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Autore: mamogirl    07/09/2010    4 recensioni
"This Power is greater than the forces of nature."
Brian e Nick. Frick e Frack.
Una forte amicizia che, con il trascorrere del tempo, si é trasformata in un sentimento molto differente e molto più profondo.
Ma il loro rapporto potrà durare nonostante un ritorno di un passato doloroso e gli ostacoli che si presenteranno lungo la strada?
NOTA: Non ho abbandonato questa storia. Alcuni capitoli sono in fase di revisione e di riscrittura e saranno presto online. Ringrazio tutti coloro che stanno ancora aspettando. =)
NOTA: ONLINE IL CAPITOLO 24.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Brian Littrell, Kevin Richardson, Nick Carter
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Ottavo Capitolo


“E’ la prima volta che vieni qui?” la domanda riuscì in qualche modo a sovrastare il sordo brusio causato dalla miriade di persone che li circondavano.

“Sì.” Rispose Brian, gli occhi strabuzzanti si muovevano a destra ed a sinistra, incredulo che si trovasse davvero in quel fantastico luogo.

E tutto grazie a Kevin.

Fosse stato per i suoi genitori, non si sarebbe nemmeno mosso da Lexington ed avrebbe trascorso l’ennesima estate tra lavoretti e partite di basket. Non che quest’ultima attività lo annoiasse, anzi! Ma era bello, almeno per una volta, allargare i propri confini e rendersi finalmente conto che il mondo andava oltre la propria piccola realtà cittadina.

Avere il proprio cugino che lavorava a Disneyland era davvero un colpo di fortuna.

“Wow!” quell’esclamazione ormai Brian l’aveva utilizzata per ogni attrazione a cui erano passati di fronte. “Guarda, Mickey Mouse!” esclamò tutto eccitato, indicando con la mano il famoso personaggio, circondato da un folto numero di bambini e ragazzini che sgomitavano per avere un autografo o per farsi fare una foto con lui. Brian avrebbe voluto andare anche lui, già si immaginava tornare a casa e mostrare ai suoi genitori ed a suo fratello Harry tutte le foto che avrebbe fatto ma decise di contenere l’eccitazione. Il suo accompagnatore non sembrava molto estasiato dall’idea di trascorrere la giornata in quel luogo, nonostante avesse accettato volentieri di accompagnare il ragazzino visto che Kevin doveva lavorare tutto il giorno.

“Che ne dici di andare in un posto che non conosce nessuno?” gli chiese il ragazzo, prendendolo per mano. “E’ un luogo segreto, me lo ha mostrato Kevin ma mi ha anche promesso di non portarci nessuno.”

“Ed allora perché mi ci porti?” chiese ingenuamente Brian.

L’accompagnatore si fermò e si voltò verso di lui, facendogli segno di avvicinarsi in modo che gli potesse parlare in un orecchio.

“E’ un posto in cui possono entrare solamente poche persone speciali. E credo proprio che tu sia una di queste.”

Gli occhi di Brian si illuminarono mentre osservava con attenzione il ragazzo per capire se stava mentendo o meno. Gli amici di Harry lo avevano sempre trattato come se fosse stato un bambino dell’asilo, escludendolo sempre da ogni loro gioco.

“Davvero?”

“Parola di boy scout.” Rispose il ragazzo, alzando la mano ed appoggiando l’altra sul petto, all’altezza del cuore, come per dimostrare la solennità del suo giuramento.

La bocca di Brian era ancora semiaperta, le labbra curvate formavano una O tanto era l’esaltazione del momento, l’essere finalmente entrato a far parte di una cerchia segreta.

Il suo accompagnatore si rimise al suo fianco e riprese a camminare, allontanandosi dalle maggiori attrazioni e dirigendosi verso una zona vietata, il cui accesso era solamente per gli addetti del parco.

Brian si bloccò di colpo, non voleva entrare in una zona proibita e voleva decisamente evitare di mettersi nei guai. O mettere nei casini Kevin.

