Crossover
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Autore: Dk86    24/09/2010    3 recensioni
Nell’Universo ci sono un sacco di cose.
Per la maggior parte si tratta di fenomeni interessanti e visivamente spettacolari ma non molto utili all’atto pratico, come giganti rosse, pulsar o nane brune. I buchi neri, se non altro, possono risultare efficaci se ci si vuole liberare di qualcosa di scomodo… Sempre che il buco bianco corrispondente non decida di aprirsi proprio davanti alla persona a cui si stava tentando di nascondere il problema in questione (ed era successo almeno una volta, a quanto si diceva).
Pianeti e satelliti invece sono molto meglio, soprattutto perché c’è la possibilità che ospitino forme di vita intelligente, o quantomeno non troppo stupida. Inoltre possono rivelarsi ottimi luoghi di villeggiatura, come la ciurma della Crazy Diamond aveva imparato a proprie spese.
E poi, ogni tanto, ci sono anche delle astronavi.
(dal capitolo 14, "Salvare l'Omniverso e altri sport estremi")
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga, Fumetti, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO DODICESIMO – LA STRADA DI CASA


“La Terra vista dallo spazio è sempre uno spettacolo meraviglioso”, disse Kyon, facendo voltare la nave in modo che gli schermi esterni fossero tutti posizionati a inquadrare il pianeta azzurro. “Qualsiasi Terra, dico”.
“Già…”, gli fece eco Elena in tono sognante.
“Sapete cosa mi sembra?”, borbottò Haruhi, massaggiandosi il mento in modo pensieroso. “Un lecca lecca gigante. Anzi, no, meglio… Un gelato. Sì, una gigantesca palla di gelato. La parte blu ovviamente all’anice, quelle verdi… facciamo menta, il pistacchio non mi piace e non sarebbe nemmeno la sfumatura giusta. Quanto alle strisce bianche… Kyon, qualche idea?”.
“Cioccolato bianco?”.
“Nah, manca di originalità”.
“Stracciatella?”.
“Non va bene, ha i pezzettini neri”.
“Ehm… panna? Limone?”.
In risposta lo stomaco del capitano emise un poderoso borbottio. “Ecco, a furia di parlare di gelato mi è venuta fame!”.
“Ma abbiamo pranzato due ore fa!”, esclamò Marco.
Lei si voltò a fissarlo facendo tanto d’occhi. “Già due ore? Incredibile! In effetti è ovvio che mi sia tornata la fame…”.
“Ma che sei, un toporagno? Se non mangi ogni tot muori?”.
“Ehi, un po’ di rispetto!”, ribatté il capitano. “E comunque è un problema di metabolismo, il mio corpo brucia un sacco di energie e devo continuare a fornirgliele altrimenti finisce che crollo”.
Se continuerai a “bruciare energie” come fai sempre fra un po’ finisce che esplodi, eh, pensò Marco, prima che il trillo acuto di un campanello lo distraesse.
“Che è questo suono?”, domandò Riccardo puntando un dito verso l’alto. “Non l’ho mai sentito prima”.
“Ah, niente di che”, rispose Kyon. “Ci ha solo contattato una nave. La passo sullo schermo principale”.
I quattro terrestri e Haruhi alzarono gli occhi e trattennero il respiro in simultanea: l’immagine del pianeta blu era quasi totalmente oscurata da una T. Una T colossale, ovviamente.
“Quella è una nave di classe S”, commentò Kyon, sogghignando davanti allo stupore dei cinque. “Dicono che sia un vero casino, quando si tratta di parcheggiarle”.


