Nove
Da due anni a quella
parte, il sonno di Alberto era diventato piuttosto discontinuo. Spesso gli
capitava di dormire solo due ore per notte e passare le prime ore della
mattinata a guardare improbabili palinsesti alla televisione, solo per farsi
venire sonno, che puntualmente non arrivava, costringendolo ad ingerire
notevoli quantità di caffè alla macchinetta dell’area relax al suo lavoro.
Grazie alla scelta di oculatezza di Daniele di comprare del caffè economico ma
totalmente scadente, non si sarebbe più ripreso. Di solito si svegliava se
sentiva qualche rumore sul pianerottolo. E così fece anche quella notte.
Aprì gli occhi, svegliato
da un rumore di passi che salivano. Ormai memore di troppe volte passate a
saltare in piedi e correre verso la porta come un cagnolino ammaestrato, questa
volta si impose di lasciar perdere e si avvolse nelle coperte, richiudendo gli
occhi.
Li riaprì immediatamente
dopo, quando sentì un mazzo di chiavi tintinnare e la serratura della porta
scattare con quel ticchettio che conosceva fin troppo bene. Balzò a sedere,
ancora mezzo addormentato, e si stupì di sentire dei passi nel corridoio e poi
nel salotto. Si alzò dal letto, e corse in quella direzione. La persona che
trovò, gli causò un tuffo al cuore.
-N…Nathan.-
-Alby. Tesoro, che
succede?-
-Come…? Tu domandi a me…
cosa succede? Ma ti… ma dico, ti rendi conto che …- annaspò. Il suo cuore
batteva forte, il suo cervello sembrava essere regredito -…ti rendi conto che
sei stato via due anni?-
Intorno a loro, c’era un
silenzio pesantissimo. L’unica fonte di luce era una lampada poggiata sul
tavolino accanto al divano (tavolino scelto personalmente da Nathan in un noto
negozio di mobili di produzione svedese), e quella fonte di luce così soffusa
creava un gioco di ombre molto suggestivo sul viso di Nathan, che assunse
un’espressione sconcertata.
-Amore… ti… ti senti bene?
Sono stato via soltanto otto ore. Il tempo del mio lavoro. Torno sempre verso
quest’ora.- E gli si avvicinò, toccandogli la fronte per sentire se avesse la
febbre –Oh, hai la fronte che scotta. Cucciolo…- con le braccia cinse le spalle
di Alberto, baciandogli le guance e carezzandogli i capelli castani. C’era
qualcosa di strano, però. Le mani di Nathan non erano soffici come al solito. Erano
piuttosto… ruvide. Nathan continuava a stringerlo, il suo profumo gli penetrava
nelle narici tirandolo su, ma ben presto diventò troppo forte. Quasi… mefitico.
Non riusciva a vedere la faccia di Nathan, ma c’era qualcosa che lo inquietava.
Nel riflesso dello specchio del salotto, la pelle di Nathan aveva assunto un
altro colore. Era bianca cadaverica. Si allontanò un attimo dalla stretta del
ragazzo, ma poco dopo tutto tornò alla normalità.
-Adesso svegliati, Alby.
Svegliati.-
-Cos…? Per… perché?-
-Sta squillando il
telefono.-
-Quale telefono?-
*****
Il trillo del suo
cellulare lo fece svegliare di colpo. Nathan. Dov’era? Non c’era, ovviamente.
Era stato solo un sogno. Un fottutissimo, schifosissimo, merdosissimo sogno.
Guardò l’orario sulla radiosveglia che teneva sul comodino. Le Sei meno un
quarto. Chi cazzo era a quell’ora??? Mentre il cellulare arrivava al suo decimo
squillo, Alberto lo prese e premette il pulsante di risposta.
-Che c’è- biascicò, avendo
intuito di chi fosse il numero.
-…Ti ho svegliato?- chiese
Thomas dall’altro capo del telefono.
-No, stavo soltanto
facendo un bellissimo sogno.- ribatté Alberto, tirando un pugno al materasso e
stringendo i denti per la rabbia.
-Ehi, se sei nervoso ti
richiamo più tardi.-
-No, non sono nervoso.-
-Hm- mormorò Thomas –hai
un tono di voce piuttosto…-
-Lascia perdere- tagliò
corto Alberto –cosa volevi dirmi?-
-L’hanno ucciso.-
Alberto restò zitto per un
po’ di secondi, mettendosi a sedere. Chi, avevano ucciso?
