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Autore: ranyare    28/09/2010    3 recensioni
Ingrano la marcia, sentendo il cambio maledire il momento in cui sono salita in macchina. Accelero bruscamente, il motore ruggisce in risposta al mio gesto violento, rabbioso.
Quarta.
Cento chilometri orari.
Sale di giri, il motore. Ringhia, ruggisce, vibra nel mio petto e nel mio corpo tentando di ridare vita a quel cuore oramai in pezzi. Inutile, anche solo provarci.
Quinta.
Centocinquanta chilometri orari.
La macchina ruggisce, strepita, protesta; ma non m’interessa, voglio solo che il rombo del motore copra l’urlo disperato che echeggia nel mio petto, voglio solo che la strada sfocata che sfreccia intorno a me cancelli le immagini che continuo a vedere di fronte al mio viso.

Per risorgere, spesso bisogna bruciare.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ben Barnes
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wicked & Humorous Tales'
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phoenix 2

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Phoenix

The Last Song I'm Wasting On You - Evanescence

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.

[Will.]

Okay. Respiro profondo, espressione imperturbabile.

Non ridere, Will. Non è il momento di ridere.

Eppure, vedere l’ostinatissima espressione di una Angel più scarmigliata che mai, due graffi che le segnano la guancia destra ma gli occhi più fieri e vividi di quanto non li abbia mai visti nell’ultimo mese, è esilarante.

Ha preso a pugni la Egerton.

Cazzo, l’ha ridotta anche male!

La sento lamentarsi fin qua, dall’altra stanza dove la stanno medicando. Oh, poverina lei.

-Le ragazze non fanno a pugni, signorina, e di certo non in mezzo ad un ospedale!- l’infermiera che sta sgridando Angie non è a conoscenza di quello che è successo, di quello che Tamsin ha fatto; se lo sapesse, probabilmente andrebbe lei stessa a tirare un paio di ceffoni alla dolorante Faccia da Topo.

-E tu!- abbaia, voltandosi di scatto verso il sottoscritto. -Tu saresti dovuto intervenire per fermarle, ragazzo!-

Chi, io?

-Avevo appena scoperto il piacevole hobby di contare margherite…non è mica colpa mia se è un’occupazione che prende tempo e attenzioni.- Angel si tappa immediatamente la bocca, alle spalle di un’infermiera sull’orlo di una crisi di nervi, per evitarsi di scoppiare a ridere nel bel mezzo di una lavata di capo.

Ray si è svegliata.

Non riesco a non sorridere, a quel pensiero.

Ray, la mia sorellina. È tornata indietro, è tornata da noi, da me.

Credevo di aver dimenticato i suoi occhi, credevo di non poter più rivedere quella scintilla ardente nelle sue iridi. E non sbagliavo, infatti; ciò che ricordavo io era solo il pallido ricordo di uno sguardo ben più sconvolgente.

Ray si è svegliata.

La morsa che mi serrava il cuore da troppi giorni sembra non essere mai esistita, polverizzata nello stesso istante in cui ho incrociato gli occhi della mia bionda preferita.

Due occhi stanchi, provati da una lotta che deve averla sfinita quanto forse non potrò mai immaginare.

Due occhi che hanno combattuto anche contro la luce stessa, contro la debolezza, contro tutto quanto.

Due occhi che si sono schiusi, e che hanno restituito a tutti e tre qualcosa che temevamo di aver ormai perduto.

Ray si è svegliata.

E cazzo, l’ha fatto come solo lei poteva fare. Non mi sarei aspettato di meno, da lei; d’altronde, è mia sorella.

-Via, sparite tutti e due prima che decida di farvi rinchiudere!- l’infermiera congeda piuttosto bruscamente me ed Angel, due cerotti bianchi sulla sua guancia e un sorriso che si allarga nello stesso istante in cui usciamo da questa stanza.

E non posso, non riesco a non sorridere anch’io.

Non c’è bisogno di dire nulla, fra me ed Angel; entrambi, tutti e due sentiamo la stessa emozione riempirci il cuore, e quel terribile senso di angoscia che ci ha tormentati per tanto tempo finalmente scomparso.

Ray si è svegliata.

 .

 .

Ma è quando torniamo indietro, che qualcosa in questa gioia s’incrina di nuovo.

Ben è fuori dalla camera, appoggiato al muro in perfetto silenzio. Ha le braccia incrociate sul torace, in volto è cupo come il cielo tempestoso di novembre. È diverso da com’è stato nelle ultime settimane, le rughe premature sulla fronte si sono allentate, gli occhi sono di nuovo accesi.

È qualcosa di cui non credo si renda nemmeno conto, non consciamente. Lui e Ray, ormai, vivono l’uno per l’altra; ma allo stesso modo, se uno dei due si allontana l’altro ne viene distrutto. Non possono vivere separati, c’è qualcosa di troppo grande per essere definito che li lega indissolubilmente.

Io la conosco, quella sensazione.

È quello che mi lega ad Angel.

Ma c’è qualcosa che non va.

-Ben, che cosa…?- la domanda ansiosa di Angel spezza definitivamente quella bolla calda che si era gonfiata nel mio petto, allontanando la paura.

Il mio amico scuote appena la testa, senza parlare, senza guardarci.

Ray.

È con troppa facilità che la morsa di terrore si serra di nuovo sul mio cuore, come un violento e sadico artiglio d’acciaio.

Che cosa può essere successo?

Ray si è svegliata, io l’ho vista, stava bene!

Non può esserle successo nulla di grave, andiamo…non adesso, non dopo averla vista di nuovo fra noi, non dopo averla riavuta indietro per così poco.

Come a rispondere alle mie paure, pochi attimi dopo la porta della camera di Ray si apre, lasciando uscire lo stesso medico che l’ha presa in cura nelle ultime settimane.

Non aspetto nemmeno un attimo, quando vedo che sfoglia attento la cartella clinica della mia amica.

-Dottore, possiamo…?- lui alza gli occhi, ma ciò che vedo non mi rassicura; c’è qualcosa di molto simila a disagio, nelle sue iridi, un disagio imbarazzato che fa contorcere qualcosa nel mio stomaco.

Nella mia mano, sento stringere forte le dita di Angel.

-Sarebbe meglio di no.- mormora, passandosi una mano fra i folti capelli sale e pepe, senza guardarmi.

Ma è Ben che interviene, più sveglio e reattivo di quanto non sia stato nelle ultime quattro settimane.

-Che cosa sta succedendo? Cos’ha Ray? Sta bene?- è la sua raffica di domande a far sospirare il medico, che finalmente alza gli occhi per guardarlo.