Sigla d’apertura: Down to Earth, di Peter Gabriel


“Apro la comunicazione, ok?”, fece Kyon, facendo scattare un paio di interruttori sul pannello davanti a lui. L’immagine della T scomparve, lasciando il posto a un ragazzino dai capelli a punta e il volto per metà coperto da una maschera, che indossava un mantello e una tutina che avevano degli accostamenti di colore imbarazzanti. “Piacere di fare la vostra conoscenza”, disse lui. “Lei è il capitano Suzumiya della Grande Flotta di Ricerca, dico bene?”.
Haruhi si impettì, chiaramente compiaciuta dall’essere stata riconosciuta tanto in fretta. “Certo che sì!”, esclamò. “Io invece… Mh, non posso dire di sapere il suo nome, temo…”.
Se l’altro era deluso dalla cosa, non lo diede a vedere. “Sono Robin, della Terza Flotta di Difesa, e comandante della, ehm… Great T in the Sky”. Nel pronunciare il nome della propria nave abbassò leggermente il tono, come se la cosa lo imbarazzasse. “E temo di doverle chiedere di fermarsi qui, capitano Suzumiya; la zona è stata dichiarata off-limits dalla Confederazione, e nessuna astronave può accedervi senza l’esplicito consenso dell’ammiraglio Armstrong o del Consiglio Iperuranico”.
Il viso di Haruhi si atteggiò in un’espressione compiaciuta. “Crede forse che non lo sappia? Ma si dà il caso che sia stata io a scoprire questa Terra. E”, si affrettò ad aggiungere, vedendo che Robin aveva aperto bocca per rispondere. “Ho attualmente a bordo quattro dei suoi abitanti, che sono stati assunti dalla Confederazione tramite regolare contratto. Vuole forse dirmi che è vietato loro sbarcare per salutare le loro famiglie dopo più di un mese di servizio?”.
Robin tacque per un paio di secondi. Era ovvio che stesse cercando di trovare una risposta soddisfacente. “Non è quello che intendevo”, rispose alla fine. “Mi spiace per gli abitanti di questa Terra, ma ho ricevuto ordini ben precisi”.
Haruhi sospirò. “Kyon, chiamami Piton, per favore”.
Il comandante premette un pulsante sul pannello di comando. “Il professor Piton è desiderato in plancia, per favore”.
Non dovettero passare nemmeno un paio di secondi prima che l’uomo si Materializzasse con uno svolazzo del mantello nero. “Ha chiamato, capitano?”, borbottò, nel solito tono da genio insofferente che è stato interrotto durante l’esperimento che avrebbe potuto garantire il benessere completo all’intero Omniverso.
Haruhi indicò lo schermo. “Fagli vedere il lasciapassare”.
Piton sbuffò, mentre frugava in una delle tasche della tunica e ne estraeva un rotolo di pergamena, per poi spiegarlo in modo che Robin potesse vederlo. “Questo è un documento ufficiale del Consiglio Iperuranico, redatto di suo pugno dal professor Silente”, spiegò in tono piatto. “Consente a questa nave, la Crazy Diamone, e al suo equipaggio di poter sbarcare su questa Terra liberamente”.
Robin concentrò lo sguardo sul foglio di pergamena, come se lo stesse leggendo nonostante la distanza. Quegli schermi devono avere un potere di zoomata assurdo, pensò Marco. “Sembra autentico”, concluse alla fine il ragazzo mascherato. Non sembrava deluso, semmai sollevato.
“Lo è”, replicò gelido Piton, facendo sparire il prezioso documento nella tunica.
“Beh, se avete il consenso del Consiglio, non vedo alcun motivo percui non possiate atterrare”, disse il ragazzo mascherato. “Però vorrei che portaste con voi un paio di miei sottoposti. Non si può mai essere troppo sicuri, d’altronde”.
“Guarda che non abbiamo bisogno della balia”, rispose Haruhi, piccata.
Robin, però, si era già voltato e aveva gridato: “TITANS! ADUNATA!”.
“E ora che fa? Chiama altra gente vestita di licra?”, borbottò il capitano. “I miei occhi hanno già visto abbastanza costumi assurdi, per oggi”.
Pochi secondi dopo, nell’inquadratura irruppero altri quattro individui: due ragazze – una con i capelli rossi e grandi occhi verdi che levitava a mezzo metro da terra e una pallida e incappucciata, dall’aria un po’ scazzata – e due ragazzi, un nero ben piazzato con impianti robotici lungo il corpo e un ragazzino completamente verde fasciato in una tutina viola e nera. “Che c’è, Robin? Finalmente succede qualcosa?”, chiese quest’ultimo, con una vocina acuta e iperattiva. Poi sembrò accorgersi del collegamento con la Crazy Diamone e si piegò in avanti, invadendo con la faccia l’intero schermo. “E questi chi sono?”. Sul suo volto si formò un sorrisone, che mise in mostra i canini aguzzi. “Sembrano simpatici!”.
“Levati dalla visuale, ragazzo lucertola!”, si lamentò Haruhi, muovendo le braccia come se il gesto potesse davvero spostarlo. “Sciò, sciò”.
“Ehi, non sono una lucertola!”, si lamentò lui. “Ma se la cosa ti fa piacere posso sempre diventarlo”. E in effetti, meno di un secondo dopo, al suo posto un geco – ovviamente verde – era attaccato allo schermo e saettava la lingua in direzione di Haruhi. “Visto?”, domandò, una volta che fu tornato al suo aspetto umano. “So fare anche la giraffa, se vuoi”.
“Questa battuta non fa più ridere, dopo la cinquecentesima volta che la fai”, intervenne la ragazza incappucciata in tono lugubre.
“Già, ben detto”, aggiunse Haruhi in tono di approvazione.
Anche la ragazza volante dalla chioma rossa sfoggiava un largo sorriso. “Buongiorno, nuovi amici! Piacere di fare la vostra conoscenza!”. Tutto quello che ricevette da Haruhi fu un’occhiata di disapprovazione.
“In effetti non ci siamo ancora presentati”, intervenne l’androide con una morbida voce baritonale. “Io sono Cyborg, molto piacere”.
“Io invece sono Starfire!”, esclamò la ragazza volante.
“Beast Boy”, continuò il ragazzo verde. “Ma potete chiamarmi B.B.”, aggiunse, allungando una strizzatina d’occhio verso Haruhi.
La fanciulla in nero non disse nulla. Poi i quattro compagni di navigazione iniziarono a fissarla con insistenza. “Ok, ok”, capitolò dopo qualche secondo. “Raven”, aggiunse poi in tono secco.
Haruhi intanto si era voltata verso Marco e gli altri terrestri e li stava fissando con aria severa. “E voi che vi lamentate delle divise che vi ho fatto preparare con tanto amore!”, borbottò. “Preferivate che vi facessi vestire come quelli lì? Sembrano dei fenomeni da baraccone!”.
“Ehm, capitano Suzumiya?”, disse Robin, che sembrava indeciso se essere sconvolto o arrabbiato. “Stiamo sentendo tutto quello che dice, sa?”.
“Certo che state sentendo, siamo ancora in collegamento”, replicò lei. “La facevo più sveglio, Capitano Robin. Comunque, non voleva mandarmi due dei suoi per tenerci d’occhio? O ha già cambiato idea?”.
Il supereroe sospirò. Sembrava che non aspettasse altro che chiudere il collegamento. “Già…”, si voltò verso il suo equipaggio. “Raven, B.B., potete andare voi?”.
Il ragazzino verde sembrò entusiasta della cosa; la sua collega decisamente meno. “Se proprio devo…”, borbottò.
“Bene, allora abbiamo risolto!”, esclamò Haruhi. “Kyon, teletrasportali a bordo”.
“D’accordo, capitano”, mormorò lui, alzandosi. “Ma dovrai aspettare che io vada fino in sala macchine. Sai, visto che né tu né nessun altro a bordo a parte me è capace di usare il teletrasporto…”.
“Piantala di farmelo pesare, ti ho detto che un giorno imparerò a usarlo! Devo solo superare il mio odio per quell’aggeggio”.
“Ehm, capitano Suzumiya?”, domandò Cyborg. “Se vuole, possiamo…”.
“Non voglio niente, grazie”, ribatté lei, senza nemmeno starlo a sentire. “Dai, Kyon, prima arrivi in sala macchine prima possiamo atterrare. Marsch!”. Mentre lui usciva dalla plancia borbottando fra sé e scuotendo la testa, Haruhi tornò a rivolgersi allo schermo. “Bene… Intanto che aspettiamo, c’è qualcosa di cui volete parlare?”, domandò con un sorriso a trentasei denti.
“Ehm…”, Robin parve imbarazzato. “Mi scusi, capitano, ma sto ricevendo una chiamata su un altro canale”. E chiuse bruscamente la conversazione.
“Bah, strani tipi”, disse Haruhi, facendo spallucce.


