“Sapete
cosa succederà se vi
scoprono?” Chiese Karol con aria spaventata guardandosi
continuamente attorno. “Sapete
cosa farebbero a me se vi
scoprissero?” Chiese con un sussurro cercando di far
ragionare quella maledetta
ragazza che l’aveva cacciata in quella situazione.
“Karol,
smettila.” Rispose
duramente Abigail. Da appena due ore erano in cammino e lei continuava
con
quella tiritera. “Qualsiasi cosa, oramai siamo partite e
arriveremo fino in
fondo.” Disse convinta. “Credi che sarei rimasta da
sola in accampamento?”
Karol si
fermò per un momento,
guardando quella ragazza decisa e determinata. Scosse la testa,
sbuffando. “Io
non capisco proprio perché voi vogliate cacciarvi in questo
guaio. Farei cambio
con la vostra vita, molto volentieri.” Confessò
amaramente. “E perdonatemi la
franchezza.” Aggiunse ricominciando a camminarle al fianco.
“Karol,
credi che sia una
stupida capricciosa?” Chiese Abigail infastidita.
“Non sono fatta per rimanere
in casa a guardare la vita che mi passa davanti. So
che loro hanno bisogno di me e soprattutto, non sarei andata a
quel maledettissimo the neanche dopo morta.”
Karol
rollò gli occhi,
incapace di aggiungere altro, consapevole che parlare con quella
ragazza era
parlare come davanti ad un muro. Non capiva, non c’era nulla
da fare. Lei
intanto, continuava a camminare con il cuore in gola, spaventata,
terrorizzata
che qualcuno potesse riconoscerla.
Abigail quella
mattina si era
presentata nella sua stanza, obbligandola a trovarle dei vestiti per
partire
insieme a tutto l’esercito. Non voleva abbandonare suo padre,
sapeva che
sarebbe stato pericoloso. Erano state inutili tutte le sue lamentele e
le sue
proteste, quella ragazzina era più cocciuta di un mulo.
Il sole era alto
nel cielo,
eppure l’aria era gelida e sferzante e nonostante Karol le
avesse dato i
vestiti più pesanti che aveva, Abigail si sentiva gelare fin
dentro le ossa.
Una voce dentro di lei, le diceva che era stata una stupida a partire,
che se
ne sarebbe dovuta rimanere a casa, ma oramai, era davvero impossibile
tornare
indietro.
Formavano una
lunga comitiva,
lei con Karol era circondata da altre ragazze, cuochi e principalmente
fanti
che camminavano scortati dalla cavalleria. Abigail sapeva che suo padre
era su
un carro verso l’inizio della lunga fila che loro formavano,
quindi si poteva
dire abbastanza al sicuro. Nessun altro avrebbe potuto riconoscerla in
quelle
vesti.
Se
all’inizio era rimasta
affascinata dal folto bosco in cui il sentiero si diramava, ora non era
altro
che nauseata dal monotematico sfondo del loro cammino. Sembrava tutto
uguale e
sembrava che non procedessero mai.
Per di
più cominciava ad
essere già stanca e ad avere sete, ma non
l’avrebbe mai dato a vedere, per
nulla al mondo. Aveva deciso di partire, perché sarebbe
stata più tranquilla al
fianco di suo padre e soprattutto più a suo agio in quella
situazione che fra
bei vestiti ed educate signore, dove avrebbe dovuto controllare ogni
posa, ogni
atteggiamento, il tono della voce, avrebbe dovuto calibrare le sue
risposte, in
pratica, avrebbe dovuto nascondere sé stessa dietro una
maschera di convenzioni
sociali.
“Wilkins…,”
disse una voce a
lei nota. Svelta si coprì il volto con il cappuccio e
fissò lo sguardo a terra.
Il cuore batteva velocemente nel petto, aveva avuto
difficoltà a scordarsi
quello che era successo la sera prima. “Prendete una decina
di uomini e andate
in avanscoperta.” Ordinò gelida la voce del
Colonnello Tavington.
Abigail
ascoltò il rumore di
zoccoli muoversi veloci e seppe che poteva alzare finalmente lo sguardo
su di lui. Lo guardò
allontanarsi in
controluce, solo una figura buia stagliata contro il Sole accecante.
Una strana
sensazione l’avvolgeva e non avrebbe saputo dire cosa fosse.
* * *
Il rumore era
assordante. Un
fischio continuo le inondava l’udito e la ragazza non poteva
distinguere nulla
nella polvere che i cannoni innalzavano quando colpivano il terreno.
Urla e
grida erano la sinfonia di sottofondo, il contorno
all’accompagnamento
stridente di lame sguainate che si scontravano per la sopravvivenza,
accompagnate da percussioni continue ed incessanti che erano i colpi di
fucile
e di pistola.