È lui che guarda, il mio amico dai pugni stretti e gli occhi determinati; malgrado tutto, è un sollievo immenso rivederlo, rivederlo vivo.

-Fisicamente si è ripresa perfettamente. Ma…ha chiesto di non vedere nessuno, al momento.-

Bastano queste parole. Sono sufficienti, perché quella morsa tremenda torni ad attanagliare il mio cuore; sono sufficienti, perché Angel chiuda gli occhi sotto questo ennesimo colpo, la mano stretta nella mia.

Sono sufficienti per Ben, che senza dire altro si volta verso il corridoio che conduce fuori, l’espressione di un animale ferito a morte negli occhi.

Che cosa stai facendo, Ray?

 .

.

[Ray.]

-Tu sei Ray, giusto?-

Psicologa.

Li riconosco immediatamente, ormai.

Quell’atteggiamento accondiscendente, amichevole, terribilmente gentile, io l’ho sentito fin troppe volte.

È entrata in camera mia con delicatezza, si è seduta qui, accanto al letto, senza dire molto. Ha i capelli lunghi, neri, gli occhi scuri e la carnagione abbronzata; è alta, snella, è inequivocabilmente una donna di classe.

Mi volto verso la finestra, senza guardarla per più di un istante. Sono passati due giorni da quando mi sono svegliata; due giorni in cui non ho voluto vederli, in cui non ho avuto la forza e il coraggio di affrontare il dolore sui loro volti.

Non ce la faccio. Non ci riesco.

Ho le spalle forti, ma questa colpa è troppo pesante…non ho il coraggio di affrontarli, e vedere quello che gli ho fatto.

-Fino a prova contraria.- mormoro, atona.

Che cosa ho fatto?

La luce delle nuvole tempestose che riempiono il cielo è fastidiosa, per i miei occhi. Forse sarebbe stato meglio non svegliarsi, dopotutto…forse non avrei visto gli occhi dei miei amici, gli occhi di Ben.

-Io sono la dottoressa Maywright. Sono qui per parlare con te.- sento un lieve scatto, capisco che la dottoressa ha aperto la cartellina che ha portato con sé.

-Lei è una psicologa, giusto?- le chiedo, mantenendo un cipiglio il più possibile neutro. Un fremito nella voce, un serrarsi di dita; bastano pochissime cose per comprendere una persona, per scavarle dentro.

-Sì.- come volevasi dimostrare.

Non mi piacciono gli psicologi, non quelli come questa donna: dopo un incidente, un trauma…una perdita, arrivano sempre per cercare di sviscerare quello che ti è appena successo, con il solo risultato di farti sentire ancora peggio.

-Hai avuto un brutto trauma cranico, sei stata…- alzo appena la mano destra, quella priva di aghi e flebo che mi sforzo di non guardare, per zittirla.

-In coma, per un mese. Ho sentito tutto quanto, dottoressa.- la interrompo, la voce che trema appena quando ricordo per quanto tempo ho costretto le persone che amo a soffrire.

-Come ti senti, Ray?-

Gli occhi di Ben.

I suoi bellissimi occhi neri.

Erano spenti, i suoi occhi. Non c’era più vita in quel volto che amavo.

Ed è colpa mia.

È soltanto colpa mia…

-In colpa.- rispondo, chiudendo gli occhi per non mostrare a questa donna il dolore che, lo so, vi è apparso.

La penna gratta sul foglio, e so cosa sta scrivendo. Tre parole che conosco, che ho letto fin troppe volte: shock post traumatico.

-Che cosa è successo in quell’incidente, lo ricordi?- mi chiede, dopo un istante di silenzio.

Lo schianto.

Il dolore.

Il buio.

-Benissimo.- è la mia risposta fredda, tagliente.

Ho freddo.

Ho tanto freddo…Ben, dove sei?

-Ero…ero triste, e arrabbiata. Ero sola.- credevo di essere sola, e invece ero in compagnia della mia sciocca stupidità.

Come ho potuto causare tutto questo? Come ho potuto fare questo a Will, a Angel?

Come ho potuto fare questo a Ben?

-Quella ragazza…avevo visto delle foto di lei con B-Ben, è…- m’interrompo, perché gli occhi mi bruciano in una maniera insopportabile. La voce ha sussultato, nel pronunciare il suo nome.

Ci sono solo i suoi occhi, nella mia mente. Il suo viso, la sua voce, la sua sofferenza.

Torna da me.

-Il tuo compagno. È sempre stato qui.- qualcosa si dibatte con violenza nel mio petto, e io non posso fare altro che voltare la testa di nuovo dall’altra parte, cercando di trattenerla.

-Non avrebbe dovuto.- mormoro, piano.

-Perché?- ho lasciato aperto un varco, ho schiuso troppo le mie difese: e la dottoressa, qui, se n’è accorta.

-Perché è stato male. Ha sofferto, perché sono stata una stupida.-

-Eri gelosa?-

-No. Stavo morendo. Dentro.-

Un lungo silenzio segue queste mie parole.

Stavo morendo. Dentro.

Stavo morendo, perché pensavo che la persona più importante del mio mondo non mi volesse più.

E invece cosa ho fatto?

Ha sofferto. È una parte di lui che ha rischiato di morire, in queste settimane.

A causa mia.

-Perché ti senti in colpa, Ray?-

Mi volto di scatto, a questa domanda quanto mai stupida.

E sono i miei occhi, taglienti e freddi come non ricordavo potessero essere ancora, a far trasalire persino l’imperturbabile dottoressa Maywright.

-Dottoressa, ha per caso guardato in faccia i miei amici?- le chiedo, la voce roca e gelida, ben lontana dalla mia voce di soprano. Chissà se tornerà mai come prima, chissà se riuscirò di nuovo a cantare…

-La risposta è lì.-

 .

.

[Will.]

Sono stati eterni, questi tre giorni lontano dall’ospedale.

Ritrovarsi qui è quasi un sollievo, questo posto è diventato ormai dolorosamente familiare a tutti e tre. Io ed Angel siamo stati a casa, ma Ben non si è mai mosso di qui; ha in viso l’ostinazione e la testardaggine di un disperato, di qualcuno che non vuole arrendersi.

Non adesso, non ad un soffio dal riavere indietro tutto quello che ha.

Non per la prima volta, mi rendo conto di ammirarlo. Tanto.

-Dottore, che cosa diamine sta succedendo?- e mi sono trattenuto davvero, per non sbottare in un “cazzo” di quelli che farebbero inorridire metà ospedale.