“Che cosa c’è?” chiese spazientito il ragazzo.

“Non credo sia... una buona idea.” Rispose Brian titubante, indicando il cartello con iscritto il divieto di accesso.

“Non ti preoccupare, ragazzino.”

“E se ci scopre qualcuno?”

“Nessuno ci scoprirà, tranquillo.”

“Continuo a pensare che sia meglio non entrare.”

“Chi ti ha detto di pensare?”

Brian si sentì ferito non solo dal commento ma dal tono duro con cui lo aveva fatto. Ed anche se gli avevano sempre insegnato a dare ascolto alle persone più grandi di lui - ma solitamente ciò era per evitare di finire nei guai -  una vocina gli stava dicendo di scappare via.   

“Andiamo.” Gli ordinò, stringendo le sue mani attorno al polso del ragazzino ed ignorando i suoi lamenti sul fatto che gli stesse facendo del male.

Mentre apriva il cancello e spingeva dentro l’area privata Brian, una strana luce illuminò lo smeraldo dei suoi occhi: prima che il sole tramontasse, il dolore ai polsi sarebbe stato l’ultimo dei problemi.

 

****************

 

Era solo un incubo.

Era stato solamente un brutto sogno, tutto causato dallo stress.

Cazzate.

Brian sapeva benissimo che ciò che lo aveva appena fatto svegliare con il cuore in gola nel bel mezzo della notte non era stato frutto della sua mente, la quale aveva rielaborato quello che gli era successo in un modo totalmente strano e differente.

Sapeva che quello era un frammento di una realtà che, anche se passata, continuava a tormentarlo.

Brian era più che consapevole che quello non sarebbe stato l’ultimo incubo che avrebbe avuto da lì in avanti; anzi, quello era stato solamente l’antipasto. O meglio, l’aperitivo.

D’impulso, si alzò dal letto ed incominciò ad accendere tutte le luci: non voleva rimanere al buio, dove ombre malefiche potevano attaccarlo in qualsiasi momento, approfittando del suo essere totalmente indifeso.

E, giusto per scrupolo, tirò completamente le tende.

Per dieci anni, era riuscito a bloccare tutto in un angolo della sua mente ed il fatto che poche persone ne fossero a conoscenza lo aveva aiutato a non pensarci più di quanto odiasse doverlo fare. Ricordava a spizzichi quel periodo della sua vita, i giorni precedenti all’evento e qualcosa di quelli immediatamente successivi.

Si lasciò scivolare contro la parete opposta alla finestra, appoggiando il mento sulle ginocchia.

Ricordava quello che gli aveva detto la sua terapista, bloccare tutto non era il modo migliore per affrontare il suo “problema” e che prima o poi si sarebbe ritrovato faccia a faccia con i suoi demoni. Sarebbe bastato anche un solo particolare, un odore, una frase o una situazione simile a quella vissuta, per innescare la reazione a catena.

Aveva sempre pensato che ritornare a Disneyland avrebbe riportato tutto a galla invece, quando Lou aveva organizzato loro una gita al parco per permettere loro di rafforzare e creare il gruppo, non era successo niente.

Kevin lo aveva seguito come un’ombra, nel suo sguardo c’era sempre la domanda se stava bene e se se la sentiva di continuare con la giornata ma mai si era trovato nella situazione che stava vivendo ora. Anzi, si era anche divertito e tutto grazie a quella peste bionda che era Nick.

Semplicemente, non voleva ricordare.

Aveva già abbastanza problemi a cui dover far fronte, non ce ne voleva un altro a peggiorare la situazione.

E se uno di quei ricordi fosse sorto a galla mentre era sul palco?

Come avrebbe potuto spiegarlo agli altri?

Come avrebbe potuto spiegarlo a Nick, soprattutto?

Avrebbe rovinato tutto, Nick non avrebbe più potuto guardarlo come lo stesso Brian compagno di giochi e scherzi. E questo era una cosa che lo impauriva, il rifiuto e lo sdegno di Nick lo avrebbe totalmente distrutto.

