggetto è Chisame Hasegawa. Il nome non ti dirà niente, perché forse la conosci come Chiu”.

“La idol e presentatrice di quei programmi per bambini?”

“Esatto. E’ lei che afferma di avere visto Asuna colpire a morte Takamichi”.

Dicendo questo, L iniziò ad andare avanti e indietro.

Negi seguiva col capo i movimenti di L. “Ha intenzione di parlarle?”

“Non necessariamente. E poi sarebbe difficile. Hasegawa è una persona molto gelosa della sua privacy. In studio è sempre solare e allegra, ma nella vita di tutti i giorni è una persona seria e posata. Persino il gossip non ha quasi niente su di lei. Quel tipo di giornalisti sono molto bravi a inventare di tutto basandosi su qualche dettaglio. Ma la cura di Hasegawa nei confronti della propria immagine è maniacale, la serietà con cui affronta la carriera è totale, e loro restano quasi sempre a bocca asciutta. Le poche foto sulle riviste la mostrano mentre passeggia o mangia qualcosa al bar. Niente che possa dare addito a pettegolezzi”.

Negi annuì. “Capisco. Però vorrei che mi spiegasse una cosa”.

“Ovvero?”

“Perché per dirmi queste cose sta camminando sulla ringhiera a ottanta metri dal suolo?!”

I due infatti si trovavano sul tetto del palazzo dove era stato compiuto l’omicidio.

Il tetto era anche una terrazza, circondata da un’alta ringhiera dalla quale si godeva una visione panoramica di Tokyo.

Ed L stava camminando avanti e indietro proprio su quella ringhiera.

Con assoluta calma, sgranocchiando biscotti e col vento che gli arruffava i capelli.

Negi era inebetito: voleva dirgli di scendere.

Ma se quella mossa fosse stata collegata alle indagini?

E se cercava di afferrarlo per farlo scendere, non avrebbe invece corso il rischio di farlo cadere?

“Insomma, L, sono già quindici minuti che sta passeggiando su quella ringhiera! Cosa vuole fare?”

“Zuccheri e aria fresca. Un mix vincente” rispose lui con semplicità.

Negi cautamente si avvicinò alla ringhiera.

Più il tempo passava, più si innervosiva.

“Fai attenzione che non ti cada nulla di sotto” lo avvertì L.

Negi guardò giù e vide un piccolo gruppo di persone alla base del palazzo.

Concentrando vista e udito, intravedeva i gesti e udiva un mormorio indistinto.

Tuttavia già immaginava cosa stessero dicendo.

Poi vide una persona, una ragazza, appoggiarsi alla parete-finestra di un appartamento del palazzo che affiancava il loro.

L’appartamento si trovava più in basso rispetto ai due, subito sotto il tetto adiacente.

La ragazza li osservò, e scosse la testa.

A quel punto L sembrò cadere di lato.

Verso il vuoto.

Dalla piccola folla sottostante giunse, lievemente, un grido.

Negi si protese per afferrare quello sconsiderato di L.

Che però, dandosi la spinta con la gamba nel vuoto e usando come perno la gamba ancora appoggiata sulla ringhiera, fece una rotazione su se stesso, modificò la traiettoria di caduta e cadde in piedi sul terrazzo.

Tutto era avvenuto cosi rapidamente che Negi stava ancora con le braccia protese verso un punto ora vuoto.

L tirò fuori dallo zaino una maglia bianca uguale alla sua.

“Il colore dei jeans va bene. Metti la maglia”.

Quando Negi ebbe finito L, continuando a mangiare biscotti, disse “Scendiamo di sotto”.

Allibito, Negi lo seguì.

Una volta scesi dal palazzo, L disse a Negi di andare avanti, attraversando la strada che separava i due palazzi.

E alcune persone, di quelle che si erano raggruppate per assistere allo strano spettacolo, prima sembrarono riconoscerlo, poi scossero la testa, dicendo che era troppo piccolo.

Dopo anche L attraversò la strada, e lui fu riconosciuto, attirandosi mormori di disapprovazione.

L non se ne curò, intento com’era a mangiare biscotti.

E Negi non volle chiedergli niente quando arrivò, perché non sapeva cosa dire.

Entrati nel secondo palazzo, salirono con l’ascensore fino all’ultimo piano.

“Bene, Negi. Ora è il tuo turno” dichiarò L.

“Ovvero?”

Da una tasca, L trasse un piccolo taccuino con penna annessa.

“Vai a quella porta e bussa” ordinò consegnando il tutto a Negi.

Che perplesso obbedì, mentre L andò a nascondersi nelle scale affianco all’ascensore.

Il ragazzino bussò e poco dopo la porta venne aperta da una bella ragazza, vestita in modo casual e con lunghi capelli castani raccolti in una coda di cavallo.