Ci hanno convocati qui mezz’ora fa, e siamo letteralmente volati.

Aspettavamo soltanto questo.

-La ragazza è in stato di shock.- oh, perché questo non l’avevo capito da solo, vero!? -La dottoressa Maywright, la nostra psicologa, ha provato a parlarle…-

-Tempo sprecato.- la voce preoccupata e tagliente di Ben interrompe il dottore, molto meno civile rispetto al sottoscritto. Ben è impaziente, è angosciato, è improvvisamente irrequieto come non ricordavo più potesse essere: Ray non è stata l’unica a svegliarsi, qualche giorno fa. -Ray non sopporta gli psicologi.-

-Se n’è accorta.- non riesco a non lasciarmi sfuggire un sorriso sardonico, ed Angel con me. Lo sappiamo tutti e due: quando vuole, Ray sa essere più fredda e scostante di un pezzo di ghiaccio. -Ha rifiutato categoricamente di parlare, ha solo detto…-

-Mi lasci indovinare. Ha detto di sentirsi in colpa.- è Angel che lo interrompe, gli occhi che si alzano verso il soffitto.

-Esatto.- il dottore guarda tutti e tre, vede le nostre espressioni. Poi si sofferma su di me, e lo so, paio soltanto lievemente esasperato. -Deduco che non sia una novità, quindi.-

-Ray ha sofferto un dolore immenso, tempo fa. Fa ancora fatica a tirarsene fuori, a volte.- annuisco appena, abbassando lo sguardo. Ben se lo ricorda bene, quel periodo: è stato lui, facendosi largo nella sua vita con la sua proverbiale testardaggine, a farla sorridere di nuovo.

-Non vuole incontrare nessuno, ha chiesto di restare da sola. Penso che…- stavolta sono io che interrompo il dottore, voltandomi di scatto verso Ben.

Ben, che si blocca un istante prima di alzarsi bruscamente in piedi, una cocciutaggine che ben conosco negli occhi scuri.

-Ben.- lo ammonisco, piano. Ma lui scuote la testa, i capelli che gli finiscono sulle palpebre, una luce ribelle nelle iridi.

-Devo parlarle.-

-Non ti ascolterebbe.- e lo vedo incupirsi appena, quando un pensiero preciso gli attraversa gli occhi scuri e la mano che fino a mezz’ora fa stringeva quella di Ray stringersi a pugno, a disagio.

Io non lo so per certo, ma sono convinto che la mia amica lo abbia già allontanato. Non per cattiveria, non per rabbia: Ray l’ha allontanato per un motivo ben preciso, un motivo che forse, sto cominciando a comprendere.

-Forse…-

-Angie, non ascolterebbe nemmeno te.- Angel alza gli occhi al cielo, ma non ribatte: sa che ho ragione, sa che Ray starebbe zitta e la lascerebbe parlare, ma non l’ascolterebbe. Non servirebbe a niente.

Però so che darebbe retta a me.

Conosco Ray da prima che conoscesse Angel, da prima che incontrasse Ben. Abbiamo vissuto nella stessa casa per quasi un anno, siamo diventati amici quando lei ancora viveva in America, quando è venuta qui per fuggire ai suoi mostri e ai suoi incubi.

La conosco, la conosco bene.

So cosa sta pensando. è stata colpa mia”.

So che ha visto, che ha sentito tutta la sofferenza che abbiamo provato noi tre. So che è quello che la dilania, le è sempre successo: io li ho visti i suoi occhi atterriti, terrorizzati, disgustati da se stessa, quelle pochissime volte che si è costretta a tirare di nuovo fuori quelle unghie affilate e a difendersi.

Ray è una persona complicata, è complessa come un meccanismo di un orologio; e altrettanto fragile, altrettanto semplice da rompere.

So come maneggiare quell’orologio senza romperlo, ho imparato tanto tempo fa. E soprattutto, so come smontarlo: pezzo, per pezzo.

Sospiro, appena esasperato.

Non sarà divertente, no. Non lo sarà per niente, sarà penoso, sarà brutto, sarà tremendo doverle fare del male con l’intenzione di farlo.

Lascio andare il braccio di Ben, che non si muove, rivolgendomi uno sguardo che è una via di mezzo fra una preghiera e uno scongiuro.

Cosa non si fa per gli amici, io non lo so davvero.

-Ci parlo io.-

 .

 .

[Ray.]

È incredibile quanto il mio corpo sia in forma.

Insomma, mi hanno asportato la milza, avevo un fianco squarciato e una miriade di bozzi e tagli ovunque; come mai ora riesco a muovermi senza quasi un dolore?

È confortante, però, riuscire a raccogliersi le ginocchia contro al petto e stringerle fra le braccia. Riesco a tenere insieme un gelo che mi sta svuotando da dentro, che ha preso possesso della mia cassa toracica.

Odio sentirmi sola. Sto cominciando a odiare la solitudine, quella stessa solitudine in cui io stessa mi sono rifugiata più di una volta.

Eppure, so bene che è meglio così…è meglio che sia io ad essere sola, adesso. Sebbene abbia una voglia assurda di vederli, di vedere Ben…allo stesso tempo, non riesco a pensare di affrontare i loro sguardi.

Ho paura.

Ho paura di rivedere tutto quel dolore…non ne posso più di sofferenza, di angoscia, di rabbia. È colpa mia se hanno sofferto tanto, non ho diritto di vederli.

Sussulto, quando la porta si apre.

In questo mese il mio udito s’è sviluppato, se possibile, ancora di più. È stato l’unico senso che mi era rimasto, l’unico a tenermi legata alla vita, a questo mondo…

-Ehi.-

Qualcosa mi s’incrina dentro, quando la voce di William risuona in questa stanza anonima, grigia.

Will.

Il cuore accelera nello stesso istante in cui mi rendo conto di quanto roca e diversa sia diventata la sua voce.

È Will, è il mio migliore amico, è forse la persona che mi conosce meglio di chiunque altro. Meglio di Angel, probabilmente anche meglio di Ben.

Mi conosce da anni, addirittura da prima che arrivassi in Inghilterra. Ha conosciuto la persona che ero, quella che sono diventata…quella che non ho più voluto essere.

-Ciao.- ma il sussurro mi esce debole e incerto, malgrado senta il cuore scoppiarmi di gioia nel rivederlo.

Lo sento sedersi accanto a me, sento il grattare della sedia sul pavimento; ma non lo guardo, non penso riuscirei a guardarlo negli occhi.

