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Autore: Puglio    31/10/2010    5 recensioni
Sono passati quasi dieci anni dalla battaglia contro il Kishin. Maka e i suoi amici sono cresciuti e molti di loro sono cambiati. C'è chi ha intrapreso una carriera all'interno della Shibusen, chi si è sposato, chi si è allontanato... ma sarà proprio il ritorno di uno di loro a cambiare la vita di Maka, quando già sembrava segnata in modo irreversibile.
Nota: in alcuni i casi i personaggi potranno apparire ooc. Se è così, è perchè li ho voluti far crescere. Dieci anni passano per tutti, anche per loro...
Non credo di inserire siparietti comici in stile con l'anime. Per farlo, credo, bisogna esser bravi e io non credo di esserlo. Il rischio è di fare qualcosa di ridicolo, più che di divertente.
Per finire... ora che la storia è terminata, posso dire di essermi divertito molto nel realizzarla. Perciò, spero sinceramente che possa piacervi, e che nel leggerla possiate trovare lo stesso divertimento che ho provato io nello scriverla.
Buona lettura! E grazie per essere passati di qua.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Black Star, Death the Kid, Maka Albarn, Soul Eater Evans, Tsubaki
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Il giorno era ormai finito. Seduto sul fondo umido della sua cella, Soul guardava il soffitto con occhi stanchi, mentre le tenebre divoravano lentamente e in modo inesorabile l'ultimo scampolo di luce che le sbarre alla piccola finestrella ancora lasciavano trasparire.

Alla fine, ce l'hai fatta, pensò. Non era questo, quello che volevi?

Beh, non esattamente.

Con una smorfia, piegò le gambe. Le catene che lo stringevano, gli impedivano di distendersi completamente. Gli unici movimenti che gli erano concessi gli permettevano di restare seduto, con le ginocchia raccolte, oppure di alzarsi in piedi. Se avesse voluto restare seduto e allungare le gambe, non avrebbe potuto. Le catene gli bloccavano sia i polsi che le caviglie ed erano legate tra loro in modo tale che, ogni volta che provava a distendere le gambe, i polsi che aveva legati dietro la schiena venivano trascinati verso il basso, lasciandolo assolutamente bloccato. Così, dormire era del tutto escluso, perché la necessità di sgranchirsi lo costringeva ad alzarsi frequentemente in piedi, per poter anche solo sciogliere un attimo le articolazioni e allungare le membra intorpidite e formicolanti. Una sorta di diabolico giochetto studiato apposta per impedirgli di riposare, e per caricarlo di una tensione continua.

Rassegnato, si abbandonò con la testa contro la parete. Aprì svogliatamente gli occhi, fissando il frammento di cielo che si intravedeva dall'unica finestra della sua cella. Una nuvola dai contorni nitidi, screziata di rosa dagli ultimi deboli raggi del sole, si stagliava nettamente su uno sfondo blu cobalto. Doveva essere un cielo davvero magnifico da guardare. Soul ridacchiò. Era incredibile come si arrivasse ad accorgersi di certe cose, solo quando qualcosa impediva di gustarle.

E così, eccoti qui.

Il volto di Soul si decompose in una smorfia di disprezzo. Reclinò il capo, nascondendo il volto tra le ginocchia.

Ti nascondi da me? Non capisco. Per quale ragione dovresti fare una cosa del genere?

«Vattene via» mormorò lui. L'ombra che lo circondava era ormai così densa, che sembrava spalmarsi sulle lisce e umide pareti di quella cella come uno strato spesso di cera liquida, che colava tra gli interstizi ammuffiti delle pietre per poi raccogliersi negli angoli privi di luce, là dove l'oscurità era così fitta che faceva male a guardarla.

Con un sorriso stiracchiato, Soul chiuse gli occhi, ascoltando in silenzio il brivido che quell'oscurità gli procurava.