“E tu chi saresti?” domandò la ragazza squadrando il ragazzino da capo a piedi.

“Io… ehm… ecco… io..” balbettò Negi.

La giovane puntò gli occhi sul taccuino.

“Oh, immagino che tu sia un mio piccolo fan, eh?” disse grattandosi il naso.

Prese il taccuino, scrisse qualcosa e lo riconsegnò a Negi facendo un lieve sorriso.

“Ora torna a casa, piccolo” concluse la ragazza chiudendo la porta.

L fece cenno a Negi di raggiungerlo.

Negi guardò il taccuino. C’era scritto: “Con affetto, Chiu!”

“Quindi quella era Hasegawa!” esclamò Negi. “Cavolo, io conosco Chiu, ma al naturale è cosi diversa rispetto a come appare in TV”.

“Esatto. Ora tocca a me. Tu nasconditi” dichiarò L tirando fuori dallo zaino una cartelletta e un paio di occhiali.

Li indossò coprendo del tutto le sue occhiaie.

Poi premette un punto alla base della sua schiena, che magicamente diventò dritta.

“Urca!” esclamò Negi.

Gli venne il sospetto che L avesse una colonna vertebrale meccanica.

E l’idea lo fece sorridere.

Con calma L andò alla porta di Hasegawa e bussò.

La ragazza tornò ad aprire.

“E lei chi è?” domandò guardinga.

“Salve, sto facendo una raccolta di fondi per i bambini orfani. Mi potrebbe dare un’offerta?” domandò L.

“Ma che sta dicendo?” pensò Negi stupito.

Intanto Chisame, inarcando un sopraciglio, squadrò L da capo a piedi, poi si guardò intorno e dalla tasca trasse una mazzetta di banconote.

“Tenga. Donazione anonima” precisò Hasegawa richiudendo la porta.

L tornò da Negi.

“E allora?” domandò incuriosito quest’ultimo.

“Andiamo a fare merenda” rispose L “Ha offerto lei”.

E superò Negi andando verso l’ascensore.


Il primo film di Godzilla non stava entusiasmando molto Kotaro.

La parte iniziale era stata piuttosto lenta, anche se gli insettoni preistorici non erano male.

Sperò comunque che arrivato il momento dello scontro tra i medesimi insettoni e il mitico Big G, le cose sarebbero migliorate.

Guardò l’orologio.

Erano le sette e mezza e a Negi restava solo un’ora per tornare al cinema.

Dopo di che, appena giunto dietro la porta da cui era uscito, l’amico gli avrebbe fatto un segnale e Kotaro sarebbe andato ad aprirgli.

Ma era una cosa che andava fatta finché durava il film.

I movimenti si notano poco nel buio della sala.

Che comunque avevano scelto ad un orario in cui era poco affollata.

Kotaro si chiese se non la stessero facendo troppo pesante.

Ma Negi era stato categorico: la misteriosa persona che aveva contattato per aiutare Asuna, voleva restare nell’anonimato più assoluto, quindi niente azioni che avrebbero potuto in qualche modo collegarli.

Poteva solo aspettare quindi, sperando che l’amico non si ficcasse in guai grossi.

D’altronde era anche una sua responsabilità, visto che lui aveva indirizzato Negi verso quel misterioso sito.

Intanto arrivò il momento dello scontro tra Godzilla e lo sciame di insettoni.

“Vai Big G! Bruciali tutti!” esclamò il ragazzino.


Negi fissò sbalordito L: sembrava una macchina divoratrice di zuccheri!

Nella mezz’ora in cui erano stati in quel bar, L, seduto con i piedi sulla poltrona, aveva già mangiato quattro ciambelle, cinque cornetti, due coni gelato, tre leccalecca e adesso stava gustando una grossa fetta di torta alla panna.

Particolare poi il modo in cui teneva il cucchiaino per la torta: lo reggeva per un’estremità usando solo la punta di due dita.

La sua voracità era tale che Negi, accontentatosi di una sola fetta di torta, non gli aveva chiesto niente su di lui e sulle strane azioni compiute poco prima.

Né, d’altronde, L sembrava intenzionato a parlare, essendo solo concentrato sul cibo.

Un’altra cosa che colpiva era che L mangiava mantenendo sempre un espressione impassibile.

Niente versi o smorfie da ghiottone.

Bensì uno sguardo serio e controllato, come un chirurgo che effettua un’operazione.

Lo strano detective chiese poi un caffè e il conto.

E quando il cameriere gli portò un vassoio con la tazza e il porta zucchero, L prese il caffè e lo verso in quest’ultimo, mescolò col cucchiaio tenuto sempre per l’estremità, bevve tutto di un fiato facendo attenzione a non dimenticare neppure un granello di zucchero, lesse il conto e pagò in contanti il perplesso cameriere.

