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Autore: Rika88    10/09/2010    5 recensioni
Gennaio 1945: in una Germania devastata, Alphonse Elric, arruolato per una guerra ormai persa, lascia i figli a casa del fratello Edward. Tuttavia, come Thomas e Charlotte Elric scopriranno presto, i problemi non si limitano alla difficile convivenza tra due caratteri troppo simili, come quelli del bambino e di Ed: l'abitazione e la libreria sotto di essa sono il fulcro di un movimento incessante e, forse, anche pericoloso.
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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            16. Un cavaliere senza paura

 

Mi lasciarono da sola in camera mia. Sembravano indecisi su cosa aspettarsi da me - una crisi isterica, un mancamento, un’aggressione fisica...

Non feci nulla di tutto ciò, ovviamente. Presi un profondo respiro, recuperai la valigetta del pronto soccorso e uscii, dicendomi che avrei avuto il tempo di piangere tutte le mie lacrime quando fossi stata sola.

Per prima cosa, chiamai Artie. Ne aveva il diritto, in fondo. E poi era un medico, e Al aveva perso i sensi per alcuni minuti quando il lampadario gli era crollato addosso, perciò sarebbe stato meglio controllare che non avesse nulla di serio. Le sue pupille erano normali, e non riscontrai altri segni di commozione cerebrale o peggio, ma in quel momento trovavo più tranquillizzante l’idea che Arthur desse il suo parere.

Arrivò in meno di cinque minuti, nonostante abitasse in un altro quartiere. Mi abbracciò senza dire niente, sull’ingresso, il respiro pesante tra i miei capelli.

 - Com’è successo? - mi chiese, con voce soffocata.

Scossi la testa, e lui non fece altre domande; lanciò solo un’occhiata veloce a Ed, mentre si dirigeva nella camera degli ospiti. Ricevette in risposta il suo stesso sguardo perso, replicato sul volto tirato di Edward.

Mentre lui si occupava di Al, io visitai Thomas e Lotte. La bambina non aveva altro che dei graffi: la credenza le era volata addosso, ma lei era così minuta da riuscire a rannicchiarsi tra le mensole e uscirne illesa. La lasciai vicina al padre e al fratello, visto che l’unica cosa di cui aveva bisogno era essere tranquillizzata.

Thomas aveva una costola incrinata. Si lasciò spogliare, visitare e medicare senza aprire bocca. Sembrava più piccolo e gracile: era difficile credere che quel corpicino scheletrico e denutrito fosse riuscito a trattenere il mostro nero, anche solo per qualche minuto. Avevo pensato di dargli un antidolorifico, ma alla fine gli offrii una fetta di torta e un bicchiere di latte. Cercai di abbracciarlo senza fargli male.

 - Sei stato molto coraggioso, Thomas. - gli dissi. - E di questo ti ringrazio. -

 - Non sono riuscito ad aiutare Alex. - rispose lui, tetro.

Era esattamente quello che mi sarei aspettata da un Elric. Gli strinsi delicatamente una mano, evitando le sbucciature sulle nocche, e guardai suo padre: Artie lo aveva aiutato a mettersi a letto, e ora stava chiudendo la borsa che si era portato dietro.

 - Non credo abbia riportato problemi alla scatola cranica. - sentenziò, senza voltarsi, ma parlando a Edward che se ne stava sulla porta in disparte. - È stata una bella botta, ma senza troppe conseguenze. -

Alphonse stiracchiò le labbra nell’ombra di un sorriso e si voltò verso il fratello.

 - Così non hai scuse per mettermi da parte. - disse. E visto che Ed stava per parlare, aggiunse: - So che lo avresti fatto. Ma non riuscirai ad impedirmi di aiutarvi. -

 - Al momento non c’è molto che possiamo fare. - dichiarò l’altro, appoggiando una mano sulla testa di Charlotte. - Il generale è andato a buttare giù dal letto tutte le sue amicizie tra esercito e polizia: li costringerà a frugare in ogni angolo di Central City, questo è certo, e saranno molto più efficaci del nostro piccolo gruppo. -

Era sensato, ma nessuno di noi in quel momento aveva bisogno di ragionamenti sensati, men che meno io. Lasciai la stanza e andai a chiudermi in camera mia. Non volevo sentire discorsi pieni di buonsenso finché non fosse spuntata una traccia su dove potesse trovarsi mio figlio.

 

La traccia spuntò due giorni dopo, con la ricomparsa del generale Mustang. Quarantotto interminabili ore, in cui tutti nessuno di noi combinò molto. Perlomeno, io non lo feci. Rispettai il mio proposito e piansi fino a consumarmi gli occhi, e per il resto del tempo cercai di trovarmi qualcosa da fare per non cedere al panico. Finalmente, la mattina del secondo giorno dal rapimento di mio figlio fui svegliata dal rumore della porta d’ingresso che si apriva e dal mormorio di Edward, qualcosa di simile ad un “Alla buon’ora!”. Mi resi conto per la prima volta che non lo avevo più visto né sentito, nonostante vivessimo sotto lo stesso tetto: eppure nessuno di noi cinque era uscito. Era rimasto sempre intorno al fratello? O aveva fatto di tutto per evitarmi?

