Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Beatrix Bonnie    07/09/2010    2 recensioni
"Mio padre diceva sempre che un giorno la grandezza di Roma sarebbe dipesa da quei pochi valorosi pronti a difenderla a costo della vita. Ecco, io credo che quel giorno sia arrivato."
L'epocale saccheggio della città di Roma del 386 ac ad opera dei galli di Brenno, riletto attraverso gli occhi di un giovane sognatore plebeo.
Genere: Azione, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Historia docet'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Liber VI




Magis naturae industria hominum

quam vis aut tempus deest.


Alla natura umana, più che la forza o il tempo,

manca la volontà di agire.

C. Sallustio Crispo







Una mattina all'alba, circa dieci giorno dopo l'arrivo di Camillo, Veiano corse a svegliare Lucio perché tre uomini erano giunti alle pendici dei Campidoglio con una bandiera bianca in segno di pace. Quando i romani avevano realizzato che Camillo non aveva alcuna intenzione di assumere il comando, erano tornati a rivolgersi a Lucio, che sembrava avere le doti del capo.

Lucio si svegliò di soprassalto e ci impiegò parecchio tempo per capire dove fosse. -Lucio, c'è un'ambasciata.- lo informò Veiano, scuotendolo leggermente. Il ragazzo si alzò e si stropicciò gli occhi. Per cercare di svegliarsi, si gettò addosso una secchiata di acqua, visto che, grazie al pozzo, quella certamente non mancava. Alla fine si decise ad incontrare i galli: si portò alla palizzata, accompagnato da Veiano e Fabio Dorsuone. In un angolo, Lucio vide Camillo, appoggiato al suo immancabile bastone ricurvo e con il suo solito sorrisetto indecifrabile stampato in faccia.

I tre uomini che erano arrivati al Campidoglio per parlamentare, erano due galli dalle dimensioni enormi e un tremante etrusco del nord, che sapeva biascicare qualche parola di latino. Il traduttore era certamente stato catturato nella grande pianura a nord del Po e fatto schiavo dai galli; aveva la barba sfatta e disordinata, la tunica strappata in più punti, ma ciò che più colpì Lucio furono i suoi occhi inquieti, infossati nel cranio, eppure sbarrati e ansiosi si cogliere tutto quello che stava attorno.

-Sei tu il capo?- gli chiese l'interprete, sfregandosi nervosamente le mani. Lucio evitò di rispondere alla domanda. Non era sicuro di essere ancora il capo, o di esserlo mai stato. -Dimmi qual è la proposta del tuo padrone.- disse sbrigativo: era sicuro che i galli volessero venire a patti per tentare di sbloccare la situazione. L'omino, si guardò introno dubbioso prima di rispondere. -Oro. E i galli vanno via.-

-Quanto?-

-Duemila libbre.- rispose l'interprete. Lucio scoppiò in una risata sadica. -Duemila libbre? Spero tu stia scherzando!- gli fece eco. Era un'enormità d'oro. -Duemila libbre e i galli se ne vanno.- continuò l'omino, sfregandosi nervosamente le mani. Lucio era sicuro che non sarebbe riuscito a cavargli di bocca altre parole, forse perché non ne conosceva altre. -Torna qui, domani all'alba e ti dirò cosa abbiamo deciso.- gli disse e poi rientrò nel forte seguito da Fabio e Veiano.

Lucio indisse una nuova riunione nel tempio di Giove, per decidere il da farsi. Spiegò agli assediati la situazione e attese le loro reazioni. -Duemila libbre sono un'immensità d'oro!- protestò Manilo, suscitando mormorii d'assenso. -Non dovremmo arrenderci ora che abbiamo scoperto il cunicolo.- aggiunse Fabio. La situazione sembrava essere a loro vantaggio, eppure se avessero pagato il riscatto, i galli se ne sarebbero andati per sempre, loro sarebbero stati salvi e Roma di nuovo libera. Poteva significare la fine di quell'incubo. Qualcuno lo fece notare e si scatenò il pandemonio: chi era favorevole alla resa, chi era contrario, tutti gridavano e dicevano la loro.