«Non mi interessa quello che hai da dirmi» aggiunse. Quindi alzò la testa, mostrando un ghigno forzato. Aprì gli occhi. Nell'ombra che ormai l'avvolgeva stretto, qualcosa si mosse, guizzando. Lui seguì quel movimento, teso, aspettando con ansia ciò che sapeva sarebbe avvenuto.

Fu quella carezza viscida e untuosa, che lo risvegliò completamente.

Eppure lo sai, quanto io ci tenga a te. Tu sei tutto ciò che conta, per me.

«Va' a farti fottere».

«Non sei gentile».

Con gli occhi sbarrati, Soul alzò la testa. Una luce chiara e accecante lo colpì agli occhi, costringendolo a distogliere lo sguardo. Cercò istintivamente riparo col corpo, ma le catene si tesero, spargendo la loro eco sinistra tra le mura spoglie della piccola cella. Quando riaprì gli occhi, vide il profilo di Kid stagliarsi contro la luce che dalla porta filtrava fino a lui.

«Scusa» mormorò Soul, cercando di trovare una posizione più confortevole. «Non mi riferivo a te».

Kid inarcò un sopracciglio, guardandosi intorno. «E a chi, allora? Qui non ci siamo che tu ed io».

Soul ghignò, tirando su col naso.

«Allora, vuol dire che parlavo da solo».

Kid sporse le labbra, infilandosi le mani in tasca. Si voltò verso la porta. Ai due lati di essa, due guardie restavano in attesa, pronte ad intervenire ad ogni evenienza.

«Non è stato molto furbo da parte tua, ripresentarti qui» riprese Kid. Quindi tacque, come per dare il tempo all'eco delle sue parole di depositarsi. «Sono curioso di sapere perché l'hai fatto».

«Non posso tornare a salutare i miei amici?»

«Amici?» Kid sogghignò. «E tu di solito i tuoi amici li tratti così? Li tradisci, proprio quando tutti ripongono in te la loro fiducia? Tu eri la Death Scythe di mio padre, per dio!»

«Avanti, Kid...»

«Cosa?»

Soul sospirò. Quindi scosse la testa, mettendosi a ridere sommessamente.

«Voglio parlare con tuo padre» disse. Kid si fece torvo.

«Non c'è. Al momento, sono io a reggere Death City».

Soul ammiccò, inarcando un sopracciglio.

«Allora, ho scelto proprio il momento peggiore per tornare».

«Lo credo anch'io».

Ci fu di nuovo silenzio. Quindi «non appena tornerà, gli dirò di te», disse Kid, sospirando.

«Te ne sarei grato» ribatté Soul.

Kid scrollò le spalle, quindi si voltò, incamminandosi verso la porta. Era già uscito, quando si voltò a guardarlo un'ultima volta.

«Hai bisogno di qualcosa?» gli chiese. Soul notò un certo tono di apprensione nella voce, e sorrise.

«Sì. Non è che mi potresti slegare?»

Kid aggrondò. «A parte questo, ovviamente».

«Allora, direi di no».

Kid sospirò profondamente, quindi uscì. Con un cenno, ordinò alle guardie di chiudere la porta e queste obbedirono immediatamente. Soul ascoltò il cupo rimbombare della porta che si richiudeva davanti a lui, e il clangore metallico con cui la pesante serratura scattò, rinchiudendolo nuovamente all'interno di quella stanza buia. Lentamente, il suono dei passi di Kid e delle guardie si affievolì sempre più, finché non svanì del tutto. Un silenzio opprimente calò come un pugno sopra la sua testa e Soul digrignò i denti. Era come se tutto, intorno a lui, avesse improvvisamente acquisito un peso diverso, quasi fosse stato schiacciato al suolo da quel silenzio tanto profondo e pesante che lo circondava. Sentiva la testa scoppiargli e persino le orecchie gli fischiavano, come se stesse precipitando da chissà quale altezza.

