Crossover
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Autore: Dk86    12/11/2010    2 recensioni
Nell’Universo ci sono un sacco di cose.
Per la maggior parte si tratta di fenomeni interessanti e visivamente spettacolari ma non molto utili all’atto pratico, come giganti rosse, pulsar o nane brune. I buchi neri, se non altro, possono risultare efficaci se ci si vuole liberare di qualcosa di scomodo… Sempre che il buco bianco corrispondente non decida di aprirsi proprio davanti alla persona a cui si stava tentando di nascondere il problema in questione (ed era successo almeno una volta, a quanto si diceva).
Pianeti e satelliti invece sono molto meglio, soprattutto perché c’è la possibilità che ospitino forme di vita intelligente, o quantomeno non troppo stupida. Inoltre possono rivelarsi ottimi luoghi di villeggiatura, come la ciurma della Crazy Diamond aveva imparato a proprie spese.
E poi, ogni tanto, ci sono anche delle astronavi.
(dal capitolo 14, "Salvare l'Omniverso e altri sport estremi")
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga, Fumetti, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO TREDICESIMO – LONTANO LONTANO


Come spesso accadeva, Desiderio degli Eterni era andato – o andata; per lui/lei cambiare sesso era come cambiarsi d’abito, ovvero qualcosa che faceva con allarmante frequenza – a trovare Akio. Era un’abitudine che aveva conservato da quando ancora le dimensioni erano divise e impenetrabili l’una con l’altra se non per l’azione di pochi eletti. “Noi serviamo lo stesso padrone, dio caduto”, gli aveva detto, durante il loro primo incontro. “Entrambi creiamo desideri, plasmandoli dall’essenza stessa dell’umanità. È così che deve andare il mondo”.
Lui aveva approvato. D’altronde, era proprio il desiderio ciò che spingeva gli esseri umani a tentare di rivoluzionare il mondo.
“Fra un’ora avrò una riunione del Consiglio”. Akio era sdraiato sulle candide lenzuola del suo enorme letto, i capelli chiari sciolti sulle spalle e la camicia scarlatta aperta a mostrare il petto bronzeo. “Non vorrai farmi di nuovo arrivare in ritardo, vero?”.
Desiderio era accucciato i piedi del letto, il pallido volto androgino atteggiato in un sorrisetto lezioso. Indossava soltanto una camicia nera di seta,che contrastava con il biancore della sua pelle facendola sembrare quasi luminescente. “Non preoccuparti, non ci vorrà molto”, mormorò suadente, muovendosi su e giù per il materasso come un lungo e flessuoso felino. “Sono solo venuto ad accertarmi che tu ti stia divertendo”.
Si dice che esistano sorrisi da cento watt, ma quello di Akio avrebbe potuto da solo illuminare senza problemi un’intera sala da ballo. “Quando sono insieme a te non mi annoio mai”, rispose.
La reazione suscitata fu opposta a quella prevista: Desiderio incrociò le braccia sul petto magro, mentre il viso gli si accartocciava in una smorfia di rabbia. “Piantata con questo teatrino, Akio: non sono uno di quei ragazzini che ti piace tanto portarti a letto. Sai benissimo che cosa intendevo chiederti”.
L’altro sogghignò, e anche se l’espressione – come tutte quelle che usava abitualmente – era studiata al millimetro, era ovvio che fosse rimasto sorpreso. “Non mi permetterei mai di sminuirti, lo sai”, mormorò suadente, mentre le sue mani lisciavano le lenzuola bianche. “E quanto alla tua domanda sì, mi sto divertendo moltissimo… Tutto sta procedendo come deve, e presto riuscirò a rompere il guscio del mondo come ho sempre sognato”. Con un movimento rapidissimo, quasi inumano, si sollevò dal cuscino e le sue labbra andarono a posare un bacio su quelle di Desiderio. “Ma c’è ancora un’altra cosa che voglio, ora”.
L’Eterno, volubile come sempre, stava già sorridendo malizioso. “Non mi hai detto che fra poco hai una riunione del Consiglio?”.
Akio prese Desiderio per una mano e lo fece sdraiare accanto a sé. “In fondo sono arrivato in ritardo già una volta, no?”.