-Potresti ripetere, per
favore?-
-Il tuo amico Nevio. È
stato assassinato. Ho la notizia proprio qui, sul sito dell’ANSA.- Alberto si
mise una mano nei capelli, ripensando a ciò che c’era stato tra di loro.
-Devi andare al lavoro,
oggi?- domandò ad un certo punto Thomas.
-Io… sì…-
Sentì Thomas sospirare
dall’altra parte. –Va bene, vorrà dire che andrò sul luogo a fare qualche
domanda e poi ti farò sapere…- un rumore di fogli di carta che frusciavano ed
una penna a scatto che veniva premuta -…Ti ricordi per caso dove abitava il
malcapitato?-
Alberto glielo disse, ma non
sapeva proprio l’indirizzo. Gli disse la zona, e Thomas gli rispose che non gli
sarebbe stato difficile scovare il palazzo. Sicuramente ci sarebbe stato un bel
po’ di trambusto, anche a quell’ora.
-Vado a dare un’occhiata.
Ciao, ci sentiamo.-
-Ciao… E… Thomas?-
-Cosa?-
Non trovava le parole…
guardò in basso, verso le braghe del suo pigiama. -Sii prudente.- disse.
-Ci proverò. Ciao,
tesoro.- poi Alberto non sentì più nulla, salvo che non gli piaceva essere
chiamato tesoro da lui.
*****
“Forse faccio ancora in
tempo” pensò Thomas, schiacciando più che poteva l’acceleratore della sua Punto
per arrivare in tempo sul luogo del delitto. Soltanto un anno prima, seduto in
prima fila nell’Aula Magna della facoltà di Giurisprudenza, guardava i lucidi e
le slides che mostravano articoli di giornale dove nelle fotografie era
presente l’assassino. Si era stupito nell’apprendere che spesso gli assassini
tornano nei luoghi del delitto per megalomania. Vedere la scena del delitto
oppure soltanto l’ambiente o fare qualche domanda sarebbe stato istruttivo. Il
fatto che anche quel ragazzo si era visto con Alberto, poteva essere un filo
comune. Un momento. Cos’è che aveva pensato? Alberto? Ma certo. Forse poteva
essere un punto in comune, ma bisognava trovare le interconnessioni, ammesso
che ci fossero e che le sue teorie non fossero campate per aria.
Pregava che lo fossero.
Pregava che questo tizio fosse stato fatto fuori per una semplice coincidenza, magari
per qualche migliaio di euro da rubare, anziché per una strana macchinazione
del destino che aveva deciso di includere l’incontro con Alberto nel penultimo
capitolo della sua vita.
Arrivato al quartiere che
gli aveva detto Alberto, Thomas accelerò cercando con gli occhi dove ci fosse
un po’ di movimento.
All’improvviso vide una
gazzella dei carabinieri che usciva da una via laterale, e ci si fiondò
immediatamente. Inchiodò immediatamente dopo nel vedere il cartello di senso
vietato che gli sbarrava la strada.
-Vaffanculo!- Imprecò,
spingendo a fondo la frizione e ingranando la retromarcia che si innestò al
secondo tentativo con una stridente grattata –Se continua così, finirò per
distruggerla completamente, questa macchina.- Si appoggiò al sedile passeggero e
guardò fuori del lunotto posteriore se non ci fosse qualcuno che passava,
quindi ripartì in sgommata imboccando la prima via a sinistra, che portava
all’isolato da dove la gazzella era uscita.
Lasciò la macchina in un
parcheggio poco lontano e si diresse verso il grande spiazzo antistante il
palazzo. Qui c’erano un’ambulanza ed una seconda gazzella dei carabinieri con i
lampeggianti spenti, oltre ovviamente ad un crocchio di persone sconvolte.
C’era una signora anziana che piangeva, evidentemente provata, e due
carabinieri che stavano prendendo le deposizioni della donna. Pensò che quando
i militari avessero finito di importunarla, avrebbe incominciato lui.
Si avvicinò al crocchio di
persone con l’aria di un passante che è lì per caso. Difficilmente avrebbero
potuto credere che fosse un giornalista o un detective. Sembrava piuttosto un
ragazzino dissennato che girava per la città alle sei del mattino dopo aver
passato una notte da favola con una sua fidanzatina e ora si trovava lì
incuriosito dalla insolita folla di gente intorno al palazzo.
