Dunque.
Sono
tornata.
Credo
di dover
ringraziare alcune persone che mi hanno spronata (e minacciata) ad
andare
avanti. Prima di tutto un grazie enorme a chi ha messo la storia, e me,
fra i
preferiti e le seguite. Siete più di quanto mi sarei mai
immaginata. Grazie
infinite.
E
ora, passiamo a voi:
-
Sleeper:
grazie sul serio. Sì, prima o poi bisognerà
sanarle ‘ste
lacune, a partire dal prossimo capitolo. Sono contenta davvero che il
punto di
vista di Artemis ti piaccia. A presto ^^
-
Juliet95:
sei indubbiamente una delle mie più affezionate lettrici.
Grazie. E, in quanto ad Artemis… non posso che concordare
con Arianna. ;)
-
Giovy39:
Draco moro? Sì, ci sta indubbiamente ;) non preoccuparti
se non recensisci, io sono l’ultima che dovrebbe lamentarsi!
-
Chariss:
ecco svelato il mistero della porta! ^^ Grazie, sono
contenta che ti faccia ridere. È bello sapere che non fa
piangere ^^
-
Lucille:
Artemis è carino. Punto. E, in questo capitolo, ha un
ruolo fondamentale. Beh, non proprio positivissimo, ma fondamentale
sì. Spero
che ti piaccia. Grazie di tutto ^^
-
Raven_95:
Un grazie ENORME per aver espresso i tuoi
bellissimo commento sulla protagonista. Anche io l’adoro.
Spero solo di non averla
fatta troppo MarySue! A presto ^^
-
Elfa
Sognatrice: Beh, direi che adesso le
chiederà più o
meno scusa. Più o meno ;) e complimenti, ci hai azzeccato in
pieno!! Grazie
mille, a presto.
-
Vikie:
Grazie mille! Spero proprio che anche questo capitolo ti
piaccia ;) A presto.
-
Vampire_Twilight:
brava anche a te, hai indovinato!
Grazie mille, i complimenti (e le critiche) sono la linfa vitale per
una
scrittrice alle prime armi ^^ E grazie, grazie, e mille volte grazie
per avermi
spronata. Che dire, sono pigra e ho poca immaginazione, e voi siete
quello che
ci vuole per me. ^^
-
Spuffy93:
Eccomi qua!! Grazie anche a te per avermi chiesto di
tornare. Non sai quanto faccia piacere ^^
-
Kira97:
here I am! Grazie mille, sono contenta che ti piaccia!
Spero che apprezzerai anche questo capitolo. A presto ^^
-
Nihal
Darko:
ma certo, lo sapevamo tutte che Artemis
è sempre stato un CBCRPV (Cresci Bene Che Ripasso
Più Volte). L’ho sempre detto
io… ;) Spero che ti piaccia anche questo capitolo ^^ Grazie
e baci.
Last but not
least, grazie alla mia Arianna. Per
tutto. Ti voglio bene.
Ancora
due paroline prima del capitolo.
Qua, i protagonisti sono due: Elinor e Artemis. Dal prossimo, tornano
anche
tutti gli altri. Promesso ^^
Ordunque, vi ricordate dove
vi avevo lasciate?
Elinor
apre la porta, e…
11
- PIOGGIA
Elinor
adorava i libri. Nel vero senso della parola. Aveva letto il suo primo
vero
libro, “Le leggende di Redwall”, a sette anni, e da
allora gli armadi in camera
sua si erano riempiti sempre più di volumi e romanzi,
occupando il posto che
normalmente sarebbe stato riservato alle bambole.
La
sua reazione alla vista di quella sterminata distesa di libri, dunque,
fu di
pura gioia, prima che si tramutasse in un vago senso di irrequietezza.
Per un
attimo, si dimenticò di dove si trovava, e
inspirò l’odore delle pagine, vagò
con gli occhi fra gli enormi scaffali marroni che si innalzavano
nell’enorme
sala, immaginando quanti libri potessero contenere.
Si
incamminò, cercando di non pensare a ciò che
stava facendo, e di godersi quel
breve momento di pace. Alzando un braccio toccò appena, con
la punta delle
dita, la superficie dei libri sullo scaffale alla sua destra. Romanzi
russi,
una quantità che avrebbe sicuramente superato quella di
tutte le biblioteche
torinesi messe assieme.
Alla
sua sinistra, invece, si trovavano varie sezioni: gialli, classici,
storici…
qualche metro più in là, si accorse di trovarsi
nel reparto dedicato alla
letteratura inglese. Con lentezza studiò attentamente i
titoli e le copertine,
e sollevò delicatamente la mano per sfiorare uno dei romanzi.