Sigla d’apertura: Life, di Yui


“Le arti magiche sono per il dieci percento ispirazione e per il novanta percento traspirazione”, disse Frau Totenkinder tutta seria, prima di sciogliersi in una risatina chioccia.
I suoi due allievi, seduti a gambe incrociate sul folto tappeto persiano davanti a lei, si guardarono l’un l’altro un po’ sconcertati. “Ehm… può ripetere, maestra?”, domandò alla fine Pietro.
L’anziana donna si sistemò un po’ meglio sulla sedia a dondolo, che protestò con una sequela di scricchiolii. “Ma è semplice, cari”, disse, riprendendo il suo interminabile lavoro a maglia. “È vero che bisogna essere dotati di grande fantasia e di una mente aperta per poter usare con successo la magia, ma questa è solo la punta dell’iceberg. Fino ad ora ve la siete cavata bene, ma se volete passare ad un livello successivo dovete prima di tutto essere coscienti di voi stessi e delle vostre effettive potenzialità; e so che detta così può sembrare una stupidata New Age, ma la meditazione è uno dei modi migliori per cominciare”.
“E quindi che dobbiamo fare, in pratica?”, chiese Marco in tono dubbioso. “Cioè, chiudiamo gli occhi e pensiamo a qualcosa, non so, tipo a un prato fiorito o alle risposte alle grandi domande dell’Universo?”.
L’occhiata che Frau Totenkinder gli rivolse convinse il ragazzo a indietreggiare di un buon mezzo metro. “Ci stavo appunto arrivando”, disse la vecchia strega. “Le cose tipo raggiungere un nuovo stato di consapevolezza o mettervi in contato con l’energia vitale di tutto il creato lasciatele alle tizie esaltate che corrono nude per i boschi e intonano inni alla Luna… Ciò che dovrete cercare oggi – e nelle prossime lezioni, visto che non mi aspetto certo che lo comprendiate subito – è qual è la fonte del vostro potere”.
“Che… è qualcosa di diverso dalla magia, insomma”. Marco bisbigliò in maniera a stento udibile, soprattutto perché non voleva rischiare di beccarsi un’altra occhiataccia.
“La magia è il fine, noi cerchiamo il mezzo. Banalmente, si può parlare di energia o forza magica, ma è fin troppo restrittivo. In fondo, anche chi non dovrebbe possedere la capacità di lanciare il più semplice incantesimo in particolari condizioni può compiere un miracolo. Ognuno di noi attinge il proprio potere da qualcosa di diverso, che sia un sentimento, un’altra persona o un oggetto con grande valenza simbolica; i più lo fanno in maniera inconscia, ma chi riesce a controllare la propria forza, beh… non ci vuole un genio per capire che questi individui appartengano ad una classe infinitamente superiore”.
“E qual è la fonte del suo potere, maestra?”, intervenne Pietro. “Se è una cosa che possiamo sapere, ovvio”.
Frau Totenkinder sorrise. Fu quello il momento in cui per la prima volta i suoi due allievi si resero conto che la loro insegnante non era solo una dolce vecchietta dotata di incredibili poteri magici, ma qualcosa di completamente diverso. “La mia fonte? Oh, è il sangue degli innocenti”, dichiarò, con il tono di chi pensa di stare dicendo una tremenda banalità.
“Sta scherzando”, disse Marco qualche secondo dopo.
“No, affatto. Come vi ho detto, esistono innumerevoli modi per accumulare potere magico”.
“Ma… ma questo è…”.
“Questo è cosa?”. Lo sguardo della strega aveva inchiodato a terra Marco e Pietro e reso di pietra le loro lingue. “Orribile? Riprovevole? Sbagliato? Forse. D’altronde, non ho mai negato né ritrattato ogni singola azione che ho commesso nel corso della mia vita, e se tornassi indietro nel tempo mi comporterei alla stessa maniera. Oppure dovrei rinunciare ad un potere tanto straordinario perché per mantenerlo faccio qualcosa ritenuto tremendo dai più?”. Nella foga del discorso Frau Totenkinder aveva stretto i pugni grinzosi; quando rilassò le dita, uno dei ferri da calza le cadde in grembo, deformato da una pressione tremenda. La donna sospirò e sfiorò il metallo contorto con un polpastrello, restituendogli, la sua forma. “In ogni caso non preoccupatevi: il modo in cui mi procuro il sangue è assolutamente legale sulla stragrande maggioranza dei pianeti. Anche sul vostro”.
“Ah… ok…”, mormorò Marco. Non è che mi sembri una grande giustificazione, il sangue degli innocenti è il sangue degli innocenti da qualunque parte lo si guardi…
“Maestra, ho una domanda”, la mano di Pietro tremò appena, mentre la alzava. “Se io… se io dovessi scoprire che la fonte del mio potere è qualcosa di negativo e decidessi di non usare più la magia… lei che cosa farebbe?”.
“Che cosa farei? Nulla”.
“Ma…”.
“È il tuo potere, Pietro. Il tuo, non il mio. Così come devo essere libera di fare ciò che voglio, così non potrei mai obbligarti a usare un tuo dono, se tu decidessi di rinunciarvi”. Sorrise, ma stavolta l’espressione era più benevola. “Soddisfatto della risposta?”.
Pietro emise un verso fra una deglutizione e un sospiro. “Sì. Sì, credo… Credo che sia giusto”
“Bene. Ora forza, cari, chiudete gli occhi e concentratevi; l’ora del tè si avvicina, e immagino che anche voi abbiate altro da fare, oggi”.
Per qualche minuto le uniche cose che accompagnarono Marco dietro lo schermo delle palpebre abbassate furono il rumore del suo respiro e di quello di Pietro, nonché l’occasionale scricchiolio proveniente dalla sedia di Frau Totenkinder.
Senza alcun preavviso, qualcosa gli rimbombò nel cervello.
Marco, riesci a sentirmi?
Per un attimo Marco ebbe l’impulso di aprire gli occhi, e in effetti pure di alzarsi in piedi e urlare con tutto il fiato dei suoi polmoni; la voce gli aveva attraversato la testa, ma non da un orecchio all’altro; era più come se fosse arrivata dal fondo della sua mente e avesse proseguito inesorabile in avanti, spianandogli le pieghe del cervello… Tutto questo nello spazio di un secondo. Poi, però, riconobbe quella voce.
Pietro! Cazzo, mi hai fatto prendere un colpo, sei scemo? Un attimo di pausa. Aspetta, riesci a sentirmi, vero?
Sì, anche se c’è un gran rumore di fondo. Figo, comunque, non credevo di poterci riuscire.
Cioè, hai semplicemente deciso di provare con la telepatia così tanto per fare? Senza che nessuno ti avesse spiegato come si faceva?
A dire il vero lo stai facendo anche tu.
Oh… Ehi, è vero! Chissà se possiamo farlo con tutti oppure solo fra noi due.
Dopo potremmo provare, in effetti.
Comunque, c’era qualcosa che volevi, ehm… dirmi?
Eh? Ah, no, no, volevo solo fare una prova, tutto qui.
Allora intanto che ci siamo ne approfitto: hai capito che cosa dobbiamo fare, esattamente?Perché non credo di stare facendo nessun progresso.
In effetti la maestra non è stata molto chiara a riguardo.
Più che altro
, mormorò telepaticamente Marco dopo qualche secondo. Credo che lei stia sentendo tutto il nostro discorso, sai?
Certo che vi sento, cari. La forza del pensiero di Frau Totenkinder fu tale da far vibrare i denti ai suoi allievi. E ora vedete di concentrarvi, per favore.
Marco si concesse un sospiro interiore, prima di tentare di nuovo di fare… qualsiasi cosa gli fosse stato ordinato di fare. Non aveva la più pallida idea di come riuscire a capire quale fosse la fonte del proprio potere, e aveva paura che pensando con troppa intensità avrebbe finito con l’attivare un altro collegamento telepatico.
Qualche minuto dopo, però, si rese conto di una cosa bizzarra: sentiva ancora i rumori nella stanza, ma gli giungevano ovattati e crepitanti, come se li stesse ascoltando attraverso un paio di vecchi auricolari malconci. Beh, qualcosa sta succedendo, rifletté. Oppure sto solo diventando pazzo. Si concentrò sul crepitio e scoprì che era in grado di abbassare tutti gli altri suoi, ruotando piano piano un’immaginaria manopola per il volume, fino a che tutto ciò che poté udire fu il rumore di fondo. Chissà che succede se vado avanti, si disse. E in effetti perché non provare? Davanti ai suoi occhi chiusi, sospesa nello spazio scuro, comparve ancora la manopola. Marco tese una mano fatta di pensiero e immaginazione e con estrema cautela la ruotò, fino ad arrivare allo zero.
Dapprima non accadde nulla. Il rumore di fondo, però, scomparve, portandosi via qualunque altro suono.
Poi Marco cadde, in alto e in avanti.