 -  Datti una calmata, Acciaio! - rispose la voce del generale, anch’essa poco più di un sibilo. - Non è come sfogliare un elenco telefonico! -

Balzai giù dal letto, e nel farlo feci cadere il libro che tenevo sul comodino. Irrazionalmente, mi fermai a cercarlo, a tentoni sul tappeto, nella poca luce che filtrava dalle persiane chiuse.    - Vieni con me. -

Sentii i passi dei due uomini dirigersi verso la cucina, e chiudersi la porta alle spalle;

 - Vado a svegliare Winry? - sentii chiedere da Ed.

 - Aspetta. Sono le cinque di mattina, è inutile buttarla giù dal letto per un’ipotesi non confermata. -

Mi irrigidii. Non la pensavo allo stesso modo.

 - Allora vediamo di confermarla! - sbottò Edward, a voce troppo alta.

 - Spiritoso! Ascolta, hai presente il quartiere residenziale? Bene. È quasi deserto, visto che chi poteva è fuggito per paura dei bombardamenti. Però in una villa in viale Repubblica c’è ancora il custode, che vive nella dependance. -

 - ... immagino di dovermi sorbire tutta la storia, vero? -

 - Lasciami finire: ieri sera il custode ha telefonato alla polizia, perché da due giorni sente il pianto di un bambino provenire da un’abitazione lì vicino, che lui sa per certo essere disabitata! -

Strinsi inconsciamente il libro al petto.

 - Non è possibile che invece i proprietari siano tornati? Per controllare i danni dopo il bombardamento, per esempio... -

 - No. Non hanno bambini. -

Seguirono alcuni istanti di silenzio. Potevo quasi vedere Edward che abbassava gli occhi, corrugava la fronte e serrava le labbra, assorto. Uscii silenziosamente dalla mia stanza e mi avvicinai alla cucina, per ascoltare meglio.

 - Va bene. - sentenziò. - Vale la pena dare un’occhiata. Andremo io e Al. -

 - Troppo rischioso. - si oppose il generale. - Ci penserà la polizia: i loro uomini sono addestrati. -

 - Addestrati a vedersela con un essere che usa l’alchimia? Non credo proprio. -

Trattenni a stento un gemito. Per fortuna, lo sbuffo dubbioso di Mustang lo coprì completamente.

 - E voi due riuscireste a convincerlo a restituirvi il bambino? -

 - Abbiamo maggiori probabilità di riuscirci di una squadra armata. Alphonse aveva potuto persino parlargli, prima che Holze venisse spaventato. -

 - È una follia. -

Entrai, facendoli trasalire.

 - Per favore, generale, - lo supplicai, - li lasci fare. Ed ha ragione, quell’uomo potrebbe ascoltarli. -

 - Winry, così saranno in tre ad essere in pericolo. -

 - Lo so. - ammisi, appoggiando una mano sul braccio di Edward. - Ma lei può assicurarmi che, davanti a delle armi spianate, quella creatura non perda la testa e... - il nodo in gola al solo pensiero mi impedì di proseguire.

Mustang alzò le mani e sospirò. Il suo occhio sano era serio, triste e gonfio. Mi chiesi se anche lui non dormisse da giorni.

* * *

 

Non ricordavo di aver mai visto il generale così affaticato. Mentre accompagnava Al e me alla casa, facendo un riassunto a beneficio di mio fratello di quanto ci eravamo detti, ebbi modo di notare la barba non rasata e l’incarnato pallido, che alla scarsa luce stradale sembrava diventare giallognolo. Avrei dovuto trovare una scusa per farlo restare a casa di Winry, mi dissi; magari per tenere d’occhio la stessa Winry ed impedirle di venire con noi. Invece c’era anche lei in auto, ed ero stato proprio io a perorare la sua causa perché fosse presente.

 - Se non la portiamo noi, - avevo detto al generale e ad Al, - ci seguirà ugualmente. E poi, chissà, potrebbe aiutarci. Potrebbe esserci bisogno di calmare Alex. - avevo aggiunto subito, prima che uno degli altri due mi chiedesse se volevo portarla di fronte ad Holze.

Non c’è che dire: come cavaliere non valgo nulla. Non ero riuscito a tenere lontano dai guai né la fanciulla in pericolo né il giovane scudiero, e lasciavo che a guidare il destriero fosse un uomo privo di un occhio. Speravo almeno che non ci fermasse qualche vigile.

