Crossover
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Autore: Darik    01/10/2010    1 recensioni
Un omicidio chiaro. Tutto indica chi è il colpevole. Ma quel colpevole è una delle persone più care al mondo per Negi. Chi può aiutarlo nel tentativo di scagionarla? Forse un misterioso e abilissimo detective.
Genere: Generale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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6° CAPITOLO

Il salone delle feste era diventato ormai tanto, troppo familiare, per Negi.

Lì la sua Asuna aveva vissuto i suoi ultimi momenti felici prima di precipitare nell’incubo.

L invece scrutava quella sala, muovendosi con la sua andatura curvata in avanti e con le mani in tasca.

Qualche inserviente gli gettava delle occhiate incuriosite.

O forse irritate, per la presenza di un tipo strano come L in un luogo pensato per gente altolocata.

“Negi, andiamo in quel bagno” ordinò poi L tirando fuori l’ennesimo leccalecca.

Il detective si fermò davanti alla porta.

La fissò intensamente, quasi volesse penetrarla con gli occhi.

“Fu afeffami fui”.

Negi porse l’orecchio. “Prego?”

L si tolse il leccalecca dalla bocca. “Aspettami qui” disse, ed entrò.

“L, quello è un bagno per signore…” obbiettò Negi, inutilmente.

Fortuna che gli impiegati del palazzo non se n’accorsero.

Almeno questo pensava Negi.

Invece quello strano tizio non era stato dimenticato da uno degli inservienti.

Che si avvicinò con fare un po’ minaccioso.

“Ehi tu, ragazzino. Dov’è quel tipo strano che stava con te prima?”

“Ehm, è andato via…” provò a giustificarsi Negi.

“Non l’ho visto uscire. Temo invece che sia andato nel bagno delle donne!”

Prima che Negi potesse fermarlo, l’altro era già entrato.

Negi si sentì paralizzato dalla tensione: cosa sarebbe successo?

E lui cosa doveva fare?

Scappare?

Non ci teneva a fare la figura del vigliacco.

Qualche minuto dopo l’uomo uscì, con un’espressione alquanto contrariata.

Negi si preparò al peggio.

“A quanto pare avevi ragione, ragazzino. Nel bagno non c’è nessuno. Comunque la prossima volta che rivedi quel tizio, digli che è meglio se non gironzola qui dentro”. Detto questo, l’inserviente se n’andò.

La cosa lasciò esterrefatto Negi: che significava che nel bagno non c’era nessuno?

Passarono altri minuti, quanto bastava perché Negi cominciasse a pensare davvero che L se n’era andato.

Ad un tratto da dentro il bagno, o meglio, dietro la porta, si udirono dei lievi colpi.

A quel punto Negi decise di dare un’occhiata dentro e non appena fece per aprire la porta, andò a sbattere contro qualcuno.

“Negi, non si sbircia dentro il bagno delle donne” esclamò L.

“Ehi, ma da dove sbuchi?!”

“Andiamo nel bar. Mi serve qualcosa di dolce”.

Un bip inascoltato arrivò dalla tasca di Negi. Il suo cellulare si era scaricato.


Kotaro stava seguendo l’ennesimo film al cinema, ufficialmente in compagnia di Negi.

Gli squillò il cellulare, lesse il numero.

“Cavolo, è la casa di Negi. Ma lui ora dovrebbe essere dall’investigatore”.

Kotaro rispose. “Pronto?”

“Ciao Kotaro, sono la mamma di Negi”.

Il ragazzo rimase senza parole: era la prima volta che la madre di Negi gli rivolgeva la parola.

In passato non solo l’aveva vista pochissimo, ma non gli aveva mai neppure parlato, solo rapidi cenni di saluto, prima di perdersi in qualche telefonata d’affari o nella lettura di montagne di scartoffie.

Cosa poteva mai volere?

“Salve, signora. Che posso fare per lei?”

“Mi passi Negi? Al suo cellulare non risponde”.

Kotaro si guardò intorno freneticamente. Doveva improvvisare.