Quando si risvegliò, la prima cosa di cui si accorse era che si trovava sdraiato su un letto matrimoniale: aveva le braccia spalancate sulle lenzuola, e ancora le sue mani non arrivavano al bordo. “Devo essere svenuto”, mormorò al soffitto, il quale fu molto discreto e non rispose. Devo essere svenuto e mi hanno portato nella stanza più vicina per farmi riprendere, è ovvio, continuò mentalmente. Dev’essere la stanza del capitano, viste le dimensioni del letto…
Il ragazzo si mise a sedere e si guardò intorno: in effetti era una camera molto spaziosa, ma era davvero troppo spoglia per appartenere ad una tipa come Haruhi: i mobili erano metallici, freddi e impersonali, senza il minimo tocco di una presenza femminile. Solo l’enorme libreria che troneggiava in fondo alla stanza dava un tocco di colore e vivacità all’insieme. “Ma che…”, sbottò qualche secondo dopo, alzandosi in piedi e avvicinandosi alle file di volumi ordinati sugli scaffali. Certo, non era possibile, non aveva senso, però…
Eppure Marco dovette constatare un’inquietante verità: quelli davanti a lui erano proprio i suoi manga, manga che per quanto ne sapeva lui erano inscatolati in una delle stive, quantomeno fino a prima che svenisse.
Un paio di secchi, rapidi colpi alla porta. A Marco quasi scappò un urlo, tanto era perso nella contemplazione dei suoi fumetti. “Marco, posso?”. Haruhi, piuttosto ovviamente; quella stanza, in fin dei conti, doveva proprio essere la sua.
“Ehm… sì, un attimo”. Il ragazzo passò con gesti febbrili le mani sul letto per lisciare le lenzuola stropicciate, poi si lanciò verso la porta e premette il pulsante d’apertura, un po’ affannato.
Per un attimo stentò a riconoscere il capitano: non che fisicamente fosse diversa (anche se indossava una divisa bianca molto elegante che Marco non le aveva mai visto addosso), ma l’espressione in fondo ai suoi occhi tradiva una grande stanchezza e una profonda malinconia; la ragazza iperattiva, egoista e sognatrice aveva lasciato il posto a una giovane donna preoccupata e triste. “Qualcosa non va, capitano?”, domandò Marco d’impulso.
Lei scosse la testa, e solo in quel momento Marco si accorse che anche la pettinatura della ragazza era cambiata. “No, nulla”, rispose; nonostante il suo aspetto conservava la stessa determinazione di sempre. “Tu, invece? Dormivi?”.
“Ehm… più o meno. Ero svenuto, mi sono appena ripreso”.
Haruhi parve sorpresa. “Davvero? Non credevo potessi perdere i sensi”.
Dev’essere davvero stanca, cacchio. Che vuol dire che non posso svenire? Tutti possono svenire! “Capitano, sei sicura che non ci sia niente che non vada? Mi sembri stravolta”.
“Beh… In effetti sono un po’ stanca”, ammise lei. “Ma come mai eri svenuto, poi?”.
“Mi stavo esercitando con la maestra Totenkinder e a un certo punto è come se avessi iniziato a cadere nel buio per un sacco di tempo… Poi mi sono risvegliato in questa stanza. Ma credevo che lo sapessi, visto che sei venuta qui”.
Le rughe sulla fronte di Haruhi si accentuarono. “Sono solo venuta per parlare un po’ con te, a dire il vero. Non immaginavo che stessi male, ma in effetti sarebbe comprensibile, visto tutto lo stress a cui sei stato sottoposto in questo periodo…”.
“Beh, oddio”, borbottò Marco grattandosi la testa. “Cioè, è vero che le lezioni della maestra Totenkinder possono essere belle pesanti, anche perché altrimenti non credo che sarei svenuto, e ecco…”. Il ragazzo abbassò voce e occhi. “In effetti credo che Bielorussia continui a cercare l’occasione buona per uccidermi”. Il volume della voce tornò normale. “Però credo sia esagerato parlare di stress”. Si guardò intorno. “E soprattutto mi sembra esagerato che per un semplice svenimento tu mi abbia assegnato una stanza del genere; ora, non so chi abbia fatto la spia e sia venuto a riferirti del fatto che mi sono lamentato del fatto che non abbiamo camere singole, ma so benissimo che a bordo di questa nave lo spazio è quello che è”.
Haruhi fece tanto d’occhi. “Tu cadendo hai di sicuro battuto la testa. A parte il fatto che su ‘sta nave c’è più spazio di quanto potremmo mai sperare di occuparne, ma questa è la tua camera da sei mesi almeno!”.
Marco scosse la testa. “Non è possibile, io sei mesi fa nemmeno ti… oh, merda”. La consapevolezza gli si era appena schiantata addosso, aggrappandoglisi tenace al corpo come una iena su una carcassa.
“Guarda che tu sei membro del mio equipaggio da…”. Anche lo sguardo di Haruhi, all’improvviso, cambiò. “Oh, merda”.
“Già, è quello che ho detto anche io”, sibilò Marco; ad un tratto il respiro gli si era fatto corto. “Dev’essere successo qualcosa, non so… qualcosa di grosso, credo, che dici? E… uhm, quella è un’arma, vero?”.
Haruhi, senza che Marco nemmeno se ne accorgesse, aveva estratto da una delle tasche dell’uniforme una pistola laser che avrebbe fatto la felicità di qualsiasi appassionato di Star Trek (o di qualunque assassino a sangue freddo) e gliela stava puntando contro. “Certo che è un’arma, idiota”, disse, secca. “Non solo hanno mandato un impostore, ma pure un impostore stupido”.
“Ehi! Non sono un impostore e lo sai benissimo! Sono solo svenuto”. Non era una linea di difesa granché valida, ma Marco non pensava certo che Haruhi gli avrebbe sparato sul serio. Per buona precauzione, però, fece un passo indietro e sollevò le mani. Lentamente.
“Ah, no?”. Il capitano annullò la distanza fra i due e premette il muso della pistola sullo sterno di Marco. “E allora forza, perché non mi dici come si chiama questa nave?”.
Che domanda cretina… Poi sarei io quello stupido. “È la Crazy Diamond, ovvio!”, esclamò senza esitazione.
La fronte di Haruhi si aggrottò. Per qualche secondo Marco temette che lei gli avrebbe sparato comunque; poi, però, ripose la pistola in tasca, anche se con circospezione. “Oh, è evidente che qualunque cosa tu sia, non sei un impostore”, borbottò, lo sguardo impegnato a scandagliare l’altro.
“Beh, certo che non lo sono!”. Nonostante la tensione appena sfumata – o forse proprio a causa di quella – Marco riuscì a suonare parecchio risentito. “Ti pare che non sappia il nome della nave su cui ci troviamo?”.
“Appunto”, rispose la donna. “Il motivo percui non ti ho sparato è perché questa non è la Crazy Diamond. Se mi avessi dato la risposta giusta, d’altro canto…”.
“In che senso che questa non è la Crazy Diamond? E allora dove siamo?”.
“Sulla nostra nuova nave”. La ragazza articolò l’aggettivo “nostra” in modo bizzarro… o forse era soltanto il fatto che l’altra Haruhi avrebbe usato un “mia” senza farsi problemi. “Che, per l’appunto, ormai possediamo da sei mesi”. Haruhi si lasciò sfuggire una risatina, ma fu un suono amaro. “Non che ultimamente lo scorrere del tempo abbia grande importanza, eh?”.
“Che intendi dire?”. Marco non poteva essere più perplesso di così, eppure lo era e anche di parecchio.
Haruhi lo fissò con un lieve sorriso sulle labbra. “Ma da dove vieni, tu?”, domandò.
L’altro si grattò la testa. “Ehm… dal passato, può essere?”. Almeno, mi sembra l’ipotesi più probabile…Certo che potevano anche dirmi dei viaggi nel tempo, cazzo! La donna annuì; e, mentre compiva quel semplice gesto le orecchie di Marco si riempirono di nuovo del rumore di fondo. Il capitano stava muovendo la bocca, ma solo poche parole riuscirono a superare la barriera di suono che diventava di secondo in secondo più alta. “…in effetti…occhi…diverso…bianco…”.
Poi, prima che Marco cadesse di nuovo, il brusio scomparve e il ragazzo poté sentire con chiarezza l’ultima frase di Haruhi.
“E poi stai respirando”.


