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Autore: Farrah Wade    16/09/2010    4 recensioni
Essere genitori non è mai una cosa facile. Spesso si devono prendere decisioni difficili riguardo ai figli. Quante volte per "fare del bene" si deve "fare del male", rischiando di essere fraintesi e addirittura odiati dai propri figli? Ne sa qualcosa il dottor Philip Price, che oltre a dirigere un ospedale, si troverà alle prese col non facile carattere dei suoi gemelli. La sofferta ma necessaria decisione di mandarli a studiare in un collegio adatto al rango della famiglia scatenerà una serie di terribili eventi che vedranno coinvolti i suoi figli e una strana "allucinazione" che lo porterà a dubitare della loro sanità mentale e rivangare alcuni segreti celati da tempo dal nonno dei gemelli, il primario ormai in pensione Preston Price. Genitore austero e brillante medico, Philip cercherà sempre di fare "la cosa giusta" finendo inevitabilmente col fare quella sbagliata.
Genere: Drammatico, Slice of life, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 27


Il reparto era tutto in fermento. C’era stato un nuovo ricovero. Di solito, l’efficientissimo staff avrebbe sistemato tutto senza problemi, ma stavolta era diverso. Non era stato possibile seguire la normale procedura dei ricoveri principalmente per due motivi: il primo era proprio il paziente stesso; il secondo motivo era più semplice: quel ricovero era capitato nel momento sbagliato.
Quando arrivava un nuovo paziente, la procedura prevedeva una visita accurata eseguita dall’equipe di medici. Venivano fatti esami preliminari, utili ad evidenziare eventuali allergie o intolleranze ai farmaci. Successivamente il nuovo arrivato veniva sistemato in reparto. Gli psichiatri valutavano se era violento o aggressivo, e a seconda dei casi, si decideva se poteva essere ritenuto pericoloso per sé e per gli altri, mettendolo in una stanza da solo o in gruppo se era idoneo per starci.
Questa, in linea generale, era la normale procedura dei ricoveri, ma quel pomeriggio la normalità venne stravolta da quel nuovo ricovero.
Erano le tre e quindici, ora del cambio turno del personale. La caposala e Jeff erano ancora in riunione con il primario e tutti i medici. Valerie, l’altra capoinfermiera, aveva da poco finito il turno e aspettava che Doreen rientrasse in reparto per staccare. Di solito, tutto avveniva in modo abbastanza tranquillo in questo reparto. I pazienti erano tutti nelle loro stanze, sotto controllo; il personale era organizzato in modo tale che ci fosse sempre quella necessaria continuità per riuscire  a gestirli al meglio nel momento più delicato della giornata.
Quelli che finivano il turno si ritiravano nella sala infermiere con quelli che iniziavano. Si discuteva della giornata e si assegnavano le varie mansioni. Dopo circa un quarto d’ora riemergevano tutti. Alle tre e trenta il passaggio dei poteri era avvenuto e tutto tornava alla normalità.
Quel pomeriggio, le tre e quindici divennero ora fatidica. Quel ricovero non poteva capitare in un momento peggiore.
Nella sala infermiere in quel momento c’era solo Valerie. Qualche minuto più tardi venne raggiunta da Martha e Judy, due ausiliarie.

-Inizi o finisci?- si informò Martha, la veterana.

-Se Dio vuole per oggi ho finito. Aspetto solo che Doreen mi dia il cambio poi me ne vado; deve essere ancora in riunione.

-Quale riunione?- volle sapere Martha.

-Sono stati convocati tutti dal dottor Kay per discutere il da farsi sul figlio del primario.

-Ah, ecco. In effetti mi sembrava di avere visto in giro meno gente del solito.

-Si, sono tutti in riunione. Ma non ci vorrà ancora molto; è da parecchio che sono via - disse Valerie – dovrebbe esserci anche Loughran con voi, oggi.

Come se fosse stato chiamato, il testone nero di Tommy Loughran fece capolino nella stanza.

-Buongiorno, belle signore. Hey, ma … dove sono tutti quanti?