 

Viale Repubblica doveva essere un gran bel posto, di giorno e senza crateri prodotti dalle bombe: si trovava a pochi isolati dalla nuovissima piazza Hughes, su cui si trovava il Parlamento. Dietro gli alberi e i tetti delle ville si intravedeva la sommità di quella costruzione che somigliava ad una macchina da scrivere.

La nostra casa era una villetta relativamente piccola, con una bella veranda al piano terra e vasi di fiori morti sui terrazzi del primo piano; non c’erano luci accese, e non si sentiva nulla, cosa che mi diede i brividi. Dormivano? Alex aveva smesso di piangere?

Ovviamente, Mustang non aveva lasciato il posto sguarnito: nascosti nell’ombra, contai almeno una decina di uomini in divisa, con le armi pronte.

 - Le regole sono queste: - ci illustrò a bassa voce il generale - se restate dentro per più di mezz’ora, noi entriamo. Se sentiamo dei colpi di arma da fuoco, noi entriamo. Se vi sentiamo urlare, noi entriamo. Se... -

 - Se vedete i nostri cadaveri venire gettati dal balcone entrate? - lo interruppi, seccato.

 - Sì. - replicò lui imperturbabile.

 - Bene. Grazie per non averci messo ansia. -

Al sospirò, ma tenne gli occhi bassi e proseguì nel compito che lo assorbiva completamente: infilarsi i guanti con i cerchi alchemici. Winry gliene aveva prestati un paio robusti, di pelle, che probabilmente erano appartenuti a Stonebridge.

 - Fate attenzione. - disse Winry. - Dovete uscire tutti e tre sani e salvi. -

Al l’abbracciò, baciandola sulla fronte come se fosse stata una dei suoi figli.

 - Lo faremo. Promesso. - le disse.

C’era dell’aria calda. Non capii bene da dove venisse, ma la sentii arroventarmi guance e orecchie. Ci misi alcuni istanti a capire che ero arrossito, più o meno quando mi venne voglia di prendere mio fratello per un orecchio e staccarlo da lì.

Che verme che sono., mi dissi distogliendo lo sguardo. Geloso di Alphonse.

 - Andiamo? - chiesi.

Winry si sciolse dall’abbraccio, asciugandosi gli occhi. Allungò una mano, ma ci ripensò subito e mi sfiorò a malapena un braccio con la punta delle dita. Nella sua agenda mentale sotto il mio nome dovevano esserci le parole “porco traditore”, come minimo.

Attraversammo in fretta il giardino della villetta, controllando che alle finestre non ci fosse nessuno. Arrivati alla porta, scoprimmo che, ovviamente, era chiusa.

 - Questa volta voglio farlo io. - sussurrò Al, sorridendo nonostante la tensione. Batté le mani e le appoggiò sul legno, con gesto consumato, come se avesse smesso di usare l’alchimia solo due minuti prima. Il rumore della serratura che cedeva ci fece rabbrividire (io avrei semplicemente fatto un buco nella porta, ma il mio fratellino era il solito gentiluomo anche nello scasso), anche se fu talmente debole che lo sentimmo solo noi due.

 - Tu piano terra e io primo piano? - chiesi.

 - Sicuro che sia una buona idea dividerci? - replicò Al.

 - No, però almeno se uno di noi se lo trovasse di fronte potrebbe distrarlo fino all’arrivo dell’altro. Ammesso che si lasci distrarre. - concessi.

 - E che non abbia ancora imparato a usare l’alchimia del fuoco del generale. - fece notare Alphonse.

Quello sarebbe stato un problema.

Feci per appoggiare un piede sulle scale, ma mi fermai appena in tempo. Erano di legno, e non sembravano nuovissime: il minimo scricchiolio mi avrebbe tradito. Controllai velocemente che Al fosse entrato in una stanza, sperai che nessuno mi vedesse in quel momento, poi mi tolsi le scarpe e salii i gradini a balzelli.

Questo agli eroi dei romanzi non capita mai: le imprese non si compiono con un paio di calze, che tra l’altro sono state rammendate così tante volte (da Margarethe, non da me) da non avere quasi più stoffa... ma tanto non potevo scendere più di così nella stima di una certa signora.

Sul pianerottolo del primo piano, mi fermai, vedendo una lama di luce nel corridoio altrimenti buio. Filtrava da una porta socchiusa, che raggiunsi. In realtà il pannello di legno era stato staccato brutalmente dai cardini, e poi nuovamente appoggiato al suo posto, e io conoscevo pochi ladri che si sarebbero presi il disturbo di farlo. Mi contorsi per sbirciare senza espormi troppo alla vista, e il cuore mi saltò immediatamente in gola: Alex era raggomitolato su un divano al centro della stanza, gli occhi chiusi e un pollice in bocca. Per alcuni terrificanti istanti temetti il peggio, ma subito dopo notai il suo respiro, e rifiatai anche io. Il bambino doveva essere completamente esausto, se davvero aveva strillato per due giorni. Holze era dietro di lui e mi dava le spalle, e sul momento non capii cosa stesse combinando.

