The way home
Quello che Hunk stava per fare era probabilmente molto stupido, e
forse non avrebbe portato a niente. Ma doveva almeno provarci.
Era una tarda e fresca
notte nel Kansas, le stelle brillavano, e la loro luce e quella della mezzaluna
gli facevano strada verso il centro del campo di grano, là dove si
trovava il nuovo spaventapasseri. Non era sicuro del perché avesse scelto quel punto esatto, o se qui avrebbe
funzionato meglio, ma sentiva che era il posto giusto.
Aveva ascoltato la
storia di Dorothy su un magico mondo che lei chiamava Oz,
dove c’erano Streghe, Maghi, animali parlanti, ed ogni sorta di strani
personaggi che secondo tutte le leggi di natura non avrebbero dovuto essere vivi. Come uno Spaventapasseri che
parlava e camminava.
Hunk non era stupido, anche
se di tanto in tanto poteva sembrarlo. Riconosceva le pene d’amore quando
le vedeva, e la povera Dorothy era diventata così triste e sola che lui
temeva non si sarebbe più ripresa. Era tornata a casa per non causare alla
zia e allo zio il dolore di averla persa per sempre, ma Hunk
poteva vedere che la tristezza della ragazza li addolorava comunque. Loro
volevano che Dorothy fosse felice, proprio come lui – ed era per questo
motivo che a quell’ora si trovava nel campo di grano invece che nel
proprio letto. Per quanto riguardava il motivo per cui aveva scelto un orario
simile, beh, non voleva rischiare di incontrare nessuno, specialmente gli altri
contadini, Hickory e Zeke. L’ultima cosa che
voleva era che quei due lo prendessero in giro per la sua stupidità.
Bene, ecco, era
arrivato. Meglio cominciare subito. Non
avrebbe funzionato, ovviamente, ma provare l’avrebbe almeno fatto sentire
meglio.
Hunk si raddrizzò e
si schiarì la gola qualche volta prima di esclamare:
“Signorina Strega!
Mi scusi, signorina Glinda, signora – ma se
può sentirmi, sono un amico di Dorothy, e sono venuto qui per dirle che
lei ha bisogno del suo aiuto.”
Passarono diversi
minuti, e non accadde nulla. Alla fine Hunk scosse la
testa. Era ovvio che non succedesse
nulla; cosa si aspettava? Sul serio, a volte si chiedeva se avesse davvero un
cervello dentro la testa.
Proprio quando stava per
voltarsi e tornare alla fattoria, una sfera rosa comparve nel cielo e
fluttuò verso di lui come una bolla di sapone, finché fu
all’altezza del suo sguardo. Gli occhi di Hunk
si spalancarono mentre un viso appariva nella bolla, il viso di una bellissima
donna dai capelli rossi vestita di uno scintillante abito rosa.
“Caspita!”
esalò, in poco più che un sussurro. Poi si ricordò delle
buone maniere, si tolse il cappello e disse: “Miss Glinda?”
“Sì, sono
terribilmente dispiaciuta di non essere venuta di persona – ma il vostro
Kansas è così lontano da Oz, e ci
vorrebbe troppo tempo perché io compaia davvero. E non sono del tutto
sicura che potrei farlo. Ma dimmi, giovane uomo, hai detto che Dorothy ha
bisogno di aiuto? Sicuramente è tornata a casa sana e salva, non
è vero?”
“Sì,
signora, sana e salva” confermò Hunk,
con un rispettoso inchino alla Strega. “Ma il problema è che le
manca tanto Oz, e i suoi amici in particolare. E uno
Spaventapasseri più in
particolare.”
“Ah, sì,
giusto” disse la strega. “Mi ero chiesta se sarebbe successo,
specie dopo che lei disse che lui le sarebbe mancato ‘più di tutti’, prima che le
scarpette rosse la riportassero a casa.”
“C’è
qualcosa che lei può fare per Dorothy, Miss Glinda?”
chiese Hunk. “Ve ne sarei immensamente grato.
Non è più la stessa, povera ragazza; se ne va in giro con il
faccino depresso e preoccupa i suoi poveri zii.”
“Fare qualcosa? Ma
certo, ragazzo mio! Qualsiasi Strega buona che si rispetti ha sempre un piano
di riserva. Guarda sotto questo meschino impostore d’uno Spaventapasseri,
e troverai ciò di cui hai bisogno, così che la cara Dorothy
potrà andare e venire come e quanto vorrà.”