Specie dopo il modo con cui si stava comportando nei suoi confronti in quei ultimi giorni.

Nick era stato un angelo, il suo angelo custode: non era ossessivamente preoccupato come lo era Kevin, capiva quando lui aveva bisogno dei suoi spazi. Un abbraccio era più che sufficiente a rincuorarlo di cento parole.

Ma... Brian era anche altrettanto convinto che, in quel caso, non sarebbe riuscito a confortarlo.

Appoggiandosi al muro, Brian si rialzò e decise di andare a svegliare Kevin. Era l’unico con cui poteva parlare e, una volta che gli avrebbe raccontato il motivo della sua visita, non avrebbe avuto il coraggio di ucciderlo per averlo svegliato nel cuore della notte.

Aprì la porta della sua camera e, dopo aver controllato alla sua destra e sinistra che non ci fosse qualche maniaco nascosto dietro una pianta – o una delle loro fan, in che poteva essere l’equivalente femminile di un criminale – Brian incominciò ad avviarsi verso la camera di Kevin. Nonostante non si ricordasse quale fosse il suo numero, Kevin era abitudinario e prendeva sempre la terza camera dagli ascensori: le loro guardie del corpo prendevano sempre le prime due, ragioni di sicurezza era sempre la motivazione che davano quando qualcuno chiedeva loro la spiegazione.

Bussò lievemente alla porta, non volendo svegliare nessun altro sul loro piano.

“Kev?” lo richiamò, sempre sussurrando dopo la terza volta che il suo bussare non aveva avuto risposta.

Il panico incominciò a salire lievemente di livello, superando agilmente gli argini di calma che Brian aveva cercato di costruirsi addosso in quei minuti. Perché non rispondeva? Solitamente, Kevin aveva il sonno leggero, sempre preoccupato che potesse succedere qualcosa che richiedesse il suo intervento.

Perché proprio quella sera aveva deciso di unirsi alla congrega del “non svegliatemi nemmeno se l’hotel è in fiamme”?

“Kev, per favore...” la voce si era fatta più forte, tanto quanto la supplica nel suo tono.

Ma nessun rumore dall’altra parte della porta.

Brian ci rinunciò, d’altronde anche Kevin aveva bisogno di dormire tenuto conto che la notte precedente era rimasto alzato tutto il tempo insieme a lui. Non che lui glielo avesse chiesto ma Kevin aveva semplicemente scrollato le spalle ed era rimasto con lui a vedere qualche vecchio film mentre il tourbus li accompagnava verso la loro nuova destinazione.

Stava per riaprire la porta della sua stanza quando una mano gli si posò sulla spalla.

Non ebbe il coraggio di voltarsi, troppo occupato a ricordare al suo corpo di inspirare ed espirare.

“Brian?” la voce apparteneva a Nick quindi Brian dedusse che anche la mano lo fosse.

“Frack, che ci fai ancora sveglio?” gli chiese Brian, voltandosi verso di lui.

“Le nostre camere sono adiacenti.” Rispose Nick, infilando le mani nelle tasche dei jeans. “Ti ho sentito muoverti, uscire e... beh, ho pensato che avessi bisogno di aiuto.”

“Scusami se ti ho svegliato.” Disse Brian imbarazzato. “Puoi tornare a dormire, sto bene.”

“Non stai bene se vai di tua spontanea volontà a svegliare Kevin nel bel mezzo della notte.” Scherzò Nick.

“Dovevo dirgli una cosa.”

“E non poteva aspettare?”

“E’ il terzo grado per caso?” domandò Brian mettendosi sulla difensiva.

“No.” Rispose Nick. “Ma se hai bisogno, puoi sempre venire da me.”

Come se Brian non volesse rifugiarsi in una camera insieme a Nick. Ma che cosa avrebbe potuto dirgli?