Con sguardo desolato, fissò la linea che la debole luce della luna tracciava davanti ai suoi piedi. Era come trovarsi seduti davanti all'orlo di un precipizio buio. Solo che lui si trovava seduto dalla parte sbagliata di esso.

E così, eccoci di nuovo soli.

«Vaffanculo» ringhiò. E con le mani, strinse l'ombra che lo avvolgeva da dietro la schiena. La sentì sgusciare tra le dita, liquida e densa. Quando riaprì la mano, era completamente sparita.

«Devo uscire da qui», mormorò, digrignando i denti.

 

 

*

 

 

«Alzati».

Soul ebbe appena il tempo di rendersi conto che qualcuno lo stava scrollando. Quattro mani forti lo afferrarono saldamente per le braccia, costringendolo a sollevarsi mentre ancora lottava con quel po' di sonno che era riuscito faticosamente a conquistare. Strabuzzò gli occhi, strizzando le palpebre per sfuggire alla luce tagliente del giorno, che lo feriva ai sensi.

«Hai dormito bene, Evans?»

Soul boccheggiò, scuotendo la testa. Alzò gli occhi. Spirit lo fissava duramente, il volto teso in un'espressione indecifrabile.

«Spirit, che piacere...»

«Chiudi il becco, idiota» fece quello, la voce tesa. «Sei stato fortunato che non ti ho incontrato per primo. Altrimenti, adesso saresti morto».

«Anche io sono contento di rivederti» scherzò Soul. Per tutta risposta, Spirit gli sferrò un pugno allo stomaco. Soul digrignò i denti, crollando la testa sul petto.

«Avanti, portatelo fuori».

Lungo i corridoi che dalle prigioni conducevano ai piani superiori della Shibusen, Soul ebbe modo di osservare come il suo arrivo a Death City non fosse passato inosservato. Gli studenti si riunivano in piccoli capannelli al suo passaggio, osservandolo timorosi mentre borbottavano tra loro. Gli insegnanti, quando lo incrociavano, si scansavano, lanciandogli occhiate malevole. Ma il peggio fu quando passò davanti alla vecchia classe Luna Crescente. Tsubaki, che stava entrando in quel momento, lo vide e si fece da parte, abbassando lo sguardo. Lui le sorrise, ma non appena gettò gli occhi dentro la porta, vide l'intero gruppo dei suoi vecchi amici che si era raccolto all'interno dell'aula gremita di studenti, e che lo fissava torvamente mentre passava, scortato da Spirit e dalle guardie della Shibusen. Soul inarcò un sopracciglio, distogliendo lo sguardo. Con la coda dell'occhio, vide Maka uscire furiosa dall'aula, per poi fermarsi a guardare nella sua direzione finché non girarono l'angolo, sottraendosi alla sua vista.

Salirono le scale che conducevano all'ufficio di Shinigami. Quando varcarono le porte, Soul sentì un brivido scorrergli rapido lungo le membra e si irrigidì. Le guardie lo strattonarono malamente, spingendolo ad entrare.

«Muoviti» lo richiamò Spirit «il sommo Shinigami ti sta aspettando».

Soul alzò gli occhi sulle lame affilate delle ghigliottine che costituivano l'ultimo corridoio che ancora lo divideva da Shinigami. Era così tanto che non passava da lì. L'ultima volta, era stato otto anni prima, quando era uscito per l'ultima missione affidatagli proprio da Shinigami. Una missione che, però, lui non aveva mai compiuto.

Quando la processione ebbe varcato anche l'ultima ghigliottina, Soul deglutì. Non osava nemmeno alzare gli occhi.

Spirit fece un passo avanti.

«Sommo Shinigami, ti abbiamo portato Soul Evans, come ci avevi chiesto» disse. Soul ascoltò il suono delle sue parole. Sorrise. Quella situazione, nella sua tragicità, aveva comunque qualcosa di ridicolo.

«Lasciatelo. E anche voi, lasciateci soli».