Non
appena lo fece, l’incanto finì.
“Orgoglio
e pregiudizio”.
Al
suono di quella sgradevole voce proveniente da un punto imprecisato
alle sue
spalle, Elinor abbassò la mano e chiuse gli occhi in una
smorfia, maledicendosi
per non aver controllato se ci fosse qualcuno prima di entrare.
Prese
un bel respiro e si girò. Davanti a lei, l’oggetto
dei suoi insulti mentali la
fissava con un ghigno appena accennato sulle labbra.
Elinor
lo guardò. Aveva le maniche della camicia azzurra arrotolate
all’altezza dei
gomiti, i capelli un po’ più disordinati di quella
mattina, ma nel complesso
sembrava mostrare un’eleganza studiata, un finto disordine
che celava una
sconfinata sicurezza di sé, ed effettivamente, come aveva
detto Sissi appena
qualche minuto prima sembrava…
Odioso.
Sembra odioso.
Elinor se lo ripetè nella mente, sperando di non essere
arrossita. Inevitabilmente,
si ritrovò a pensare a quella mattina, alla canzone, e a
quanto probabilmente
quel ragazzo la credeva fuori di testa, al che arrossì
ancora di più. E,
sicuramente, ci stava pensando anche lui, a giudicare dal sorriso
sghembo sulla
sua faccia.
Algida,
altezzosa regina delle
nevi.
Elinor tentò di ricomporsi, alzò il mento e con
tutto il coraggio che aveva disse “Sì”
con forza.
“Ti
piace?”
Aveva
sentito bene? Perché quello
lì stava
intavolando una conversazione con lei?
Che
diamine voleva?
“E’
il mio libro preferito.” Disse, non trovando nulla di meglio.
Lui
sbuffò, sghignazzando.
“Beh?
Che c’è di male?” Senza neanche
accorgersene, Elinor dimenticò il disgusto e
l’imbarazzo che provava di fronte a
quell’individuo, per trasformarlo in un’ira
giustificata dal fatto che aveva quasi insultato un libro che, per lei,
era una
Bibbia.
“Fammi
indovinare… vorresti che l’uomo della tua vita
fosse come Darcy, giusto?”
Il
ragazzo le si avvicinò, sempre sorridendo. Il suo sorriso,
però, aveva qualcosa
di malefico, o comunque di diverso dai sorrisi normali. Non
c’era felicità,
bensì la consapevolezza di sapere qualcosa che gli altri non
potevano neanche
immaginare.
Elinor
non rispose, non riusciva davvero a capire dove volesse andare a parare.
“Darcy
è un idiota.” Sentenziò il ragazzo,
tranquillo.
Elinor
non si arrabbiò eccessivamente. “Effettivamente a
volte si comporta da stupido
e orgoglioso, ma alla fine impara dai suoi errori.”
“Non
mi sto riferendo a quello. È un idiota perché si
è dichiarato a una donna che
non era al suo livello e che, per giunta, non lo voleva
nemmeno.”
La
ragazza cercò in tutti i modi di escogitare una risposta
degna di quell’accusa
infamante, ma, priva di qualcosa di sarcastico e geniale,
preferì chiudersi in
un silenzio d’offesa. Si girò veloce, e
colmò in breve tempo la distanza che
separava lei dalla porta, e che separava lui dal ricevere un bel pugno
sul
naso.
Esci,
esci, esci, esci.
“E
lei è così stupida.”
Pugno
sul naso.
Elinor
si fermò con un piede già fuori dalla porta, e si
girò lentamente, come un
cowboy che, nel Far West, si appresta a tirar fuori la pistola e
ammazzare
l’avversario. E, per il momento, i sentimenti di Elinor nei
confronti del
ragazzo non erano troppo dissimili da quelli del Cowboy.
“Lizzie
non è stupida. Ha fatto le sue scelte, è
coraggiosa, ed è proprio la sua
determinatezza ciò che poi farà innamorare Darcy.
Lei non è stupida.”
Artemis
la guardò per qualche istante, con un leggero sorriso di
sfida appena
pronunciato sulle labbra.
“Lizzie?”
Chiese lui, ironico. “Sembra quasi che tu la conosca. Non
sarai per caso una di
quelle ragazze che si stordisce di romanzetti d’amore da
quattro soldi e che
ancora crede nei lieto fine?”
Oddio,
sì.
Ma
invece di questa poco elaborata e più sincera risposta,
Elinor alzò il mento,
si mise la mani sui fianchi e assunse il suo cipiglio più
fiero.
Algida,
fredda Regina delle Nevi.