No, Nick non poteva scoprire il suo segreto.

“Va tutto bene, Nick.” disse Brian a bassa voce.

“Ne sei sicuro?”

“Considerata la situazione, sì.”

“Frick...” incominciò a dire Nick. “... voglio solo aiutarti.”

Brian ebbe la tentazione di sbattere forte la testa contro lo stipite della porta; ecco davanti a lui un’occasione che non gli si sarebbe ripresentata per molto altro tempo, forse mai, e lui doveva rinunciarci.

“So che non posso sapere quello che stai passando e non voglio nemmeno pretendere di farlo. Ma odio vederti così.”

“Te ne sono grato, Nick, davvero ma... questa volta non puoi far niente per me.”

“Se non mi dici quello che ti passa per la testa, ovvio che non posso far niente!” sbottò Nick, irritato per la testardaggine dell’amico.

“Credimi, è meglio che tu non sappia niente dei miei pensieri.” Cercò di scherzare Brian.

“Mettimi alla prova. Ho uno stomaco a prova d’urto e... beh, la mia mente è già contorta di suo quindi non credo che si spaventerà nel vedere la tua.”

E poi era lui il testardo! Pensò Brian mentre la sua resistenza diminuiva sempre di più. Sapeva che, una volta rientrato in camera, non sarebbe riuscito a riabbracciare il sonno e la tentazione del caldo abbraccio di Nick era così dolce e così impossibile da non tener conto.

Mentre Brian era alle prese con la sua coscienza, Nick si era avvicinato ancora di più ed aveva appoggiato una mano sulla sua guancia. All’improvviso contatto, Brian strabuzzò gli occhi ma non si mosse né scansò la mano. “Voglio solo rivederti sorridere. Quando tu sei triste, lo siamo tutti.”

“Nick...” mormorò Brian, mordicchiando un labbro nervosamente.

“Non puoi continuare così. Quante ore sei riuscito a dormire in questi ultimi due giorni?” la domanda di Nick era retorica, la risposta era ben visibile nelle occhiaie e nelle borse sotto gli occhi di Brian.

“Ci sono abituato.”

“Anche a svegliarti nel bel mezzo della notte urlando?”

Sfortunatamente la risposta era sì ma Brian preferì non dirla ad alta voce. Nick non doveva sapere perché ne era abituato.

La mano di Nick non si era ancora spostata dalla sua guancia ma, con un dito, aveva incominciato a giocare con un ciuffo dei suoi capelli. Brian avrebbe voluto rimanere in quella posizione per sempre ma si trovavano pur sempre in mezzo ad un corridoio di un hotel, dove chiunque poteva vederli.

Riluttante, staccò la mano di Nick. “Ti ringrazio Nick e... appena avrò fatto pulizia nei miei pensieri, sarai il primo con cui mi confiderò. Ma ora devo risolvere tutto questo...” disse Brian indicando una delle sue tempie. “... da solo.”

Senza aspettare la risposta di Nick, Brian aprì la porta della sua stanza e vi entrò, chiudendo fuori Nick e parte del suo cuore.

Ma era solo per il suo bene...

 

**********

 

La mattina seguente, tutto il gruppo si ritrovò come al solito per la colazione in una delle camere. Quel giorno, era il turno di quella di Kevin. Era un’abitudine che avevano preso sin dall’inizi, quando non avevano abbastanza soldi per permettersi una stanza per ciascuno.

Nonostante ora potessero permettersi alberghi decisamente più all’altezza e con un più che dignitoso servizio di igiene, non avevano abbandonato quella semplice abitudine di riunirsi per colazione.

Così si trovavano tutti seduti al tavolo rotondo imbandito di qualsiasi leccornia immaginabile: bricchi di caffè, latte e caffelatte, una teiera con acqua calda e tutti i gusti esistenti di the sistemati a ventaglio su un piattino, fette biscottate, pancake caldi con salsa di cioccolato, mirtillo e miele, brioches, bacon e frutta fresca.