Hunk si era un po’
offeso alla parte del ‘meschino impostore d’uno
Spaventapasseri’, perché pensava di aver fatto un ottimo lavoro.
Ma trattenne la lingua e si limitò a ringraziare la buona Strega –
prima che la bolla volasse di nuovo via e sparisse tra le nuvole.
Rimasto solo, Hunk guardò il terreno sotto lo spaventapasseri. Non
riusciva a capire come potesse esserci qualsiasi
cosa, visto che non c’era nulla quando lui aveva piantato il
fantoccio lì. Ma considerando il fatto che aveva appena avuto una
conversazione con una donna in una bolla rosa, Hunk
era incline a rinviare ogni scetticismo. E a ragione, perché quasi
immediatamente trovò un paio di scarpe rosse scintillanti proprio
accanto al palo sul quale era appeso lo spaventapasseri.
“Grazie, Miss Glinda” disse piano, anche se dubitava che la Strega
potesse sentirlo ancora.
Sollevò con
attenzione le scarpe e le tenne strette a sé, mentre tornava verso la
fattoria e il piccolo capanno dove lui, Hickory e Zeke
avevano le loro cuccette. Nascose le scarpe e si raggomitolò nel suo
letto, incapace di dormire per la voglia di vedere il sorriso luminoso di
Dorothy quando avrebbe capito che sarebbe potuta tornare nel suo paese delle
favole.
E il sorriso di Dorothy fu luminoso come lui aveva sperato,
anche se sorrise tra le lacrime. Hunk le offrì
il suo fazzoletto, come aveva già fatto recentemente, e aspettò
che si asciugasse gli occhi.
“Lo ammetto, non
credevo del tutto alla tua storia” le disse, mentre lei si sedeva e
scambiava le proprie scarpe con quelle rosse. “Ma ho voluto crederci per
te. Sono felice di averlo fatto, e sono ancora più felice di sapere che
potrai tornare dal tuo amico Spaventapasseri.”
“Oh, Hunk, non so cosa dire” mormorò Dorothy,
alzandosi in piedi. “Ma cosa racconterò alla zia Emma e allo zio
Henry?”
“Oh, lascia fare a
me” replicò Hunk. “Inoltre, adesso
potrai andare avanti e indietro, quindi potrai sempre ricomparire
all’improvviso e venirli a trovare. E poi sono sicuro che saremo tutti
invitati al tuo matrimonio. Adesso dammi un bacio e vai per la tua strada,
prima di ricominciare a singhiozzare. Non ho un altro fazzoletto con me
stavolta; continui a usarli tutti tu.”
Dorothy si
sollevò sulle punte dei piedi e inclinò la testa per baciarlo
sulla guancia. Ma Hunk si chinò per catturare
invece le sue labbra, per un brevissimo istante.
Quando lui si ritrasse,
Dorothy lo fissò, la bocca dischiusa dalla sorpresa.
“Oh, Hunk” disse. “Mi dispiace, io non…”
“Non
preoccuparti” disse Hunk burbero, consapevole
di essere arrossito sotto l’abbronzatura. “Va’ nel tuo mondo
di favola, Dorothy, dal tuo Spaventapasseri. Io baderò ai tuoi zii, e
saremo tutti felicissimi quando verrai a trovarci. Ma di’ a quello Spaventapasseri
che, se non ti tratta come si deve, troverò un modo per venire ad Oz e gli strapperò via dal corpo
l’imbottitura. Letteralmente.”
Non c’era altro da
aggiungere. Dorothy prese con sé il suo Totò, che le era vicino
come sempre, e rivolse un ultimo sorriso ad Hunk
prima di battere insieme i tacchi delle scarpette per tre volte, esclamando:
“Nessun posto è bello come Oz!”
Per un istante la sua
figura sembrò incresparsi, come fosse fatta d’acqua. Anche la
scena alle sue spalle cambiò, e per un momento Hunk
pensò di vedere una grande città tutta verde. E poi gli
sembrò di vedere un uomo fatto di latta che per qualche motivo gli
ricordò un po’ Hickory, e uno Spaventapasseri dall’aspetto
piuttosto familiare. Ma la scena svanì presto, e lui si ritrovò
solo.
Forse lui amava Dorothy
perché anche la sua controparte di Oz, lo
Spaventapasseri, l’amava. O forse lo Spaventapasseri le voleva bene
perché Hunk aveva sempre amato la ragazzina
del Kansas. Hunk non lo sapeva, e pensarci troppo su
gli faceva venire il mal di testa. Tutto ciò che sapeva era che Dorothy
era felice, e che lui l’aveva aiutata a trovare la felicità. E
questo gli bastava.