Mi infilai frettolosamente le scarpe e osservai attentamente la camera: quella dove mi trovavo era l’unica porta, e le due finestre erano coperte da quella che mi sembrò carta da pacco, per evitare che la luce fosse visibile dall’esterno. Per il resto, c’era solo il tavolino davanti al sofà su cui era appoggiata la candela accesa che rischiarava appena l’ambiente e un tappeto polveroso sotto entrambi i mobili.

Avevo bisogno di Al. Ritornai sui miei passi per cercarlo, e quando ricomparve nell’atrio attirai la sua attenzione con frenetici gesti della mano, indicandogli di salire. Gli feci anche segno di togliersi le scarpe per non far rumore, e lui ebbe il buongusto di non ridere; abbassò però lo sguardo sui dannatissimi stivali militari che aveva deciso di indossare di nuovo insieme alla divisa, e sul suo viso comparve una smorfia di disappunto. Avrebbe impiegato un’eternità per levarseli!

Mi trattenni dall’alzare gli occhi al cielo per non ferire i suoi sentimenti, e tornai a controllare nella stanza. Compresi finalmente che Holze stava mangiando, in una maniera animalesca che mi disgustò. Alzò la testa, facendomi ritrarre istintivamente, ma si limitò a ruttare sonoramente e tornare alla sua cena, senza dar segno di essersi accorto della mia presenza. Abbassai di nuovo lo sguardo su Alex.

E incrociai un paio di enormi occhi castani.

Mi portai un dito davanti alla bocca, sperando che il povero bimbo non si agitasse. Poi mossi la mano per fargli segno di restare fermo. Controllai di nuovo Al, che non aveva fatto grandi progressi.

Se solo il divano fosse più vicino, mi dissi, o Holze più distante! Serrai gli occhi, e mi morsi un labbro. Rifletti, Ed, rifletti. Come avvicinarsi al bambino senza essere visti?

Un movimento di Alex riportò la mia attenzione su di lui. Il cuore mi mancò un battito quando lo vidi scivolare sul tappeto senza emettere suono: pensai che stesse per mettersi a correre verso di me, ma lui aveva già dato prova di essere molto più intelligente di quanto mi aspettassi, perché non si alzò da terra. Prese a gattonare verso di me.

Ero impietrito. Lo guardai avvicinarsi come se ogni centimetro fosse lungo un chilometro. Due metri, un metro e mezzo. Un rumore di passi sulla scala. La testa di Holze si spostò lievemente verso sinistra. In una frazione di secondo capii che Al non sarebbe mai arrivato prima che Holze si accorgesse dei movimenti del bambino. 

Agii d’impulso. Spalancai la porta con un calcio e feci un passo in avanti. Chiusi le dita sulle braccia ossute di Alex e lo tirai verso di me senza sforzo, in un gesto brusco che probabilmente gli fece male. Holze fu subito in piedi, e io istintivamente strinsi più forte il piccolo, cercando di coprirlo il più possibile con le braccia.

 - Ed! - gridò Alphonse, subito dietro di me, sulla porta.

Appoggiai la mano sulla testa bionda di Alex, avvertendo le sue piccole mani che mi stringevano convulsamente la camicia.

 - Bambino! - ruggì la creatura nera.

Se fosse riuscito a usare l’alchimia, e scaraventarmi contro il muro come aveva fatto con Winry, Thomas e Lotte la volta precedente, non sarei più riuscito a difendere il bambino. Non avevo altra possibilità: diedi le spalle a Holze e tesi Alex a mio fratello.

 - Corri! - gli ordinai. - Portalo immediatamente fuori, io lo trattengo! -

Vidi un moto di ribellione nei suoi occhi, ma non gli lasciai il tempo di protestare. Non avevamo tempo. Gli gettai letteralmente il piccolo tra le braccia, e tornai a fronteggiare il mio avversario.

Non feci in tempo, ovviamente. Una folata bollente mi sollevò da terra e mi sbatté sulla parete a destra, facendo scricchiolare l’automail.

Mi ritrovai a faccia in su senza sapere come ci ero finito. Holze aveva superato il divano, e puntava alla misera candela sul tavolino.

No!, pensai, battendo istintivamente le mani. Il cemento del pilone portante alle mie spalle si trasformò in un pugno diretto verso l’uomo, che lo costrinse a scartare di lato. Ne approfittai per saltare in piedi e aggredirlo frontalmente.

 - Bambino! - ripeté lui. Lo colpii una volta con l’automail, una seconda. Parò il terzo colpo, gli tirai un calcio. Lui rispose con un pugno alla mascella. Lo colpii allo stomaco. Mi sgambettò, il bastardo!, e batté le mani. Dalla parete di mattoni uscì un’enorme mano diretta verso di me.