Marco aprì gli occhi.
“Certo che respiro”, biascicò, un po’ intontito. “Conosci qualcuno che non lo fa?”.
“Maestra, si è svegliato e sta dicendo cose senza senso”, esclamò Pietro da qualche parte al di fuori del suo campo visivo. “Insomma, come al solito”.
“Vuoi che ti prenda a calci?”.
“Prima faresti meglio a metterti seduto, almeno, così non sei molto credibile”.
Marco si tirò su. Pietro era in piedi, appoggiato contro una parete; lo fissava da sopra una tazza fumante decorata ad allegri fiori rosa. Frau Totenkinder, come sempre accomodata sulla sua sedia, aveva posato il suo lavoro a maglia. Sembrava preoccupata.
“Non è che qualcuno saprebbe spiegarmi cosa mi è successo, vero?”. La voce di Marco non suonò convinta nemmeno alle sue stesse orecchie.
“Stavamo cercando di capirlo anche noi, coso. Ad un certo punto sei caduto per terra e non c’è stato verso di rianimarti… Cioè, respiravi e tutto, ma era come se il tuo corpo fosse vuoto e si limitasse a funzionare e basta”. Abbassò gli occhi sulla tazza e lo sguardo gli si tinse di una sfumatura colpevole. “Ah, scusa se non ti abbiamo aspettato per il tè, ma magari nella teiera ne è rimasto ancora un po’…”.
Ma chissene del tè, è proprio l’ultima cosa di cui preoccuparsi!, pensò Marco mentre rabbrividiva. La testa aveva iniziato a pulsargli e a girargli nello stesso tempo, come se qualcuno gli avesse infilato un enorme cacciavite invisibile alla base del cranio e stesse cercando di svitarglielo. “N-non fa niente, per come sto ora credo che non riuscirei a mandare giù neanche un sorso d’acqua senza vomitare”.
“Che cosa ti è successo?”. Alle orecchie di Marco quella di Frau Totenkinder non suonò proprio come una domanda: era come se la donna sapesse benissimo che cosa gli era accaduto e provasse pena per lui.
“Vuole che glielo racconti?”.
“Se pensi di poterci riuscire, mi farebbe piacere ascoltarti, caro”. Pietro si sedette a gambe incrociate sul tappeto, la tazza posata davanti a sé, e batté una mano sulla spalla dell’amico. Marco si sentì rinfrancato e trovò la forza di iniziare a parlare. Gli ci volle quasi un quarto d’ora per raccontare tutto, dato che non voleva tralasciare nessun particolare; alla fine della storia si sentiva già un po’ meglio, e riuscì a mandar giù un paio di sorsi del tè ormai tiepido di Pietro. Alzò lo sguardo a fissare gli occhi azzurri e vigili della strega. “Allora, maestra? Secondo lei è qualcosa che ha senso?”.
“Stai facendo la domanda sbagliata: tutto ha un senso, il problema semmai è riuscire a trovarlo. Dalle parole di Haruhi si potrebbe ipotizzare che ti trovassi davvero nel futuro, mentre escluderei l’idea di una dimensione parallela per ovvie ragioni strutturali…”.
“Aspetti, starebbe dicendo che… insomma, che potrei avere ragione? Che potrei avere viaggiato nel tempo?”.
“Una parte di te lo ha fatto quasi di sicuro. Non c’è nulla che impedisca che un evento di questo tipo si realizzi; in realtà, vista la configurazione attuale del Omniverso, qualsiasi cosa è possibile, almeno in potenza. Certo, dev’essere stato un viaggio nel tempo davvero strano… In fondo il tuo corpo è esistito simultaneamente in due punti distinti dello spazio-tempo”.
“Proiezione astrale?”, suggerì Pietro mentre sciacquava le tazze e la teiera nel lavandino in un angolo della stanza.
“Non lo escluderei”, rispose la donna, annuendo. Un gomitolo di lana rossa le sfuggì dal grembo e rotolò fino a fermarsi contro il battiscopa, ma lei non parve preoccuparsene. “Anche se non mi pare di avere mai sentito di proiezioni astrali in grado di spostarsi nel tempo oltre che nello spazio”.
“Ah, proiezioni astrali!”, esclamò Marco. “Come Prue in Streghe!”.
“Prego?”, Frau Totenkinder sembrava genuinamente perplessa.
“Lasci perdere, maestra, se non fa qualche citazione stupida ogni tanto non si sente a posto con la coscienza”, intervenne Pietro, che stava riponendo le tazze in una credenza.
“Ehi, senti da che pulpito viene la predica!”. Marco finse di essere risentito, prima di rivolgersi di nuovo alla strega. “Quindi, insomma, nemmeno lei sa cosa mi è successo di preciso”, concluse con un sospiro.
Gli occhi della donna si fecero severi. “Non lo so ora. Ma lo scoprirò, non te ne preoccupare”. Fra le lunghe dita ricurve della sua mano sinistra era riapparso il gomitolo. Marco deglutì: per un attimo gli era sembrato un cuore umano stretto fra gli artigli di un enorme avvoltoio. “Comunque, di una cosa sono sicura: ciò che hai visto è legato alla fonte del tuo potere”.
Il ragazzo aggrottò la fronte. “E quindi potrebbe essere il capitano?”.
Frau Totenkinder sembrò rifletterci un attimo, poi scosse con decisione la testa. “Questo mi sento proprio di escluderlo. La signorina Haruhi è… beh”. Il volto della vecchia si illuminò di un sorriso inquietante, e Marco ebbe di nuovo l’impressione di trovarsi di fronte a un rapace. “Non vi nascondo, miei cari, che è il motivo principale percui ho scelto di imbarcarmi su questa nave in primo luogo. Non esiste nessun altro individuo come lei nell’intero Omniverso, e io voglio essere la prima a carpire il suo segreto. Ma, sebbene possegga un potere enorme, non è di sicuro lei ad essere la fonte del tuo; anzi, credo esista un’unica persona che eventualmente ne potrebbe attingere…”.
“Intende il comandante Kyon, maestra?”, domandò Pietro, finalmente riaccomodatosi sul tappeto.
Le labbra antiche di Frau Totenkinder assunsero un’insospettabile piega maliziosa. “Chissà… D’altronde sono solo una povera vecchia, ormai faccende di questo tipo per me sono passate da un pezzo”.
Quando la smetterà con ‘sta storia della “povera vecchia”?, si disse Marco.
Marco, guarda che sento tutto quello che pensi.
Oh, merd… Ehm, cioè, chiedo scusa.
Non fa niente, caro.