“Dove atterriamo, capitano?”. Kyon era chiaramente ancora arrabbiato per essere stato sfruttato poco prima, ma i suoi doveri di comandante parevano venire prima di tutto.
“Mh? Oh, dove ti pare”, rispose lei, noncurante. Aveva gli occhi fissi sul visore esterno e fissava con interesse la superficie terrestre avvicinarsi sempre di più.
“Scusa?”.
“Oh, insomma, ormai tutti su questa Terra dovrebbero sapere che la Confederazione esiste, chissene se ci vedono”.
Kyon sospirò. “A parte il fatto che ci siamo fatti vedere senza problemi anche quando non lo sapeva ancora nessuno… Quello che intendevo è: ‘c’è qualche luogo abbastanza spazioso dove possiamo atterrare?’”.
Haruhi fece tanto d’occhi. “E che ne so? Chiedilo a loro”, e fece un gesto vago verso i quattro terrestri.
Marco alzò una mano. “Se volete, vicino a casa mia c’è un campo inutilizzato. Cioè, in realtà di solito lo usano per le fiere e per quando c’è il Luna Park, ma credo che al momento sia vuoto, ecco”.
In effetti era così, e cinque minuti dopo Haruhi scese dalla scaletta con aria trionfale. “Abitanti della Terra, veniamo in pace!”, esclamò con aria soddisfatta, per poi voltarsi verso i suoi sottoposti. “Ho sempre sognato dirlo”.
“In realtà lo fa sempre”, borbottò Kyon a Riccardo.
Le persone presenti sul luogo – due vecchietti accomodati su una panchina nelle vicinanze – fissarono l’astronave con aria di moderata sorpresa. “E’ incredibile cosa organizzano oggi per queste feste”, commentò uno dei due. L’altro alzò le spalle e borbottò qualcosa scuotendo la testa.
Haruhi sbuffò. “Speravo che ci fosse più gente, però! Non dico una fanfara, ma almeno un po’ di pubblico…”.
“Siamo alla fine di Luglio e sono le quattro del pomeriggio, quelli che non sono in vacanza o in piscina saranno a casa a dormire al fresco”, spiegò Elena in tono pratico, prima di saltare giù dalla scaletta nell’erba seccata dal sole. “Allora, posso andare a salutare la mia famiglia?”.
“Uhm?”, fece Haruhi, che stava ancora scrutando l’orizzonte con fronte aggrottata, forse ancora attendendo l’arrivo di un comitato di benvenuto. “Oh, sì, giusto. In fondo è il motivo per cui siamo qui. D’accordo, ehm…”. Si voltò verso Raven e B.B., che all’apparenza la stavano fissando in attesa di istruzioni. “Raven, giusto? Puoi accompagnarla tu?”. La ragazza pallida fece spallucce e si avvolse ancora di più nel suo mantello. “E, ehm… Ragazzo lucertola o come ti chiami, tu tieni d’occhio coso. Quello che usa la spada”.
“Coso?”, domandò B.B. con tanto d’occhi.
“Io”, fece Riccardo in tono dimesso.
“Certo che potrebbe almeno ricordarsi il mio nome, eh”, borbottò B.B. mentre si allontanava.
“Lo dici a me? Sono quasi due mesi che viaggiamo insieme!”, rispose l’altro.
“Oh, e con questo due problemi sono stati sistemati!”, esclamò Haruhi, passandosi il dorso di una mano sulla fronte. “Wow, certo che fa un gran bel caldo”.
Beh, se non altro riconosce la nostra esistenza, anche se come problemi, pensò Marco. E’ già qualcosa!
“Ok, allora… Piton, lei si porti dietro Paolo…”.
“Pietro”.
“Sì, come ti pare. E io vado con l’healer, visto che è meno probabile che lui faccia esplodere qualcosa”.
“E basta con ‘sta storia dell’healer, però!”.
“E comunque io questa settimana non ho fatto esplodere niente, eh!”.
“Certo, certo”, rispose Haruhi, minimizzando le lamentele dei due. “Ora muoviamoci e andiamo, che qui sto morendo di caldo”. Si voltò verso Kyon. “Tu aspetta qui e mi raccomando, fai in modo che nessuno si allontani. Ci manca solo che, non so, quello sciroccato di Zaraki se ne vada in giro a provare la sua spada su qualcuno o che Stein cerchi di recuperare dei campioni per i suoi ‘esperimenti’”.
Il comandante annuì. “Tanto con quest’afa non credo che nessuno vorrà mettere un piede fuori. Qui dentro almeno c’è l’aria condizionata”.