Nick ed Aj stavano litigando sul numero di pancake che ognuno aveva deciso di prendersi, Howie cercava di non ascoltare, sorseggiando la sua tazza di caffè ed osservando preoccupato colui che occupava il posto di fronte a lui e che ancora non aveva nemmeno assaggiato il pancake che Kevin gli aveva messo nel piatto prima che lui arrivasse. Il maggiore se ne stava seduto alla sua destra, una gamba accavallata sull’altra ed il giornale del mattino aperto davanti a lui.

“Brian, devi mangiare qualcosa.” Kevin non aveva nemmeno alzato gli occhi dall’articolo che stava leggendo.

“Sto mangiando.” Borbottò Brian, rigirando la forchetta nel suo pancake e torturandolo come se fosse una bambola vodoo. E si chiese per l’ennesima volta come Kevin avesse fatto a vedere che non stava mangiando se era così intento a leggere il risultato della borsa americana. Aveva dei superpoteri, per caso?

“Giocare con il tuo pancake non significa mangiare.” Rispose Kevin, continuando a leggere il giornale.

“Frick, guarda, c’è anche la salsa di cioccolato che ti piace!” cercò di intervenire Nick, posandogli davanti al piatto la ciotola contente la salsa marrone. Il suo stomaco si improvvisò circense dopo averne dato un minimo sguardo. Ugualmente, Brian sfoderò il suo migliore dei sorrisi. “Grazie Nick ma non ho fame.” Rispose all’indirizzo di suo cugino.

Kevin aprì la bocca per ribattere ma Brian lo bloccò subito. “So già che cosa stai per dirmi, evita di sprecare fiato.”

“Nick mi ha detto che stanotte mi stavi cercando.”

Brian lanciò un’occhiataccia all’indirizzo del migliore amico, improvvisamente interessato nell’articolo che Kevin stava leggendo.

“Sì ma non ti ho trovato.” Rispose Brian, cercando di contenere l’irritazione. Per quale motivo, quando si trattava di lui, tutti si prendevano il diritto di sparlare di lui alle sue spalle?

“Possiamo parlarne ora.”

“No.” Rispose seccamente Brian. Non voleva rivivere l’incubo e nemmeno rovinare la giornata a Kevin.

“Brian...”

“Ho detto di no. Perché non ti impicci negli affari di qualcun altro?”

“Perché tu sei mio cugino.”

“Che fortuna.” Commentò sarcastico Brian.

Gli altri tre ragazzi guardarono lo scambio di battute tra i due cugini senza battere ciglio o emettere un unico suono che potesse interromperlo. Mettersi in mezzo in una discussione fra i due cugini era come mettersi in mezzo ad un’autostrada trafficata; rischiavi la morte.

“Brian, tanto sai bene che non mollo facilmente. O mangi qualcosa o parli con me.”

“Opto per la terza via.”

“Ovvero?”

“Uscire da questa stanza.” Rispose Brian, alzandosi di scatto e facendo cadere la sua sedia. Incominciò ad incamminarsi a passi veloci verso la porta ma Kevin fu più veloce – anche perché era più vicino alla porta rispetto al cugino – e si posizionò davanti a lui.

“Dove pensi di andare?”

“Kevin, spostati.”

“Non prima che tu mi risponda.”

“Non sono minorenne, posso uscire quando voglio.” Rispose Brian, senza mai perdere la determinazione nel tono di voce. “Ed io voglio uscire adesso.”

“Non quando sei in queste condizioni.”

“Non ricominciare!”

“Oh, ma non ho ancora incominciato!”

“Bene, quindi posso evitare di ascoltare la solita solfa!”

Brian riuscì a superare la figura del cugino ed uscire dalla stanza, con un sordo tonfo della porta.

Kevin non perse tempo, riaprì la porta ed uscì in corridoio.

“Non ho terminato con te!” si sentì urlare dalla camera, la cui porta era rimasta spalancata.

