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Autore: mokuyobitenshi    07/11/2010    1 recensioni
Questa storia è un AU che è nata mentre rigurdavo un vecchio episodio di JAG...è lka mia prima fanfiction, lo premetto...
In pratica le vicende sono ambientate durante la seconda guerra moniale, nel marzo 1945 vicino all'isola di Iwo Jima.
Genere: Commedia, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Seeley Booth, Temperance Brennan
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo III: il vento divino continua a soffiare

21 febbraio 1945
a largo dell’isola di Iwo Jima
1080 km a sud di Tokyo
 

Il giorno successivo l’inferno di Iwo Jima continuava a richiamare a sé le anime dei poveri ragazzi che stavano combattendo una guerra non loro, una mattanza collettiva, causata dalla cupidigia degli uomini.

Quel giorno era iniziata la controffensiva giapponese che cercava di reagire alla strapotenza delle forze anfibie americane con un intenso impiego di kamikaze. I risultati che ottennero, non furono trascurabili, ma indubbiamente molto inferiori alle aspettative del Gran Quartiere Generale nipponico, e il tutto a causa del formidabile sbarramento di armi contraeree delle navi americane e della caccia imbarcata, che abbattevano molti degli apparecchi suicidi prima che raggiungessero i loro obbiettivi, trascinando nel loro vento divino le anime dei presunti nemici. Purtroppo però nonostante questi sbarramenti, i kamikaze registrarono dei successi, fra i quali l'attacco alla portaerei  Saratoga, che fu gravemente danneggiata, causando anche il ferimento di decine di marinai, che vennero trasportati d’urgenza sulla Goodwill.

La giornata trascorse per tutti nel prestare soccorso alle vittime dei kamikaze e ai Marines arrivati il giorno prima, nessuno a bordo della Goodwill ebbe un attimo di pausa e le infermiere, avvolte nelle loro divise bianche, che tanto destarono negli anni le fantasie più proibite degli uomini, correvano da una parte all’altra della nave portando bende e medicamenti, simili ad uno stuolo di formiche operaie, cercando di rialzare il morale dei soldati, facendoli sentire un po’ più vicini a casa, attraverso le loro mani delicate, i loro sorrisi e le loro parole di conforto.
Mentre i vivi aiutavano o venivano aiutati Padre Goodman era occupato a svolgere le funzioni funebri per i caduti in battaglia del giorno precedente, concedendo loro gli onori di un rito marinaro: avvolti in un lenzuolo bianco e con una corona di fiori a fianco i corpi senza vita venivano abbandonati nelle acque, ambigue traghettatrici, di vita durante la nascita e di morte durante quella giornata maledetta.
 

23 febbraio 1945
a largo dell’isola di Iwo Jima
1080 km a sud di Tokyo

 
La piccola sveglietta sul comodino di Angela stava suonando ormai da due minuti, quando Temperance decise di alzarsi e di metterla a tacere.
-Ange, la sveglia è suonata, è ora di alzarsi, abbiamo tantissime cose di cui occuparci- le disse mentre cercava in qualche modo di svegliarla scuotendola leggermente.
-Tempe, ho dormito pochissimo questa notte, non ho la forza di alzarmi e di occuparmi di tutti quei baldi giovani, e poi non ho neanche il bel Lazzaro come incentivo!- rispose Angela alzano leggermente la testa dal cuscino, e parlando con la voce ancora impastata dal sonno.

-Hai passato di nuovo la notte con Hodgins vero?!- chiese Temperance, essendo a conoscenza del fatto che la sua migliore amica avesse una relazione, non propriamente lavorativa, con il giovane medico. –E poi chi è Lazzaro?! Il mio Marine si chiama Seeley, tenente Seeley Booth!- rispose Temperance, mentre cercava di capire chi fosse il tale Lazzaro –Aspetta un attimo! È un modo di dire! Lazzaro, perché lo credevamo morto! Adesso ho capito, sai che non sono brava con modi di dire e affini- continuò Temperance, dopo che ebbe avuto l’illuminazione.
-Tempe, a volte mi spaventi- disse Angela, mettendosi a sedere sul letto e scostando le coperte, -A quanto pare ho finito di dormire- continuò alzandosi in piedi e rassettandosi la camicia da notte –Se vuoi una conferma, sì, stanotte sono stata da lui e diciamo che ha fatto di tutto tranne che lasciarmi dormire- concluse Angela con un po’ di malizia nella voce, mentre si avvicinava al bagno.

-Ange!- esclamò Temperance, -questa storia non andrà a finire bene, siete colleghi e poi quando finirà questa maledetta guerra non vi vedrete mai più!- concluse la sua breve paternale, avvicinandosi alla sua branda per rassettarla.

-Tempe, solo perché tu hai smesso di credere nell’amore non vuol dire che non esista! Cosa ne sai, magari quando torneremo in America mi chiederà di sposarlo, io accetterò, avremo una magnifica cerimonia con tutti i parenti e gli amici più cari, poi andremo alle Hawaii in viaggio di nozze, e quando torneremo metteremo al mondo almeno una dozzina di figli!- rispose Angela, perdendosi per un attimo nelle sue fantasie.