Ho paura, di quello che potrei scorgervi.

Ho fatto preoccupare tutti quanti.

Non voglio immaginare come sia stata Angie, non voglio sapere nemmeno lontanamente come si è sentito Will, provo puro terrore all’idea di cosa abbia potuto passare Ben. Non voglio, non voglio, ma alla fine sento il loro dolore che mi marchia a fuoco, ogni volta che si avvicinano un poco di più.

Per quanto possibile, mi rannicchio su me stessa, tentando di ignorare la presenza di William, seduto accanto a me.

Sono un disastro.

Non riesco a guardarlo in faccia. Non riesco a parlargli, non riesco a dire niente. Conosco Will, so quanto si sia tenuto tutto dentro, so quanto stia ancora male.

E so che stavolta, non vuole parlarne con Angel.

Ancora una volta mi sorprende, il rapporto che ho con Will; so cosa pensa, so come la pensa, so cosa prova e come si sente. Forse non è un’esagerazione, dopotutto, definirci fratello e sorella.

-Ray…- no, non posso averlo fatto io. Non posso aver fatto io, tutto questo. Non posso aver fatto così tanto male a loro, a loro. Non posso essere stata io, non posso aver fatto questo, non posso.

Sono un disastro. Sono un fallimento, una dannazione, un fottuto errore. Faccio solo soffrire le persone a cui tengo.

Mi volto. Non posso non farlo, ho paura di vedere l’espressione di Will ma non riesco a non volerlo aiutare, a non volerlo consolare; non riesco, a non voler almeno un poco lenire tutto quel dolore.

Ed è una maschera di sofferenza, quella che vedo sul suo viso.

Non ha bisogno di dire niente, non ce n’è mai bisogno, fra noi due.

Perché io lo so che cosa ha fatto.

Lo so che è stato forte. Per Angie, per Ben. Lo so che non ha mai pianto, lo so che si è occupato di loro, e di tutto il resto, io lo so, me lo ricordo, lo sentivo. Lo sentivo, quando mi sussurrava, mi pregava di svegliarmi, perché senza di me nessuno di loro ce l’avrebbe fatta. Lo sentivo.

Ma se me ne fossi andata, Will? È questo che sembra chiedergli il mio sguardo, ed è il terrore che compare nei suoi occhi azzurri, la risposta.

Se me ne fossi andata?

Io non voglio morire. Non voglio lasciarli, non voglio che soffrano ancor più di quanto abbiano già sofferto. Sono i miei motivi per vivere, senza di loro…senza di loro non avrei combattuto. Senza di loro non mi sarei svegliata.

Senza di loro cosa sarei stata? Niente.

Per chi avrei vissuto? Per nessuno.

Ma li ho fatti soffrire lo stesso.

Però posso fare qualcosa per aiutarli.

Li ho fatti soffrire.

Ora posso rimediare.

Forse dovevo andarmene.

Ma sarebbero stati ancora peggio…

Oppure no. Avrebbero sofferto, ma se ne sarebbero fatti una ragione.

No, non è vero, mi vogliono bene.

Ma se ho soltanto fatto loro del male! Come fanno a volermi bene?

Mi si riempiono gli occhi di lacrime, a questo pensiero, quasi nello stesso istante in cui vedo qualcosa spezzarsi nello sguardo di Will. E non so esattamente come, non so esattamente quando, ma sento solamente un calore improvviso invadermi, due braccia forti stringermi con irruenza e cautela insieme, e le lacrime di Will arrivarmi direttamente al cuore.

È Will. È Will, che mi ha abbracciata. È Will, che ha visto i pensieri rincorrersi nei miei occhi, e sono certa che lui sa, che sa cosa il mio orribile senso di colpa sta facendo.

Lo abbraccio forte, forte come non ho mai fatto. Ma ogni singhiozzo, ogni lacrima che Will tenta di soffocare in qualsiasi modo, apre una nuova ferita. Un nuovo senso di colpa. Un nuovo dolore.

Come se non ne avessi già abbastanza.

Ma il bisogno di vederlo sorridere di nuovo ha la meglio. L’affetto, l’amicizia, il desiderio pulsante di vederlo star bene, hanno la meglio. Per questo stringo i denti, per questo lascio che Will si sfoghi, per questo lascio che seppellisca il viso nell’incavo del mio collo e mi stringa a sé.

Mi dispiace.

So che è inutile.

Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace tanto Will, mi dispiace, ti prego, non stare così male per me, ti prego Will, non ne vale la pena, non piangere

Ma se è inutile, perché piango anch’io?

Perché non riesco a sopportare l’idea di aver fatto questo.

Ho sempre cercato di essere…tutto. Di essere amica, confidente, sicurezza. Ho sempre cercato di proteggerli perlomeno da me stessa, lui e Angel; con Ben, non ci sono mai riuscita.

E ho fallito.

Di più; se adesso Will sta male, se è stata male Angel, se – non riesco, non voglio pensarci… – Ben ha sofferto così tanto, l’unica colpa è mia. Mia, mia, mia.

Forse, non sarei dovuta sopravvivere.

Che cosa ho fatto?

-Smettila.- lo sento sussurrare, a denti stretti, le lacrime calde che non si fermano, che scorrono copiose sulle sue guance abbronzate. -Basta, Ray, non è colpa tua, piantala…- ed ecco le mie lacrime che lottano per unirsi a quelle di Will. Come fa a non essere colpa mia, Will?

-Come…- repentinamente, alza il viso e prende il mio fra le mani. Ha le mani grandi, calde, sussultanti; non mi permette di spostare lo sguardo, mi costringe a guardarlo negli occhi, mi costringe a vedere le lacrime che rigano il suo volto.

-Ray, abbiamo rischiato di perderti. Lo capisci? Ti vuoi rendere conto di quanto tu sia importante per me, per Angie, per Ben?- tu, smettila di leggermi nella mente.

-Angie è stata malissimo, ha rischiato di perdere un’amica, un’amica importante come puoi essere solo tu; e l’ho vista sorridere di nuovo solo quando ci hanno detto che ti saresti ripresa, che saresti stata bene!- la mia piccola Angel…

L’ho sentita piangere troppe volte, in questo mese.

Ho sentito troppo spesso tutti i suoi discorsi, tutta la sua testarda ostinazione nel cercare una risposta, un segno. Un qualsiasi segno.

Non so come avrebbero fatto Will e Ben, senza di lei.

Non so come avrei fatto io, senza le parole di Angel a riempire quel maledetto silenzio.