“A
te non frega un accidente di chi sono o come sono, altrimenti non ci
terresti
rinchiusi qui.” Affermò, cercando di non far
notare l’improvviso tremolio della
sua voce. Aveva visto il suo libro preferito, stava discutendo della
sua
eroina, ma in fondo era ancora rinchiusa lì dentro.
Un’improvvisa fitta le
raggiunse lo stomaco, e dovette rispecchiarsi anche nel suo volto,
perché
Artemis si astenne dal rispondere.
Silenziosamente,
Elinor gli diede le spalle e uscì.
Andava
tutto bene.
Effettivamente,
andava tutto bene. Tutti quanti avevano gradito la torta, Giova aveva
spento le
candeline e avevano pure intonato qualche nota di una stonatissima
canzone di
auguri. Andava tutto bene.
Elinor,
tuttavia, non riusciva a dormire. C’era una strana
irrequietezza, un vago
sentore che quella non fosse altro che una messinscena, una parvenza di
serenità. Stare lì, nella sua stanza buia e
silenziosa a fissare l’oscurità,
era impossibile.
Si
alzò e si mise le ciabatte ai piedi. Indossò una
delicata vestaglia azzurra ben
stretta attorno ai fianchi, per proteggersi dal gelo che, forse,
sentiva solo
lei.
Uscì
dalla porta, ormai aperta da qualche notte, e scese le scale.
Entrò in cucina
senza far rumore. L’ambiente era illuminato dal fioco
bagliore della luna, che
proveniva dall’esterno, dunque preferì non
accendere la luce.
Si
sedette al tavolo. Aveva sempre pensato che le cucine avessero qualcosa
di
caldo, in sé, che le rendesse sempre luminose e accoglienti,
perfino quando
tutto era buoi e freddo. Ma quella cucina era diversa, nulla la rendeva
speciale. Si alzò e si riempì un bicchiere
d’acqua. Si appoggiò al bancone,
fissando la porta-finestra e il giardino al di fuori. Pioveva.
Provò
a contare i giorni che aveva passato lì dentro. Ventidue.
Tre settimane e un
giorno.
Lentamente,
si fece scivolare in basso, fino a sedersi sul pavimento, con la
schiena
appoggiata al bancone. Appoggiò il bicchiere a terra, si
strinse le ginocchia
con le braccia, fissando il mondo fuori dalla finestra.
Senza
neppure accorgersene, iniziò a piangere.
Passarono
minuti, forse ore, prima che sentisse un rumore che non fosse il
regolare
ticchettio della pioggia. Prima che potesse fare alcun gesto,
voltò la testa e
si ritrovò a fissare la persona che meno avrebbe voluto
vedere in quel momento.
“Vattene.”
sibilò, apatica. La sua voce aveva perso ogni sfumatura,
persino l’usuale
aggressività. L’unica cosa che vi si poteva
leggere era pacata rassegnazione.
“Fino
a prova contraria, questa è la mia cucina.”
Rispose Artemis secco. Elinor, che
teneva lo sguardo fisso sul pavimento, sentì il rumore dei
passi che si
avvicinavano. Non rispose, né alzò gli occhi, e
sentì che il ragazzo si
sporgeva per afferrare un bicchiere sopra di lei, per poi posarlo sul
bancone.
Fu
in quel momento che Artemis si fermò e la fissò,
accorgendosi improvvisamente
dei luccichii delle lacrime sul viso della ragazza.
“Stai
piangendo.” disse. La sua voce non tradiva alcuna emozione.
Elinor
non rispose. Fu allora che Artemis fece ciò che la ragazza
non si sarebbe mai
aspettata: si sedette accanto a lei, in perfetto silenzio.
“Mi
manca la pioggia.” sussurrò Elinor. Non poteva
crederci. L’aveva detto ad alta
voce. Aveva confidato una sua spontanea riflessione alla persona che
più
detestava in quel momento. Lui non rispose, in un chiaro invito a
continuare.
Elinor, troppo stanca per ingaggiare una dura lotta con i suoi nervi,
si lasciò
andare.
“Mi
manca l’erba. E il profumo degli alberi. Mi manca
l’aria. Mi manca il freddo
che sento di prima mattina, mentre vado a scuola. Mi manca prendere il
pullman
e mi manca arrivare in ritardo ovunque io vada. Mi manca la mia
macchinetta del
caffè. Quanto mi manca. Sai, è una Nespresso,
grande più o meno così.”
Staccò
le braccia dalle ginocchia e ne mostrò ad Artemis a
larghezza.
Improvvisamente
si sentì molto stupida, e si rinchiuse in un malinconico
silenzio.