“Ehm, Negi adesso non può venire a parlare. E’ al bagno”.

“Capisco. Forse puoi aiutarmi anche tu. Sapresti dirmi se c’è qualcosa che non va? In questi ultimi giorni, mi sembra strano”.

“Be, signora, si tratta della faccenda di Asuna”.

“Ah si?”

“Si, signora. E’ ovvio che Negi sia molto preoccupato per lei”.

“Davvero?”

“Certo. Le vuole molto bene, la considera come una sorella”.

Anzi, molto di più, però questo ritenne di non doverlo dire.

“Capisco. Grazie, Kotaro”.

Cosi terminò la telefonata.

Kotaro alzò le spalle e riprese a godersi il film.


L e Negi erano tornati nello stesso bar dell’altra volta.

Il detective era sempre seduto con i piedi sulla poltrona, mangiava caramelle una alla volta e giocava con i cubetti di zucchero.

“Si può sapere dove eri finito in quel bagno?” domandò Negi con una coca cola in mano.

“Ora compirò una piccola magia”.

L iniziò a mettere uno sull’altro i cubetti di zucchero.

“Facciamo conto che c’è una donna, che chiameremo X.

Questa donna è alla festa la sera dell’omicidio.

Quando vede Takamichi e Asuna andare via, alle undici e trentaquattro, si fa accompagnare nel bagno da un suo aiutante.

Una volta nel bagno, deve raggiungere l’appartamento di Takamichi.

E deve farlo uscendo dal bagno senza farsi vedere.

Il metodo esiste. Infatti i bagni di quel palazzo possiedono una rete di condotti per la ventilazione, abbastanza grossi perché ci passi una persona e ramificati in modo da raggiungere qualunque punto del palazzo in pochi minuti. Io, procedendo con calma, ci ho messo ventidue minuti. X, che conosce bene lo schema dei condotti e si muove più velocemente, ci ha messo sicuramente molto meno tempo. Per una questione di manutenzione, dentro ogni condotto ci sono degli appigli appositi a mo di scaletta, per permettere l’arrampicata.

Inoltre nei bagni, gli ingressi dei condotti d’aerazione sono camuffati, nascosti, per questioni estetiche.

Li puoi individuare cercando le correnti d’aria.

Aprirli è molto facile, se si ha un minitrapano di quelli silenziosi. Altrimenti li devi sfondare, ma in tal caso è meglio non farsi vedere più lì.

X sa dei condotti perché essendo un pezzo grosso di una delle aziende finanziatrici del palazzo, non ha certo avuto problemi a procurarsi i progetti di costruzione.

Perciò una volta nel bagno tira fuori dalla borsetta, un modello piuttosto grande, un abito bianco, probabilmente una tuta, una parrucca di capelli rossicci, entra nel condotto e sale indisturbata fino al luogo designato.

Il condotto sbuca nella cucina di Takamichi.

I dettagli di ciò che avviene dentro sono ancora da definire, ma sbirciando dalle fessure della grata, ho ricostruito la scena nella sua sostanza: probabilmente X inscena una finta lotta col cadavere di Takamichi. O magari è solo stordito. Comunque finge una colluttazione davanti alla parete-finestra del soggiorno e comincia tale lotta non appena Hasegawa si affaccia richiamata dal rumore del litigio. Litigio che quasi sicuramente era già stato inciso su un registratore.

Date le condizioni dell’ambiente, non era necessario che le parole e le voci fossero giuste. Sarebbe bastato far capire che si trattava di un uomo e di una donna che litigavano accanitamente.

X colpisce più volte mortalmente Takamichi, poi fa uscire di scena entrambi.

X sa che Hasegawa è miope, il suo mestiere l’ha portata a conoscere tanti piccoli segreti, che per un motivo o per un altro non si dicono. Capita, in quegli ambienti.

Quindi Hasegawa non è in grado di capire che in quel litigio c’era qualcosa di sbagliato.

A quel punto, resta da creare il secondo testimone.

X non può correre il rischio di farsi vedere da Masters.