-Io non credo nell’amore semplicemente perché ho prove che non esiste, e poi sai anche tu quello che ho passato!- ribatté piccata Temperance, non si erano ancora alzate e quella mattina avevano già iniziato a discutere, avvenimento molto raro tra di loro, -Secondo me la tua relazione con Hodgins non è altro che uno sfogo antropologico del desiderio, lui è un uomo e ha certi bisogni, e tu sei una donna piacente e a quanto pare anche disponibile nei suoi confronti!- concluse la sua arringa, afferrando la sua divisa immacolata e rinchiudendosi in bagno sbattendo la porta alle sue spalle.

-Temperance Brennan! Solo perché un uomo, o meglio dire un gran bastardo, di nome Tim Sullivan ti ha abbandonata, per scappare lontano da questa stramaledettissima guerra non vuol dire che io non possa sperare di trovare l’amore, che questo sia Hodgins o chi per esso- urlò Angela – E se la vuoi sapere tutta, dovresti incominciare a guardarti in torno e a trovarti qualcuno con cui passare il tuo tempo, sia anche solo per un mero bisogno biologico!- concluse uscendo dalla loro cabina, per rifugiarsi in quella di Cam, dove avrebbe potuto calmarsi.
Temperance, chiusasi nel bagno, si guardava allo specchio, osservando ogni dettaglio del suo volto, allungando poi una mano per sfiorare il riflesso della sua guancia, dove ormai stavano scorrendo copiose le lacrime. A lei non piaceva piangere, non era una donna debole, aveva un carette forte e determinato, ma qualcuno del suo passato era stato in grado di distruggerla, e di farle provare così tanto dolore da scatenare in lei il pianto, anche solo a sentire quel suo dannato nome: Tim “Sully” Sullivan.

Tim Sullivan, noto a tutti come “Sully”, era stato il primo ed unico grande amore di Temperance, era un ragazzo piacente, alto e con i capelli castani. La loro relazione era nata durante gli anni del liceo ed era terminata il giorno in cui Sully decise di abbandonarla per scappare il più lontano possibile dalla guerra. Sully era partito per andare lontano, in una qualche isola sperduta dei Caraibi, al sicuro dal male, comportandosi come un codardo, sottomesso alla politica del terrore che cercava di instaurare il nemico.

Temperance lo odiava per averla lasciata, ma soprattutto odiava il fatto di aver sofferto per l’abbandono, per essere stata distrutta dall’Amore, quel sentimento in cui adesso non credeva più.

Le sue lacrime smisero di scendere, sentiva le guance appiccicose e gli occhi che iniziavano a bruciare, Angela aveva ragione, doveva farsene una ragione ed andare avanti, anche senza amore.

Uscì dal bagno, a testa bassa, trovando Angela seduta sul suo letto con due tazze di caffè in mano.

-Scusami tesoro, ho esagerato, non dovevo dirti quelle cose- disse Angela allungandole una tazza di caffè con un sorriso – so quanto questo argomento ti faccia male, e mi dispiace averlo ritirato fuori- disse sfiorandole la spalla con la mano destra.

-Non ti preoccupare Ange, hai ragione devo trovare il modo di andare avanti, devo dimenticare il dolore e continuare a vivere- disse Temperance prima di portarsi il caffè alle labbra.
-Tesoro, ma tu hai pianto!- disse Angela accorgendosi solo in quel momento degli occhi arrossati di Temperance.

-Non ti preoccupare, queste sono le ultime lacrime che verserò in vita mia per lui e per chiunque- rispose Temperance, mentre un nuovo sorriso di consapevolezza piegava le sue labbra.
-Waaah! Questa è la mia Tempe!!- urlò felice Angela appoggiando la sua tazza ormai vuota sul comodino affianco al letto ed iniziando a saltellare per la stanza, per poi volare tra le braccia di Temperance e stritolarla in un abbraccio.

-Ange, mi soffochi!- cercò di farle notare Temperance non riuscendo a prendere fiato.

Il grido entusiasta di Angela aveva attirato l’attenzione di Cam e Daisy che in quel momento si trovavano nel corridoio.

-Cosa succede?- chiese Cam affacciandosi curiosa dalla porta.

-Niente, solo buone notizie!- le rispose immediatamente Angela, lasciando finalmente andare Temperance.

-Buone notizie?! In questi giorni sono merce rara- ribatté –vi ricordo però che i vostri turni iniziano tra cinque minuti...e io non accetto ritardi- finì con un sorriso mentre ritornava in corridoio.
Angela e Temperance si scambiarono uno sguardo d’intesa e uscirono dalla porta per affrontare l’ennesima giornata di lavoro: salirono in infermeria e si divisero, raggiungendo ognuna la propria postazione.