Artemis,
al suo fianco, non emetteva alcun suono. Rimasero così per
un po’, ad ascoltare
la pioggia.
“Vieni.”
sussurrò lui, alzandosi.
Non
sapeva perché lo stava facendo. Tutte le cellule del suo
corpo, tutti i neuroni
del suo formidabile cervello gli gridavano di fermarsi, ma lui non
riusciva a
dar loro ascolto.
Si
alzò, sussurrandole di seguirlo. In un attimo, fu vicino
alla finestra,
cosciente dello sguardo indagatore e sospettoso di Elinor su di
sé, la quale
non riusciva sicuramente a capire cosa stesse facendo, e soprattutto il
perché.
Siamo
in due, allora.
Allungò
una mano e afferrò la maniglia. Per un attimo, il suo
carattere egoista e
scostante gli suggerì di voltarsi e tornare a dormire,
lasciando lì quella
bambinetta a piangere quanto voleva. Poi pensò alle sue
parole. Le mancava la
pioggia. Lei lo aveva salvato. Glielo doveva.
Senza
ascoltare la sua testa, aprì la porta-finestra.
Immediatamente
entrò una folata di vento gelido, seguita da qualche goccia
di pioggia.
Elinor
evitò accuratamente di chiedersi perché quel
ragazzo, che nella sua testa
rispondeva solo all’appellativo di “essere
abominevole”, le stava facendo cenno
di uscire in giardino. Decise che ci avrebbe pensato più
tardi. per il momento,
sentiva il vento sulla sua pelle, gocce di pioggia sulla sua mano tesa.
Sentiva
il profumo dell’erba bagnata.
Sfilò
le ciabatte e uscì. Sorrise istintivamente, dimenticando il
ragazzo che, dentro
la cucina, la osservava.
Iniziò
a correre. In un attimo, era completamente fradicia. I capelli erano
attaccati
alla fronte, la camicia da notte si era incollata alla pelle. Chiuse
gli occhi,
e inspirò a pieni polmoni. Ascoltò il rumore
della pioggia, sorridendo.
Artemis
la fissava, assorto. Calcolò le probabilità che
la ragazza si prendesse una
polmonite, e concluse che erano decisamente alte.
Una
in meno,
pensò sogghignando. Eppure, quel pensiero non gli
procurò alcun piacere.
Elinor,
improvvisamente, si voltò. I capelli erano bagnati, e
sembravano scuri sotto la
pioggia. Le braccia erano leggermente allargate, e i palmi erano
rivolti all’insù,
come se non volesse perdersi neppure una goccia. La sottile vestaglia,
impregnata d’acqua, svolazzava leggermente per il vento.
Dev’essere
bello.
Questa
piccola, innocua riflessione turbò Artemis profondamente.
Era troppo
intelligente per pensare che stare al freddo e sotto la pioggia potesse
procurargli il benché minimo piacere. Eppure…
Elinor
aprì gli occhi e lo fissò. Improvvisamente il suo
volto si aprì in un rilassato
sorriso.
“Grazie.”
sussurrò.
Senza
pensarci troppo, Artemis si sfilò le ciabatte e
uscì, a piedi nudi sotto la
pioggia.
Artemis
continuava a fissare il soffitto, come aveva fatto da quando era
tornato in
camera, contando il lento scorrere dei minuti, e aspettando che
diventasse
mattina.
Lisciò
con ampi movimenti delle braccia la coperta, chiedendosi intanto se
lui, Artemis
Fowl Junior, fosse effettivamente un genio. Il suo Q.I. non lasciava
spazio a
dubbi, però… Insomma, quella notte si era
comportato come un adolescente
qualsiasi in crisi ormonale. E quello, decisamente, non era un
comportamento da
genio.
Le
sue riflessioni furono interrotte da un rumoroso
bip proveniente dal suo comodino. Artemis afferrò
il dispositivo e
rispose.
“Spero
di averti svegliato.” disse una speranzosa voce equina.
“Purtroppo
per te, Polledro, ero già sveglio.”
mormorò Artemis in risposta.
“Fowl,
dobbiamo parlare.” la voce burbera di Tubero
eliminò ogni traccia di torpore
dalla mente di Artemis.
“Che
è successo?” chiese, in tono pacato, ammirando il
suo stesso autocontrollo.
“Chiama
Spinella e gli altri e metteteci in vivavoce. Abbiamo delle
novità. E non sono
buone.”
Rinunciando
al suo gelido autocontrollo, Artemis si lasciò sfuggire un
sospiro.
Bel
modo di iniziare la giornata.