Errore! Utilizzai di nuovo il mio pilone, e il pugno disintegrò la manona.

Risi, asciugandomi con il dorso della mano il sangue che usciva dal labbro spaccato.

 - I mattoni che compongono le pareti interne non sono altro che argilla. I piloni portanti di una casa sono di cemento armato. - gli dissi.

Quando un uomo dalla mano d’argilla incontra un uomo dal pugno di cemento, l’uomo dalla mano d’argilla è un uomo morto!*

Ringhiò come un cane pronto ad azzannare, ma aveva il respiro affannoso. Anche io, del resto, ed ero molto più indolenzito di quanto credessi possibile: ogni muscolo del mio corpo protestava, impreparato ad uno sforzo simile e consumato da mesi di privazioni. Non ero più un ragazzino. Certe acrobazie erano ormai troppo per me. Per fortuna, neppure Holze era messo meglio: sotto la scorza nera c’era pur sempre un cinquantenne robusto che doveva aver fatto ben poca attività fisica nonostante fosse un militare. Era veloce, d’accordo, ma la sua resistenza aveva dei limiti.

 - Fuoco! - ansimò.

 - Scordatelo! - ribattei, chinandomi per tornare ad attaccarlo se avesse tentato di schioccare le dita.

 - Fuoco! - ripeté, la voce colma di panico.

Finalmente, sentii l’odore. Fumo? Mi voltai.

La maledetta candela si era rovesciata durante la lotta, rotolando giù dal tavolino e appiccando il fuoco al tappeto. Non mi piacque la velocità con cui si propagavano le fiamme.

 - Colonnello, dobbiamo uscire da qui! - dissi, tendendo una mano (l’automail, per sicurezza) verso di lui.

 - Fuoco! - strillò la creatura, saltando indietro. - Fuoco, fuoco, fuoco! -

 - Stia tranquillo, possiamo salvarci. Venga con me! -

Mi ignorò. Si appiattì contro la parete, tremando, e cominciò a muovere freneticamente le dita della mano destra.

 - Non lo faccia! - gridai, intuendo i suoi intenti.

La folata arrivò, spingendomi indietro e rovesciandomi. Era sempre bollente, ma meno violenta di prima; puntellandomi su un gomito, mi sollevai.

 - Misericordia! - esalai.

Sapevo che l’alchimia del fuoco era una tecnica molto difficile da apprendere e controllare. Holze non ne era capace: aveva copiato i rudimenti, ma questi non bastavano minimamente. Quella volta era riuscito a usare l’ossigeno per accendere la fiamma, ma non era stato in grado di dirigerla, causando un’esplosione di scintille che aveva incendiato praticamente ogni cosa, compresi noi due. Mi battei le mani addosso per spegnere i vestiti, mentre la creatura nera lanciava urla sempre più forti, accecata dal dolore a dalla paura.

 - Dannazione, stia fermo! - ringhiai, togliendomi in fretta il soprabito e gettandoglielo addosso. Mancai il bersaglio, ma solo perché Holze si spostò subito. - E magari già che c’è veda di collaborare! Sto cercando di aiutarla! -

 - Ed! -

Alphonse era ricomparso, e ora fissava sbalordito un grazioso salotto alto-borghese che si trasformava in un forno. Lo fermai prima che decidesse di diventare la braciola da cuocere.

 - Al, corri fuori! Chiedi a Mustang se può chiamare i pompieri, e fai allontanare tutti. È completamente fuori controllo. -

Giusto per dare credibilità alle mie parole, Holze batté le mani e subito uno spuntone di cemento forò la parete un paio di metri sopra le nostre teste.

 - Io cerco di fermarlo. - decisi.

Lui non parve felice della mia idea (non lo ero neppure io): si tolse la giacca della divisa e me la lanciò, prima di sparire di corsa.

 - A noi due! - esclamai. - Ho promesso a Klaus che l’avrei riportata indietro, e lo farò! -

Sollevò il viso nero ustionato.

 - Klaus? -

Trattenni il fiato. Ricordava qualcosa?

 - Klaus, sì. Suo figlio. - Da qualche parte, sentii il rumore di un crollo. - Che ne dice di andare a parlare di lui fuori da qui? -

Mi fissò a lungo, e visto che non sembrava volermi aggredire ne approfittai per avvicinarmi. Non si oppose; gli passai la giacca di Al sulla schiena per spegnere le scintille. Che capisse o meno, mi importava poco. C’era ancora qualcosa di umano in lui!

 - Venga con me! - lo presi per una mano e cominciai a trascinarlo fuori, evitando il tappeto in fiamme. - Faccia attenzione... Metta il piedi qui... attento! -

Dal soffitto cadevano schegge di legno infuocato, mentre gli scricchiolii si moltiplicavano. Quanto avrebbero retto quei muri? Tutto il materiale usato nella lotta era stato tolto da altre parti, la struttura stessa della casa doveva essere compromessa.