“Sai, in realtà è un altro il motivo percui ho deciso di accompagnare proprio te”, affermò Haruhi con gravità, mentre lei e Marco percorrevano il viale che conduceva alla casa del ragazzo.
Devo sentirmi onorato?, pensò lui. Una farfalla gli planò all’improvviso davanti alla faccia, facendolo sobbalzare. “Ovvero?”, disse, agitando una mano per scacciare l’insetto.
“Beh, sei quello che abita più vicino, no?”, rispose Haruhi. “Sai, può non sembrare, ma camminare con questi tacchi non è affatto comodo”.
Scemo io pensare che ci fosse una ragione seria, si disse Marco. “E non puoi semplicemente mettere delle altre scarpe, se queste ti danno fastidio?”, domandò poi.
“Certo che no!”, rispose lei, facendo schioccare le labbra con aria irritata. “Sono un capitano della Confederazione, ho un certo prestigio da mantenere!”. Proprio mentre pronunciava quelle parole rischiò di infilare uno dei tacchi nel foro di un tombino; la ragazza incespicò, mormorò qualche insulto a mezza voce, poi lanciò uno sguardo decisamente poco promettente verso Marco. “Allora, quanto manca? Casa tua non doveva essere la più vicina?”.
“S-sì. Siamo quasi arrivati, dobbiamo solo svoltare qui…”. Mentre percorreva la viuzza che conduceva alla sua abitazione, il ragazzo iniziò a sentirsi molto meno sicuro di ciò che stava facendo. Chissà cos’è cambiato, in due mesi, pensò, cercando di scacciare il groppo che gli si era fermato in gola. In fondo sono partito così all’improvviso
“Che è quella faccia depressa?”. Ad Haruhi, nei momenti in cui non le era richiesto, non sfuggiva nulla. “Non sei contento di vedere la tua famiglia?”.
Marco sobbalzò e sentì le guance accendersi. “N-no, non è questo… E’ che, sai, l’ultima volta me ne sono andato senza praticamente spiegare nulla, e non so davvero cosa aspettarmi dai miei, se saranno felici o arrabbiati o che altro”.
Haruhi fece spallucce. “Secondo me sei tu che ti stai facendo troppi problemi. In fondo è la tua famiglia, no? Guardando te, al massimo saranno un po’ strani, ma di sicuro non saranno cattive persone”.
Marco arrossì ancora di più. “Credo che sia la cosa più carina che tu mi abbia mai detto, capitano. Anche se l’hai fatto indirettamente”.
Lei sorrise. “Beh, non aspettarti che lo faccia spesso, ho la mia immagine da mantenere”. Poi però si concesse comunque una risatina.
Il ragazzo si sforzò di rispondere al sorriso. “Grazie, comunque. Ne avevo bisogno”.
Haruhi, però, era già scattata in avanti senza aspettare risposta. “Allora, qual è casa tua? Se non bevo qualcosa di fresco nei prossimi cinque minuti credo che ammazzerò qualcuno”.
“Oh, giusto! Ecco, di qua”. Marco svoltò in un cortiletto interno, su cui si affacciavano tre case dall’aspetto molto simile, ma tinteggiate in colori diversi. “E’ quella con la facciata bianca!”, si affrettò ad aggiungere notando che Haruhi stava marciando con decisione nella piazzola. Ci manca solo che entri in casa dei vicini e li minacci per farsi offrire un bicchiere d’acqua.
Haruhi, comunque, una volta arrivata sulla soglia si fermò e lanciò un’occhiata significativa al suo sottoposto.
Marco si avvicinò con circospezione alla maniglia e vi strinse le dita della sinistra. Oh, in fondo non potrà essere più tremendo del calamaro gigante di settimana scorsa. O delle lezioni di Bielorussia. E dopo l’inevitabile brivido scatenato da quest’ultimo pensiero, il ragazzo si decise ad abbassare la maniglia.
Il salotto era esattamente come lo ricordava, con le alte librerie bianche ritte a guardia ai lati del televisore e il massiccio divano contro la parete opposta; e ovviamente, accomodata su di esso con il portatile appoggiato sulle ginocchia, c’era sua sorella.
Serena, nel sentire la porta aprirsi, sollevò gli occhi dallo schermo. “Oh, sei tu”, disse in tono neutro. Poi sorrise. “Che cavolo ti sei messo addosso? Ti sta malissimo”.
“Ehi! Possibile che dovunque vado trovo gente che insulta la mia uniforme?”, esclamò Haruhi, irrompendo in casa e quasi rischiando di demolire Marco.
Serena alzò un sopracciglio. “E questa chi sarebbe? La tua ragazza?”.
Haruhi incrociò le braccia al petto. “Certo che no! Sono il capitano della nave dove viaggia lui!”, rispose in tono secco.
Ehi, potevi anche negarlo con meno veemenza!, pensò Marco scrollando le spalle. “Comunque, mamma e papà ci sono?”.
La ragazza annuì. “Sì. Per cena viene anche la nonna”.
Marco!”. Il giovane fece appena in tempo ad alzare gli occhi che qualcuno gli piombò addosso e lo abbracciò.
“Ciao, mamma”, rispose lui, ricambiando il gesto d’affetto. Anche sua madre era proprio come se la ricordava. E bella forza, sono passati soltanto due mesi dall’ultima volta che l’hai vista!, gli suggerì una vocina acuta e saccente dal fondo della sua testa.
La donna lo fissò da dietro le lenti degli occhiali montati in metallo. “Stai bene, vedo”, disse, annuendo. “Pensavo che nello spazio si mangiasse male, ma pare che non sia così!”. Solo in quel momento parve accorgersi della presenza di una quarta persona nella stanza. “Immagino che lei sia la proprietaria dell’astronave su cui viaggia mio figlio… Spero che le sia utile, in qualche maniera”. Le tese una mano. “Io sono Anna, molto piacere”.
“Capitano Haruhi Suzumiya”, rispose l’altra con aria d’importanza. “E, anche se mi secca ammetterlo, non sono la proprietaria… Dipendente statale, sa com’è…”, aggiunse poi in tono decisamente più dimesso.
La madre di Marco rise di gusto. “Ah, lo so benissimo! Lavoro all’ufficio anagrafe”, spiegò, quasi con orgoglio. “Comunque, immagino che con questo caldo abbia sete… Posso offrirle qualcosa da bere?”.
“Iniziavo a pensare che non me l’avrebbe mai chiesto!”, esclamò lei.


