Salve a tutti quanti.
Spero che questa
storia stia cominciando a piacervi e che i capitoli precedenti
vi abbiano un po' incuriosito.
Eccovi il nuovo capitolo e buona lettura.
Mi raccomando commentate.
Il secondo episodio più
importante della mia vita è
legato all’incontro di una ragazza, forse la prima che mi
abbia davvero rubato
il cuore: ed è la stessa che, adesso, è
riprodotta insieme a me nella cornice
che ho sul mobiletto.
Il suo nome è Selen.
Era una giornata tranquilla e
monotona: lezioni fino a
tardi, completamente ignorato dagli altri e considerato un mostro e un
visionario, per via del mio sogno che avevo deciso di gridare ai
quattro venti.
Ad esso si era aggiunta la presenza di Incanto di Folgore, che mi
fluttuava
sempre accanto che nessuno, a parte me poteva vedere: quindi ero
allontanato da
tutti.
A pensarci adesso mi viene da ridere, ma allora era un
ulteriore macigno che avevo addosso e questo mi faceva davvero male.
Stavamo per incominciare le
lezioni. La maestra entrò
nell’aula e fece una comunicazione alla classe:
“Buongiorno a tutti”.
“Buongiorno maestra!” dicemmo come pappagalli
(patetico).
“Prima di cominciare la lezione, dobbiamo dare il
benvenuto ad una nuova alunna. Prego, entra”.
Entrò una ragazzina. Il suo sguardo era malinconico,
ma molto dolce, accentuato dagli occhi rossi e luminosi. Una cosa che
mi
sorprese molto era il colore dei suoi capelli: lunghi e rosa luminoso ,
coperti
in parte da un berretto azzurro su cui erano disegnate delle ali.
“Salve a tutti” disse timidamente.
“Vi presento Selen Rose: viene dal Giappone della
dimensione 12. Vorrei che faceste subito amicizia con lei e le
indichiate il
programma che stiamo facendo.
A questo punto bisogna trovarle un posto. Scegli pure
il posto che più preferisci”.
Di posti liberi ce
n’erano cinque: uno due banchi
avanti a me, affianco alla cattedra, uno al centro, nella zona delle
pettegole
di moda, due vicino alla porta, dove c’erano i patiti della
musica. L’ultimo
era quello vicino a me, di fianco alla finestra.
Da quando frequentavo la scuola,
nessuno si era mai
seduto vicino a me, considerando la mia stranezza. Ero sicuro che
avrebbe
scelto le patite di moda, quindi non ci feci caso e non feci alcun
gesto.
“Scusa!” mi
sentii chiamare “Potresti lasciarmi sedere
vicino la finestra? Mi piace guardare fuori”
Mi sentii attraversato da un fulmine a ciel sereno.
Quella ragazza, tra cinque posti liberi aveva scelto proprio quello che
nessuno
voleva: vicino a me.
Come un robot, mi alzai e la lasciai passare.
Mentre si sedeva: la osservai e lei, sentendo il mio
sguardo, arrossi e lo stesso feci io.
“Ciao!” mi disse timidamente “Io sono
Selen Rose”.
“Piacere” dissi io mentre mi sedevo come un automa
“Io
sono Sauron Folgore Sandtimes”.
La lezione andò
normalmente, salvo per il fatto che mi
sentivo lo sguardo di tutti sul collo. Alla cosa ero abituato, ma non
era odio
o paura che sentivo: bensì invidia, da parte dei maschi e
preoccupazione, da
parte delle femmine.
C’era anche un’altra cosa nuova: ero molto vicino
ad
una ragazza che non era né mia madre, né una sua
amica e la cosa mi piaceva.
Ma sapevo che non sarebbe durata a lungo.
Era ora di pranzo. Come mio solito,
mi ero seduto sul
tavolino più vicino alla porta, completamente solo a
consumare il mio pasto.
“Perché non chiedi a quella ragazzina di farti
compagnia?” mi disse lo spirito di Incanto di Folgore.
“Non servirebbe a niente” dissi dopo aver bevuto un
sorso di succo “Le altre l’avranno avvicinata e
detto qualcosa su di me. Non vale
la pena neanche provarci. Sono sicuro che, da domani, se ne
andrà da qualche
altra parte”.
“Allora non mi volterei, fossi in te. Spero che ti
vada di condividere il posto con qualcuno oggi” disse Incanto.
Alzai la testa e me la trovai
nuovamente davanti.
“Posso sedermi qui?” disse con lo sguardo basso.
“C-Certo!” dissi nuovamente rosso.
Mi si sedette davanti e cominciò a mangiare in
silenzio.
“Che cosa devo fare?” pensai.
“Dille qualcosa” propose Incanto che sentiva i miei
pensieri.
“Si. Ma cosa?” pensai.
“La prima cosa che ti viene in mente” disse.
La testa mi stava per scoppiare:
non riuscivo a
pensare a nulla e non riuscivo a toccare cibo.
Come potevo uscire da quella situazione così imbarazzante?
“Ciao Selen!” disse una ragazzina che passava di
lì.
“Ciao” disse lei aggiustandosi il berretto sulla
testa.