* * *
“Non puoi startene
seduto qui tutto il giorno.”
“Non posso?”
chiese lo Spaventapasseri, alzando gli occhi sull’Uomo di latta. Lo
Spaventapasseri era di nuovo sgusciato via dalla Città di Smeraldo, ed
era seduto su uno steccato nel Parco dei Papaveri, che un tempo era stato il
campo di papaveri appassiti che circondava la città. Dopo che allo
Spaventapasseri era stato affidato il compito di regnare su Oz,
come stabilito dal Mago, uno dei suoi primi decreti aveva imposto di
sbarazzarsi di tutti quei fiori morti. C’era voluto molto tempo e molto
lavoro, ma adesso fuori dalla città si stendeva un bel paesaggio pieno
di posti in cui i bambini potevano giocare, e angolini incantevoli per feste e
matrimoni, e tanti, tantissimi fiori, soprattutto papaveri – ma non di
quelli rossi e velenosi.
Lo Spaventapasseri
veniva spesso al parco, perché l’Uomo di latta gli aveva proibito di
vagare fino al suo vecchio campo di grano, che era a diversi giorni di cammino
dalla città. L’Uomo di latta aveva preso lo Spaventapasseri da
parte e gli aveva spiegato che adesso lui era un Re, e anche se il Mago aveva
detto che lui e il Leone dovevano aiutarlo, era lo Spaventapasseri il
governante supremo. E i governanti supremi non potevano semplicemente prendersi
una vacanza quando volevano. Personalmente, lo Spaventapasseri pensava che era
esattamente per questo che tante
persone avrebbero voluto essere governanti; ma non diceva nulla.
“No, non
puoi” disse l’Uomo di latta, spezzando il corso dei pensieri dello
Spaventapasseri. “Startene seduto a tenere il broncio tutto il giorno non
aiuterà nessuno, e te meno di tutti.”
“Non sto tenendo il broncio” protestò
lo Spaventapasseri. “E se anche fosse, direi che ne ho qualche
diritto.”
“Non sei
l’unico a sentire la sua mancanza, lo sai!” scattò
l’Uomo di latta – prima di recuperare la sua indole gentile; e si
scusò prima di aggiungere: “Anche io ed il Leone vogliamo bene a
Dorothy, Spaventapasseri. Forse non nel modo in cui le vuoi bene tu, ma questo
non significa che non l’amiamo quanto te, né che soffriamo meno
vivamente la sua assenza. Faresti bene a ricordartelo, amico mio, e a capire
che non sei solo come continui a credere. E poi, lei un giorno
tornerà.”
Lo Spaventapasseri
sorrise tristemente. “E come fai ad esserne sicuro?”
“Lo sento nel mio
cuore” disse l’amico, stringendosi una mano al petto.
“Sicuramente il tuo cervello ti dice la stessa cosa.”
No, il ‘suo
cervello’ gli diceva che Dorothy stava dove voleva stare, e che loro non
l’avrebbero rivista mai più.
Decise di cambiare
argomento. “C’è un motivo per cui mi hai seguito qui, oltre
a voler fare la mamma del bambino cattivo?”
L’Uomo di latta
non si offese per queste parole, perché aveva un animo gentile e
perché sapeva che lo Spaventapasseri stava solo cercando di sviare la
conversazione dal suo dolore.
“Solo per dirti
che i sudditi sono di nuovo in fermento. Pensano che il loro Re dovrebbe avere
una Regina, così Oz avrebbe una successione di
regnanti a mantenere l’equilibrio del paese. Ho chiesto loro come mai non
hanno mai affrontato questo argomento quando regnava il Mago, ma mi hanno detto
che i Maghi nascono dalle uova e che non esistono Maghi donne. Da dove vengano
le uova di Mago, beh, deve essere un gran mistero.”
“Beh, non è
che ci siano signore Spaventapasseri nei dintorni” fece notare lo
Spaventapasseri. “Quindi perché la situazione dovrebbe essere
diversa?”
“Sai bene chi vogliono
come Regina” disse l’Uomo di latta.
E subito l’umore
dello Spaventapasseri, che si era un po’ sollevato, sprofondò di
nuovo giù e lo lasciò più depresso che mai.
