Pazze
da morire.
Diventi rossa se qualcuno ti
guarda
e sei fantastica quando sei assorta
nei tuoi problemi,
nei tuoi pensieri.
(Albachiara - Vasco Rossi)
Si
sedette svogliatamente sul banco –quello vicino alla finestra,
nella seconda fila, per nascondersi meglio- poggiando a terra lo
zaino rosso, guardando distrattamente la classe ancora mezza vuota,
era arrivata in anticipo, come sempre. Denise, al contrario, come suo
solito, ancora non si vedeva, ed era certa che sarebbe piombata in
classe, trafelata, appena in tempo per il suono della seconda
campanella, che dettava l’inizio delle lezioni.
Non sapendo
che fare, sfilò dallo zaino il libro di Latino, certa che quel
giorno la malefica professoressa l’avrebbe interrogata, più
che per passare il tempo che per ripassare veramente, era totalmente
e innegabilmente negata con quella materia quindi un ripasso veloce
non avrebbe certo migliorato la situazione.
Intanto i compagni
avevano iniziato ad entrare, chi tra risate sconnesse, chi tra
chiacchiere, chi preoccupato per qualche interrogazione, chi ancora
mezzo addormentato.
Ogniqualvolta che qualcuno la salutava, lei
rispondeva con un gesto veloce e appena accennato.
Asia, una sua
compagna di classe con cui ogni tanto lei e Denise uscivano anche
fuori scuola con altri amici, si sedette elegantemente sul banco
davanti al suo, poggiando stancamente la schiena contro il
muro.
«Ciao Mati! Ripassi latino?» Lei annuì
distrattamente, sorridendo.
«Hai bisogno d’aiuto?»
Asia
era quel genere di ragazza. Gentile e carina, in un modo quasi
stomachevole. Per di più era una specie di genietto e aveva
tutti voti alti nonostante studiasse si e no un’ora e mezzo al
giorno, come facesse non lo sapeva nemmeno lei stessa. Era così
perfetta da poter risultare quasi odiosa, ma nonostante tutto non
potevi fare a meno di volerle bene, per tua sfortuna. «Non
riesco a capire questa perifrastica passiva…»
Asia
era appena partita nella spiegazione quando la prima campanella
suonò, facendo così in modo che tutti gli alunni si
precipitarono, tra la confusione generale, al proprio posto, e quasi
in contemporanea apparve Denise, ansante, come aveva previsto, appena
in tempo che la professoressa arrivasse. La ragazza in questione
velocemente si tolse il giacchetto e si avvicinò al banco
accanto a quello di Matilde, dove si sedette pesantemente, spossata
dalla corsa che aveva fatto per arrivare in orario.
Quando si
riprese, si girò dietro di lei, dove la accolse lo sguardo
divertito e terribilmente cristallino di Luca, un altro loro compagno
di classe che era diventato loro amico anche fuori scuola, bè,
era diventato amico di Denise, un po’ meno suo, a cui lei
sorrise spontaneamente prima di girarsi di nuovo velocemente a causa
dell’arrivo della tanto temuta professoressa.
La
professoressa Demofonti era una donna tarchiata sulla cinquantina,
dai capelli tinti di un biondo chiarissimo tenuti sempre in una
crocchia alta sulla fronte e i vestiti perennemente in ordine, che
aveva una terribile fissa per la pulizia, per questo girava sempre
con una bottiglietta di alcool rosa e uno straccio in mano ed ogni
mattina puliva meticolosamente la cattedra, con sguardo schifato e
ossessivo. Quella mattina, ovviamente, la tanto consueta scenetta si
ripeté e, dopo aver salutato gli alunni, si mise a pulire.
La
prima settimana al Liceo Scientifico, due anni prima, erano rimasti
scioccati da quella professoressa così strana e apparentemente
perfida, ma con il tempo avevano scoperto in lei una donna, sì,
autoritaria ma capace di trattarti con una dolcezza inaudita, quasi
come una seconda mamma. Certo, tutto questo quando non doveva
interrogare.
«Bene, allora, sbaglio o oggi devo
interrogare?»