“E quindi, maestra, che si fa ora?”, domandò Pietro, mentre si stiracchiava le braccia.
“Voi potete andare”, replicò lei. “Di sicuro, visto ciò che è accaduto, non siete più nella condizione adatta per continuare con la meditazione. Io cercherò di capire che cosa possa significare la visione di Marco. Ci vediamo alla prossima lezione, cari”.
Pietro assunse un’espressione delusa ma non obiettò; si alzò in piedi e tese un mano a Marco perché potesse fare altrettanto. Quest’ultimo, non fidandosi ancora delle proprie gambe, accettò l’aiuto di buon grado. “Mi dispiace per come sono andate le cose”, disse un paio di minuti dopo, mentre camminava a passi lenti in uno dei corridoi della Crazy Diamond. “Ho rovinato la lezione”.
Pietro ridacchiò. “Ma stai scherzando, coso? Sono solo un po’ giù di morale perché io non sono riuscito a vedere un bel niente, tutto qua”.
“Ehi, ma se sei più avanti di me praticamente in qualsiasi cosa!”, replicò l’altro. “Davvero non hai visto nulla?”.
Pietro fece spallucce. “Quando sei caduto in trance o quello che era la maestra mi ha messo a preparare il tè…”.
“Quindi insomma, alla fine stai dando la colpa a me?”, domandò Marco con un sogghigno.
Pietro finse di pensarci su. “Mmh… In effetti, in ultima analisi, mi sa che è proprio così!”.
I due si fissarono con aria seria, fino a che non riuscirono più a trattenersi e scoppiarono a ridere. “Forza, andiamo a sbirciare come se la cava Elena”, propose Marco.
“E perché non Riccardo?”.
Marco rabbrividì. “Scherzi? Non voglio mica rischiare di essere aperto a metà da Zaraki!”.