Infine uscì, seguito a ruota da Negi.

“Ehm” azzardò quest’ultimo “Non pensa che tutto questo zucchero possa farle male?”

“Lo zucchero è indispensabile per il cervello. E per la mia salute non mi preoccupo. Fino ai trent’anni circa, il metabolismo regge perfettamente tale ritmo” fu la risposta.

“Sarà. Comunque…”

“Eccolo” indicò L.

Mentre la giornata cominciava a volgere al termine, una grossa auto sportiva entrò nel parcheggio sotterraneo del palazzo dove era avvenuto l’omicidio.

L e Negi vi rientrarono, presero l’ascensore e salirono fino al penultimo piano.

Poi si nascosero nella tromba delle scale.

Poco dopo, da un altro ascensore, arrivò un uomo alto e molto robusto, con indosso un completo sportivo e capelli biondissimi.

Fischiettando lo sconosciuto entrò in uno degli appartamenti.

“Quello è il secondo testimone, Ken Masters” spiegò L prevenendo Negi. “E’ appena rientrato dagli studi televisivi, dove tiene un programma sugli sport e sul culturismo. E’ un uomo che tiene molto al suo fisico e alla sua immagine di grande sportivo. L’anno scorso ha vinto il premio come sportivo giapponese dell’anno. Questo perché si è ripreso splendidamente da un brutto incidente automobilistico, tornando come prima. E anche lui tiene molto alla sua privacy”.

“Capisco”.

“Andiamo al piano di sopra” ordinò L.

Giunsero davanti all’appartamento dove era avvenuto l’omicidio, ancora sigillato dai nastri della polizia.

Vedendo quel luogo, Negi sentì aumentare l’angoscia per Asuna.

“Aspetta qui” disse L tornando al piano di sotto.

Negi cominciava a non capirci più niente.

Che senso aveva tutto quello che stavano facendo in quella giornata?

Tanto più che il film di Godzilla sarebbe finito tra venticinque minuti, rischiando cosi di far saltare la copertura.

Poi udì dei tonfi lontani, quindi la voce di L: “Corri qui!”

Pur non capendo, Negi eseguì l’ordine e correndo scese al piano sottostante, vide L che gli faceva cenno di andare verso le scale, e una volta raggiunte L lo mise dietro di se e scesero di un piano.

Dopo un po’, udirono una porta aprirsi, dei passi, un ‘Mah!’ e la porta che si chiudeva.

Ritornarono al piano superiore.

“Bene” commentò L “Ora voglio che correndo fai il percorso inverso. E quando passi davanti alla porta di Masters, bussa forte e grida aiuto. Poi scappa fino all’appartamento di Takamichi”.

Negi era sempre confuso, ma obbedì ancora.

Scattò in avanti, si fermò alla porta di Masters, batté forte gridando: “Aiuto! Mi aggrediscono! Aiuto!” e poi corse fino al piano superiore, fermandosi col fiatone davanti alla porta di Takamichi.

Poco dopo, sentì leggermente la porta di Masters aprirsi, poi un’imprecazione, probabilmente, e infine la porta che si chiudeva bruscamente.

L raggiunse Negi, con in bocca un nuovo leccalecca. “Afufa è fuafi fifufafenfe fiffofenfe”.

“Eh?!”

L si tolse il leccalecca. “Scusa. Il gusto ciliegia mi aiuta molto. Dicevo che quasi sicuramente Asuna è innocente”.

“Quasi?! Davvero?”

“Be, esiste un 1% di possibilità contrarie, comunque penso proprio che lo sia”.

“E su cosa si è basato?” domandò Negi.

Sprizzava una confusa euforia da tutti i pori.

“I testimoni non sono attendibili” riprese L “Partiamo dal primo e più importante testimone: Chisame Hasegawa.


Orbene, Chisame Hasegawa è miope. Non è in grado di distinguere bene le figure oltre una certa distanza. Infatti non è riuscita a riconoscere noi due nonostante prima, sul tetto, fossimo a solo quaranta metri di distanza da lei. Mentre le persone in basso sono riuscite a riconoscerci nonostante fossero a ben ottanta metri di distanza. Quando poi ha aperto la porta davanti a me ho riconosciuto sul suo naso i segni, leggeri, degli occhiali.

Non ha riferito alla polizia questo particolare a causa della sua carriera: Chisame Hasegawa tiene molto alla sua bellezza, al suo apparire, ritiene che gli occhiali stonino troppo. Per questo cerca di tenerli nascosti. Sul lavoro e fuori casa usa delle lenti a contatto. Indossa occhiali solo quando è in casa e anche in quel frangente fa sempre attenzione a non farsi beccare mentre li ha indosso. Neppure se deve affacciarsi alla finestra. O se ha di fronte un bambino che desidera solo un autografo. Per lo stesso motivo è impossibile che qualcuno possa sapere di questo suo difetto.