Holze strillò, quando una fiammella gli cascò in testa, bruciando una parte della sostanza nera che lo ricopriva. Gli passai la giacca sulla testa per spegnerla.

 - Tutto a posto. - dissi. - Ora... -

L’uomo nero mi spinse a terra e, mentre ancora mi riprendevo dalla sorpresa, saltò indietro. Batté le mani.

 - Non tocchi i muri! - urlai.

Da sotto la giubba scaturì una fiamma, che in un istante avvolse il colonnello e lo trasformò in una torcia. Emise un gemito raccapricciante, che ancora oggi risuona nei miei incubi, e dopo pochissimi istanti si accasciò al suolo.

Rimasi a guardare quella scena orribile senza riuscire a distogliere lo sguardo, né a correre in avanti per aiutarlo. Non avrei potuto fare comunque nulla, e in ogni caso non sapevo più dove andare: il fuoco mi circondava le caviglie, iniziava ad attaccarsi all’orlo dei pantaloni e non mi lasciava nessuna via di fuga.

Uno schianto sulla mia testa mi strappò allo stato di trance. Alzai gli occhi, in tempo per vedere il soffitto venirmi incontro e i muri richiudersi sopra di me.

Merda, pensai, battendo per l’ultima volta le mani.

* * *

 

Passò un’ora prima che trovassero il corpo.

 - Signor Elric... - mi chiamò uno dei pompieri, esitante.

Ad Amestris, il corpo dei Vigili del Fuoco faceva parte dell’esercito. Quindi, il generale Mustang aveva fatto valere tutta la sua autorità per mobilitarne il più possibile: sembrava che tutto il Quartier Generale di Central City fosse lì, impegnato a scavare. E pensare che era crollata solo metà della villetta, mentre l’altra restava in piedi, spettrale nella polvere che non si era ancora posata del tutto.

Mi alzai, ignorando la testa, la schiena, le braccia e le gambe che dolevano: avevo continuato anche io a spostare macerie a mani nude, senza badare a tutti quelli che mi ripetevano di andare a riposare. Il generale Mustang girò il viso, per fissare l’uomo che era arrivato con l’occhio sano.

 - Dovrebbe seguirmi. Se la sente? -

Stava cercando di usare tutta la delicatezza di cui era capace, ma non fu difficile capire il perché di quella richiesta: spostai rapidamente lo sguardo su Winry, in piedi oltre il recinto che separava il giardino dalla pubblica via. Era immobile, gli occhi sgranati e il volto di pietra, e stringeva Alex tra le braccia con furia possessiva, come sfidando il mondo a strapparglielo di nuovo. Non riuscii a capire se avesse sentito, ma doveva aver comunque intuito.

 - Arrivo. - dissi.

Mi accompagnò davanti ad una sorta di buco tra i detriti. Era là, al centro di quel cratere artificiale.

Esattamente come avevo immaginato, il cadavere era completamente carbonizzato. Al buio, mi riuscì difficile anche solo vederne i contorni tra le macerie. Mi inginocchiai sul bordo, e i miei muscoli si torsero dolorosamente, ma me ne accorsi appena.

C’era ben poco di umano in quell’ammasso contorto. Niente capelli, niente vestiti, solo ossa annerite e poca carne, rossa e così puzzolente  che dovetti trattenere un conato di vomito. Tremai convulsamente per la tensione, e allungai il collo per osservare meglio.

 - Lo riconosce? - mi chiese qualcuno.

Non risposi. Continuavo a guardare quella povera creatura, pensando freneticamente e piantandomi le unghie nelle cosce.

Se solo mi fossi sbrigato. Se solo avessi corso più velocemente...il generale mi aveva già detto che sarebbe servito solo a farmi seppellire insieme a quei due, e una parte di me lo sapeva benissimo. Ma la verità è che, davanti alla morte, difficilmente si ascolta la voce della ragione.

Sentii del movimento alle mie spalle, poi il gemito di Winry. Pochi istanti dopo, lei mi fu a fianco, un’onda di capelli biondi che invase il mio campo visivo; si era gettata bocconi alla mia sinistra, le mani sul viso.

 - Al... - mi implorò, graffiandosi le guance.

Le passai un braccio intorno alle spalle e la strinsi.

 - Non è lui. - dichiarai.

Winry si voltò di scatto, così come tutti quelli che ci stavano attorno.

 - Come fai a dirlo? - mi chiese, aggrappandosi alla mia camicia. Voleva credermi con tutte le sue forze, ma non ci riusciva.

 - Le scarpe. -

La voce del generale Mustang suonò calma, sicura, il tono del professionista che sta facendo il suo lavoro. Per un istante mi chiesi quante persone lui avesse ridotto in quello stato. Fu un pensiero fugace, subito scacciato da un sollievo che quasi mi fece piangere.