Un lungo momento di silenzio aleggiò in quell’ampio locale, in sottofondo il rumore di passi e di persone, molto probabilmente altri ospiti di quel piano che chiedevano che cosa fosse appena successo.

Fu Nick ad interrompere quel silenzio. “Beh, non credo che a Frick dispiacerà se mi pappo il suo pancake.”

Disse mentre scambiava il suo piatto vuoto con quello ancora intatto di Brian.

Howie ed Aj rimasero fissi ad osservarlo allibiti mentre, come se nulla fosse successo, Nick addentava un pezzo del pancake ampiamente ricoperto di salsa di cioccolato. Sentendosi osservato, Nick alzò gli occhi dal piatto. “Che cosa c’è?”

“Nick...” incominciò a dire Howie, cercando nel suo ampio vocabolario le parole giuste per verbalizzare il suo stupore. Ma non esistevano termini adatti, solamente che... Nick era Nick. E quello spiegava alla perfezione tutto.

“Ma sono squisiti!” si difese il biondino. “E poi Bone ha mangiato tutto il resto ed io ho ancora fame!” aggiunse puntando la forchetta contro l’amico.

Mentre Aj ribatteva prontamente all’accusa infondata di Nick, Howie si mise la testa fra le mani chiedendosi per l’ennesima volta per quale motivo due ventenni, grandi e vaccinati, si comportassero come due bambini dell’asilo.

 

*********

 

Uscire.

Doveva uscire, confondersi tra folle di sconosciuti di cui non importava un fico secco se lui dormisse di notte o se avesse fatto colazione.

Dire che Brian, in quel momento, fosse furioso era un lieve eufemismo: i lunghi respiri che cercava di tirare potevano far ben poco per tranquillizzare il suo corpo, infiammato dalla rabbia che in quel momento era l’unica riserva di energia da cui attingere per non crollare.

Maledizione, non era un bambino che Kevin dovesse accudire ventiquattro ore su ventiquattro, l’ultima volta che Brian aveva controllato aver venticinque anni sulla propria carta d’identità gli garantiva il diritto di prendere decisioni sulla sua vita, come quella se mangiare o meno un dannato pancake.

Kevin doveva sapere quando spingerlo e quando lasciarlo in pace: era nervoso, non dormiva da due giorni e aveva dovuto dipingersi sul volto un sorriso smagliante per non allarmare le frotte di fans che ogni sera venivano ai loro concerti.

Se Nick era nella sua giornata no, nessuno osava avvicinarsi a lui.

Se Howie era più silenzioso del solito, nessuno lo tempestava di domande sul suo malessere.

Se Aj aveva voglia di spaccare qualcosa, maledicendo il mondo intero, nessuno lo inseguiva per corridoi urlandogli di fermarsi.

Ma se era lui a non sorridere, scherzare o complottare qualche scherzo con Nick, allora apriti cielo ed incominciava l’interrogatorio da parte di Kevin.

Perché a lui non era concesso di essere di malumore?

Mentre Brian raggiungeva le porte girevoli che lo avrebbero catapultato fuori dall’hotel e lontano dalle manie di protezione di suo cugino, la sua mente era divisa dai ragionamenti irrazionali dettati dalle sue emozioni e dalle parole sincere e logiche della ragione. Sono preoccupati per te – continuava questa a ripetergli come un dolce mantra – hai appena subito un evento drammatico, è logico che siano preoccupati.

Doveva solamente prendere una boccata d’aria, avrebbe sicuramente servito a rinfrescargli le idee, a calmarlo prima di rientrare ed affrontare gli impegni della giornata: incontri con la stampa, set fotografici, prove ed il concerto quella stessa sera.

Si sarebbe anche scusato con Kevin e con gli altri per come aveva reagito quella mattina.

Ma prima doveva calmarsi.

Brian stava per mettere piede fuori dall’hotel quando si bloccò all’improvviso.

“Ehi, biondino, hai da accendere?”

