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Autore: _Bec_    11/10/2010    27 recensioni
Daniel King, diciannove anni, viene costretto dal padre e dai suoi stessi sentimenti contrastanti verso la madre malata a vivere con quest'ultima e la sua nuova famiglia, composta da Richard e Jude, marito e figlia diciottenne "perfetti".
Non sarà semplice per Dan adattarsi ad una famiglia tanto diversa da lui, ma soprattutto, sarà difficile andare d'accordo con una madre che ha sempre odiato, a cui però potrebbero restare soltanto pochi mesi di vita.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Time is running out
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Prologo

 

Guardava il paesaggio fuori dal finestrino scorrere sempre più velocemente, senza vedere realmente ciò che aveva davanti.

Era assurdo quello che gli era successo, assurdo il fatto che avesse dovuto accettare quell'imposizione a 19 anni.

Suo padre l'aveva avuta vinta alla fine, aveva giocato su dei sentimenti che credeva sopiti sotto la facciata da “menefreghista”: compassione e, non lo avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura davanti ad altri, amore. Perché era inutile e sciocco credere di non provare affetto per sua madre. Affetto, mischiato ad odio per quella madre che se n'era andata quando era ancora piccolo. Quella madre che non vedeva più da sei anni, che si faceva sentire sempre più raramente e solo in occasioni particolari.

-Daniel, ti prego.- La voce di suo padre uscì smorzata; gli costava molto tutto quello, gli costava molto, tutto sommato, separarsi dal suo unico figlio per qualche mese.

-Fallo per me, per lei.- Proseguì distogliendo un attimo lo sguardo dalla strada per puntarlo sul ragazzo.

Daniel scosse la testa, sorridendo amaramente; i capelli castani ondeggiarono lievemente a quel movimento.

Non capiva. Nessuno capiva come si sentiva. Deluso, amareggiato, incazzato. Incazzato con lei per il suo non esserci mai stata, incazzato con se stesso per averla scostata e allontanata sempre di più dalla sua vita e incazzato con quella...cosa che ora rischiava di portargli via un pezzo della sua vita, un pezzo che lui aveva cercato di rinnegare con tutte le sue forze ma che c'era. C'era e si faceva dannatamente sentire.

Non si dissero più niente per tutto il resto del viaggio, fino all'arrivo. Un arrivo che Daniel volle considerare solo come un punto di partenza; non vedeva già l'ora di andarsene di lì, di tornarsene nella topaia schifosa che era l'appartamento di suo padre, di tornarsene alla sua vita di sempre.

Suo padre lo abbandonò su quel vialetto senza dire niente, accennando appena un saluto con la mano. Non c'era molto da dire, non si erano mai detti molto. La conversazione più lunga l'avevano avuta appena una settimana prima, quando lui l'aveva convinto ad andare a casa della madre per alcuni mesi. Per quanto tempo si sarebbe dilungata la sua permanenza non si sapeva, dipendeva tutto dalle condizioni di sua madre.

Imprecò un paio di volte fra i denti prima di trovare il coraggio di suonare al campanello.

In quei pochi secondi di attesa, si accorse di essere ansioso come non lo era da tempo. Il suo cervello valutò l'ipotesi di scappare; se sua madre fosse stata diversa da come la ricordava, più spenta a causa della malattia, non avrebbe saputo cosa fare, come reagire. A dire il vero non sapeva comunque come reagire, cosa dire...dopo tutto quel tempo...

Ad aprire la porta fu proprio lei: era come la ricordava, pensò Daniel con un certo sollievo. Solo un po' dimagrita, ma sempre con quel sorriso...materno dipinto in faccia.

-Daniel...- Mormorò con occhi lucidi, prima di correre ad abbracciarlo con forza. Una forza che un corpo così magro non sembrava essere in grado di generare.

Lui non si mosse, rimase impassibile davanti a quello che gli sembrava solo un chiaro gesto d'apparenza, di facciata. Non era mai stata una vera madre, non aveva mai azzardato nemmeno una carezza per quanto ricordava. Solo botte. E parole cattive, più taglienti di una lama.

Maledetto il giorno in cui sei nato, ti odio!

Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo; ancora si chiedeva che cosa diavolo ci facesse lì.

Dopo aver adempito al suo “compito” di madre, si spostò di lato per farlo entrare, tutta entusiasta di mostrargli la casa.

Nessuno osò sfiorare l'argomento “tumore”, né lei, né tantomeno Daniel.

-Le valigie lasciale pure qui, voglio prima mostrarti una cosa.-

Il ragazzo la guardò incerto, chiedendosi che cosa potesse rendere la madre così radiosa. La sua presenza forse? Ne dubitava. Ricordava di averla vista sempre e comunque indifferente. La seguì con lo sguardo mentre si avvicinava al camino e prendeva un portafoto.

-Ecco, questo è Richard. È un uomo meraviglioso Dan, sono sicura che andrete d'amore e d'accordo.-

Perché glielo stava dicendo con tutto quel trasporto? Cosa gliene importava a lui?