-E Ben? Ray, lo hai visto Ben?- sì che l’ho visto. L’ho sentito. Ho sentito ogni singola lacrima, ho sentito ogni singolo singhiozzo, ogni singolo perdonami.

Ogni singolo torna da me.

-Stavi per togliergli l’unica ragione che ha davvero per vivere.- gli occhi azzurri sono martellanti, taglienti. Non riesco a guardarli, c’è scritto tutto quello che dovrei pensare, che ho paura di pensare.

-Gli hai ridato la vita. Ray, ti sei svegliata, ti rendi conto di quello che hai fatto? Ti rendi conto che gli hai ridato voglia di vivere, di ridere, di sperare? Gli hai ridato tutto, Ray!- non ce la faccio. Non ce la faccio, non ci riesco.

Serro le palpebre, quando le prime lacrime cominciano a sfuggirmi.

Come faccio a non credere di essere io?

Ben.

Ho rischiato di non vederlo più. Ho rischiato di non sentire più la sua voce, la sua risata, ho rischiato di non vedere più il suo sorriso.

Ben.

Ho rischiato di ucciderlo. Non fisicamente, ma dentro; e io so bene cosa vuol dire. Ci sono passata. Stavo per condannarlo alla mia stessa sofferenza…

Ben

Non c’è niente, nella mia confusione, che riesca a farmi dubitare di lui. Non più, forse non c’è mai stato davvero.

Non c’è niente che riesca a farmi dubitare dell’amore che prova. Niente.

Mi ama. Non so perché, non so come sia successo, non lo so. So che mi ama. So che mi ama davvero, so che se adesso è felice è solo…

È solo merito mio.

Allora…qualcosa di buono…forse ce l’ho anch’io.

Mi rende felice. Ben mi ha sempre resa felice. Ben c’è sempre stato, mi ama, mi ha sempre amata – me l’ha sempre ripetuto. Mi rende felice con il suo sorriso, con il suo amore irrazionale quanto il mio. Mi rende felice con la sua presenza, quando è triste, quando è sereno, quando è allegro, quando è giù di morale. Lui mi rende felice, perché lo amo, perché amo ogni singola cosa di lui, perché in quelle poche ore in cui credevo che non mi volesse più mi sono sentita persa, abbandonata, senza più la mia fonte di vita.

Perché mi ama. E non c’è gioia più grande del saperlo, di sapere che mi ama quanto io amo lui. Così come sono; con i miei problemi, con i miei difetti, con…i miei pregi, anche.

È amarlo, la mia gioia.

E tutto improvvisamente va a posto.

Will, con i suoi occhioni azzurri pieni di lacrime e di rabbia, non ce l’ha con me. Non è colpa mia, se sta così male, non è colpa di nessuno. È normale, Will mi vuole bene, e quando si vuole bene a una persona si sta male, se è in pericolo.

Angel, la mia piccola Angie. Ho improvvisamente voglia di abbracciarla, di stringerla forte, di dirle che le voglio tanto bene. La mia bimba, che è stata tanto male per me, perché mi vuole bene. Mi riesce così facile, adesso, capirlo. Crederlo.

Sento il nodo nella mia gola sciogliersi, lentamente; ed altrettanto lentamente smetto di piangere, il mio respiro torna normale, e riesco, finalmente, ad aprire gli occhi e guardare Will.

E Will sta sorridendo appena, ha smesso di piangere anche lui. La sua fronte è premuta sulla mia, vedo solo i suoi occhioni azzurri, ancora umidi, ancora rossi, ma immensamente più sereni.

-Te ne dimentichi un po’ troppo spesso.- mormora, senza lasciar andare il mio viso.

E in questo momento, mi rendo davvero conto di quanto il legame fra me e lui sia diventato forte. Talmente forte da rendere persino le parole superflue, talmente forte da far sì che i pensieri di lui siano i miei – e viceversa.

Will, Will è molto più di un amico.

Will è mio fratello.

-Sono una zucca dura, io.- mormoro, e per quanto sembri impossibile, sento un sorriso apparire timido e incerto sulle mie labbra. Perché è vero, sono una dannatissima testona: ci devo craniare, contro le cose – e più volte! –, per comprenderle.

E la mia voce, arrochita dalle lacrime, è quasi la stessa di prima.

Prima dell'incidente, prima di quell'orribile equivoco. Prima che mi sentissi crollare il mondo addosso.

Will mi guarda, vedo la sorpresa riempirgli lentamente gli occhi: lo so a cosa sta pensando, si sta chiedendo se chiamare uno psichiatra per farmi internare – i miei sbalzi d'umore fanno paura – oppure ridere, ridere fino alle lacrime.

E un secondo più tardi, la sua scelta si fa chiara anche a me.

Il suono della sua risata è allegro, trascinante: dapprima è poco più di uno sbuffo sarcastico, di un'alzata di occhi al cielo.

Ma pochi secondi più tardi, eccola. Una risata, forte, piena, liberatoria. Una risata venata ancora di qualche lacrima, gli occhi rossi che mi guardano di nuovo vividi e accesi, fierifieri, di me.

Una risata, che si trasmette quasi immediatamente anche a me.

Finiamo a ridacchiare come due perfetti idioti, tanto da sentire le costole scricchiolare per le troppe risate, e non sono di dolore le lacrime che bagnano di nuovo gli occhi.

-Sei una testaccia, io te l'ho sempre detto.- ridacchia, arruffandomi i capelli, allontanando il volto dal mio. Solo adesso, si passa una mano sul viso, cancellando quelle lacrime che, lo sa, non riuscirò a dimenticare.

-Senti chi parla...- replico, e scherzare in questo momento mi viene terribilmente naturale, mi viene facile, mi viene spontaneo.

-Ray!- sobbalzo di scatto, e Will con me; la porta si è spalancata con una grazia degna di quella di un elefante, e sulla soglia, l’espressione corrucciata di un criceto, c’è la mia amica Angel.

In questo istante, lo giuro, potrei seriamente mettermi a ridere.

-Hai smesso di farti delle stupidissime pare mentali, o devo prendere a schiaffi anche te?- esordisce, con una grinta che ben conosco e che riesce a strappare uno sbuffo divertito anche a William.

Perché, a parte la Egerton chi ha preso a schiaffi?

-Anch’io sono felice di vederti, Angie.- commento, lasciandomi sfuggire un sorriso ironico che non riesco a reprimere.

Angel sbuffa, alzando gli occhi al cielo e incrociando le braccia sul petto.

-Vaffanculo, va bene?- mi fa, assottigliando gli occhi.

Ma c’è più affetto in quel vaffanculo che in molte altre parole.