“Prego, capitano Suzumiya, si serva pure”, disse Anna, spingendo verso l’ospite la pentola ancora piena per metà di tagliatelle col ragù. “E’ il piatto che mi riesce meglio, spero gradisca!”.
A dire il vero è l’unico piatto che ti riesce bene, pensò Marco trattenendo un sogghigno, mentre Haruhi si serviva con una seconda, generosa porzione. Ma questa pasta mi mancava davvero un sacco!
“E così… capitano, giusto?”, intervenne il padre di Marco, che come sia abitudine aveva mangiato velocissimamente e si stava già sbucciando una mela. “Sembra davvero giovane per essere al comando di una nave spaziale!”.
Haruhi si infilò in bocca una forchettata di pasta e masticò con vigore. “Sì,in effetti me lo dicono in molti… E pensare che c’è gente molto più giovane di me alle dipendenze della Confederazione!”.
“Davvero?”, rispose l’uomo in tono interessato. “E quindi come funziona esattamente, questa “Confederazione”? Pensavo che anche la Terra ci sarebbe entrata, ma per ora non…”.
“Dai, Giorgio, lasciala mangiare in pace!”, intervenne sua moglie. “Glielo chiederai dopo!”.
In effetti non ho capito come o perché ma abbiamo finito per fermarci anche a cena, pensò Marco guardando fuori dalla finestra. Sembrava ancora giorno pieno, ma d’altronde i De Angelis erano abituati a mettersi a tavola presto. Non che non mi faccia piacere, eh, aggiunse spostando lo sguardo sulla famiglia riunita: sua madre fissava compiaciuta Haruhi mangiare con gusto, Serena ripuliva il piatto dal sugo, suo padre che ormai aveva finito di cenare e si stava rilassando contro lo schienale, e sua nonna, che stava fissando con aria sospettosa Haruhi da quando era arrivata. Finalmente Marco prese coraggio e aprì la bocca: “C’è qualcosa che non va, nonna?”.
La diretta interessata, un donnone imponente con corti capelli grigio ferro, si riscosse sorpresa. “No, niente”, borbottò in tono fermo.
Sulla tavola scese il silenzio, perlomeno fino a che Haruhi non terminò il piatto di pasta. “Era davvero squisito!”, esclamò.
Gli occhi di Anna scintillarono dietro agli occhiali. “Se ne vuole ancora non si faccia problemi!”.
“Nah, meglio di no, o rischierei di non entrare più nell’uniforme!”, rispose lei ridacchiando, per poi rivolgere la sua attenzione a Giorgio. “E in risposta alla sua domanda di prima sì, anche questo pianeta verrà incluso nella Confederazione, ovviamente. Immagino sia una questione di settimane, e non addirittura di giorni, ormai”.
“Ah, giusto!”, esclamò Marco. “C’è una cosa che ho sempre voluto chiederti, ma alla fine non me ne sono mai ricordato!”.
“Forza, spara”.
“Ecco… Tu sei giapponese, giusto? Insomma, non mi pare che tu sappia l’italiano. Eppure com’è che capisci quello che diciamo? E non solo tu, anche Kyon e tutti gli altri”. In effetti è come essere in un episodio di Star Trek, con gli alieni che capiscono la lingua dei terrestri senza averne mai incontrato uno…
Haruhi sorrise. “Ah, ma è semplice! Potrebbe spiegarvelo perfino un bambino!”.
Marco si sforzò di non ridere. Già, ricordo ancora com’è andata l’ultima volta che hai tentato di…
Proprio in quel momento la porta della cucina si spalancò e Inez Fressange fece il suo ingresso. “Qualcuno ha bisogno di una spiegazione?”, domandò alla famiglia sbigottita.
Haruhi si alzò in piedi con aria irritata, facendo strisciare la sedia sul pavimento. “Ehi!”, esclamò piccata. “Stavolta tocca a me!”.
La scienziata le scoccò uno sguardo divertito. “Su, capitano Suzumiya, si metta a sedere e non faccia i capricci!”. La ragazza mugugnò la propria contrarietà, ma fece come le era stato chiesto. “Bene!”, riprese Inez. “Che cosa volevate sapere?”.
Marco ci impiegò qualche secondo a ritrovare la parola. “Ehm, sì… Volevo sapere com’è possibile che io riesca a capire quello che dicono tutti, anche se non conosco la loro lingua”.
Inez sorrise. “Beh, non è per niente difficile da capire…”.
“Già, è quello che ho detto prima io!”, intervenne Haruhi, ma la sua protesta rimase inascoltata.