Daniel prese in mano la foto, giusto per non lasciarla cadere in terra, non perché realmente interessato a vedere l'uomo che faceva brillare gli occhi di sua madre.

Tanto poi tradirai pure lui, come hai fatto con papà, pensò con cattiveria.

-E questa...- Sua madre esitò, sorridendogli maliziosa nel porgergli un'altra foto, -È Judith, sua figlia.- Sembrava ancora più elettrizzata se possibile.

Dan scrollò le spalle e, dopo aver depositato l'altra foto, prese ad osservare quella fra le mani della madre.

Non vi prestò nemmeno troppa cura nell'esaminare la ragazzina dall'aria perfetta raffigurata, solo il vestito bianco e confettoso che indossava lo aveva disgustato ancor prima di arrivare al viso.

Si limitò ad annuire, mordendosi il labbro per risparmiarsi qualche battuta stronza, degna di lui.

Un fidanzato perfetto. Una figlia femmina perfetta. Sua madre aveva tutto quello che aveva sempre desiderato, constatò stringendo le mani a pugno. Di nuovo si chiese che diavolo ci fosse andato a fare lui lì. Il ragazzo ribelle e strano che a soli diciannove anni aveva deciso di andare a lavorare senza laurearsi in qualche college prestigioso, di sicuro stonava in quella casa.

-Vieni, ti faccio vedere la tua stanza.- Quel silenzio doveva essere diventato parecchio imbarazzante per la donna, che non sapendo bene che cosa stesse passando per la testa del figlio, cambiò argomento.

Daniel la seguì, neanche troppo interessato a vedere la stanza dove si sarebbe rinchiuso ed isolato in quei mesi. Perché una cosa era certa: non avrebbe mai assecondato quella stronzata, non avrebbe mai giocato alla famigliola felice con quei tizi, non ne aveva nessuna voglia.

Sua madre si arrestò titubante, davanti ad una porta dove la scritta “Non disturbare” spiccava sfacciata. La aprì con un gesto veloce ma debole, tanto che la porta non si spalancò del tutto.

-Questa sarebbe la camera di Jude.- La donna aggrottò la fronte, chinando il capo di lato, -Purtroppo non abbiamo una camera per gli ospiti. Lei dormirà in camera con noi durante la tua permanenza qui.- Spiegò tutto d'un fiato, stupendo sempre di più il ragazzo che non riusciva a credere a quello che sentiva. Gli avrebbero lasciato la camera della figlioletta perfetta? A lui? L'avrebbero sfrattata dalla sua stanza...per lui? Immaginava di dover dormire sul divano o in uno stanzino più simile ad una specie di soffitta, di certo non in una camera munita di tutti i comfort possibili. Televisione, Pc, stereo. Certo, era tutto decisamente troppo femminile per i suoi gusti, ma avrebbe anche potuto sopportare il rosa in cambio di una televisione al plasma e di un pc d'ultima generazione.

-E alla tipa sta bene?- Non riuscii a fermare il sopracciglio, che si alzò e confermò lo scetticismo presente nella voce. Troppo strano che la Barbie avesse acconsentito a lasciargli la sua stanza così.

-A Jude?- Sua madre calcò non poco il nome della ragazza, -Certo che sì. Te l'ho detto, è una ragazza d'oro e...-

-Sé sé.- Fece scocciato, interrompendola con un gesto brusco della mano.

-Le tue cose te le porterà su Richard, se vuoi riposare adesso...-

Quella frase lo fece scattare come un felino contro la sua preda, -Assolutamente no.- Sibilò gelido, uscendo dalla stanza con l'intento di prendere da solo le sue valigie. Non voleva nessun favore da parte di quell'uomo.

Le afferrò con stizza, risalendo rabbioso le scale ed ignorando i richiami flebili di sua madre.

-Dan...-

La ignorò di nuovo, richiudendosi con un gesto secco la porta della stanza alle sue spalle. Appoggiò le sue cose vicino al letto e vi si sdraiò sopra esausto. Storse il naso non appena si accorse di quell'odore così...nauseante che aleggiava nella stanza. Cazzo, i suoi vestiti avrebbero assorbito quella puzza di...fragola e...qualcosa di dolce non ancora definito.

-Ceniamo alle sette,- Riprese sua madre da dietro la porta, dopo un sospiro rassegnato, -Cerca di essere puntuale, per favore.-

Per favore. Gli chiedeva pure per favore! Con quel tono da povera madre maltrattata e ferita! Avrebbe voluto mandarla più che volentieri in un posto, ma si morse la lingua e rimase zitto, voltandosi dall'altra parte senza dire nulla.

Non si accorse che, pian piano, stanco e provato dal viaggio, finì per addormentarsi.

 

 

Una macchina bianca si fermò appena due ore dopo davanti allo stesso vialetto. Al suo interno erano ben visibili due sagome: una più imponente, robusta e marcata; l'altra più esile, fine e delicata.

-Per Delia è molto importante.- Ribadì con voce autoritaria l'uomo, spegnendo il motore e restando in silenzo, in attesa di sentire una risposta che non tardò ad arrivare.