-Ciao Tommy. Ci siamo solo noi, riunione straordinaria. Facciamoci un caffè prima che arrivino, ti va? – lo invitò Valerie.

-Come no, mi ci vuole proprio.

Mentre prendevano il caffè, anche Loughran venne informato della riunione che il nuovo psichiatra aveva indetto quel pomeriggio. Stavano discutendo delle varie incombenze della giornata quando l’intercom ronzò. Valerie pigiò il bottone e rispose.

-Si?

-Sono Thorne, del pronto soccorso. Mandateci qualcuno, è arrivato uno nuovo per voi - la voce dell’infermiere sembrava allarmata. – Fate presto – aggiunse, poi la comunicazione fu interrotta.

La caposala e Loughran si alzarono quasi all’unisono.

-Sembrava grave - disse preoccupata Valerie.

-Già, e Doreen ancora non si vede - ribatté Loughran.

-Andiamo noi, se vuoi – propose Judy.

-No – rifiutò Valerie – mi servite qui. Non posiamo lasciare il reparto se qualcuno non rientra.

-Chiama Doreen sul cercapersone – propose Loughran.

-No, grazie! Ci tengo ancora alla mia pelle. L’ultima volta c’è mancato poco che mi malmenasse! Sapete quanto è categorica: “solo in caso di estremo bisogno” e questo non mi sembra proprio estremo. Che diamine, quelli del pronto soccorso riusciranno a cavarsela per un po’!

-Si, forse hai ragione tu.

Lei annuì in silenzio. Sapevano tutti che Doreen e Valerie non andavano molto d’accordo. Entrambe ottime infermiere, dirigevano il reparto ognuna in maniera diversa; più dispotica e maniacale Doreen, più umana e accomodante Valerie. Discutevano apertamente se i loro pareri differivano riguardo ai pazienti e le loro terapie, ed erano capaci di ignorarsi a vicenda ma tutto finiva lì, e se qualcuno  del personale prendeva posizione a difesa di una o dell’altra, subito intervenivano.
“Doreen è una professionista e fa questo lavoro da molto più tempo di me”, oppure: “Valerie è in gamba ed è molto qualificata; lei ha i suoi metodi, io i miei. Tutto qui.”
Era avvincente. Un po’ come osservare di nascosto i genitori che litigano. Doreen arrivò qualche minuto dopo, scusandosi per il ritardo.

-Stavamo per mandarti a chiamare- disse subito Valerie.

-Perché, che è successo?

-Brian del pronto soccorso vuole che gli mandiamo giù qualcuno a prendere un nuovo paziente. Dice che è urgente.

Doreen si accigliò. – Non ne sapevo niente.

-Deve essere appena arrivato – continuò Valerie – e comunque non potevo mandare nessuno se tu e Jeff non rientravate.

-Hai fatto bene, certo – ammise il Generale – ma se ora vado giù mi saltano i controlli.- Guardò l’orologio. – Siamo già in ritardo e tu se non sbaglio devi staccare.

-Ci penserò io qui, se per te va bene. Un po’ di straordinario non mi ucciderà.

Doreen fece una smorfia che poteva essere interpretata come un sorriso – Va bene. Tommy, Jeff, venite con me. Andiamo a vedere cosa è successo. Grazie, Valerie.

-Dovere.

Doreen scese al pronto soccorso con i due ausiliari mentre Valerie si preparava al giro di visite assistita da Martha e Judy.
Se qualcuno avesse detto che il peggio doveva ancora arrivare, nessuno gli avrebbe creduto. Eppure l’intensa giornata lavorativa avrebbe riservato ancora dei fuori programma agli ignari infermieri. Era l’applicazione della legge di Murphy, e cioè: se qualcosa doveva andare storto, è sicuro che sarebbe andato storto. Il personale impiegato quel pomeriggio stava proprio per scoprirlo.



                                                    ***


Le urla. Quelle urla terribili furono la prima cosa che udirono quando l’ascensore aprì le porte sul corridoio che portava al pronto soccorso. Erano fastidiose già in lontananza, pensò Doreen, figuriamoci da vicino.
Percorsero il lungo corridoio fino in fondo, poi Doreen, seguita da Jeff e Loughran spalancò la porta della saletta visite su quelle urla strazianti. Il personale era tutto indaffarato intorno ad un lettino su cui era sistemato il paziente urlante.