“Signore e signori, benvenuti”. Akio fece un passo avanti, entrando nella luce pallida e oblunga proiettata dal riflettore. “Ho il piacere di aprire una nuova riunione della Fazione della Solitudine”.
Le parole furono accolte da un applauso debole e contenuto, che si esaurì subito. D’altronde, non molte persone erano presenti; soprattutto, solo una dei cinque membri del pubblico sembrava in tutto e per tutto umana.
“Hai detto di avere delle novità, vero, Akio-san?”. Rei Hazama, seduta nella prima fila al centro del piccolo teatro, fissava l’uomo sul palco con la sua consueta espressione innocente, angelica e meticolosamente costruita.
“Spero bene che tu ne abbia, uomo”. Sarah Kerrigan stava in piedi in un angolo della sala, le braccia incrociate sul petto avvolto da una bruna armatura chitinosa e gli occhi gialli che dardeggiavano nella semioscurità. “Sai che non reagisco bene alle perdite di tempo”.
“Non preoccuparti, Regina delle Lame”, rispose Akio, dispensando un altro dei suoi sorrisi magnetici.”Vi ho convocati qui per annunciarvi un importante passo avanti nel nostro piano”.
“Ottimo”, intervenne Malefica, accomodata con postura regale in terza fila. “Non dubitavo della sua efficienza, signor Ohtori. Tutto sta procedendo nel migliore dei modi”.
“E allora perché hai mandato quegli Heartless a Eidolon?”, domandò Voldemort un paio di file più a destra. Uno dei suoi occhi brillava di un rosso molto più intenso rispetto all’altro. “È stato un modo stupido e inutile di attirare l’attenzione, o sbaglio?”.
La fata non perse la propria statuaria compostezza. “Credo che dovreste avere almeno un paio di secoli di esperienza in più sulle spalle, prima di criticare le mie scelte”, rispose con il tono di chi sta facendo un’importante e benevola concessione. “Prima di tutto, non li ho inviati solo su Eidolon, ma su molte delle Terre abitate. Inoltre, sono stata ben attenta ad utilizzarne un numero tale da non costituire un reale pericolo; e per finire, ho fatto tutto questo su esplicita richiesta del nostro gentile ospite”.
“Cosa di cui le sono molto grato, mia signora”, intervenne Akio, per evitare che la situazione potesse degenerare. “Così come sono grato alla signorina Hazama per avere scatenato quelle rivolte su Terra 5872 e alla Regina delle Lame per riuscire a mantenere la guerra che il suo popolo sta portando avanti in uno stallo tanto credibile”. Sarah Kerrigan sbuffò, un suono breve e ansimante, ma non sembrava particolarmente spazientita. Non più del solito, quantomeno. “In ogni caso, anche io non sono che un umile visitatore, in questo luogo”.
“In effetti non ci siamo ancora tutti”, intervenne Lumi, che fino a quel momento non aveva aperto bocca. Il suo incarnato da bambola di porcellana luccicava nella penombra, illuminandole la cascata di capelli azzurri e il viso perfetto e glaciale. “Dov’è il padrone di casa?”.
“Eccomi”. A parlare era stata una settima figura, che si era appena materializzata sul palco; era un uomo alto e snello, dall’incarnato olivastro e un grande sorriso obliquo e un po’ sinistro, che metteva in evidenza i suoi lineamenti marcati. La sua voce, roca e calda, aveva un che di esotico che la rendeva ancor più carismatica e irresistibile di quella di Akio. “Chiedo scusa per il ritardo”.
“Nessun problema, Mister N.; stavo giusto aggiornando i nostri gentili invitati riguardo al completamento di un’altra parte del nostro piano”, disse Akio con un lieve cenno del capo.
L’ultimo arrivato si esibì in una riverenza profonda, piegando la lunga schiena come un giunco sferzato dal vento, in un’angolazione quasi innaturale. “Ho fatto bene a fidarmi di lei, signor Ohtori. Da quando l’ho messa a parte del nostro progetto non mi ha mai deluso”.
“E lei è un finanziatore fin troppo gentile”, replicò Akio. “Posso chiederle di abbassare le luci e accendere il proiettore per le diapositive?”.
Bastò un cenno della mano di Mister N. e il faretto puntato sul palco si spense, mentre nell’aria si diffondeva il ronzio di un apparecchio elettronico che si avviava. Un paio di secondi dopo sul muro di fondo del teatro apparve un’immagine.
Era difficile capire che cosa fosse e a che cosa servisse. Era un intrico di tubi, leve, pannelli e pulsanti, per la maggior parte spenti; il tutto era sormontato da cinque cilindri trasparenti, tre dei quali erano colmi di un liquido azzurro intenso. Non era facile capire cosa contenessero con esattezza, ma le sagome in due di essi erano inequivocabilmente umane.
“Qualcuno sa dirmi che differenza c’è fra questa fotografia del Continua Device e quella che vi ho mostrato la volta scorsa?”, domandò Akio.
Rei sollevò una mano, come se invece che in un teatro fosse seduta dietro ad un banco di scuola. “L’altra volta solo due delle celle energetiche erano piene, giusto?”.