Il respiro di Brian si fece più affannato mentre la sua parte razionale gli urlava che era solamente frutto della sua mente.

“Sai, sei proprio carino.” Commentò il ragazzo, velocizzando anche lui la sua andatura e riuscendo a riafferrare il polso di Brian. “Ed è regola che il più carino di questo locale sia destinato a me.”

No, non poteva essere... non lo poteva averlo seguito fino a lì.

Stava incominciando a sudare, sentiva le mani bagnate dal liquido prodotto dalle sue stesse ghiandole ma nello stesso tempo aveva iniziato a tremare mentre la sensazione che le pareti dell’albergo si stessero richiudendo su di lui gli stava impedendo di respirare.

Brian non sentiva le persone che gli urlavano di spostarsi perché stava impedendo il passaggio né gli spintoni per muoverlo dalla sua posizione.

“Brian!”

Era Kevin, lui lo avrebbe protetto.

“Brian, che succede?” il tono frenetico del cugino riuscì a ridargli un attimo di concentrazione per mettere a fuoco la sua figura posizionata davanti a lui. Tutta la rabbia per la discussione avvenuta qualche minuto prima si era dissolta non appena aveva visto in che condizioni era il cugino.

Nel pieno di un attacco di panico.

Guidandolo come se fosse un bambino, Kevin accompagnò Brian verso il primo divanetto che vide. Non era il massimo, tenendo conto che si trovavano nella hall concitata dell’albergo ma prima doveva calmarlo. Per fortuna, fra le persone che affollavano il primo piano non sembravano esserci reporter o fans, solamente gente che li guardava con sguardo curioso ma che poi riprendeva a camminare come se nulla fosse successo..

Lo fece sedere e gli si inginocchiò vicino al cugino. “Bri, calmati. Va tutto bene.” lo rincuorò Kevin, massaggiandogli una mano. Era uno di quei gesti che sapeva lo avrebbe rilassato.

“Volevo uscire.” Pronunciò Brian con tono completamente piatto. “Volevo prendere un po’ d’aria ma... poi ho pensato che l’ultima volta che l’ho fatto, mi sono ritrovato sbattuto contro un muro.”

“Vuoi che ti accompagno?”

Brian scosse la testa in segno di rifiuto.

“Vuoi che ti recupero un bicchiere d’acqua?”

Ancora una volta Brian fece di no con il capo.

Kevin sospirò, non sapendo che cosa potesse fare per aiutare suo cugino.

“Voglio che tutto torni come prima.” Sussurro Brian, incrociando finalmente lo sguardo di Kevin. “Voglio riuscire ad uscire da un dannato hotel senza avere una crisi di panico!”

Kevin si alzò e si sedette accanto a lui, mettendogli un braccio attorno alle spalle. “Succederà, Brian.”

Brian si lasciò scappare una risata amara. “No, non succederà. Non può tornare come prima.”

“Ma io so che riuscirai a metterti tutto alle spalle.” Lo rincuorò Kevin. “Lo hai già fatto una volta e la situazione era ben peggiore di questa.”

“Ieri sera, quando sono venuto a cercarti... mi è successa una cosa.”

“Vuoi andare in un posto più tranquillo invece che una hall piena di orecchie indiscrete?” gli domandò Kevin, intuendo che qualunque cosa Brian dovesse dirgli, era meglio che si trovassero faccia a faccia senza nessuno che potesse sentirli. Il cugino minore annuì e lentamente si avviarono verso l’ascensore.

Silenziosamente, salirono fino al piano in cui stavano e si incamminarono verso le stanze.

“Tua o mia?” chiese distrattamente Kevin. Brian scrollò le spalle, l’una o l’altra andava perfettamente bene.

Entrarono nella stanza di Kevin, perfettamente immacolata, i vestiti che sarebbero serviti per la conferenza stampa erano appesi all’anta di un armadio e la sua valigia ancora intatta in un angolo del pavimento. Kevin e Howie erano maniacali quando si trattava di ordine e non c’era giorno che i due riprendessero i tre più giovani per lo stato delle loro camere.