“Comunque sia”, riprese la scienziata. “Nel momento dell’unificazione dell’Omniverso si sono originate diverse vibrazioni di fondo con effetti differenti, ma all’apparenza tutte tese a facilitare il processo di unione fra i differenti universi. La vibrazione in questione viene chiamata “effetto del pesce di Babele”, e consente di comprendere ciò che altri individui dicono, anche se non conosciamo la loro lingua madre. Di fatto, ognuno di noi parla la propria lingua, ma il nostro cervello non la ‘sente’ come tale; data questa premessa, tutto ciò vale soltanto per la voce diretta, mentre qualsiasi registrazione torna ad essere percepita da chiunque come pronunciata nell’idioma originale. Tutto chiaro?”.
“No, no, un momento”, intervenne il padre di Marco. “Che cosa sarebbe questo ‘Omniverso’ che lei ha nominato?”.
A dire il vero la domanda che dovresti farle è: chi è lei e come ha fatto a entrare in casa nostra?, ma vabbé, pensò Marco divertito mentre si alzava. “Signorina Inez, se può si fermi a rispondere alle domande dei miei; io intanto andrò in camera mia a recuperare qualche altro paio di mutande”.
“Aspetta, vengo con te!”, esclamò Anna, tallonando il figlio in soggiorno e su per le scale.
Sapevo che sarebbe arrivato questo momento…, si disse lui, improvvisamente giù di morale. “Senti, mamma…”, iniziò.
Lei, però, non lo stava ascoltando. Anzi, era riuscita a superarlo e ora si sbracciava verso due pile di scatoloni accatastati nel corridoio accanto alla porta della stanza di Marco. “Ecco, guarda, ho fatto come avevi detto tu! Tutti i tuoi giornalini…”.
“Manga”, la corresse stancamente il ragazzo.
“Manga”, concesse lei. “Sono qui dentro. Così puoi portarteli sulla tua astronave,no?”.
Lui fece spallucce. “Se hai così fretta di liberartene…”.
Il sorriso della donna si incrinò. “Che cosa vorresti dire?”, domandò, in un tono non molto rassicurante.
Marco abbassò gli occhi: dopo più di vent’anni sapeva riconoscere i segni di un’imminente incazzatura. “Beh, nelle mail che mi hai mandato continuavi a parlarne, dicevi che volevi inscatolarli e…”, mormorò sulla difensiva, prima che lei lo interrompesse.
“E ho mai parlato di buttarli via? Non mi pare”, replicò lei secca. “Semplicemente, so quanto tieni ai tuoi fumetti, e pensavo che, insomma, al massimo sei stato lontano da casa per un mese, fino a ora, quindi magari qualcosa che ti ricordasse casa poteva farti piacere. Ma se mi sbagliavo puoi sempre rimetterteli a posto”. La donna si girò per andarsene, ma Marco fece un paio di incerti passi in avanti, la bloccò e la strinse in un abbraccio. “E adesso cosa ti prende?”, domandò Anna, sorpresa.
“Scusa”, mormorò lui. “Scusa se ho pensato male di te, mamma”.
“Non vedo proprio perché avrei dovuto buttarli via”, rispose lei, ma il suo tono si era notevolmente addolcito. “Forza, portiamoli da basso, così poi vi accompagno in macchina dove avete… ehm, parcheggiato”.
Dieci minuti dopo, le scatole erano state sistemate nel bagagliaio e sul sedile posteriore dell’auto di Anna. “Temo che non ci sia spazio per tre persone”, disse la donna, grattandosi la testa. “O tu o il capitano Suzumiya dovrete…”.
“Siamo pronti a partire?”, esclamò Haruhi, già accomodata sul sedile del passeggero.
E lei quando cavolo ci è salita in auto?, si domandò Marco con tanto d’occhi.
“Beh, ci vediamo là al campo, ok?”, disse Anna, salendo in macchina e uscendo dal vialetto.
Marco salutò suo padre (“Vedi di farti sentire un po’ più spesso!”) e sua sorella (“Certo che un regalino potevi pure portarmelo, eh?”), ma quando arrivò il turno di sua nonna lei fece un’espressione imbronciata che riusciva a sembrare anche alquanto minacciosa.
“Nonna, davvero, c’è qualcosa che non va?”, domandò il ragazzo per la seconda volta.
Lei scosse la testa. “Penso solo che… Non mi va che tu te ne vada lassù nello spazio, dove non ho la minima idea di che cosa possa succederti. In fondo sei il mio unico nipote maschio. E poi, insomma… Quella stana tizia che dovrebbe essere il tuo capo, per non parlare di quell’altra che com’è arrivata così è sparita… Insomma, promettimi che starai attento e farai in modo che non ti succeda niente, d’accordo?”.
“D’accordo, nonna, te lo prometto”, rispose lui, dandole un bacio sulla guancia. “E prometto anche che tornerò di nuovo a casa appena avrò un altro periodo libero”.
L’anziana donna sorrise. “Non preoccuparti per me, sono solo una vecchietta a cui manca suo nipote, tutto qua”.
Vecchietta? Ma se l’anno scorso hai messo KO quel tizio grosso due volte te che aveva tentato di scipparti? Ne hanno parlato perfino al telegiornale!