Spirit fece un cenno alle guardie, che lasciarono immediatamente la presa su Soul. Lui si ritrovò a reggersi da solo, barcollando leggermente per la sorpresa. Le catene gli caddero dai polsi e dalle caviglie e lui sospirò sollevato, massaggiandosi gli arti anchilosati.

Non appena vide Spirit scomparire oltre le porte dello studio di Shinigami, Soul alzò gli occhi sulla maschera del dio della Morte, che lo fissava in silenzio a pochi metri da lui.

«Shinigami» fece, con un ghigno.

Il dio della Morte avanzò di un passo, restando a guardarlo in silenzio per diverso tempo. Quindi si piegò su di lui, alzando una mano.

«Soul, quanto tempo» disse. «Mi hai fatto davvero preoccupare».

 

 

*

 

 

«Come sarebbe a dire, reintegrato?»

Maka era furiosa. Al suo grido, l'intera aula era caduta nel silenzio più totale. Lei spostò gli occhi sui volti terrorizzati dei suoi studenti, che la fissavano cerei, sprofondati nei loro banchi.

«Vieni, usciamo» le sussurrò Tsubaki, prendendola delicatamente per un braccio. «È meglio se ne parliamo fuori».

Quando uscirono dall'aula, Maka trovò ad attenderla sia Kid che Black Star. Tsubaki richiuse la porta dell'aula, facendo cenno agli studenti di restare in silenzio. Cosa del tutto inutile: perché non appena la porta fu chiusa, nella classe esplose un clamore eccitato e improvviso, assolutamente prevedibile.

«Allora, è vero?» chiese Maka, con una smorfia. «Davvero hanno reintegrato Soul?»

«Così pare» fece Black Star, crollando le spalle. «Anche se faccio fatica a crederci».

«Ma che gli salta in testa a tuo padre?» ringhiò Maka, lanciando a Kid un'occhiata rabbiosa. Lui impallidì. Non amava che Maka mostrasse tutta quella disinvoltura nel criticare l'operato di suo padre. In fondo, era pur sempre il dio della Morte.

«Ho provato a parlargli, ma non ha voluto dirmi niente» rispose, indirizzandole un'occhiataccia. «Ha detto solo che era deciso a dare a Soul un'altra occasione».

«Questo significa che lo riprenderà come Death Scythe?» chiese Tsubaki. Kid nicchiò.

«No, su questo è stato categorico. Per il momento, quel posto resta a Spirit».

«Capirai» commentò Maka. «Come se averlo come insegnante nella scuola fosse meglio».

«Per quanto sia» riprese Kid, schiarendosi la voce «questo è ciò che il sommo Shinigami ha deciso. Quindi, non possiamo che attenerci alla sua volontà».

«Sì, ma...»

«Comunque, per quel che ne so, Soul non avrà vita facile, nella scuola» buttò lì Black Star, con un ghigno. Tutti si zittirono, fissandolo curiosi.

«Che vuoi dire?» chiese Maka, aggrondando.

«Che le voci circolano e che gli studenti non sono scemi» fece lui. «In giro si dice che vogliano boicottare le sue lezioni».

«Non dirai davvero?»

Tsubaki si incupì. Abbassò gli occhi, triste.

«È una cosa bruttissima» fece. «Non dovrebbero farlo».

«Ma che dici?» insistette Black Star. «Invece è il minimo che gli spetta, a quel deficiente».

Maka annuì. Era assolutamente d'accordo. Per lei, Soul avrebbe dovuto marcire all'inferno. La vergogna di trovarsi la classe completamente vuota ogni volta che vi metteva piede, forse l'avrebbe spinto ad andarsene, una volta per tutte.

«Sentite, lasciamo che le cose vadano come devono andare» suggerì Kid. «Se questa situazione durerà a lungo, sono sicuro che mio padre capirà di aver fatto una scelta sbagliata, e toglierà a Soul il suo incarico».