I cavalli
nitrivano impazziti,
lanciandosi verso una morte quasi sicura se non certa. C’era
confusione,
confusione su tutto il campo di battaglia.
Lei osservava
quel
disfacimento con le mani che coprivano le orecchie, il volto deformato
da una
contorta espressione di dolore e alcune lacrime le rigavano le guance.
Non
aveva mai visto tanto orrore. Poteva distinguere i corpi degli uomini
che
cadevano a terra caduti e i sopravvissuti ad un duello morire
dolorosamente per
mano di un altro. Non sembrava mai avere fine.
La cavalleria
era stata la
prima a lanciarsi all’attacco, mentre i fanti avevano
avanzato lentamente,
protetti da un fuoco di copertura, ma ben presto la battaglia si era
fossilizzata e si procedeva per meri metri, accumulando cadaveri sul
suolo già
insanguinato.
Lei era
lì, ferma in un
angolo, impotente. Non poteva fare altro che guardare quel disfacimento
e
pregare perché nessuno di quelli a cui teneva si facesse
male. Sperava che
Harcourt, Bordon, Tavington e gli altri, rimanessero incolumi, per
miracolo.
Fortunatamente
sapeva che suo
padre non era in mezzo a quel massacro, altrimenti, non sarebbe rimasta
lì un
attimo di più.
Karol al suo
fianco l’abbracciava,
cercando a sua volta conforto di fronte a quell’assenza di
umanità. C’erano
solo bestie sul campo di battaglia, unicamente bestie.
* * *
Lui non sentiva
alcun rumore.
Percepiva solo il suo corpo, i suoi muscoli tesi nella battaglia. Il
volto,
concentrato, era madido di sudore, eppure il Colonnello non provava
alcuna
stanchezza mentre abbatteva un colpo su un ribelle.
Inspirava
velocemente, dando
tempo a sé stesso di recuperare le forze e percepiva
l’adrenalina scorrere nel
sangue pompato velocemente dal cuore in tutte le parti del suo corpo.
Il cervello
lavorava
meccanicamente, in modo veloce, quasi disumano. Calcolava, senza che
lui avesse
bisogno di pensare e agiva di conseguenza, garantendogli vittoria sul
nemico.
Il suo cavallo
era stato
abbattuto e lui si era ritrovato nel bel mezzo della battaglia. Avevano
colto i
ribelli di sorpresa, ma erano decisamente troppi, temeva riguardo le
sorti
della battaglia.
Si
scansò, appena in tempo. L’uomo
al suo fianco cadde al suolo, morto. Una pallottola l’aveva
sfiorato. Digrignò
i denti, impugnò l’arma e restituì il
colpo, ben attento a non mancare il
bersaglio.
* * *
“Signorina
Fox, no!” esclamò
Karol bloccandola per il polso. Abigail si scrollò via da
quella stretta.
“Karol,
non ricominciare.”
Replicò decisa la ragazza. Imbracciava delle bende ed una
borraccia d’acqua ed
era pronta a dirigersi verso il campo di battaglia per dare una mano a
quei
poveri moribondi che stavano soffrendo. La battaglia aveva ricevuto una
battuta
d’arresto e i feriti erano rimasti sul campo.
“E’
pericoloso, non ve lo
permetto!” esclamò altrettanto decisa lei.
“Quelle
persone hanno bisogno
di aiuto!” Rispose Abigail con voce rotta, non poteva
sopportare di vedere
tanto dolore e tanta distruzione. “Hanno bisogno di cure,
dovremmo lasciarli lì
a morire?” Chiese lo sguardo teso verso Karol.
La donna non
rispose, serrando
la mascella, preoccupata. La ragazza aveva dannatamente ragione e se
non si
fosse trattato di lei non avrebbe esitato a dare una mano, ma se fosse
successo
qualcosa ad Abigail, Karol non se lo sarebbe mai potuto perdonare,
oltre al fatto
che il signor Fox non gliel’avrebbe mai perdonato.
Però,
forse, non sarebbe
successo nulla.
“Siete
cocciuta.” Disse Karol
cominciando a discendere la collina verso il campo di battaglia. Un
sorriso
compiaciuto si dipinse sul volto di Abigail. “Lo
so.” Commentò la ragazza
soddisfatta.
Abigail non
aveva mai visto
uno spettacolo più orrendo e devastante. Corpi si
ammassavano l’uno sull’altro
e non si potevano distinguere quelli ancora vivi da quelli morti. Erano
tutti
distesi a terra, in posizioni innaturali, spesso privi di parti del
corpo come
una gamba, un braccio… Espressioni di terrore erano dipinte
sul volto, pura
paura si stagliava negli occhi per la maggior parte ancora aperti.