Dieci minuti dopo, Marco giunse nel luogo dell’atterraggio; il professor Piton e Raven – entrambi con un’aria di profondo scazzo sul volto – stavano facendo levitare le scatole di manga verso l’astronave, sotto lo sguardo perplesso di Anna. “Però non sarebbe male, per quando c’è da pulire sotto i mobili”, mormorò.
“Caricateli nella stiva due!”, stava sbraitando Haruhi, le mani intorno alla bocca a mo’ di megafono (nonostante, peraltro, non ci fosse alcun bisogno di urlare).
“Certo che si dà parecchio da fare, eh?”, domandò Anna al figlio, vedendolo arrivare.
“Diciamo che più che altro le piace dare ordini…”, concesse lui.
“Ehi, Marco!”, esclamò Elena, avvicinandosi all’automobile. “Signora De Angelis”.
“Riccardo e Pietro?”, domandò Marco.
“Stanno sistemando la loro roba”, spiegò la ragazza. “La madre di Pietro gli ha dato una quintalata di verdure sottaceto, non so cosa pensa che ce ne facciamo…”.
“Mangiarle, forse?”, rispose il ragazzo. “O potremmo usarle come armi chimiche, in alternativa”.
Haruhi si avvicinò al gruppetto esibendo un’aria soddisfatta. “Ho caricato i tuoi bagagli a bordo. Sono nella stiva due”, annunciò.
A dire il vero li ha caricati qualcun altro. E il fatto che siano nella stiva due credo che l’abbiano sentito anche dall’altra parte della città, visto quanto urlavi…
“Appena riusciremo a far sloggiare tutta questa gente potremo partire, comunque”, continuò il capitano, accennando al campo; in effetti almeno un centinaio di persone erano radunate intorno all’astronave, nonostante il buio fosse calato ormai quasi del tutto e i pochi lampioni fossero troppo distanti dall’immenso veicolo per illuminarlo bene.
“Yoichi mi ha detto che oggi pomeriggio era cento volte peggio”, disse Elena. “Sono arrivate un paio di troupe televisive, e un gruppetto di bambini è riuscito pure a sgattaiolare a bordo”.
“Se ci fossi stata io avrei fatto pagare loro cinque crediti a testa”, intervenne Haruhi. “Insomma, conta come un tour guidato!”.
“Non credo che qui sappiano ancora cosa sono i crediti, capitano…”, replicò Marco. E in effetti non lo so neppure io. Tutti non fanno che parlarne, ma per ora non ne abbiamo visto mezzo. Chissà quando avremo il nostro primo stipendio…
“Ehi! Come butta?”. Dall’ombra dell’astronave si era staccata una figura, che alla luce del lampione più prossimo rivelò pelle verde, orecchie a punta e un sorrisone che metteva in mostra i canini.
“E tu chi saresti?”, domandò Haruhi. Un secondo dopo, però, la sua fronte aggrottata si distese. “Ah, già, sei uno di quei due della Terza Flotta… Scusa, mi ero praticamente dimenticata della tua esistenza…”.
Buon Dio, è VERDE! Almeno questo dovrebbe saltarti subito all’occhio!, pensò Marco scoraggiato.
“Marco, quel ragazzo è verde!”, bisbigliò nell’orecchio del figlio Anna, decisamente meno abituata a quel genere di stranezze rispetto ai presenti.
“Sì, ehm, ogni tanto capita…”, rispose lui. “E non è neppure la persona più strana che abbiamo visto finora, credimi”.
Haruhi, intanto, aveva trovato qualcos’altro su cui focalizzare l’attenzione. “Ehi, guardate lassù!”, esclamò, un indice puntato contro il cielo.
Tutti alzarono lo sguardo. “Wow!”, si lasciò scappare Beast Boy. E in effetti lo spettacolo era davvero magnifico: il cielo era sereno, e letteralmente ricoperto di stelle. Non era certo il mistico firmamento alieno del pianeta senza nome di una settimana prima… Ma tutti gli astri erano lì al loro posto, come erano sempre stati.
“Quella è l’Orsa Maggiore”. Haruhi iniziò a tracciare il contorno delle costellazioni con mano esperta. “E se guardate lì a destra, quella che sembra una doppiavù è Cassiopea. E… eccole, lì sotto. Deneb, Altari, Vega. In Giappone le chiamiamo…”.
“Il Grande Triangolo Estivo”, la precedette Elena. Haruhi le lanciò un’occhiataccia. “Beh, non è forse vero?”, si difese la ragazza.
“Sì, lo è. Ma per una volta che non ho quella tizia bionda fra i piedi vorrei poter finire da sola una spiegazione, ecco!”. Haruhi parve irritata, ma soltanto per un attimo; poi i suoi occhi tornarono a fissare sognanti il firmamento. “Devono essere passati anni dall’ultima volta che l’ho visto…”
“Perché? Non ti capita mai di guardare le stelle?”, domandò Marco sorpreso.
Haruhi aprì la bocca per una delle sue consuete risposte piccate, poi però cambiò idea. “Già, in effetti non potete saperlo”, disse in tono amaro. “Ovviamente, ora che tutti gli universi coincidono, non ci possono essere un sistema solare e una Via Lattea per ogni Terra… In effetti, in tutti i pianeti la prima avvisaglia dell’unificazione è stata proprio lo stravolgimento totale di stelle e costellazioni”.
“Già già, anche per noi è stato lo stesso”, intervenne B.B., annuendo con vigore.
“E’ stato così ovunque. Ovunque, tranne che qui”. Haruhi sospirò. “Forse Piton e Silente hanno ragione, forse c’è davvero qualcosa di unico in questo mondo”.
Sul gruppetto per una decina di secondi calò il silenzio. “Capitano Suzumiya, sarò sincera: non ho capito nulla di ciò che ha detto”, disse Anna. “Però anche io penso che le stelle stasera siano bellissime”.
“Già”.
Altro momento di quiete. “Ehi! Alla buon’ora!”. Anche Pietro e Riccardo erano emersi dalla Crazy Diamone. “Credevamo non sareste più tornati!”. Pietro si avvicinò ad Haruhi. “Capitano, il comandante Kyon mi ha detto di riferirti che è tutto pronto per la partenza e che possiamo decollare appena lo desideri”.
“Uh? Sì, d’accordo”, rispose lei, distratta. “Ma in fondo non abbiamo fretta”.
“Quindi non c’è niente che devi dirci?”, chiese Riccardo.
Haruhi sorrise. “Bentornati a casa”.