“Esatto, signorina Hazama. Ricorderete senz’altro che la Catena del Drago e la Camelia Bianca erano già in mano nostra”. La diapositiva dell’enorme macchinario fu sostituita in rapida successione dalla foto di una ragazzina dai capelli viola e una strana ecchimosi intorno al collo e un giovane uomo dalla chioma e i vestiti candidi e un tatuaggio proprio sotto l’occhio sinistro. “D’altronde, proprio due di voi gentili signore hanno contribuito alla loro cattura”. Malefica e Lumi minimizzarono il tutto con un lieve gesto della mano. “Ma sono lieto di annunciarvi che sono finalmente entrato in possesso di… questa!”.
La quarta immagine non mostrava una persona, bensì un’arma: si trattava di un pugnale dal manico di legno intarsiato a formare figure alate. La lama era un po’ storta e aveva una forma sgraziata, e sembrava essere stata riassemblata malamente; eppure la sola fotografia riusciva a trasmettere un netta sensazione di importanza e potere.
“Questa, signore e signori, è la Lama Sottile”. La voce di Akio vibrava d’orgoglio, come se stesse presentando i meriti di un figlio particolarmente intelligente. “Un pugnale così affilato da essere in grado di aprire degli squarci nel tessuto spazio-temporale. Nonché il terzo catalizzatore per il nostro Continua Device”.
“Io ci andrei piano con l’euforia, uomo”. Sarah Kerrigan sgranchì le ali, producendo una serie di scricchiolii e schiocchi ultraterreni che avrebbero fatto la gioia di Lovecraft. “Finché non riusciremo a mettere le mani sugli ultimi due è come se fossimo ancora al punto di partenza”.
“Senza contare che non abbiamo nemmeno idea di chi o cosa siano o di dove si trovino”, le fece eco Voldemort.
“Su questo devo dissentire”. Mister N. si era fatto avanti, portandosi al centro del palco. La sua figura lunga e magra tagliava in due la fotografia della Lama Sottile. “Essendo l’ideatore di questo progetto, ovviamente so che cosa è necessario per poterlo completare”.
“Sappiamo che serve un quarto catalizzatore quantico”, intervenne Malefica. “Ma non ci ha mai spiegato che cosa dovrebbe riempire la quinta cella”. Il suoi occhi dardeggiarono nella penombra; non apparivano malevoli (non più malevoli del solito, quantomeno) ma ritrattava comunque dell’espressione di qualcuno che pretendeva una risposta precisa ed esauriente nel minor tempo possibile.
Mister N. abbozzò un altro inchino. “Lieto che lo abbia chiesto. Credo comunque che la risposta sia abbastanza ovvia, se ci si riflette sopra un attimo: che cosa può far funzionare un apparecchio come il Continua Device?”.
Lumi scoppiò a ridere. “Mi perdoni, Mister N., ma perché fare qualcosa di così inutilmente complicato? Una qualsiasi fonte di energia non è sufficiente?”.
L’uomo non sembrò seccato dallo sfoggio di ilarità della regina delle nevi; era come se nulla potesse scalfire il suo sorriso. “È proprio questo il punto: una volta avviato, il Continua Device necessita di un quantitativo di energia praticamente infinito. Anche se riuscissimo a trarre tutta l’energia dai cuori di tutte le stelle dell’Universo, non otterremmo comunque un impulso sufficiente all’attivazione… Si parla sempre di quantità finite, in fondo. Ma prima che vi preoccupiate, ci tengo a rassicurarvi riguardo al fatto che ho già un candidato perfetto per questo ruolo. Certo, sarà molto difficile riuscire a farlo nostro… Molto difficile, però, non impossibile. Appena sarò riuscito ad ottenere informazioni certe anche sull’ultimo stabilizzatore quantico vi metterò a parte delle loro identità, così potremo organizzare il loro… prelievo a tempo indeterminato”.
Sarah Kerrigan sollevò gli occhi gialli verso il soffitto. “Devo ammettere che sono impressionata, mio malgrado. Ero convinta che una volta recuperati i componenti per il Continua Device avremmo dovuto fare qualcosa di inutilmente complicato e pericoloso perché il nostro piano potesse realizzarsi, e invece…”.
“Lieto che tu apprezzi i nostri sforzi, Regina delle Lame”. A prendere la parola questa volta era stato Akio. “In effetti, abbiamo cercato a tutti i costi di evitare passaggi come ‘Esponi il rubino maledetto alla luce della luna nuova nel giorno dell’equinozio mentre ti trovi in una valle infestata da serpenti velenosi’”. Si concesse una breve risata, poi procedette. “Quando tutto sarà pronto, ci basterà solo premere un paio di bottoni, e poi…”.
Un ‘click’ risuonò nel buio della sala, e la diapositiva della Lama Sottile lasciò il posto ad un’altra.
Era una foto semplice, eppure molto vivida: la passione dell’autore per il soggetto ritratto era facilmente rintracciabile. L’immagine raffigurava nient’altro che un portale di marmo bianco ben chiuso – e c’era da scommettere che per quanti sforzi uno avesse potuto fare e con quanta forza avesse potuto spingere, esso non si sarebbe schiuso neppure di un millimetro – circondato da cespugli di rose rampicanti in piena fioritura. Era molto antico, molto bello e, all’apparenza, estremamente malinconico.
“E poi, potremo rivoluzionare il mondo”, concluse Akio.