“Che ne dici di venire a sederti con noi? Questo
tavolo è il meno adatto per pranzare” facendo un
chiaro riferimento a me.
Lei mi guardò e poi guardò l’altra e
rispose
affermativamente.
Si alzò ed
andò via, ma prima, si voltò e mi
salutò.
La guardai allontanarsi e sedersi a tre tavoli di
distanza e accennai un sorriso.
“Hai visto come ti guardava?” disse Incanto
“Sembrava
triste”.
In quel momento non lo stavo ascoltando: la mia mente
sembrava lontana anni luce da quella stanza, sentivo il cuore leggero
come
l’aria. Sembrava stessi per volare in cielo.
“Sveglia bello addormentato” mi richiamò
Incanto.
“Come.. che stavi dicendo?” chiesi.
“Stavo parlando del suo sguardo: nascondeva tristezza.
E poi perché continua a tenersi quel berretto in testa: con
il caldo che fa qua
dentro starà morendo dal caldo”.
“Chi lo sa?”
feci
con occhi luminosi “Ognuno è libero
di fare quello che vuole”.
“Secondo me hai un po’ di febbre. Non mi sembri
messo
bene”.
“Forse si! Ho un po’ di febbre” dissi
sorridendo.
“Allora vattene da qui!” disse una voce stridula
dietro di me mentre mi cadeva del liquido addosso.
Mi voltai.
“Vi serve
qualcosa?” chiesi voltandomi.
“Certo! Che tu sparisca” dissero il cosiddetto trio
iena
della mia classe e mi spinsero all’indietro facendomi cadere.
Il vassoio del pranzo mi cadde
sulla testa e tutto il
suo contenuto mi finì sulla maglietta.
“Ah ah! mangi come un poppante. Perché non vai a
piangere dalla mamma?” disse quello al centro.
Ero abituato ai loro scherzi, ma mai si erano spinti
fino a quel punto. Era evidente che volevano farmi vedere come un verme.
“Una maglietta si può cambiare, ma un cervello
bacato
no!” dissi con tono inespressivo e distaccato.
“Come ti permetti, mostro!” disse quello alla
destra.
“Mi hai chiamato mostro?” chiesi calmo.
“Che sei sordo? Allora te lo ripeto” e mi
colpì con un
calcio “SEI UN MOSTRO” gridò.
L’intera sala mensa calò nel silenzio. Tutti si
erano
voltati a vedere la scena.
Sentendo gli sguardi di tutti su di
me, feci un
sorriso forzato e dissi: “Dite pure quello che vi pare: gli
idioti e gli
ipocriti vanno solo assecondati”.
“Come?” disse uno di loro avvicinandosi
“Non ti ho
sentito da lì!”
“Te lo ripeterò” dissi spalancando gli
occhi con lo
Sharingan attivo “Idiota e ipocrita, che non conosce il
valore dei sogni e
gioisce nel torturare quelli che ne hanno uno”.
I tre bulli ebbero un sussulto ed
arretrarono.
Quando attivavo lo Sharingan tutti scappavano, perché
vedevano in esso lo sguardo di un demone. In realtà lo usavo
solo per
spaventarli e togliermeli di mezzo.
“Che vi prende?” dissi freddo “Il gatto
vi ha mangiato
la lingua o avete, improvvisamente ricordato un impegno?”
I tre bulli erano impietriti dal terrore e tutti i
presenti tremavano, tutti tranne una persona.
Sentivo che qualcuno mi stava vedendo senza paura, ma
con comprensione. Mi voltai verso la mia sinistra ed incrociai lo
sguardo di
Selen,: dal cui volto stavano scivolando delle lacrime.
Vedendo le lacrime ebbi un sussulto
al cuore e
disattivai lo Sharingan.
Fu un grave errore: infatti i
bulli, notata la mia
distrazione, ne approfittarono per saltarmi addosso e buttarmi faccia
al muro.
Per un attimo mi si annebbiò la vista e sentii il
sapore del sangue in bocca.
Scivolai sulla parete e mi accasciai sul pavimento
tenendomi la testa sanguinante.
“Visto? Abbiamo steso il mostro” dissero trionfanti
i
tre.
“Steso?” dissi,
mentre mi alzavo a fatica, tenendomi
al muro.
Sentivo gli sguardi di tutti addosso: salvo Selen, che
piangeva, tutti mi guardavano con gli stessi occhi. Me li sentivo
gravare come
macigni e paralizzato dal loro peso. Odiavo quegli occhi.
“Hai ancora voglia di fare lo spaccone?” disse il
bullo alla destra.
“Mi
è sembrato
di averlo detto e ripetuto: io dico le cose come stanno senza cambiare
idea o
arrendermi. Io diventerò un vero eroe!” dissi
determinato.
Ci fu un attimo di silenzio, poi una risata generale.
“Vi divertite eh? Ridete
finché potete. Io diventerò
un eroe e vi dovrete rimangiare dieci volte le vostre stupide
angherie” dissi
con sfida.