Il cadavere non aveva più i vestiti, ma le scarpe non erano bruciate del tutto: si vedeva ancora la spessa suola degli stivali militari, che le fiamme non erano riuscite a squagliare completamente.

 - Ed indossava delle scarpe basse, con le stringhe. - spiegai, a Winry come a me stesso. - Le sue suole erano molto più sottili di queste, tanto più che erano vecchie e logore. -

Lei mi ascoltò ad occhi spalancati, bevendosi ogni parola. Poi si coprì il viso con le mani è scoppiò in lacrime.

 - C’è ancora speranza... - sussurrò, con voce spezzata. - C’è ancora speranza. -

La abbracciai, senza dire nulla. Lei riusciva ancora a crederci, io facevo sempre più fatica a convincermene; la vista del corpo devastato del colonnello Holze, invece di tranquillizzarmi, stava cominciando a rendermi ancora più rassegnato al peggio.

Dovevano essere vicini, al momento del crollo. Se lui era ridotto così, cosa poteva essere rimasto di Ed?

 - Alphonse? - mi chiamò Winry, ricomponendosi. - Mi sei testimone. Appena riesco a riportare a casa quell’idiota di tuo fratello, non gli permetterò mai più di scapparmi. Mai più. -

C’era una nota isterica nella sua voce. Cercai in tasca un fazzoletto da offrirle, ma quando lo trovai lo macchiai con le mie dita sporche. Lei non ci fece neppure caso, e me lo strappò di mano per asciugarsi gli occhi, le mani che tremavano appena.

 - Lo ami, Winry? - chiesi.

Si morse il labbro.

 - Non posso impedirmelo. - ammise con dolcezza.

 - Anche lui ti... - mi interruppi. Stavo per dire anche lui ti amava.

Stavo già usando il passato. Il pensiero mi fece rabbrividire.

Da qualche parte, qualcuno urlò.

* * *

 

Qualcuno urlò? Non me ne accorsi. In realtà, non mi accorsi di nulla finché qualcuno non mi toccò una guancia con un dito; solo allora ripresi conoscenza. Aprii a fatica le palpebre, che sembravano appiccicate tra loro, trovandomi di fronte un uomo nero dalla testa ai piedi: viso nero, capelli neri, abiti neri. Pensai fosse Holze, che forse la sostanza nera lo avesse protetto, ma mi accorsi subito che quella pellicola scura in particolare era solo un impasto di fuliggine e sudiciume.

 - Finalmente! A forza di schiaffeggiarti, mi stavano cominciando a far male le mani! - sbottò quello, alzando cinque dita polverose come il resto del corpo.

 - Mi hai a malapena sfiorato, Al. - rettificai. La mia voce suonò così roca e debole che feci fatica a riconoscerla. Mio fratello si alzò faticosamente in piedi e lasciò il posto ad un paio di pompieri.

Non ricordo granché dei minuti che seguirono. So solo che avvertivo fitte in ogni parte del corpo, e che quando mossi l’automail scoprii che del braccio restava giusto qualche cavo, un po’ di metallo annerito e contorto e tre dita.

Winry mi avrebbe ammazzato. Sarebbe stata così furiosa da non accorgersi che il mio braccio vero era rotto, oppure ne avrebbe approfittato per staccarmelo a morsi.

Comunque, quei simpatici ragazzi assoldati dal generale mi tirarono fuori dalle macerie senza ulteriori danni alla mia carcassa. Uno di loro era abbastanza espansivo da spiegarmi pure come avevo fatto a salvarmi:

 - Due travi sulla sua testa si sono incastrate tra di loro, e hanno fermato la parete che le è crollata addosso. - diceva allegramente. - Non mi spiego come sia possibile, ma le fiamme devono essere state spente dalla polvere, se no avrebbero consumato tutto l’ossigeno presente nel buco in cui lei era finito... -

 - ... oltre alle tue misere ossa, Acciaio. - terminò Mustang, gioviale.

 - Veramente ho usato l’alchimia. - rettificai, punto sul vivo. - Ho spostato l’ossigeno e... in ogni caso, grazie per la spiegazione scientifica. - mi voltai verso Al. - Holze? L’avete trovato? -

Nonostante la maschera di sporcizia, vidi la sua espressione mutare di colpo. Chiusi gli occhi.

 - È morto, vero? - chiesi.

 - Mi dispiace. -

 - Alla fine si era ricordato di suo figlio. - mi coprii il volto con quel che restava dell’automail e piansi.

 

 

 

 

* Solo per questa frase meriterei di essere scuoiata. Non ho resistito. È saltata fuori mentre ero sola in casa e ne approfittavo per immaginare i movimenti di Ed e Holze in una stanza di medie dimensioni (nella fattispecie, il salotto di casa mia... non ridete. Sono una persona pignola metodica).