Infatti, pur sapendo dell’handicap di quest’ultimo, non sa da che punto del litigio egli ha deciso di andare a vedere.

Per questo non parte dalla porta, ma passa attraverso un altro condotto, il quale, tagliando tra i muri, le fa guadagnare almeno venti secondi, facendola uscire sulla scalinata a sinistra dell’appartamento di Masters.

Perciò, non appena sente la porta aprirsi, le basta limitarsi a scendere lungo le scale correndo, l’unica cosa che Masters ha chiaramente sentito.

Quando lo sportivo rientra in casa, X rifà lo stesso percorso al contrario, chiudendo tutte le grate dietro di sé, e torna nel bagno del salone, dove si cambia.

E’ inoltre molto astuta, perché sa che la polizia può scoprire i condotti e far crollare il suo alibi.

Ed è qui che entra in gioco il suo complice.

Il quale ferma alcune persone per far capire e vedere loro che X si trova nel bagno.

Per rendere il tutto più realistico, X ha nascosto un registratore dietro la porta del bagno attaccandolo con del nastro adesivo.

Il registratore contiene una serie di risposte precise, una dopo l’altra, a precise domande, come l’offerta di una sigaretta.

Una volta tornata, X deve solo cambiarsi, recuperare il registratore, chiedere un bicchiere d'acqua per creare un nuovo testimone e infine riunirsi alla festa, alle undici e cinquantanove.

Cosi facendo ha creato un alibi perfetto per sé e anche per il suo complice, alibi testimoniato da persone e da telecamere.

Quello però che non immaginava era che dietro la porta sarebbero rimaste alcune tracce del collante usato per il nastro adesivo, nel punto dove stava il registratore, ovvero il punto dove il suo complice metteva la mano quando si affacciava dentro il bagno.

L’ho scoperto attaccandovi l’incarto di un leccalecca, che invece non riusciva a restare attaccato altrove.

“Incredibile” disse Negi.

Oltre che dalla ricostruzione, era rimasto colpito anche dalla scultura verticale a forma di X che L aveva creato con i cubetti di zucchero.

Come diavolo riusciva a fargli stare uno sull’altro se erano inclinati?

“Magia!” commentò L tirando di nuovo fuori quel sorrisetto da bambino birbante.

Negi si strinse nelle spalle. “Comunque immagino che questa X sia Takada, vero?”

“Le probabilità sono basse, ma è stata quasi sicuramente lei”.

“Eh? Ma se le probabilità sono basse… mah, ci rinuncio. Ritieni che possiamo denunciarla?”

“No” rispose L cominciando a mangiare uno dopo l’altro i cubetti di zucchero. “La mia ricostruzione, pur corretta nella sostanza, è indiziaria. Prove vere non ce ne sono. Un bravo avvocato, di quelli che Takada può permettersi, la farebbe uscire nello stesso giorno dell’arresto. E poi ci sono altri aspetti da chiarire. Ma il seguito alla prossima puntata”.

Negi guardò l’orologio. “Cavolo, è vero. Tra poco il film finisce e deve tornare a casa. Ci vediamo domani, L. Sei fantastico!”

Uscendo dal bar, Negi si rese conto solo allora che aveva cominciato a dare del tu ad L.


Quando Negi ritornò a casa, una cosa lo colpì subito: il silenzio.

Come mai non sentiva sua madre?

Le altre sere era impegnata in una delle sue telefonate o letture di lavoro.

Guardò dappertutto e non c’era.

Che avesse ricominciato a fare la latitante?

No, lo avrebbe avvertito.

E poi verso quel ora ritornava sempre a casa.

Che le fosse successo qualcosa?

Forse si era sentita male e l’avevano ricoverata.

Ma avrebbero dovuto avvertito col cellulare, no?

Solo allora lo prese e si accorse che era scarico.

Una certa angoscia s’impadronì di lui.

“Mamma!” esclamò apprestandosi ad uscire.

Non appena aprì la porta, se la ritrovò davanti.

“M-mamma!?”

“Negi, stavi uscendo?”

“Stavo andando a cercarti”.