Brian e Kevin si sedettero sul bordo del letto e l’ultimo aspettò pazientemente che il cugino incominciasse a parlare.

“Ricordi quello che mi disse la mia terapista?”

Kevin si ritrovò preso in contropiede da quella domanda, era insolito per Brian riportare alla galla quei tipi di discorsi, visto che solitamente era lui, Kevin, a parlargliene. E, improvvisamente, aveva una brutta sensazione sulla direzione verso cui quella chiacchierata stava prendendo.

“Che per la tua pazzia non poteva fare niente?” Kevin cercò di buttarla sul ridere, allentando un po’ la tensione.

Brian gli lanciò un’occhiata fulminante ma si sorprese di se stesso quando una piccola risata sfuggì dalle sue labbra. “Perché nessuno riesce a stare serio quando io lo sono?” chiese retoricamente.

“Perché tu e la serietà siete un po’ incompatibili.”

“Comunque.” Intervenne Brian, lasciando perdere quell’ultimo commento. In altra situazione, molto più normale e meno tesa, non gliela avrebbe fatta passare liscia. “Credo fosse una delle ultime sessioni e mi sembra che anche tu fossi presente.”

Kevin annuì, per la maggior parte degli appuntamenti di Brian era stato presente anche lui, a volte come semplice accompagnatore e a volte come paziente lui stesso. Ma era qualcosa che si era ripromesso, mai lasciarlo più solo.

“E mi disse che non le piaceva il modo con cui stavo gestendo tutto e che un giorno avrei dovuto comunque far conto con ciò.” Brian aveva ripreso a parlare dopo aver preso coscienza del cenno del cugino.

“Non capisco dove tu voglia andare a parare.” Intervenne Kevin, confuso da quel discorso.

Brian abbassò lo sguardo, lasciando il cugino sulle spine per un minuto, combattuto se confessare oppure inventarsi qualche scusa per il suo comportamento da pazzo nervoso. Ma, purtroppo, Kevin era l’unico a cui poter chiedere appoggio e Brian era certo che episodi di quel genere lo aspettavano con tutta la pazienza di questo mondo dietro l’angolo.

“Ieri sera... ho incominciato a ricordare quello che mi è successo.” 

 

***********

Okay, lo ammetto. Sono troppo cattiva con Brian ma é altrettanto vero che non potevo lasciarlo tranquillo e calmo dopo tutto quello che gli era successo. Non sarebbe stato comunque realistico!

Questo capitolo l'ho scritto in due giorni, una volta aver trovato come iniziare, tutto il resto é venuto di seguito ed ammetto che mi sto divertendo a fare le scene di Nick, come quella dei pancake. (oddio, ho scritto che mi diverto a scrivere di Nick? Sto male!)

@Laphy: posso essere sincera e dirti che la tua recensione mi ha commosso? Solitamente, sono io quella che si rifugia nelle fanfiction e mai nessuno mi aveva detto di aver letto in un'unica notte la mia storia. Sono davvero contenta che ti stia piacendo e che la mia versione di Brian e Nick ti abbia fatto considerare possibile una storia romantica tra loro due. Diciamo che il materiale a cui attingere é molto e ben spalmato in 17 anni di onorata carriera! 

@kia85: Kevin é Kevin, non ha bisogno di spiegazioni! In parte, credo che la sua assenza ora abbia portato molta più allegria nel gruppo (pensa a PDE: se ci fosse ancora Kevin, dubito che quel video sarebbe esistito o sarebbe bastata un'occhiata per far dire a Nick: "Erection? No, ti sbagli, io ho detto Affection!" mentre Brian si sarebbe nascosto per il gesto). 

Allora, non so che idee abbia la mia ispirazione quindi potrei aggiornare questa storia oppure "Unsuspecting", dipende da come si sveglia la mattina! 

   
 
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