B.B.: Sì! Doppie anticipazioni!

RAVEN: Seriamente, non capisco che hai da essere così felice… Avessimo almeno avuto un ruolo in questo capitolo! Invece siamo stati delle comparse, in pratica.

B.B.: Beh, non siamo fra i protagonisti, quindi bisogna accontentarsi…

RAVEN: Tu almeno hai parlato. Io ho dovuto trasportare delle casse!

B.B.: Dai, almeno ti toccano le anticipazioni.

RAVEN: Wow, sono al colmo della gioia… Allora, il prossimo capitolo si intitola “Lontano lontano”. Ovviamente noi non appariremo, nel caso ve lo steste chiedendo.

B.B.: Su, sono sicuro che prima o poi potremo tornare in scena!

RAVEN: Come al solito il tuo inguaribile ottimismo è terribilmente irritante…






Ok, ecco qui il dodicesimo capitolo! Niente di rilevante, eh? Però quantomeno è apparsa la famiglia di Marco, che nel corso della storia non avrà chissà quale grande ruolo, è vero, ma mi faceva piacere presentarli! Due o tre volte almeno li si rivedrà, in fondo.
E, uhm, che dire ancora? Oh, sì, il prossimo capitolo sarà importante! Le prime righe potranno suonarvi moooooooolto familiari. Non preoccupatevi, non è pigrizia (cioè, sì, anche), è qualcosa di voluto. Prima che pensiate “questo ha postato due volte lo stesso capitolo”, meglio mettere le mani avanti!XD
Inoltre, finalmente appariranno i “cattivi” della storia! O quantomeno alcuni di loro. Dopo tredici capitoli si inizia ad entrare nel vivo, e direi che era pure ora!XD


Ma passiamo alle risposte alle recensioni!

Per Anonimo: della tizia nuda abbiamo già parlato. E davvero, le illustrazioni delle ragazze in costume servirebbero.XD Credo che Bielorussia dovrebbe essere messa nella lista nera di chiunque, in ogni caso!

Per Morens: sì, l’ecchi se usato nel modo giusto non mi spiace… Diciamo che di solito dell’ecchi non tollero i protagonisti che sembrano sempre dei cretini patentati… Però effettivamente è meglio non pensare a cosa succederebbe se Marco si comportasse così con Bielorussia…


Come sempre, saluto anche chi legge e basta! Spero che continuerete a seguire questa storiella un po’ bislacca.XD
E come sempre, vi do appuntamento per la prossima volta!
Davide

  
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