Le lezioni proseguivano come al solito
e, tra qualche scoppio di ilarità collettiva, interrogazioni
più o meno disastrose (era riuscita a prendere sei a Latino!),
spiegazioni noiose, era arriva l’ora di ricreazione. Appena era
suonata la campanella, Matteo era comparso in classe con una velocità
inaudita visto che la sua aula si trovava due piani sopra la loro.
Matilde fece spallucce, era abituata a quel genere di
comportamento da parte del ragazzo: stravedeva per Denise. La ragazza
in questione, che in quel momento si stava mettendo il giacchetto
celeste per uscire in cortile a comprare la merenda, sorrise
vedendolo arrivare.
«Ciao Amore!»
Per tutta
risposta lui la baciò, così, davanti a tutta la classe,
come se niente fosse, senza prestare attenzione nemmeno alla
professoressa che, in tutto ciò, era rimasta a guardarli con
un tenero sorriso in faccia. Sì, aveva un debole per Denise,
le ricordava la se stessa di più di trent’anni prima.
Matilde allora scosse la testa, divertita, prendendo il
giacchetto per uscire in cortile, quando sentì due voci
familiari provenire dal corridoio.
Stella e Ambra avanzavano nel
piccolo corridoio chiacchierando animatamente di un qualcosa che le
fece scoppiare in risa convulse, facendo così in modo che metà
scuola si girasse perplessa al loro passaggio.
Matilde non si
sorprese più di tanto, quella scenetta andava avanti da due
anni ormai. Era sempre così, con quelle due. Attiravano,
volenti o nolenti, l’attenzione. Ambra, gli occhi verdi
divertiti, i capelli biondo cenere raccolti in una crocchia
improvvisata, avanzava sistemandosi la kefiah acqua marina, in
coordinato con la camicia stile boscaiolo e i jeans strappati.
Stella, i lunghi capelli mossi lasciati sciolti, indossava i soliti
jeans scuri, a sigaretta, delle semplici ballerine bianche, una
maglietta grigia coperta da un grande cardigan a grandi righe
orizzontali, grigie e blu. Il perfetto ritratto dello “Star
style”, come l’avevano soprannominata, giocando con il
suo nome.
Nonostante quel giorno la sua amica si comportasse
normalmente, ridendo e scherzando come solo lei sapeva fare, sapeva
che dentro di lei stava morendo pian piano, lentamente. Lo vedeva nei
suoi occhi, vedeva che quella sofferenza la consumava giorno dopo
giorno, sapeva che tutta quella sua esuberanza era solo una maschera
che usava per affrontare il mondo. Una maschera che ogni tanto, per
una frase sbagliata o un ricordo improvviso, si sgretolava e faceva
chiudere Stella in se stessa, nel mondo in cui nessuno le faceva del
male.
Quella stessa maschera che utilizzava per cercare ignorare
la verità, la realtà delle cose. Sì, sapeva
anche perché Stella era in quello stato. Non glielo aveva
detto apertamente, ma la conosceva quasi –anzi, sicuramente-
più di se stessa e spesso le parole, tra di loro, erano più
che superflue.
Adorava Denise e Ambra, ma c’era qualcosa di
indefinibile che legava lei e Stella. Una complicità quasi
impercettibile agli sguardi altrui, un filo stretto che le univa
innegabilmente. Solo con lei riusciva ad essere se stessa, quando
erano insieme i caratteri completamente opposti –quello di lei,
timida e riservata, e quello dell’altra, esuberante e
completamente pazza- si annullavano ed erano… semplicemente
loro stesse.
Non esistevano che le loro risate, le loro
chiacchiere serene, le loro canzoni preferite cantante al cielo e la
loro amicizia. Vederla così le faceva male, perché
quella che aveva di fronte era solo l’ombra dell’amica
che per lei era stata Stella da tredici anni a quella parte.