“Sei davvero un
caso disperato” aggiunse l’Uomo di latta. “Seriamente,
potresti racimolare almeno un po’ di speranza, dopotutto…”
Ma l’Uomo di latta
non poté mai terminare quella frase. Fu interrotto dal fatto che un po’ di campagna era appena
comparsa di fronte a loro. No, non era proprio così: era più come
se si fosse creato uno strappo nell’aria, e quella fattoria era dall’altra parte, ondeggiante e non esattamente
solida, come riflessa da un qualche specchio deformante. C’era un uomo
dal lato opposto dello strappo, e il suo aspetto era quello che l’Uomo di
latta pensava avrebbe potuto avere lo Spaventapasseri se mai fosse diventato
umano. L’uomo di paglia e l’uomo umano si guardarono per un
momento, e l’uomo umano annuì. Lo strappo sparì come se non
ci fosse mai stato – e loro avrebbero potuto chiedersi se fosse apparso
davvero, o per quale motivo, se non fossero stati troppo distratti da Dorothy in piedi davanti a loro, con il
piccolo Totò tra le braccia. Il cagnolino balzò a terra quasi
subito, abbaiando con gioia nel riconoscere i suoi strani amici.
“Dorothy”
disse lo Spaventapasseri, con voce poco più forte di un respiro,
saltando in piedi.
“Spaventapasseri”
disse Dorothy, più o meno allo stesso modo.
Poi, naturalmente, ci
furono la corsa, l’abbraccio ed il bacio.
L’Uomo di latta
rimase lì tranquillo, chinandosi ad accarezzare la testa di Totò
e a grattarlo dietro le orecchie, prima di incamminarsi piano piano verso la coppietta.
“Oh, non
preoccupatevi per me. Andate pure avanti. Sono un tipo paziente, io”
borbottò. Il suo tono strascicato si trasformò in un falsetto,
nell’imitazione della vocina di Dorothy: “Oh, Uomo di latta, ci sei anche tu? Oh, sono così felice di
vederti! Mi sei mancato così tanto, molto di più di questo
vecchio mucchio di paglia ammuffita, senza dubbio! Vieni qui, e lascia che ti
abbracci e ti baci e ti dica quanto mi sei mancato!”
Questo attrasse
l’attenzione di Dorothy, e lei si districò abbastanza da
abbracciare e baciare davvero l’Uomo di latta, dicendo quanto le erano
mancati tutti quanti.
“Oh, basta
così” disse l’Uomo di latta, agitando un braccio. “Io
ed il Leone abbiamo sempre saputo che lo Spaventapasseri ti piaceva di
più, anche se ad essere sincero non sono mai riuscito a capire
perché.”
“Sono il Re, lo
sai” lo ammonì lo Spaventapasseri. “Ciò che hai
appena detto potrebbe essere considerato tradimento. Potrei farti impiccare, o
qualcosa del genere.”
“Qualcosa mi fa
pensare che la tua Regina non te lo permetterà” replicò
l’Uomo di latta compiaciuto. “Adesso, se Vostra Maestà e
Vostra indubbiamente Prossima Maestà volessero venire con me, credo che
ci sarà una grande festa quando si spargerà la voce che Dorothy
è tornata. Oh, e, Spaventapasseri, mi piacerebbe considerare questa come
la prima di una lunga serie di volte in cui potrò dire ‘te l’avevo detto’. Te lo dirò ancora,
molto presto, ripetutamente. Ho persino in mente un motivetto ed una danza da
adattarvi, con i quali potrò deliziarti ed intrattenerti.”
E l’Uomo di latta
girò tranquillamente sui tacchi e si diresse di nuovo alla Città
di Smeraldo, fischiando a Totò perché lo seguisse.
Dorothy e lo Spaventapasseri
rimasero soli; e ora che l’impulsività del momento era svanita e
che riuscivano a considerare le loro azioni, si ritrovarono entrambi timidi e
insicuri.
Lo Spaventapasseri
avrebbe voluto chiedere a Dorothy come aveva fatto a tornare ad Oz, ma notò le scarpette rosse ai suoi piedi, e
quella fu una risposta sufficiente. Avrebbe anche voluto chiederle chi fosse
l’uomo che aveva visto dall’altra parte dello strappo – ma
non era sicuro di volerlo sapere davvero. Alla fine pensò ad una domanda
di cui invece doveva conoscere la
risposta.
“Per quanto tempo
resterai questa volta, Dorothy?”