Ad un certo punto Camillo alzò un braccio e il tempio piombò nel silenzio. Nonostante tutti avessero ormai capito che l'eroe di Veio non aveva alcuna intenzione di aiutarli, la sua figura emanava ancora una certa autorità. -Spetta a lui decidere.- disse, puntando il dito contro Lucio. Il ragazzo sgranò gli occhi stupito. -A me?- farfugliò. Camillo si alzò dall'angolo buio del tempio dove si era rannicchiato e gli si avvicinò per mettergli una mano sulla spalla. -Sei tu l'imperator, no? In questa assemblea non si arriverà mai ad una decisione. Devi prenderti tu l'onere della scelta.-


Per tutto il giorno Lucio girovagò senza meta per il Campidoglio, assalito da mille dubbi per il peso della decisione che doveva prendere. Ogni tanto gli si avvicinava qualcuno, per chiedergli se avesse già scelto, o per dargli il suo consiglio. Lucio era così frustrato da quella situazione che andò a nascondersi in un angolo buio dietro il tempio di Giove, sperando che nessuno lo seguisse fin lì. Restò accovacciato all'ombra per tutta la giornata, senza nemmeno osare allontanarsi per mettere qualcosa sotto i denti, ignorando i brontolii del suo stomaco vuoto.

Ad un certo punto vide una figura che avanzava verso di lui appoggiandosi ad un bastone ricurvo. -Che vuoi?- lo aggredì, quando Camillo si sedette al suo fianco. Era colpa di quell'uomo se ora si trovava in quella penosa situazione. Camillo sorrise accondiscendente. -Avanti, giovanotto, non prendertela con me. Io diffido di quelle baggianate democratiche: molto meglio uno solo che ha il potere per fare le scelte giuste.-

-È per questo che te ne sei andato in esilio? Be', mi dispiace deluderti, ma Roma è una repubblica, e resterà tale per sempre!- rispose Lucio con veemenza. Camillo distolse lo sguardo e sospirò. Per qualche tempo nessuno dei due disse nulla, poi Camillo si voltò nuovamente verso di lui. -Mi rivedo in te, quando ero giovane: lo stesso folle entusiasmo per la patria illumina i tuoi occhi. Ma non ne vale la pena di sacrificarsi per Roma, è una città corrotta.- sussurrò Camillo, la luce di una fiaccola lontana che creava strani giochi di luce sulla sua fronte ampia e sul volto scavato. Lucio fissò l'abisso di quegli occhi scuri, che sembravano scrutarlo in cerca di chissà cosa. -Non è mai tardi per tentare di redimerla.- esclamò con sicurezza. Non aveva ancora vent'anni, aveva bisogno di credere in qualcosa, di sperare in un futuro migliore. Camillo gli afferrò il braccio d'impulso e lo avvicinò a sé, tanto che Lucio fu spaventato dal suo sguardo penetrante. -Ragazzo! Tu ti sacrificherai per salvarla, ma quando l'avrai fatto, lei si dimenticherà di te! È un'ingrata e non si merita la tua vita.-

-Non lo faccio perché il mio ricordo sia perpetuato ai posteri.- sussurrò Lucio con la fronte aggrottata, tentando di liberarsi dalla stretta di Camillo. -E allora perché lo fai? Per dimostrare che anche se sei plebeo, vali quanto un patrizio?- Camillo lo lasciò andare e si voltò a guardare le danze del fuoco. Lucio non rispose a quella provocazione. Forse il vecchio aveva ragione, lo stava facendo solo per dimostrare il suo valore agli altri e a se stesso. Camillo tornò a fissarlo. Nella sua voce c'era la stessa amarezza di sempre. -Quando l'avrai salvata si dimenticherà di te, ti cancellerà, non vorrà avere debiti con nessuno... tanto più con un plebeo.-

Camillo aveva ragione, ma quelli erano i rimpianti di un vecchio musone senza più nulla in cui credere. Lucio invece era giovane e pieno di speranza, non gli importava di essere ricordato, non gli importava di dimostrare il proprio valore: sapeva solo che doveva utilizzare tutte le sue energie per cercare di migliorare la sua amata patria, in modo da non arrivare all'età di Camillo pieno di rimpianti per non averci provato. Se avesse fallito nel tentativo, almeno non si sarebbe potuto rimproverare di essere restato con le mani in mano.

-Perché, dimmi perché sei venuto.- domandò Lucio con ritrovato vigore. Camillo sorrise, quel suo solito sorriso indecifrabile. -Io ci devo essere, capisci?-

-No, non capisco.- rispose Lucio, scuotendolo la testa. -Spiegami tu.- L'uomo, l'eroe di Roma, si alzò in tutta la sua gloriosa fierezza. -Tu stai facendo la storia, figliolo. E io sono Marco Furio Camillo, per Ercole! Il pater patriae! Io sono romano e devo essere a Roma quando questa cadrà o abbatterà i suoi nemici.-

-A te non interessa se riusciamo a salvare la città!- lo accusò Lucio, alzandosi in piedi anche lui. -Gli imperi sorgono così come crollano. L'importante non è quello che accadrà, ma esserci.-