-Ti voglio bene anch’io.- replico, e sono sincera.

Lo sa, lo sa sempre.

-Cretina.- ma un attimo dopo il gentil epiteto con cui mi apostrofa, mi si è già fiondata addosso.

Sorrido, quando mi abbraccia forte, tanto piccola in confronto a me; io ed Angel siamo diverse come il giorno e la notte, come il Sole e la Luna…ma ci vogliamo bene, e tanto, anche per questo.

Sembra tanto piccina, ma fra le due non sono io la più forte.

È la mia roccia, lei.

-Mi dispiace. Ti ho sentita, sai? Ogni volta. Ma non riuscivo a risponderti.- sussurro, sulla sua spalla, chiudendo gli occhi nei suoi lunghi capelli scuri.

-Va tutto bene.- mi rassicura, e per una volta mi permetto di essere la più fragile, sentendola accarezzarmi i capelli. -Ma non osare farlo mai più.-

-Non ci tengo.- sorrido, ma né io né Angel accenniamo a voler sciogliere questo abbraccio. Angie è calda, ha un profumo che conosco bene; è piccolina, molto più di me, ma stringerla forte mi ha sempre trasmesso un non indifferente senso di sicurezza.

Soltanto quando riapro gli occhi, sulla spalla della mia amica, scorgo qualcosa che riesce a cancellare ogni altro pensiero dalla mia mente.

C’è Ben, qui.

C’è Ben, e tutto improvvisamente converge su di lui, perdendo d’importanza al confronto del giovane uomo in piedi, ad un metro dal mio letto.

Distoglie lo sguardo da me nello stesso istante in cui io lo guardo, un sorriso amaro sulle labbra rosee. Ha le mani in tasca, la felpa grigia che disegna meravigliosamente le sue spalle nodose, snelle. Indossa i jeans neri, quelli che gli stanno così bene, che adoro così tanto vedergli addosso.

Non mi guarda, un’espressione strana sul volto appena smagrito.

Se non sapessi, se non lo conoscessi così tanto, potrei dire di non sapere cos’è quel miscuglio di emozioni che gli segna il viso; ma io so quanto si sta sentendo in colpa, so quanto rimorso ha dentro di sé. Lo so fin troppo bene.

-Angie, andiamo a prendere qualcosa da mangiare.-

Will ha visto il mio sguardo, ha capito la situazione; e come il fratello migliore che si possa desiderare, ha deciso di fare la cosa più giusta.

-Oh…okay.- Angel si separa da me, sciogliendo questo abbraccio che è sempre caldo, confortevole. Mi rivolge un sorriso, gli occhioni lucidi, serena.

È solo un attimo, quando Will si accosta appena a me e mi bacia in fronte, un tocco dolce e affettuoso che non faceva più da anni. Socchiudo gli occhi, sentendomi piccola, al sicuro, protetta, solo grazie a quel gesto semplice che racchiude tanti, troppi significati diversi.

-Fa’ la brava.- mi sussurra, prima di allontanarsi, prendere per mano Angel e sparire oltre la porta che si chiude alle spalle.

E quando l’eco si spegne, il silenzio cala in questa stanza e fra me e Ben.

Lo vedo lanciare un’occhiataccia alla porta, sicuramente maledicendo Will per quest’uscita di scena. Poi torna a guardare lontano, verso il cielo plumbeo di là dei vetri, il riflesso candido delle nuvole che si riflette nei suoi occhi scuri.

Rimango a lungo a guardarlo, senza dire niente.

Passerei ore, giorni, ad osservarlo. A memorizzare ogni gesto, ogni abitudine che ha, ogni vezzo.

È bello.

È sempre stato bello, per me lo è ogni giorno di più.

Gli occhi scuri, caldi, i capelli castani, la pelle chiara.

Il fisico asciutto, le spalle nodose, le mani, le labbra.

La sua cocciutaggine, la sua testardaggine, il suo essere geloso e possessivo, protettivo fino all’inverosimile, e dolce. È tanto dolce, Ben. E ironico, come solo un inglese sa essere, e iperattivo, che mette passione in ogni cosa che fa.

Non c’è una sola cosa di lui che io non ami. Nulla. Persino i difetti, persino quelle cose che mi danno sui nervi.

Per me, e solo per me, è la persona più perfetta di questo mondo.

È questo il vero amore.

Le favole non esistono, il principe azzurro è un povero sfigato dagli occhi vuoti; non esiste l’amore aulico e perfetto delle fiabe, la principessa che si lascia sballottare da tutti e che ama per condizionamento, per scelta non sua.

L’amore vero è quello delle persone che soffrono, che talvolta non si comprendono; che si urlano contro e talvolta maledicono il giorno in cui si sono incontrate, che affrontano tutto quello che la vita gli mette davanti.

Insieme.

-Ben.- la mia voce è ferma, decisa.

Ma lui non si volta, resta vicino all’armadio a muro, le nocche che sbiancano quando serra lo stipite fra le lunghe dita da pianista, quelle dita che amo.

Posso quasi vedere la sua espressione, posso quasi vedere il dolore e il tormento sul suo viso. Posso vedere chiaramente le sue labbra soffici convulsamente contratte, posso distinguere quei pozzi d'inchiostro arrossati, stanchi, terribilmente pieni di un dolore che non riesce a sparire.

Perché lo so, lo so fin troppo bene.

Ben si sente in colpa.

Si sente in colpa per quello che mi è successo, per quello che è capitato.

Si sente in colpa per aver permesso a Tamsin di mettersi fra noi, per non essere riuscito a fermarmi, per non aver potuto fare qualcosa per impedirmi di fraintendere.

Posso quasi avvertirlo, il suo cuore, lacerato da questa tortura.

Perché quel cuore è lo stesso che batte nel mio petto, quel cuore è ciò che amo, ciò che voglio proteggere a tutti i costi – anche da se stesso, nel caso.

Amore mio, tu non hai fatto niente...

Ti prego, Ben, guardami. Sono qui, non sono arrabbiata con te, non potrei mai esserlo.

So cosa vorrebbe.

Vorrebbe andarsene, vorrebbe avere la forza di convincersi che senza di lui io possa stare bene. Vorrebbe andare via, facendosi ancor più del male, ripetendosi che ne farebbe molto di meno a me.

Che sciocco che sei.

-Forse è meglio che io vada.- non mi sorprende per niente, sentirlo pronunciare queste parole.

Ma è la sua voce, che mi spaventa.

È sull'orlo delle lacrime.