“Se me lo
consentirete, per sempre, Vostra Altezza” replicò Dorothy,
incapace di mantenersi seria nel pronunciare quel titolo. “Beh, tranne
per qualche visita occasionale nel Kansas, per far sapere allo zio Henry e alla
zia Emma che starò bene.”
“Puoi restare per
sempre ed un giorno, se lo desideri” disse lo Spaventapasseri. “E
te lo ordinerò, se devo. Dopotutto sono il Re. La mia parola è
legge.”
“E pensare che non
molto tempo fa te ne stavi appeso ad un palo in un campo di grano.”
“Probabilmente
sarei rimasto lì per sempre, se non fosse stato per te” disse lo
Spaventapasseri, prendendo le mani di Dorothy nelle sue. “Ti devo tutto,
Dorothy. Tutti noi ti dobbiamo tutto. Dovresti essere tu la Regina, come dice
l’Uomo di latta. Vorresti essere Regina, Dorothy, e regnare con
me?”
“Lo vorresti
davvero?” chiese Dorothy timidamente.
“Volere? Ti implorerò, se devo. Io ti amo,
Dorothy. Lo so fin da quando ho avuto un cervello per capire cosa fosse
l’amore. E ti amerò finché vivrò. Di’ che mi
sposerai e che sarai la Regina di Oz.”
Invece di rispondere,
Dorothy avvolse le braccia attorno allo Spaventapasseri e lo strinse forte, per
poi sollevare la testa e baciarlo.
“Questo è
un sì?”
“Sì, oh
sì, è un sì!” gli rispose. “Oh,
Spaventapasseri, ti amo anch’io. Ho dovuto tornare nel Kansas per
capirlo, e allora ho pensato che fosse troppo tardi e che non sarei mai potuta
tornare indietro. Non sono mai stata così felice di essermi
sbagliata!”
“Sì, e
credo che l’Uomo di latta ci ricorderà questa cosa per tutti gli
anni a venire” disse lo Spaventapasseri, e poi per un po’ di tempo
non parlarono più, impiegando il fiato in qualcos’altro.
L’Uomo di latta, stavolta
accompagnato dal Leone, alla fine dovette tornare indietro e trascinarli con la
forza fino alla Città di Smeraldo, dove già si preparavano i
festeggiamenti per il ritorno della loro eroina, che ora sarebbe diventata la
loro sovrana.
E Dorothy diventò
Regina, e governò la terra di Oz insieme al
suo saggio marito. Tornò molte volte in Kansas, e sua zia e suo zio,
insieme ad Hunk, Zeke ed
Hickory, furono ovviamente invitati al suo matrimonio. Henry ed Emma non
avrebbero mai potuto vivere ad Oz – non si
trovavano a loro agio nei paesi delle favole; ma erano felicissimi di vedere
che la loro Dorothy era così felice. I tre contadini non si abituarono
mai davvero alle loro controparti, ma sembravano andare tutti molto
d’accordo. Hunk sposò una ragazza di Oz di nome Judith, e i due crebbero una grande famiglia in
una fattoria nel paese dei Mastichini.
La prima avventura di
Dorothy ad Oz le aveva fatto capire che nessun posto
era bello come la propria casa. La seconda l’aiutò a capire dove fosse davvero la sua casa, che
– per quanto sia stato detto e ridetto – è sempre lì
dove si trova il cuore.
Ed era stato proprio il
cuore di Dorothy a farle ritrovare la strada di casa.
Note di
traduzione
Quando ho letto questa storia, in un primo momento non sono
riuscita ad immaginarmi lo Spaventapasseri a parlare di amore e di matrimonio.
Io lo vedo più come l’innamorato che ama senza rendersene conto,
quello che sa cos’è l’amore ma è abbastanza semplice
nell’animo da non cercare neppure di definirlo a parole; confesso che io
non lo rappresenterei mai così consapevole
dei propri sentimenti, o così a suo agio nel dichiararli. Però
non ho potuto non innamorarmi comunque di questo ultimo atto della trilogia, di
Hunk che
è IC in un modo spaventoso, dell’Uomo di latta con la sua ironia
inaspettata, e del discorso finale, che spiega che quella prima avventura di
Dorothy aveva lasciato qualcosa in sospeso – cos’è davvero la propria casa – che l’autrice ha voluto delineare
definitivamente. Oddio, mi sto recensendo da sola. xD
A questo indirizzo lo scritto originale.
Aya Lawliet