Sono sicuro che lei ha visto effettivamente qualcosa quella sera, ma si trattava di una sfocata figura bianca che colpiva un’altra figura sfocata.

E’ stato il litigio che afferma di aver udito prima del delitto a rafforzare la sua sicurezza di poter testimoniare tenendo nascosto il suo problema.

Lo stesso riguarda Ken Masters, perché ha la stessa mentalità, lo stesso desiderio di apparire perfetto per non perdere pubblico.

E grazie anche al riserbo con cui ha circondato la sua vita privata, nessuno immagina che l’incidente di un anno fa ha lasciato invece il segno, sulla sua gamba destra.

Ho esaminato la sua cartella clinica e scoperto che se prova a camminare normalmente, in teoria ci riesce, ma a prezzo di dolori lancinanti. Per questo fa incetta di antidolorifici quando deve apparire in tv, lo sportivo dell’anno non può permettersi di farsi vedere zoppicare.

Quando è in casa, la faccenda è diversa, si rilassa e non usa gli antidolorifici.

In tal caso però, è obbligato a zoppicare, quindi la sua velocità diminuisce.

Una persona che corre dall’appartamento di Takamichi fino alle scale di questo piano, ci impiega dai ventotto ai trenta secondi.

Masters per arrivare alla porta ci ha messo la prima volta quarantasette secondi, scesi a quaranta quando sembrava che ci fosse un’emergenza. Quindi mi risulta difficile credere che la notte dell’omicidio sia riuscito a intravedere la figura dell’assassino o assassina. Al massimo può aver sentito qualcuno scendere lungo le scale.

Anche lui ha creduto di poter testimoniare venendo convinto dal litigio udito prima.

E inoltre, conosceva i dettagli perché glieli ha rivelati Hasegawa. Stando al rapporto della polizia, i due si sono presentati insieme al commissariato. Probabilmente lei ha detto a lui cosa ha visto, permettendo quindi a Masters di avere dei particolari da riferire. E lui ha riferito le stesse cose di Hasegawa, usando le stesse parole.

La loro testimonianza, unita alla visione dei filmati della festa, ha fatto fare uno sbagliato due più due alla polizia”.


“Incredibile” mormorò Negi “Ma se quei due non erano testimoni attendibili, perché diavolo hanno testimoniato?”

“Dovere di bravi cittadini. Una buona cosa, che purtroppo in loro è stata contaminata dal divismo” spiegò L.

“Se le cose stanno cosi, allora possiamo far scagionare Asuna!”

“Meglio di no, per ora”.

Negi rimase di sasso. “E perché?”

“E’ tutto troppo studiato. Non trovi strano che due personalità famose, entrambe con degli handicap e molto attente alla loro fama, pronte anche a mentire ‘innocentemente’ pur di non danneggiare quest’ultima, si siano trovate nello stesso momento ad essere testimoni dello stesso delitto? Qualcuno una volta disse che due coincidenze fanno un indizio. L’indizio è che Asuna è stata incastrata”.

“Incastrata? Non può essere. Chi può avere interesse a farla finire in prigione?”

“Lo scopriremo. Comunque, dato che qualcuno trama nell’ombra contro Asuna, allora è meglio se resta in prigione, dove sarà al sicuro. Farla tornare in strada potrebbe renderla un bersaglio. Non dimentichiamo che comunque c’è un assassino in questa storia”.

“Mi sa che ha ragione” ammise Negi chinando il capo. Gli occhi caddero sull’orologio. “Cavolo! Il secondo film sta per finire! Devo tornare al cinema”.

“Ci vediamo domani, stesso luogo e stessa ora. Indagheremo su come Asuna è finita a quella festa” disse L tirando fuori un altro leccalecca.

Negi annuì e corse via.


Sullo schermo avevano cominciato a scorrere i titoli di coda.

E Kotaro aveva iniziato ad innervosirsi: dove era finito Negi?

Probabilmente se la stava prendendo troppo, in fondo erano solo due ragazzini in un cinema.

Però quella era una faccenda di omicidio, quindi non voleva correre alcun rischio.

Finalmente dal suo cellulare arrivò uno squillo con il numero di Negi.

Sollevato, Kotaro si alzò alla chetichella e si diresse verso la porta d’emergenza, l’aprì ed entrò trafelato Negi.

Ritornarono ai loro posti e le luci in sala si riaccesero nell’istante in cui si sedettero.

Kotaro fece un sospiro di sollievo. “Uff, per un pelo. Come è andata?”

“Bene. Molto bene” rispose raggiante Negi.


Nota dell'autore: l'idea dei due testimoni invalidi e ingannati dal litigio l'ho presa dal bel film 'La parola ai giurati' con Jack Lemmon.

  
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