A causa del freddo novembrino,
teneva le mani affondate nelle tasche. In una di esse teneva un registratore
portatile digitale. Lo accese e si tenne pronto a premere il tasto REC alla prima occasione buona.
-Cos’è successo?- domandò
ad un signore anziano lì vicino.
-Hanno fatto fuori
qualcuno.-
-Chi?-
-Un ragazzo. Sembra che
abitasse nel palazzo accanto a quello dove abito con mia moglie…-
-Il palazzo ha una
portineria?-
L’uomo annuì –Sì, la
signora lì in fondo è proprio la portinaia. Mi hanno detto che è stata lei a
rinvenire il cadavere, questa mattina prestissimo, mentre faceva il giro per
consegnare la posta agli appartamenti.-
Guardò la signora indicata
dall’uomo, ed era proprio quella con cui i carabinieri stavano parlando poco
prima. Era abbastanza anziana, forse prossima alla settantina, e gli venne un
conato di vomito a pensare a che razza di moralità potessero avere dei
condomini che costringevano una signora di quell’età a girare per i
pianerottoli a consegnare la posta. Thomas ringraziò l’uomo, quindi si diresse
lentamente nei pressi della signora, che era lì accanto alle scalinate
d’ingresso. Proprio in quel momento dalla porta a doppio battente uscirono i
paramedici che portavano una barella con sopra disteso un corpo in un sacco
nero coperto da un lenzuolo. A quella vista alcune signore si fecero il segno
della croce, ed una di queste congiunse le mani sulla bocca ed alzò gli occhi
al cielo, come ad invocare pietà a qualunque entità ci fosse lassù.
-Mi scusi- sussurrò Thomas
alla signora, che si girò di scatto, come spaventata –volevo farle alcune
domande, signora, mi permette?-
-Sì? Che cosa vuole
sapere, bello mio?- domandò la portinaia. Thomas notò che aveva un accento
marcatamente del sud Italia, probabilmente la signora era pugliese o meglio
ancora salentina.
Le sue supposizioni non
furono smentite quando entrò nell’appartamento della signora. Alle pareti erano
appese molte foto che mostravano la donna con suo marito e delle fotografie di
ragazzi giovani, in più molte porcellane che recavano la scritta “Terra d’Otranto”.
-Allora, io mi chiamo
Thomas, e sono una specie di …- cercò una scusa da buttarle lì -…giornalista.
Le farò alcune domande inerenti al caso, e non si preoccupi, il suo nome non
comparirà da nessuna parte.-
La donna si strinse nelle
spalle –Eh. Va bene, mi dica.-
Dalla tasca della giacca
Thomas tirò fuori il suo taccuino e la penna. –A che ora ha scoperto il
delitto?- domandò.
-Erano le…- alzò gli occhi
al cielo, nel tentativo di ricordare -…adesso sono le sei e mezza, quando ho
visto il ragazzo erano forse le cinque e mezza. Era appena arrivato il postino
che mi aveva lasciato il sacco con la posta da consegnare. Me lo fanno fare
quasi tutte le mattine- sospirò la donna –non lo vogliono capire che io fra
qualche mese faccio settantuno anni e ancora mi aspetta un anno per andare in
pensione…- Il suo accento era marcatamente salentino adesso, e Thomas non poté
fare a meno di ricordare un suo collega d’università che parlava proprio allo
stesso modo.
-Lei ha visto il corpo,
signora…?-
-Concetta, mi chiamo.
Signora Concetta Candido. Sì, io ho visto il corpo del ragazzo.-
-E com’era?- chiese
Thomas, continuando a prendere appunti.
-Oh signore, non me lo
faccia ricordare- disse, alzando una mano e mettendosi l’altra sugli occhi…
-praticamente era steso sul letto e aveva… Oh signore mio bello, che crudeltà…-
La sua voce era rotta dall’emozione dello sconforto -…Aveva la gola tagliata, e
c’era tanto sangue intorno, lui era proprio bianco come un lenzuolo…- dalla sua
gola uscì un verso simile a un singhiozzo, si portò il grembiule agli occhi e
versò qualche lacrima per il dolore di ricordare una scena così cruenta. Thomas
annuì, decidendo che sarebbe stato meglio leggere la notizia sul giornale o
cercare di ottenere i verbali in maniera ufficiosa…
-Capisco. Basta così,
grazie. Signora Concetta, ricorda di aver visto qualcosa o qualcuno di sospetto
nel palazzo? Una persona che non conosceva, o anche solo qualche rumore fuori
dell’ordinario?- domandò ancora Thomas, piegando le labbra come per incitare la
donna.