È la sua voce, più che le sue parole, a spalancare un doloroso baratro dentro di me.

Non voglio che vada via. Non voglio, non voglio, non voglio! Non voglio stare lontana da lui, voglio soltanto che la smetta – piantala, Ben, non hai fatto niente!

Resta qui. Ti prego resta qui, resta con me, ti scongiuro dimmi che non vuoi andartene per davvero, non uccidermi ancora!

-Io senza di te non posso stare.-

Le parole mi escono di getto, senza quasi che le senta scivolare naturalmente sulle mie labbra. Restano così, appese ad un filo di ragnatela, aleggiando fra me e lui in un silenzio pesante – troppo, troppo pesante.

Io senza di te non posso stare.

Io senza di te non posso vivere.

Ben si volta di scatto, alle mie parole.

Si volta e mi guarda, mi guarda e i suoi occhi si riempiono di lacrime, lacrime prepotenti, che rigano le sue guance ruvide e adorabili prim'ancora che lui stesso riesca a rendersene conto.

Mi guarda a lungo, senza muovere un muscolo, mentre da quei pozzi neri l'angoscia si estende ad ogni millimetro del suo volto.

Sono due rapidissime falcate, quelle che lo separano da me.

Un singhiozzo, che non so se è mio e suo, spezza improvvisamente quel silenzio.

Un singhiozzo che mi risuona nel petto, riempiendolo di una bolla dolorosa che mi gonfia i polmoni, il cuore, che ostruisce la mia gola con un peso tremendo, una voglia di piangere assurda che pulsa nei miei occhi.

Un singhiozzo, e improvvisamente la distanza fra me e Ben si annulla, quando lo ritrovo accanto a me.

Vengo investita da una miriade di sensazioni, sensazioni che ho temuto di aver perduto, sensazioni che amo, quando il suo corpo tocca il mio.

È qui.

Il suo profumo mi colpisce con la forza di una mazzata, il suo calore che repentinamente ritrovo accanto a me è bollente, palpabile, come un Sole.

È qui.

Il suo respiro affannato mi riempie le orecchie, le sue lacrime mi bagnano le dita.

È qui.

E le sue braccia, le sue braccia mi stringono.

Penso che potrei urlare, per la gioia che sento esplodere in questo momento dentro di me.

È qui.

È qui, con me.

È qui, è qui e mi sta abbracciando, il viso seppellito nell'incavo del mio collo, quel punto in cui adora stare anche per ore; ore, in cui mi bacia, mi morde, mi stuzzica, ridendo quando mi fa il solletico e mi contorco come un serpente, sorridendo con malizia quando si sposta dietro l'orecchio, sentendomi fare le fusa come un gatto.

È qui, e davvero adesso non vorrei altro dalla vita.

Rivivrei tutto quanto: rivivrei la sofferenza, l'incidente, il dolore straziante di sentirli ma non potergli parlare, non poterli rassicurare. Rivivrei l'odio che mi ha invaso la bocca, sporcandomi la lingua e le labbra, che mi ha spinta a svegliarmi e a dare della troia a Tamsin.

Tutto quanto.

Tutto, per essere qui di nuovo, adesso, fra le braccia di Ben.

-Perdonami...- lo sento sussurrare sulla mia spalla, fra i singhiozzi.

Ed è questo, che mi lacera: è questo, che riempie i miei stessi occhi di lacrime calde, bollenti, le braccia che per quanto possibile si stringono ancor di più intorno al suo petto.

Perdonarlo?

Per un malinteso?

Non è stata colpa tua, amore mio...

Lo sento piangere, e qualcosa dentro di me si spezza di nuovo. Ma non è una sensazione devastante: è qualcosa di doloroso che si annoda nella mia gola, mentre le lacrime scendono copiose sulle mie guance, e i miei pugni deboli stringono la sua maglietta.

-Sei qui...- singhiozza ancora più forte, il petto scosso dai tremiti, dal dolore. Sento le sue braccia cingermi con delicatezza, ma fremere, perché so che vorrebbe stringermi con tutta la forza che ha, fino a farmi scoppiare il cuore di gioia.

-Ben...amore non piangere...- riesco a sussurrare, pianissimo, fra lacrime che rendono la mia voce quasi implorante.

Ma lui non ci riesce, premendo le labbra sulla mia fronte calda e accarezzandomi i capelli, singhiozzando in silenzio, gli occhi nerissimi chiusi, le lacrime che gli rigano le guance.

-Ben, sono qui...sono qui con te, non vado da nessuna parte...- non voglio che pianga.

Dea, non voglio che pianga così, mi lacera il cuore sentirlo stare così male, non posso vederlo soffrire in questo modo.

-Ho rischiato di perderti...di perderti due volte...- sussurra, e il suo respiro delizioso che accarezza la mia pelle è qualcosa di meraviglioso, qualcosa che mi stordisce, che annebbia qualsiasi dolore.

-Ben, guardami.- lo costringo, con le mie manine deboli, a guardarmi. Il suo viso è fra le mie dita, e Dea, non penso esista qualcosa di più bello di lui: anche in questo momento, gli occhi arrossati di pianto, le guance arrossate, l'espressione stravolta, Ben è bellissimo. Forse, più di quanto non sia mai stato.

E mi guarda.

Mi guarda a lungo, gli occhi neri inchiodati nei miei.

Mi guarda con insistenza, con paura, con dolore, senza separare nemmeno per un istante le sue iridi dalle mie.

Mi guarda come se non volesse fare altro, per tutta la vita.

-Perdonami.-

Ed è il suo sussurro, la sua preghiera, che dopo un silenzio infinito sfugge dalle sue labbra.

-Tu non hai fatto niente.- mormoro, e incredibilmente sento un piccolo sorriso disegnarsi sulle mie labbra.

Non è vero che Ben non mi vuole più. Non è vero che non mi ama più.

È ancora qui, è ancora con me. Mi ama, mi ama tanto da piangere, tanto da lacerarsi per una colpa che non ha commesso.

E a me basta questo. Basta solo questo.

Dov’è finita la Ray cinica, la Ray che non ha bisogno di nessuno?

Dov’è finita quella ragazza che rifiutava l’amore, che fumava all’angolo di una strada?

Dov’è finita quell’arrogante donna che bastava a se stessa?

Io lo so.

Si è innamorata.

-Ray...- mormora, la sorpresa che sconfigge tutte le altre emozioni in quegli occhioni neri che adoro. Mi accarezza una guancia, con la punta delle dita, mi sfiora le labbra appena con l’indice; ha le mani morbide, delicate, esattamente come le ricordavo.