Angela si recò a constatare le condizione del caporale Parker, del quale aveva continuato a prendersi cura nonostante l’avessero allontanata, non sapeva perché ma quel ragazzino attivava il suo istinto materno, non avrebbe accettato la sua dipartita, almeno non passivamente.

Angela si chinò al suo fianco ed iniziò a cambiargli il bendaggio, mentre Daisy, che aveva appena iniziato il suo turno, cercava di tenere a bada il soldato che tre giorni prima aveva incontrato sul ponte. Aveva scoperto che si chiamava Lance Sweets e che si era arruolato nei Marines per evitare che il suo anziano padre adottivo venisse richiamato alle armi. Aveva scelto il Corpo Sanitario per non essere costretto ad imbracciare un mitra e a sparare per uccidere il nemico ma poter dedicare le sue forze a salvare vite, infondo aveva studiato da psicologo, era pur sempre una sorta di medico.

Daisy, che non smetteva mai di parlare, aveva trovato finalmente qualcuno in grado di tenerle testa, anche se parlando con il sottoufficiale Sweets l’argomento andava sempre a finire sul suo occhio, che come aveva previsto era stato impossibile salvare.

Mentre i due continuavano a chiacchierare animatamente e Daisy cercava di far star seduto Lance che altrimenti si sarebbe avventato contro il dottore che aveva deciso di non prescrivere la penicillina al caporale Parker il Dr. Hodgins stava facendo il suo giro di visite ai pazienti, quando notò Temperance seduta immobile come una statua sulla sponda del letto del “Marine resuscitato”.

-Temperance, cosa fai lì seduta?- le chiese Hodgins.

-Mi sto prendendo cura del mio paziente, gli sto vicino come mi avete consigliato di fare da quando ho messo piede su questa nave- rispose lei come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
-Si, vedo che gli stai vicina, ma io e Ange quando ti abbiamo detto di stare vicino ad un paziente volevamo farti capire che devi cercare di tirare su il loro morale, devi parlargli anche se all’apparenza non ti può sentire- le rispose Hodgins guardandola un po’ perplesso.

-Bhè, ma il tenente ha un trauma cranico, tre giorni fa si è svegliato solo perché la pressione intracranica ha avuto un’improvvisa diminuzione- rispose piccata Temperance –e lei lo dovrebbe sapere meglio di me! Non ha frequentato una scuola di medicina?- continuò l’infermiera.

-Certo che ho studiato medicina, altrimenti non sarei qui!- rispose Hodgins cadendo nella sua provocazione –ma io sono un essere umano con dei sentimenti, e se fossi al posto di questi poveri Marines vorrei qualcuno al mio fianco a parlarmi, anche se non potessi sentirlo- finì il medico.

-E va bene, parlerò a qualcuno che di certo non può sentirmi!- finì per cedere Temperance, chiandosi verso il bel volto del tenente Booth.
-Tenente, non si arrenda, apra gli occhi, lei ce la farà- gli sussurò con voce dolce mentre gli accarezzava il volto con una mano.

-Cosa ti avevo detto? Non può sentirmi- disse poi girandosi verso Hodgins, il quale la guardava ancora piú perplesso di prima.

Ma proprio mentre stava per risponderle il tenente, per la seconda volta in pochi giorni, le prese il polso all'improvviso, spaventandola leggermente.

-Infermiera... Dove sono i miei uomini?- chiese Booth con la voce ancora impastata dal sonno.

Temperance sbalordita guardò Hodgins, che ricambiò il suo sguardo per poi raggiungere Angela che lo stava chiamando, il tutto mantenendo sul volto un'espressione da: io te l'avevo detto!

-I suoi uomini sono qui, è riuscito a portarli in salvo- disse poi rivolgendo nuovamente la sua attenzione al tenente.

Booth sospirò di sollievo, alla fine c'era riuscito: aveva portato i suoi ragazzi fuori da quell'inferno.

-Infermiera...- riprese Seeley, che però venne corretto immediatamente da Temperance.

-Non infermiera, ma Temperance Brennan- disse.

-Ah, io sono Seeley Booth- rispose lui, mentre un colpo improvviso fece tremare la nave: i Giapponesi stavano di nuovo attaccando.

-Non preoccupatevi, continuate a fare il vostro lavoro, la nostra flotta ci proteggerà- disse ad alta voce Cam nel tentativo di calmare gli uomini ricoverati nell'infermeria.

-Speriamo che questo non sia il nostro ultimo saluto- sospirò Seeley dando un ultimo sguardo a Temperance prima di riaddormentarsi, lasciando la donna seduta al suo fianco, con la mano ancora appoggiata sulla sua guancia.

Quel giorno risuonarono altri centinaia di colpi, la flotta lottò e i Marines a terra riuscirono nell'impresa di prendere il Monte Suribachi, nell'esatto momento in cui un fotografo scattò una delle più famose foto di una bandiera americana, la più nota, dopo quella che ritrae Amstrong che pianta la bandiera a stelle e a strisce sul suolo lunare, ma quella foto verrà scattata solo ventiquattro anni più tardi.
 
   
 
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