“Sono uscita a fare una passeggiata”.

“Oh be, allora… cosa c’è per cena?”

“Niente cibi precotti” disse la donna.

“Come mai? I tuoi affari non ti hanno permesso di preparare uno dei soliti pranzi precotti?”

Non c’era ironia o critica nella voce di Negi.

Era una semplice constatazione.

Eppure la madre ne rimase colpita.

“E che non avevo voglia di prepararlo. Volevo uscire e schiarirmi le idee”.

“Problemi con qualcuno dei tuoi affari?”

“Ritieni impossibile che io possa parlare di cose umane, vero?”

Anche in questo caso, nessun sarcasmo, solo una constatazione.

Negi la guardò incuriosito. “Cosa c’è che non va?”

“Tutto. Come donna, sono assorbita da continue questioni finanziarie. Come moglie, in pratica sono ancora nubile. E come madre…. Sono un disastro. Tre su tre. Un disastro!”

“Mamma…”

La donna andò a sedersi. “Negi, tu vuoi molto bene ad Asuna, vero?”

“Si”.

“E adesso capisco il perché. E’ la figura di riferimento di cui tutti i bambini hanno bisogno. Vorrei tanto averlo capito prima. Mi dispiace, Negi, mi dispiace tanto”.

Lacrime cominciarono a scenderle lungo il viso.

“Forse… continuò lei “forse avrai pensato che io e tuo padre non ti volessimo. Non mi stupirebbe, visto quello che facciamo, anzi, non facciamo per te. Ma ti giuro che non è cosi. Quando ci siamo sposati, volevamo un figlio, lo volevamo a tutti i costi. Però dopo… non lo so. Forse ci siamo sentiti inadatti, forse ci siamo preoccupati troppo della carriera, per il bene della famiglia. Cosi facendo, abbiamo finito per rendere il mezzo uno scopo. E ci siamo dimenticati di te. Io, davanti alla tua sofferenza per Asuna, non sono riuscita a capire. Per questo non ti ci ho mai accompagnato. Tu avrai forse pensato a delle scuse. Non lo erano. Semplicemente, e orribilmente, non ne capivo il perché. Che razza di madre sono stata?! Che razza di madre permette al proprio figlio di considerare una cosa normale, abitudinaria, il non prendersi cura di lui?”

Negi non credeva ai suoi occhi.

Non aveva mai visto la madre esprimere cosi i suoi sentimenti.

Con lui, tra l’altro.

“Mi dispiace tanto!!” esclamò infine la madre coprendosi il volto con le mani e piangendo a dirotto.

Negi corse ad abbracciarla.

“Mamma, non piangere” le disse cominciando a piangere anche lui.

“Devi… devi odiarmi, vero?”

“No, non potrei mai odiarti, mamma! Mai!”

“Piccolo mio! Vuoi davvero una madre orribile come me?”

La risposta fu un abbraccio ancora più forte.

Per diverso tempo rimasero abbracciati.

Poi il cellulare della donna squillò.

Quel suono li fece separare.

La madre si sistemò i lunghi capelli biondi, riacquistò sicurezza e rispose: “Pronto?. Oh, è lei Mr. Fiji. La questione delle nostre quotazioni in borsa? Be, sa cosa le dico? Che possono aspettare. La richiamerò io quando ne avrò voglia. Non mi aspetti alzato!”

La donna chiuse il cellulare buttandolo in un angolo.

“Ora, che ne dici se ti preparo la cena? Forse mi ricordo come si fa”.

“Sono sicuro che lo ricordi perfettamente. Hai una memoria di ferro” rispose Negi asciugandosi le lacrime.

“Tuttavia” continuò lui “avresti potuto avvertirmi che uscivi”.

“L’ho fatto” replicò lei. “Ti ho lasciato un biglietto e… ops”.

Si era messa istintivamente la mano in una tasca del cappotto. E ci aveva trovato il biglietto.

“Scusa, senza volerlo me lo sono portato dietro”.

Si guardarono.

E iniziarono a ridere.

  
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