-Ti amo.-

E lo dico con una naturalezza, con una semplicità, che stupiscono anche me: pensavo che dopo tutto quanto, dopo tutto quel dolore, non sarei più riuscita a dirlo.

-Ti dirò di più: ti amo, e sei un coglione a darti la colpa di quel che è successo.-

Devo dire, che la mia finezza e la mia eloquenza sono soltanto che migliorate.

E sembra pensarlo anche Ben, perché vedo un sorriso divertito aprirsi finalmente sul suo volto, un sorriso che riesce in un istante a far accelerare i battiti di un cuore che di stare tranquillo, proprio non ne ha voglia.

-Mi sei mancata, mia principessa.- mi sussurra, posando la fronte contro la mia; e ci sono solo i suoi occhi adesso, il suo profumo, il suo respiro che si mischia al mio.

-Anche tu, mio bel principe.- rispondo, e sorrido del mio tono perfettamente disincantato.

Al diavolo le favole, detto con tutto il cuore. Preferisco la vita vera, preferisco la mia realtà; preferisco il mondo, incasinato e nevrotico com’è, se c’è Ben.

E nemmeno mi accorgo di essermi mossa appena, di aver posato le mani sulle sue guance. È seduto accanto a me, sento il calore del suo corpo a pochi millimetri dal mio.

E non resisto, non ci riesco.

Quando mai ho resistito a lui?

È solo un istante quello che divide le sue labbra dalle mie. Un istante che colmo in un niente, nel tempo di sentire il suo respiro che si mischia al mio, e di distinguere nei suoi occhi lo stesso desiderio che so essere vivido nei miei.

Ogni cosa si scioglie in questo bacio, salato di lacrime.

Sento che le mie guance protesteranno, per il solco che i miei pianti scaveranno presto su di loro.

Piango, piango di gioia, quando le labbra calde di Ben si posano sulle mie.

Ed è semplicemente il paradiso, dopo. Dopo, dopo un brusco respiro spezzato a metà, dopo la manciata di secondi in cui le nostre labbra si modellano le une sulle altre, prima di schiudersi, prima di trovarsi.

Il Paradiso, quando le sue mani mi racchiudono il viso, stringendomi a sé.

Sento emozioni dimenticate travolgermi di nuovo, distruggere tutto quanto, annichilire ogni singolo pensiero. Il battito forsennato del cuore mi riempie le orecchie, spezzato soltanto dal delicato suono dei respiri.

C'è soltanto pace, nella mia testa.

C'è soltanto la lingua di Ben che gioca con la mia con dolcezza infinita, c'è soltanto il suo sapore che si mischia al mio, c'è solamente la sua bocca che tanto conosco.

C'è soltanto Ben.

Ben, e il palpito del mio cuore, che scalpita innamorato nel mio petto. Vuole impazzire, scappare via; ma già non sei più mio, stupido muscolo pazzo. Non lo sei da tanto tempo.

Ti amo, sussurro, nei frammenti di respiro che ci separano soltanto per qualche attimo.

E poi affogo di nuovo in lui, e ancora.

E non ne ho mai abbastanza, e Ben non si risparmia minimamente, intensificando a poco a poco i nostri baci.

E sono più che felice di abbandonarmi completamente a lui, alle mani che seguono i miei fianchi lentamente, accarezzandomi per andare ad allacciarsi sulla mia schiena; una sul corpo e l'altra sulla nuca, e mi sento una bambola fra le sue braccia.

Una bambola di porcellana, che non ha più paura di essere rotta.

I suoi capelli scorrono soffici e segosi fra le mie dita, fili di seta con cui gioco, in cui immergo le mani come nell'acqua limpida di un lago. Sorride, sulle mie labbra, distinguo i suoi occhi neri e caldi cercare i miei quando ci separiamo, soltanto un beato vuoto a riempirci la testa.

-Ti amo.- mi sussurra, ad un millimetro dalla mia bocca gonfia di baci. E non so far altro che sorridere, le guance rosse, schiudendo gli occhi e premendo di nuovo le labbra sulle sue: ride, alla mia testarda irruenza, stringendomi appena più forte a sé, premendo la fronte contro la mia e stando semplicemente lì, a guardarmi.

-Ti amo anch'io.- gli sussurro, perché non ho davvero altro da dire, altro che vorrei dire.

E restiamo semplicemente così, abbracciati. Guardandoci negli occhi.

 .

.

Ecco.

Qualcosa che germoglia.

È adesso.

È in questo momento, che ritrovo dentro di me qualcosa che credevo di aver perduto.

Ritrovo una forza che avevo dimenticato, ritrovo il coraggio di sorridere: ritrovo l'ironia ed il sarcasmo che tanto amo, ritrovo la mia spigliatezza formidabile.

Ritrovo me stessa, sentendo tutto tornare a battere più vivo che mai.

Finalmente, so che le cose andranno bene.

So che non sarà mai sereno: le nuvole ci saranno sempre, i problemi non svaniranno, e che questo è solo l'inizio di un lungo e tortuoso percorso che mi porterà a uscire da quest’ospedale.

Ma io posso affrontare tutto: l'ho sempre fatto, e continuerò a farlo.

Finalmente sento il mio viso rischiararsi davvero, non soltanto un benessere effimero e passeggero.

Finalmente, posso dire a me stessa che il futuro sarà una sfida degna di essere combattuta.

Qui, fra le braccia di Ben, finalmente mi sento a casa.

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My Space:

...è finita. E' finita anche questa.

In origine questa storia doveva essere una one-shot, sapete? non doveva arrivare a sessanta pagine di Word, come invece è stato. Ma mi è sfuggita di mano, come fanno tutte le storie che scrivo; perché i personaggi prendono vita, spesso e volentieri, e fanno quello che vogliono loro.

Beh, che dire? Era parecchio che non provavo la sensazione bittersweet di terminare una long (o pseudo long). Quasi non mi ricordo che devo fare...ah, sì. I ringraziamenti? Vanno quelli, vero?

Grazie, a tutti coloro che hanno letto questa storia che fa parte di me molto più di tante altre. E' uno spaccato di vita, di pensieri, di pare mentali assurde. E' mia.

Grazie alle persone che l'hanno seguita, preferita, ricordata. Ma un grazie speciale, soprattutto, va a chi mi ha lasciato una traccia di sè, un pensiero, una parola per farmi capire che quello che scrivo riesce ancora a trasmettere le emozioni che avverto io stessa; grazie, Grazie di tutto.

Alla prossima.

B.

   
 
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