La cosa che
più l’aveva
colpita era l’odore del sangue. Era penetrato prepotentemente
nelle narici e lì
era rimasto, stagliato, a ricordarle l’orrore in cui si era
addentrata. Sangue
misto a fuliggine. Odore, distillato di morte.
Si
rimboccò le maniche del
vestito che indossava e si chinò sul primo sopravvissuto che
aveva incontrato.
Era ridotto malissimo e mormorava cose senza senso. Dapprima gli
pulì le
ferite, ma non c’era nulla da fare, quindi si
limitò a stargli accanto,
sussurrandogli parole di conforto.
Fu la prima
persona che le morì
fra le braccia e non fu l’unica. Gli chiuse gli occhi,
sperando con tutta sé stessa,
nel modo più veritiero, che si trovasse veramente in un
posto migliore, ma ne
dubitava.
Lei e Karol
stavano agendo in
una zona lontana dal loro accampamento, per paura di essere scoperte e
si erano
divise i feriti in un tacito accordo.
Abigail si stava
giusto
occupando di un giovane che pregava per sua madre, quando
d’un tratto trasalì.
“Non
urlare.”
Qualcosa di
metallico si
appoggiò sulla sua tempia. Abigail deglutì; anche
se avesse voluto, non avrebbe
avuto la forza di urlare.
Le bende bagnate
ed
insanguinate che stringeva fra le mani caddero al suolo.
“Alzati.”
Ordinò quella voce
fredda e roca alle sue spalle.
Abigail
ubbidì, cercando di
placare quel battere convulso del suo cuore nel petto e si
voltò. Un uomo le
puntava alla testa una pistola. Indossava degli stracci logori e
consumati.
Aveva un’espressione stanca, numerose ferite gli contornavano
il viso ed il
corpo. Aveva lunghi capelli marroni, poco curati, come il resto del suo
corpo.
Era un ribelle.
“Ora
seguimi, sporca puttana.”
Disse indicando il bosco buio.
* * *
Se fosse stato
per Karol, non
sarebbero mai scese a dare una mano a quei dannati feriti, ma la donna
aveva
ubbidito ad Abigail, quella cocciuta ragazza, che era sicura prima o
poi si
sarebbe cacciata nei guai.
E ora aveva il
terrore fosse
successo davvero. L’aveva persa di vista poco tempo prima e
non aveva idea di
dove poteva essersi cacciata.
La
chiamò a gran voce per un
po’, prima di iniziare a preoccuparsi seriamente.
* * *
“Non
è un ottimo risultato per
il momento.” Commentò duramente il Generale
O’Hara dando le spalle al
Colonnello.
Tavington
serrò la mascella,
offeso dal comportamento del Generale, punto nell’orgoglio.
“Signore, abbiamo
fatto del nostro meglio.” Disse fra i denti. Non si era
ancora ripulito da
quella battaglia e sentiva ancora l’odore del sangue sui suoi
vestiti. “Riprenderemo
l’attacco non appena avremo riorganizzato le forze.”
“Conto
sul fatto che sia più
efficace di questo.” Aggiunse O’Hara, scrutando la
cartina davanti ai suoi
occhi, troppo irato dall’audacia e temerarietà del
Colonnello che aveva
condotto quell’attacco in modo troppo avventato.
“Signore,
l’effetto sorpresa
era necessario-…”
“L’effetto
sorpresa ci ha fatto
perdere numerosi uomini!” esclamò il Generale
sbattendo il pugno violentemente
sul tavolo. “Ora fuori di qui.” Ordinò
poi glaciale.
Tavington dopo
aver fatto il
saluto, girò i tacchi e a grandi passi si diresse verso
l’uscita della tenda. L’irritazione
lo avvolgeva completamente.
* * *
“D-dove
mi state portando…?”
Mormorò Abigail, quella pistola puntata ancora contro la
schiena.
“Sta
zitta e cammina!” Ordinò
rude l’uomo spingendola in avanti. Per poco Abigail non cadde
al suolo. “Saremo
contenti di avere una in più di voi.”
“N-Noi?”
Ripeté la ragazza
leggermente sconcertata.
“Sì,
voi.” Rispose il colono
stringendole il mento fra le mani ruvide e callose. “Voi puttane.” Sussurrò
rivolgendole uno sguardo voglioso.
Il cuore di
Abigail perse
qualche battito. “Io non sono una-…”
“Sì,
dite tutte così all’inizio.”
Rispose serafico l’uomo, “Ora cammina!”
Ordinò nuovamente spingendola in
avanti. La ragazza cadde carponi a terra, l’uomo la spinse
avanti con un
calcio. “Muoviti!” Esclamò violentemente
prendendola per un braccio e
rimettendola sui proprio piedi.
* * *
“Capitano
Bordon! Capitano
Bordon!”