«Più che giusto» commentò Black Star. «Dai, andiamo... o quei cinquanta stupidi che mi aspettano in classe non diventeranno mai capaci di combinare qualcosa».

Maka osservò i suoi amici allontanarsi, diretti alle rispettive aule. In silenzio, ritornò in classe, incurante del vociare che si era levato fino a raggiungere livelli inaccettabili. Tuttavia, non appena la videro riprendere posto alla cattedra, i suoi allievi recuperarono immediatamente il consueto atteggiamento di silenzioso rispetto che lei pretendeva sempre nelle sue lezioni.

I ragazzi fissarono Maka, che restò appoggiata con i pugni alla cattedra, gli occhi sbarrati su un punto sfocato davanti a sé. Qualcuno bisbigliò qualcosa di inudibile, qualcun altro si schiarì la voce. Un colpo di tosse ridestò Maka dai propri pensieri, costringendola ad alzare lo sguardo sulla sua classe, che la fissava attonita, in attesa.

«Per oggi la lezione è finita» mormorò. La sua voce le suonò strana e ovattata, tanto che aggrondò, tossicchiando. «Andate a casa».

Senza osare alcun tipo di commento, gli studenti raccolsero le loro cose, sciamando silenziosamente fuori dall'aula. Quando la porta si richiuse alle spalle dell'ultimo di loro, Maka chiuse gli occhi, colpita dal fragore delle voci che all'esterno si scambiavano concitate il proprio stupore.

Non è possibile, pensò.

Credeva di essersi finalmente liberata di lui, ed ecco che invece se lo ritrovava ancora una volta tra i piedi. Quella sua presenza così scomoda, il fantasma con cui aveva dovuto lottare per tutti quegli otto anni in cui era stato assente, dopo che l'aveva così miseramente abbandonata...

Lei si era fidata di lui. Lui era stato tutto ciò in cui aveva sempre creduto. Ma poi...

Ero riuscita a dimenticarti, maledetto bastardo.

Voleva sapere perché era tornato, e cosa si aspettava di ottenere. Perciò, lasciò che fosse la rabbia che sentiva a guidarla attraverso i corridoi, fino alla sua aula; una piccola aula nella sezione vecchia della scuola. Uno dei posti più disprezzati dagli studenti. Il posto adatto, per uno come lui.

Quando fu davanti alla sua porta, era letteralmente furiosa. Lo vide seduto alla cattedra, le gambe incrociate, mentre leggeva tranquillo. Non c'era nessuno, oltre a lui. Nemmeno si accorse di lei che, con la mano già alta, pronta a bussare, se ne stava immobile a fissare quel suo profilo illuminato dal sole, che splendeva come coronato da una pallida aureola. Un tocco di santità che traboccava di ironia, vista la realtà della situazione.

Improvvisamente, il cuore di Maka sussultò. Intimorita dalla repentina quanto lacerante consapevolezza di trovarsi da sola con lui, si gettò contro il muro, a lato della porta, portandosi le mani al petto, in preda a un'imprevedibile eccitazione. Non riusciva a capire cosa le fosse preso, tutto d'un tratto, né perché vederlo le provocasse quella strana sensazione, come se il suo intero corpo stesse lentamente scivolando verso di lui. Era la seconda volta, da quando l'aveva rivisto, che le capitava. Respirò a fondo, cercando di riacquistare lucidità.

Cautamente, si sporse ad osservarlo. Ora non provava più rabbia, ma qualcosa di diverso. Possibile che fosse pena? Non sapeva a cosa fosse dovuto, ma di una cosa era comunque certa: vederlo così, solo, gettato in un angolo come una cosa dimenticata, era qualcosa che non poteva sopportare. A quel punto, allora, era meglio non vederlo affatto e lasciare le cose come stavano.

E così se ne andò sollevata, quasi fuggendo.