-Papà...- La voce, nonostante il tono basso, era decisa, pulita e seria. -Lo so che è importante per te la felicità di Delia e lo è anche per me, credimi.- Posò la sua piccola mano su quella del padre, ancora appoggiata al volante, -Specie in questi mesi.- Quella stessa voce, perse un po' della sua sicurezza e si incrinò. -Ma...- Sospirò, cercando di non far trapelare il suo disappunto in modo troppo brusco, -Non sono d'accordo con questa vostra decisione. Io ho bisogno della mia stanza per tutto. Ci sono tutte le mie cose lì! E dove potrò studiare poi? Lo sai che ho bisogno di un posto tranquillo dove concentrarmi!- La ragazza riprese fiato e si spostò i lunghi e ricci capelli neri irritata: si era ripromessa di non aggredire troppo il padre, non dopo tutto quello che stava passando, ma non era proprio riuscita a trattenersi.

-Questo è l'anno del diploma...- Piagnucolò poi, in tono quasi implorante.

-Lo so cucciola, lo so. Ma Delia ci tiene. Lo sai, è un suo desiderio. Vuole trascorrere del tempo con suo figlio e noi non possiamo essere così crudeli da impedirglielo.- L'uomo scese dalla macchina, seguito dalla figlia, e si avviò a grande falcate verso la sua abitazione.

-Sì, ma non c'era alcun bisogno di dargli la mia stanza!- Sbottò ancora una volta lei, odiando il fatto che uno stupido, puzzolente e cavernicolo maschio avrebbe intaccato la sua preziosa e piccola dimora personale.

-Non puoi mica lasciarlo dormire sul divano. È questo il tuo concetto di ospitalità? È così che vuoi trattare il figlio della mia donna?- La guardò con rimprovero, prima di infilare la chiave nella serratura della porta.

-No, ma...- Sbuffò, incrociando le braccia al petto contrita. Le avrebbe dato fastidio la presenza di una ragazza estranea in camera sua, figuriamoci di un ragazzo! Chissà quali porcate avrebbe potuto fare in camera sua, sul suo letto! 
-È solo per poco.- La voce del padre si addolcì, insieme ai lineamenti del suo viso.

Avrebbe voluto ribattere con un acido “Lo spero”, ma se lo avesse detto, avrebbe involontariamente augurato una possibile e veloce morte alla povera Delia, a cui lei comunque teneva molto. E quello, ne era certa, avrebbe ucciso di rimando anche suo padre. Sarebbe uscito distrutto da tutta quella faccenda.

Doveva rassegnarsi al fatto che quell'essere malefico mandato dall'Inferno come punizione per qualche stronzata che doveva aver fatto, avrebbe vissuto con loro fino...alla morte o alla guarigione di Delia.

 

 

Note dell'autrice

 

Non so che cosa mi stesse passando per la testa mentre scrivevo questa cosa. Ho talmente tante altre cose da scrivere, non ho proprio tempo per questa...eppure non sono riuscita ad impedirmi di farlo, in quel momento l'ispirazione mi è venuta e non ho saputo chiuderle la porta in faccia...

Ci tengo a precisare che non trascurerò nessuna storia per questa. Probabilmente questa la continuerò a scuola sul quaderno o nei momenti in cui il mio pc non è a portata di mano.

Questa storia potrà sembrare scontata, banale, monotona e simile alle altre che ho scritto, lo so. Però...era da un po' di tempo che volevo provare a scrivere qualcosa del genere -non solo in terza persona-; mi è arrivata più di una critica riguardo i sentimenti della protagonista di Kidnapped by Love (altra mia storia per chi non la conoscesse), mi han detto che i suoi sentimenti ed il suo modo di agire non sembrano reali e coerenti. Ebbene, con questa storia ci riprovo a scrivere qualcosa di reale. Non sarà semplice descrivere i sentimenti di Daniel, non sarà semplice descrivere un qualcosa che non ho mai vissuto grazie al cielo e che si distacca completamente dalla mia vita. Non sarà come descrivere la sofferenza in amore di Alice (Tra l'odio e l'amore), non sarà come descrivere la paura di Allison dopo essere stata rapita (Kidnapped)...si tratterà di descrivere la rabbia ed il dolore di un figlio. La storia non ruota attorno alla madre però, questa è una storia d'amore.

Non vi spaventate quindi! Ci saranno litigi, scene comiche/demenziali e -più avanti- romantiche fra Dan e Jude, dopotutto, questa è una storia romantica. Anche se sarà dura far combaciare questi due! xD

Non so ogni quanto riuscirò ad aggiornare, non molto spesso purtroppo...spero solo che vi possa piacere ed interessare :) Grazie a chiunque abbia letto e a chiunque commenterà =)

Un bacione grande! Bec

 

PS: Ci tengo tantissimo a ringraziare Sharon (vampistrella) per aver trovato un titolo perfetto a questa storia! Grazie mille carissima! :)

 

 

Altre mie storie:

 

Tra l'odio e l'amore c'è la distanza di una bacio

Kidnapped by love

   
 
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