-Cosa sta succedendo qui? – chiese, ma in tutto quel trambusto nessuno badò a lei. Si avvicinò di malavoglia alla fonte di tutto quel casino, e vide il giovane paziente urlante. Le ausiliarie la notarono e si scostarono. Jeff e Loughran subito dietro.

-Ma che cosa sta succedendo qui? – chiese di nuovo alzando la voce.

Brian alzò finalmente gli occhi dal paziente e le venne subito incontro.

-Meno male! Non so più cosa fare con lui. E’ arrivato da poco ed è una furia incontenibile!

Mentre parlava passò a Doreen la cartella clinica contenente i pochi appunti che era riuscito a raccogliere al momento del ricovero. Lei cercò di leggerli, ma con tutto quel trambusto era impossibile.

-Dategli qualcosa per la miseria! – esclamò infastidita.

-Gli abbiamo già somministrato tanta di quella Stelazina sufficiente per stendere un cavallo e ancora non molla. Non osiamo dargli dell’altro, non prima di avere eseguito gli esami preliminari- la informò Brian.

-Sì, ma se non si calma non li eseguiremo mai, e se continua così gli verrà un colpo. Dagli dell’Ativan, mi assumo io la responsabilità.

Gli infermieri eseguirono le direttive di Doreen e sembrò che finalmente il giovane paziente si calmasse.

-Molto bene, - proseguì lei soddisfatta - veniamo a noi. Rilesse i fogli del ricovero.

-Qui dice che ha spesso queste crisi violente ed è già stato ricoverato in due diverse strutture psichiatriche. Come mai lo hanno portato qui?

-Come noterai più avanti, è anche riuscito a scappare entrambe le volte, quindi, onde evitare una terza fuga lo hanno spedito qui.

Brian lo disse con orgoglio, riferendosi alle misure di sicurezza di cui l’ospedale era fornito. Doreen si limitò ad annuire.

-E’ molto giovane, il paramedici hanno scritto “età compresa tra i sedici o diciassette anni”.

Brian confermò: - Sì, credo ne abbia diciassette. Ne sapremo di più quando parleremo con i genitori. Sono stati loro a chiamare, dopo che lui è tornato a casa e senza un motivo apparente ha aggredito la madre. Sappiamo solo il nome, è scritto lì, vedi?

-Kyle Barker – lesse Doreen – mmmh…

-Tutte le informazioni verranno messe a disposizione domani, quando finalmente avremo i risultati dei test.

-Molto bene – ripeté Doreen, e appose la sua firma sulla cartella clinica prima di riconsegnarla a Brian. – Lo prendiamo in custodia noi. Fatemi avere quei risultati prima possibile.

Con un cenno del capo fece capire a Jeff e Loughran che potevano prendere in consegna il nuovo paziente.
Non sembrava più infuriato ora, solo in trip di tranquillanti. I due inservienti lo slegarono dal lettino e lo misero in piedi, sostenendolo per le braccia.
Doreen lo osservò. Era un bel ragazzo, scuro di occhi e capelli; peccato fosse malato. La sua furia sembrava essersi esaurita, ma lei non abbassò mai la guardia. Jeff e Loughran lo tenevano saldamente. Andò tutto bene fino in ascensore. Mentre salivano al nono piano Kyle iniziò a parlottare tra sé, gli occhi lucidi come un tossico strafatto.

-Quella maledetta … la dovevo ammazzare … è tutta colpa sua … Hey, ma voi chi siete?

-Stai calmo Kyle ora ti portiamo nella tua stanza. Andrà tutto bene, vedrai.