 

Pensierino della buonanotte: non ho mai saputo che pensare del colonnello Georg Holze. Mi dispiaceva ucciderlo, anche se razionalmente sapevo che era inevitabile, che intraprendendo la strada “sostanza nera + follia” lo avevo di fatto condannato a morte; però mi rattristava l’idea di eliminare un personaggio che alla fin fine non sembrava poi così cattivo. Ha anche aiutato Ed, un tempo, quando lo aveva dichiarato inabile alla leva. La sua colpa è stata la passività mostrata con Hedwig, il suo non opporsi ai piani del Presidente: ha badato solo al suo orticello, e anche la decisione di salvare Alphonse sul Reno era dettata solo da interessi personali (aveva bisogno di soldati per il piano di Hedwig, così ha ne ha approfittato per portar via il figlio Klaus dal fronte: la vita di Al era del tutto contingente, se anche fosse morto non si sarebbe affranto). Einstein diceva che “Il mondo è quel disastro che vedete, non tanto per i guai combinati dai malfattori, ma per l'inerzia dei giusti che se ne accorgono e stanno lì a guardare”, e Holze ne è la prova vivente - o morente, dipende dai punti di vista.

Ora passo a rispondere, scusandomi in anticipo se a dicembre tardassi a pubblicare: in teoria dovrei laurearmi, quindi è possibile che in questi mesi sia un po’ impegnata, sempre se riuscirò a placcare il relatore della mia tesi e costringerlo ad ascoltarmi, cosa che mi ha reso difficile pubblicare in tempo questo capitolo...

Nota dell'ultimo minuto: grazie a Leuconoee per avermi fatto notare l'erroraccio degli occhi di Alex, che da castani sono diventati azzurri nella prima versione di questo capitolo! Sono corsa a correggere vergognandomi come una ladra...

            Obito Uchiha: Winry incinta per un anno intero? L’incubo di tutte le donne in gravidanza! Poveretta...

            Leuconoee: non so se considerare quella di Winry una crisi isterica o meno: cioè, in una situazione simile sarebbe stato ragionevole, e anche in tutte quelle in cui si è trovata nella serie... ora che scrivo, sto cominciando a pensare che il problema di questa ragazza non sia la lacrima facile, quanto l’innegabile fatto che la gente intorno a lei si fa sempre un male cane...

Sì, la faccenda della glassatura nera è inventata a partire da quel poco che si è visto nel film, e cioè che i soldati con le armature e Miss Ora Spacco Tutto Con Le Mie Armate Del Male sono usciti ridotti come cormorani della Louisiana, mentre Ed e Al hanno fatto avanti e indietro senza danni. Ho pensato quindi di spiegare la cosa nel modo più semplice possibile, e cioè che le persone nel nostro mondo non possano attraversare il Portale (questo conduce a tutta una serie di domande tipo “ma allora ci sono differenze genetiche tra le due popolazioni?” a cui non voglio neppure tentare di rispondere...); la storia della pazzia di Holze è ancora più inventata, perché il Presidente ha dato segni di squilibrio (...cioè, di squilibrio più forte del solito...) solo alla fine, prima che l’alter ego di Hughes la uccidesse. Del resto, anche in questo capitolo ho inventato tutto quel che capita quando non si padroneggia l’alchimia del fuoco, usando un po’ di conoscenze in chimica e molta fantasia... alla fine, tre anni di chimica a cosa mi son serviti? A scrivere fanfiction! Andiamo bene...

Sì, ho dei grossi problemi a rendere i combattimenti. Lo ammetto. Oltre ai problemi logistici - finisco sempre per creare battaglie in salotti o altre stanze chiuse, ma questa è colpa mia -, temo sempre di spezzare la tensione: ho cercato di seguire il tuo consiglio, facendo frasi più brevi e lasciando i pensieri a dopo, ma senza le riflessioni del personaggio il testo diventava noioso da morire. Sembrava di seguire un incontro di tennis alla radio... Per quanto riguarda il numero di capitoli, annuncio che ne mancano solo più due più l’epilogo, quindi... manca poco!

Lindemann? Avevo paura che la gente non si ricordasse più di lui: fortuna che non è così!

            Kiki75: Alex è intonso! Alla fine dello scorso capitolo, a dire il vero, mi sentivo un po’ stupida a creare tutta quella tensione: chi crederebbe, pensavo, che io voglia davvero uccidere Alex? Per questo stesso motivo non ho tirato per le lunghe la ricerca di Ed sotto le macerie: era impossibile crederlo morto per davvero, chiunque si aspetta che lo tirino fuori ancora vivo.

            Liris: la scena di Winry è vista con gli occhi di Edward, che hanno già dimostrato di non essere per nulla obiettivi su quell’argomento... guarda se si può, mi stava diventando geloso del fratello!

 

   
 
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