Lucio si alzò da quell'angolo e scappò via di corsa, con le parole assurde di Camillo che gli rimbombavano nelle orecchie. Era follia, pura follia. Aveva bisogno di stare da solo per riflettere, doveva trovare un posto dove nessuno avrebbe potuto disturbarlo. Avrebbe voluto andare sui gradini del tempio di Diana, da dove poteva osservare la città di Roma che si estendeva ai suoi piedi. Quasi per caso pensò al tetto: da lì avrebbe avuto una visuale meravigliosa e certamente nessuno avrebbe potuto raggiungerlo. Si arrampicò sul retro del tempio, che non era troppo alto, e riuscì a raggiungere le tegole rosse della cima. Per fortuna la sera portava con sé un minimo di frescura grazie al venticello che soffiava dal mare. Lucio si appollaiò sul tetto e osservò il paesaggio: il campo dei galli era illuminato da numerosi fuochi, ma la luce non era abbastanza forte da offuscare la luminosità delle stelle. Lucio rimase là sopra a riflettere per tutta la notte. Solo alle prime luci dell'alba, quando i raggi del sole cominciarono a colorare di rosa i profili delle colline e i tetti delle case di Roma, Lucio si decise a scendere.

-Dov'eri finito?- chiese qualcuno alle sue spalle. La voce di Papiria lo riscosse dai suoi pensieri. Lucio si stropicciò gli occhi e fece un mezzo sorriso: la stanchezza per aver passato la notte insonne cominciava a farsi sentire. -Ti ho cercato tutta la notte!- protestò la ragazza, abbracciandolo stretto per sfogare l'ansia che l'aveva assalita. Lucio ricambiò l'abbraccio e si lasciò inebriare dal profumo dei capelli di Papiria.

-Lucio!- lo chiamò Veiano, correndogli incontro. I due ragazzi si sciolsero dall'abbraccio e Lucio si rivolse al suo amico. -Sono arrivati i galli.- gli disse Veiano, accennando con il capo alla palizzata. Era giunto il momento.

Lucio si diresse senza esitazione verso il suo destino. Dalla sua risposta sarebbero dipese le sorti di Roma e di tutti i suoi cittadini. Sì, stava facendo la storia.

L'interprete era nervoso come il giorno prima. Sembrava temere i romani almeno quanto temeva i galli. -Capo?- gli chiese con vocetta ansiosa, quando vide arrivare Lucio accompagnato da Veiano, Fabio e Papiria. Questa volta Lucio non ebbe esitazioni. -Sì, sono io.- Gli occhi incerti dell'etrusco, lo esortarono a dare una risposta, visto che a quanto pare non era in grado di dire in latino altre parole oltre a quelle che aveva già pronunciato.

-Riferisci al tuo padrone che rifiutiamo la sua offerta.- disse Lucio con sicurezza. L'interprete lo fissò con gli occhi sgranati.

-Vuol dire no.- precisò Veiano con un sorriso furbo.

-Roma non emitur!- esultò Fabio.

Roma non si compra. Avrebbero resistito.



Ecco, questo è il mio capitolo preferito! Adoro Camillo e Lucio messi a contrasto; poi, lo so che l'ho scritta io, ma la frase “Gli imperi sorgono così come crollano. l'importante non è quello che accadrà, ma esserci.” mi gasa un sacco! Lasciatemi dire che è epica! XD

Al prossimo capitolo, Beatrix

@darllenwr: no, i galli non erano certo preparati ad un assedio, quindi sono stati costretti a prendere gli assediati per fame. Una tattica che si rivelerà più che efficace in effetti. Credo comunque che Papiria fosse rimasta affascinata da Lucio appena lo aveva visto in casa sua e ora non rimpiange certo il marito: forse all'inizio lo amava anche, ma Crasso non era affatto il tipo giusto per lei. Manilo non è affatto interessato al bene comune, anzi! È per quello che Lucio lo odia tanto. Il personaggio di Camillo è il mio preferito, perché è incredibilmente sfuggente e complicato; in questo capitolo si è un po' delineata la sua psicologia e il motivo per cui ha deciso di raggiungere gli assediati (“ Tu stai facendo la storia, figliolo. E io sono Marco Furio Camillo, per Ercole! Il pater patriae! Io sono romano e devo essere a Roma quando questa cadrà o abbatterà i suoi nemici.”): ho voluto dargli una sorta di “coscienza storica”, lui vuole esserci perché sa che quel momento sarà ricordato per sempre in futuro e il suo nome deve comparire nei libri di storia. Non gli importa cosa accadrà, l'importante è esserci! A presto!

@Julia Weasley: sono contenta che ti piacciano i personaggi e che odi Manilo (l'ho reso odioso apposta!). Mi diverto un sacco a scrivere racconti storici proprio perché si possono narrare come “romanzi” tutte quelle notizie che si studiano a scuola. Spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo, perché è quello a cui tengo di più! A presto!

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Beatrix Bonnie