Le
faceva male soprattutto perché non poteva farci niente, non
poteva prendere quel sentimento e farlo andare via come se niente
fosse. E non poteva certo chiedere a Denise di lasciare quello che
ormai tutti credevano fosse la sua anima gemella. Non capiva come
potesse l’amore ridurre qualcuno in quel modo. D’altro
canto lei, l’amore, proprio non riusciva a capirlo; lo sognava,
questo sì, ma le era ancora ignoto e, per quanto la
riguardava, talmente lontano che nemmeno si sforzava a capirlo. Ma
decise, in quel momento, mentre salutava due delle sue migliori
amiche, che non si sarebbe mai ritrovata a morire per un ragazzo –che
non fosse Joe Jonas, certo-, di questo ne era certa.
Ambra
e Stella tornarono velocemente in classe, consapevoli di essere in un
ritardo mostruoso. Loro, al contrario di Matilde e Denise,
frequentavano il Liceo Classico che era immediatamente accanto allo
scientifico perciò riuscivano a vedersi quasi sempre a
ricreazione come se fossero nello stesso istituto, l’unica
pecca era che non sentivano mai la campanella della loro scuola che
dettava la fine dell’intervallo e arrivavano puntualmente in
ritardo a lezione.
Come previsto la professoressa era già
in classe, pronta a iniziare la lezione di Greco, e le guardò
male non appena fecero il loro ingresso in classe, ma non disse
niente, perciò le due scivolarono il più
silenziosamente possibile nei loro banchi, infondo all’aula,
sotto la finestra, cercando di non attirare l’attenzione.
Naturalmente il buon proposito non sortì l’effetto
desiderato perché Ambra –sempre la solita- inciampò
su uno zaino e cadde rumorosamente. Dopo qualche minuto di risatine
convulse, un evidente imbarazzo di Ambra e qualche rimprovero da
parte della professoressa, la lezione cominciò.
La classe
tornò nello stato di semi-dormiveglia in cui era prima,
sembrava che nessuno si fosse mosso dalla propria posizione tanto le
espressioni e i gesti erano li stessi di prima. Se non fosse stato
per il cambio di materia avrebbe potuto tranquillamente pensare che
se l’era immaginato, l’intervallo. La lezione procedeva
tranquillamente, la professoressa spiegava e, ovviamente, quasi
nessuno prendeva appunti, tranne alcune eccezioni.
Stella incrociò
lo sguardo divertito di Andrea, che sedeva dall’altra parte
della stanza ma sempre all’ultimo banco, e gli lanciò un
sorriso complice, certa che avrebbero rinfacciato a Ambra quella
figuraccia fino alla fine dei suoi giorni.
Conosceva Andrea fin
dalle scuole medie, quando era un grassoccio e impacciato ragazzino
di undici anni, e avevano fatto subito amicizia. Complice la passione
comune per Harry Potter e la lettura in generale. Avevano passato un
mese in completa simbiosi, e si erano detti di tutto. Avevano parlato
dei loro genitori, entrambi separati, dei loro sogni, dei loro
interessi, delle loro paure. Gli aveva detto cose che non aveva mai
detto nemmeno alle sue migliori amiche, paure che non avrebbe mai
confessato mai a nessun’altro.
Con Andrea era così,
fin da subito c’era stata una specie di connessione, tra loro
due, un sentimento profondo che gli aveva uniti forse
inconsapevolmente.
Ora, sedicenni e vaccinati, erano molto lontani
dall’essere i ragazzini che erano stati quando si erano
conosciuti, cinque anni prima, eppure non era cambiato molto.
Erano
ancora… qualcosa. Più che migliori amici, più
che fratelli, più di qualsiasi cosa.
Eppure, nonostante
ciò, nemmeno a lui era riuscita a confessare ciò che
provava verso Matteo. Non sapeva nemmeno lei il perché. Forse,
per la prima volta in vita sua, temeva il suo giudizio. Temeva che
gli dicesse, perfino lui, “sei una stupida, Stella, sei una
persona spregevole… è la tua migliore amica”.
In
un attimo, come succedeva oramai troppo spesso, Stella si chiuse
dentro la sua fortezza di ferro, dentro quel guscio in cui nessuno,
nemmeno Andrea, riusciva ad entrare e si mise a guardare con occhi
malinconici e spenti fuori dalla finestra.
Lasciando Andrea, per
l’ennesima volta, a chiedersi cosa stesse succedendo alla
ragazza a cui teneva più della sua stessa vita.