L’ascensore si aprì al nono piano. Doreen inserì la sua tessera magnetica e le doppie porte si aprirono. Solo quando queste si furono chiuse alle loro spalle il meccanismo ronzò brevemente e sbloccò le altre porte. Doppie porte di sicurezza. Kyle sussultò quando per la seconda volta lo scatto secco della chiusura elettrica bloccò le porte dietro di loro. Erano entrati. Un lungo corridoio, con file di porte. Kyle si guardò intorno con espressione sognante, imbambolata, la bocca aperta. Camminava incespicando sempre sorretto dai due infermieri.
Ad un trattò sbottò:-Lo conosco questo posto! Siete riusciti a fregarmi di nuovo! Non ci voglio stare qui lasciatemi tornare a casa mia!

Iniziò ad agitarsi di nuovo come se non gli avessero somministrato niente, come se i tranquillanti non avessero sortito effetto su di lui. I tre infermieri se ne stupirono. Arrivarono all’altezza della sala infermiere che il ragazzo cominciò a calciare le porte e gridare nonostante Jeff e Loughran lo tenessero a bada.
Furono quei colpi e quelle urla che spaventarono Benji, rinchiuso qualche porta più in la. Passarono davanti alla sua stanza proprio mentre lui era rannicchiato sotto il suo letto, ferito e spaventato, a domandarsi se anche lui fosse pazzo o meno. Ma il peggio ancora non era arrivato. Valerie corse loro incontro quando udì quelle grida. Era a metà del giro dei controlli.

-Quello nuovo?

Doreen annuì.

-Ti serve aiuto?

-No. Jeff e Tommy ce la fanno. Tu tutto bene? – si informò Doreen al di sopra delle urla.

-Finora sì, tutto tranquillo, ho quasi finito.

-Bene. Continua. Lo portiamo in isolamento poi ti do il cambio.

-Okay.

Doreen proseguì e Valerie nella direzione opposta continuò i controlli con Martha e Judy al seguito.

Il ragazzo continuava a urlare. Doreen ne aveva piene le scatole. Era molto contrariata.

-Insomma piantala di fare scena. Mi hai fatto venire il mal di testa!

-Fammi uscire! Voglio andarmene! Io ti ammazzo! – strillava Kyle senza sosta.

Il corridoio sembrava non finire più. Quando alla fine svoltato l’angolo arrivarono di fronte alla porta della cella d’isolamento il nuovo arrivato sembrò capire perfettamente cosa lo attendeva. Iniziò a dibattersi e urlare con maggior vigore.

-Non lasciatemi qui! Non lo faccio più, non lo faccio più, prometto, per favore, per favore no, no, NOOOOOO!!!!

Doreen staccò dalla cintura un tintinnante mazzo di chiavi. Niente chiusure elettriche per l’isolamento. Aprì la porta e accompagnò dentro il nuovo paziente.

-Kyle per oggi starai qui. Fino a domani non posso più somministrarti nulla. Qui sei al sicuro. Strilla quanto vuoi. Quando ti sarai calmato, intendo sul serio, ti farò uscire. La tua furia qui non spaventa nessuno. Impara queste semplici regole e andremo d’accordo.

 Si richiuse la porta alle spalle con evidente soddisfazione desiderosa di allontanarsi alla svelta dalla fonte di tutto quel rumore. Il nuovo arrivato, infatti, aveva preso a inveire e colpire la porta chiusa con calci e pugni. Avevano svoltato l’angolo e ancora si sentivano le sue grida.
Doreen era seccata e camminava svelta. I suoi passi echeggiavano lungo il corridoio.

-Accidenti – commentò Loughran – ci dà dentro quel ragazzo.

Doreen fece una smorfia insofferente. Quel paziente l’aveva irritata oltremisura.

-Presto – sbuffò – abbiamo del lavoro da portare a termine.

Non fece in tempo a dire altro perché vide Martha arrivarle incontro correndo. Gli angoli della sua bocca si piegarono all’ingiù di ulteriori due centimetri mentre l’espressione irritata della sua faccia si fece ancora più dura. Sapeva per esperienza che c’erano altri guai in vista se le infermiere correvano da lei in quel modo. Guai seri. Sospirò arrendendosi all’evidenza e non appena l’infermiera fu vicina le chiese rassegnata: - Cos’altro è successo ora? Perché sapeva che era successo qualcosa. Se lo sentiva.  
   
 
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