Il Capitano
Edward si voltò al
suono di quella voce femminile che lo chiamava. Poteva riconoscere
Karol a
miglia di distanza. La donna si avvicinava verso di lui, correndo,
preoccupata.
“Cosa
ci fai qui?” chiese lui,
rabbioso. Aveva paura, paura che le potesse succedere qualcosa.
“Edward…”
Disse lei con le
lacrime agli occhi, mentre lentamente riprendeva fiato. “L-la
figlia del
dottore è scomparsa-…”
Mormorò.
Edward
scrutò quei grandi
occhi marroni. “Cosa stai dicendo? La signorina Fox
è all’accampamento.”
Replicò duramente.
Karol scosse la
testa. “Siamo
venute qui entrambe, lei non voleva abbandonare il padre. E’
scappata di
nascosto, ma ora non la trovo. Non può essersi allontanata
così tanto da sola,
credo sia stata rapita…”
“Perché
diamine le hai
permesso di venire qui!” Esclamò rabbioso Bordon
chiedendole spiegazioni.
“Non
è questo il momento,
Edward!” Replicò altrettanto duramente la donna,
cercando di farlo ragionare. “E’
in pericolo, credo sia stata rapita.” Mormorò
terrorizzata.
Bordon
imprecò numerose volte.
Piegò la testa verso il cielo, chiedendosi se potesse andare
peggio. “Vieni,
non resta che dirlo al Generale.”
“No!”
Si impose Karol, “Non
possiamo dirlo al Generale, suo padre non può venirlo a
sapere, è un patto che
ho fatto con lei. La capisco. Devi occupartene tu, Edward.”
Lo pregò la donna,
sapeva che altrimenti le cose si sarebbero messe male per Abigail e la
ragazza
non l’avrebbe mai perdonata.
“Io
non posso fare niente,
Karol. Bisogna dirlo a qualcuno.” Sussurrò piano.
“Tavington?” Propose alzando
un sopracciglio.
* * *
Abigail non
seppe per quanto
camminarono in quell’intricato sentiero di rami e foglie e
l’attesa per lei fu
ancora più snervante per la profonda paura in cui era
immersa fin da quando l’uomo
le aveva puntato alla testa quella dannata pistola.
Quella volta si
era seriamente
cacciata nei guai e non poteva tornare indietro. Se suo padre ne fosse
venuto a
conoscenza e lei era ancora in vita, ci avrebbe pensato lui ad
ammazzarla.
Era terrorizzata
e sperava in
qualche modo di riuscire a cavarsela. Si guardava attorno, in cerca di
una via
di fuga, ma non poteva fare a meno di ricordarsi che
quell’uomo aveva la
pistola, mentre lei era disarmata ed inoltre, non conosceva per nulla
quei
boschi, mentre il suo rapitore, sembrava conoscerli a menadito.
Cosa doveva fare
allora?
Aspettare e soccombere?
Quell’uomo
l’aveva chiamata puttana
e dal tono con cui le aveva
parlato, Abigail era consapevole che lui non stava scherzando. Come
avrebbe
fatto a salvarsi ora che era completamente sola?
Chiuse gli occhi
cercando di
non pensare e per poco non inciampò. Riaprì
velocemente le palpebre, quando in
mezzo alla radura si aprì uno spiazzo. C’erano
numerose case nascoste nel cuore
del bosco, un accampamento di coloni.
“Muoviti.”
Disse rude il suo
rapitore dandole uno spintone per farla proseguire. Abigail
obbedì, sempre più
terrorizzata.
Fu gettata in
una stanza buia.
Una cella.
Protestò,
urlando, ma tutto fu
vano. Degli uomini la spinsero dentro deridendola e chiusero la porta,
assicurandola con un potente catenaccio.
La ragazza si
abbandonò sulle
sbarre, lasciando scendere le lacrime che tutta quella tensione le
aveva
procurato.
Cos’avrebbe
fatto ora, sola?
Si chiese se
qualcuno sarebbe
venuto a cercarla, ma dubitava che loro riuscissero a trovare la via
fino a
quel posto. Vi sarebbero potuti incappare per caso, ma quante erano le
probabilità che ciò avvenisse?
“Il
brutto è la prima notte.”
Una voce la fece
sussultare.
Era una voce femminile e proveniva dalla stessa stanza in cui era stata
rinchiusa.
“Poi
vedrai che ti passerà.”
Se la donna che
aveva parlato,
aveva cercato di esserle di conforto, di certo non c’era
riuscita.
Un
ringraziamento
speciale a ragazzapsicolabile91,
grazie mille di seguirmi con così tanta
assiduità! P.S. scusate a tutti per il
ritardo, non accadrà più, promesso! Mi sono
portata avanti con tutte le fic e
al momento ero sotto esami, quindi, al prossimo capitolo che
giungerà molto, ma
molto presto!
Un
bacio,
Mahoney*