 

 

*

 

 

La sua ora era quasi terminata, quando Soul alzò debolmente gli occhi dal libro. Si era aspettato di trascorrere un'intera ora in solitudine, ben conscio del disprezzo che l'intera Shibusen bramava di riversargli addosso; cosa che, per altro, non lo stupiva più di tanto. Per questo fu del tutto sorpreso quando vide aprirsi la porta dell'aula, e il suo primo e forse unisco studente del corso fare il suo timido ingresso in classe.

Con uno scatto, Soul richiuse il libro che teneva appoggiato sulle gambe, gettandolo sulla cattedra. Quindi si alzò in piedi, infilandosi le mani in tasca.

«E tu, che accidenti ci fai qui?» chiese, torvo. Non gli avrebbe reso la vita facile. Se ciò che la Shibusen desiderava da lui era qualcosa da disprezzare, allora lui avrebbe dato alla scuola esattamente ciò che si aspettava.

Un bambinetto di cinque anni, alto e magro, dai vividi occhi verdi e dai capelli di un nero lucido e intenso, lo fissava serio, il volto atteggiato in un'espressione di vivo contegno.

«Sono venuto per la lezione».

«Tu sei il figlio di Death the Kid» fece Soul, scendendo dalla cattedra e andandogli incontro. «Questo corso non è per te. È solo per le Buki».

Il bambino lo fissò intensamente per alcuni istanti. Quindi «cos'è una Buki?» chiese. Soul drizzò il busto, sorpreso. Quindi rise.

«Come sei capitato qui?» gli chiese. Il bambino si voltò verso la porta, pensieroso; quindi tornò a guardarlo.

«È stata la mamma a dirmi di venire. Mi ha portato lei».

Soul si irrigidì, stupito. Lanciò un'occhiata alla porta, quindi abbassò nuovamente gli occhi sul bambino che aveva davanti e che continuava a scrutarlo con un interesse per nulla nascosto.

«Davvero è stata lei a portarti qui?» chiese, stringendo gli occhi. Il bambino annuì.

«Sì. Solo che non dovevo dirlo. Ho fatto male?»

Soul non seppe cosa rispondere. Aprì la bocca, come per dire qualcosa; ma le parole gli restarono letteralmente appiccicate alla lingua, ingarbugliandosi l'un l'altra in un discorso inarticolato.

«No, hai fatto bene» disse, alla fine. «E comunque» aggiunse, con un sospiro «non le diremo che ti è sfuggito».

Il bambino lo fissò a lungo, e alla fine gli tese la mano. «Mi chiamo Daniel, piacere di fare la sua conoscenza, signore».

Soul osservò sbigottito la piccola mano che il bimbo tendeva verso di lui. E a quel punto, scuotendo la testa, sorrise.

«Piacere, Daniel» fece, porgendogli la mano a sua volta. «Io sono il professor Evans. E sono l'insegnante di disciplina Buki».

«Io non so cos'è una Buki» ripeté Daniel, aggrottando le piccole sopracciglia scure. Soul si drizzò, fissandolo sorridente con le mani in tasca.

«Davvero? Beh, visto che ormai sei qui» gli disse, «vorrà dire che te lo spiegherò».

 

 

 

 

Nota dell'autore: Grazie mille a Chrona e Rein94 per le loro recensioni. Mi hanno fatto davvero piacere, e sono lieto che la storia vi sia piaciuta. È anche per questo che ho deciso di dedicarmi prima del previsto a questa storia, in modo da aggiornarla. Grazie anche per gli errori che Rein94 mi ha fatto notare di aver commesso. Non me ne ero accorto, e ho subito corretto! :)

Spero continuerete a farmi notare ciò che funziona e ciò che non funziona. Credo che questo sia l'unico modo per migliorarsi, quindi... non abbiate timore di darmi la vostra opinione, quale che sia. Io la accetterò sempre con estrema gratitudine.

A presto.

Puglio

 

 

 

 



  
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