MIYU: Evviva! È di nuovo il nostro turno!

SHIN: Ma vedi di stare un po’ calma! Tanto prima del prossimo capitolo non appariremo.

SENKOU: In effetti sono curioso di vedere in quale modo l’autore ci farà entrare in scena.

SHIN: Conoscendolo, di sicuro in maniera banale e stra-abusata.

MIYU: Possibile che tu non abbia un minimo di fiducia in lui?

SHIN: Sì, direi che è decisamente possibile.

MIYU: Uff… Vabbé, lasciamo perdere. Il quattordicesimo capitolo di “Il cielo è un’ostrica, le stelle sono perle” si intitola “Salvare l’Omniverso e altri sport estremi”. Mi raccomando, non cambiate canale!

SHIN: Senkou, sbaglio o io lo dico sempre che questa è scema?







E dopo un mesetto, eccoci qui con il tredicesimo capitolo! Sono successe un sacco di cose poco comprensibili, vero? Beh, in effetti non è che posso spiegare tutto subito!
Ovviamente il fatto che l’inizio di questo capitolo sia molto simile all’inizio del nono capitolo è qualcosa di assolutamente voluto! Nel caso qualcuno se lo stesse chiedendo, insomma.
Ok, non ho molto da dire a questo giro, temo… Passiamo alle risposte alle recensioni!


Per Morens: no, in effetti non seguo il wrestling… Un mio amico era parecchio appassionato, poi tre anni fa circa gli è passata la fissa e quel poco che ne sapevo me lo sono dimenticato! Le mie canzoni preferite? Mah, non è che abbia un genere preferito: diciamo che se sento una canzone che mi piace la ascolto! Forse è un approccio un po’ passivo, nel senso che non mi metto a cercare le canzoni, aspetto di sentirle…
E no, non ho Facebook. Non mi piace e non ho intenzione di iscrivermici!XD

Per Anonimo: spero che il capitolo ti sia piaciuto! So che è passato un po’ di tempo dall’ultimo aggiornamento (quantomeno in relazione ai miei aggiornamenti consueti riguardo questa singola storia… Perché di solito sono mooooolto più lento!XD), e purtroppo in questo periodo ho prodotto ben poco: ho solo altri due capitoli già pronti dopo questo! In effetti devo darmi una mossa, voglio arrivare in fretta alla seconda parte della storia!

Ringrazio tutti coloro che leggono la storia, in ogni caso!^^ E vi aspetto al prossimo capitolo, che prometto ci metterà meno di un mese e mezzo ad arrivare!
A risentirci!
Davide

  
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