La signora Concetta sbatté
le palpebre, che erano diventate rosse per il pianto… -Mah… a parte il postino…
non ho visto nessuno di…- si fermò, come folgorata da una scossa elettrica.
–No, aspetti un attimo. Qualcuno che non conoscevo l’ho visto.- aggrottò le
sopracciglia, mentre Thomas si sporgeva più avanti per cercare di non perdersi
neanche una parola di ciò che la donna avrebbe detto.
-Può essere più precisa,
per cortesia?-
-Sì, sì. Ho visto una
persona. Era vestita… di nero. Portava un cappotto nero e un paio di jeans
neri. Io non ci vedo da lontano, per questo devo mettere gli occhiali, per cui
non ho l’ho visto bene in faccia…-
-Che cosa stava facendo
questa persona? Dove stava andando?- la incalzò Thomas, sentendo brividi di
freddo corrergli per la schiena.
-Io stavo fuori a parlare
con il postino. Lui era girato di spalle, quindi non può averlo visto. Però io
ho visto questo ragazzo uscire così presto. In quarantacinque anni che sto qui,
non ho mai visto nessuno uscire da questo palazzo così presto…- Fece una pausa,
sospirando. -Quando arriva il postino non c’è mai nessuno, per questo posso
scambiare quattro chiacchiere con lui senza problemi. Capisce, io sto molto
tempo qui da sola… mio marito adesso non c’è perché è andato giù a Nardò a fare
dei lavori per la casa che abbiamo comprato giù… ci dobbiamo trasferire lì fra
un anno, perché i figli adesso si sono sistemati e io e mio marito vogliamo
morire nella terra nostra… però ogni tanto lui mi lascia sola e io non parlo
con nessuno tranne che con il postino che viene tutte le mattine…-
Per un attimo Thomas si
sentì commosso dalla mezza solitudine della donna, e quasi fu felice che quello
sporco figlio di puttana di un assassino non fosse ancora lì nell’appartamento
quando era entrata lei. Un cadavere basta e avanza, e quella donna non avrebbe
meritato di morire. Sembrava molto buona e paziente, e si domandò che tipo di
mamma fosse stata. Chiuse il taccuino e lo ripose nel taschino insieme alla
penna, alzandosi dalla sedia.
-Deve già andare via, Thomas?-
-Mi dia pure del tu,
signora Concetta. La ringrazio per il tempo che mi ha concesso, e mi scusi se
l’ho disturbata.-
-No, ci mancherebbe, bello
mio. Non mi hai disturbata. Torna quando vuoi se hai bisogno di sapere altre
cose. Io sto qui.- Disse, alzandosi e accompagnando Thomas alla porta. Arrivato
alla soglia, Thomas si fermò e si rivolse all’anziana portinaia.
-Posso darle un consiglio,
signora Concetta?-
-Dimmi, bello mio- disse
la donna guardandolo con occhi impauriti.
-Eviti di aprire la porta
a qualunque sconosciuto le chiede di farle delle domande. Eventualmente se si
dichiarano giornalisti, chieda loro di esibire la loro tessera dell’Ordine. Se
non gliela fanno vedere, chiami i carabinieri e si chiuda in casa. Non abbia
paura, sia solo molto prudente d’ora in poi. Mi ha capito?-
La signora annuì. –Ci
starò attenta. Grazie, figlio mio. Fossero tutti gentili come te, i giovani
d’oggi… invece io ho a che fare con dei ragazzini che giocano a pallone e una
volta mi hanno anche chiamata “brutta strega terrona”…-
-I maleducati sono
dappertutto, signora. Per combatterli bisogna essere molto educati.
Buongiorno.-
Detto ciò, salutò la donna
con un gesto della mano e corse via verso la sua auto. “E’ un assassino. Porca
puttana, è un assassino…” pensò, mentre girava la chiave nel blocchetto
d’accensione. L’auto tossì per un bel po’ di tempo, costringendo Thomas a
ritentare più volte l’accensione. Al terzo tentativo, l’auto si mise in moto,
e partì in sgommata.