“Tu un eroe?” disse il bullo centrale
“Non farmi
ridere. Sei tu il cattivo: tuo padre è un feroce assassino e
sei un peso per
tutta la tua famiglia”.
Fu la goccia che fece traboccare il
vaso.
Con un movimento rapido, ignorando il dolore, mi
portai davanti ai tre e li colpii con forza, scagliandoli
dall’altra parte
della stanza.
“Dammi pure del mostro. Prendi in giro il mio sogno se
vuoi” dissi furioso “Ma non azzardarti a nominare
la mia famiglia, altrimenti
ti riduco in pezzi”.
Sentivo la rabbia crescermi in
corpo e l’adrenalina
esplodere: il demone dentro di me desiderava uscire e.
Strinsi i pugni per trattenere il desiderio: non
volevo che gli altri vedessero ciò che avevo dentro. Ma i
miei occhi si erano
già fatti rossi con le pupille verticali e tutti tremavano,
confondendo li con
quelli della mia abilità innata.
“Fermati!”
disse Selen “Ti prego”.
Per l’ennesima volta in quella giornata, sentii i suoi
occhi fissi e imploranti su di me.
Mi voltai nuovamente verso di lei
e, per la prima
volta, lo notai: il suo sguardo era un turbinare infinito di emozioni
che
giravano senza meta.
Oltre quel turbinare, riuscii a vedere dell’altro:
qualcosa di strano, di anormale era chiuso nel suo profondo,
imprigionato da un
velo leggero.
Non sapevo che cosa fosse,
né da dove venisse. Ciò che
sapevo era un forte dolore, forse superiore a quello che avevo io.
Quella visione riuscì a farmi calmare e trattenere la
mia rabbia.
L’intera sala esplose:
tutti cominciarono a lanciarmi
carte e bicchieri addosso gridandomi contro ingiurie su ingiurie.
Senza esitare, lei mi si avvicinò, nonostante il caos
e mi abbracciò: “Non ascoltarli!” mi
sussurrò.
La ragazza di prima cercò di allontanarla da me
dicendo di non lasciarsi prendere dalla pietà verso di me.
Lei si rifiutò di lasciarmi, anzi mi tenne ancora
più
stretto.
Nessuno aveva mai preso le mie
difese, eppure lei lo
stava facendo. Perché continuavo a chiedermi.
La risposta mi giunse pochi istanti dopo.
Mentre
stavano
cercando di allontanarla da me, lei si divincolo e il berretto le
volò dalla
testa, mostrando il suo capo: su di esso c’erano delle strane
escrescenze
ossee, simili a corna.
Quando videro la cosa, tutto si fermò: il tempo, il
mondo, tutto.
Poi ci fu uno strillo seguito da grida di terrore: “Un
diavolo!”
La paura esplose e molti cercarono di scappare, altri
invece ci lanciarono contro qualsiasi cosa, dandoci dei mostri.
In quel momento qualcosa cambiò: il velo che la
copriva, si scostò, rivelando una furia carica
d’odio e di rabbia.
Gli occhi di Selen emanarono una luce sinistra, simile
a quella che vedevo in quelli della volpe.
Capii che stava per succedere
qualcosa di terribile:
dovevo fermarla, o ci sarebbe stata una carneficina.
“Restami vicino” mi disse.
Si girò verso gli altri, sprigionando qualcosa di
terribile.
Senza aspettare di vedere cosa fosse, liberai le
sabbie del tempo ed avvolsi l’area circostante, che si
riempì di impronte di
mani invisibili, che sfrecciavano rapide in tutte le direzioni.
Non sapevo cosa stesse facendo, ma
dovevo fermarla,
prima che compisse un passo dal quale non poteva tornare indietro.
Feci l’unica cosa che potevo fare: la stordii con un
colpo al collo.
Cadde in avanti, ma la presi tra le mie braccia e la
sollevai.
Senza perdere tempo, corsi fuori dalla sala mensa e
andai in infermeria.
Per tutto il pomeriggio, le restai
accanto, ripensando
a quello che avevo visto ed
alla sensazione
provata, cercando di darvi un senso.
“A che pensi?” mi chiese Incanto.
“A ciò che è successo a
mensa” risposi.
“Perché non lo chiedi direttamente a lei quando si
sveglierà?”
“No, è meglio di no!”
“Hai paura di sapere la verità?”
“Non è per quello”.
“E allora per quale motivo?”
Abbassai lo sguardo su di lei, guardando il suo viso:
“Perché lei è come me, soffre a causa
del pregiudizio altrui. Sono le persone
come lei che desidero aiutare”.
“Capisco!”
Gli occhi di Selen si aprirono, fissando il soffitto e
poi me: erano tristi e malinconici, come lo erano normalmente i miei.
“Come ti senti?” le chiesi.
La porta dell’infermeria
si aprì ed entrò la madre di
Selen.
“Selen. Piccola mia stai bene?” e
l’abbracciò.
Capendo di essere di troppo, mi alzai e mi diressi
verso la porta.
“Aspetta” mi chiamò sua madre.
Mi fermai senza voltarmi.
“Hai aiutato la mia bambina ed hai evitato che
qualcuno si facesse male. Ti ringrazio con tutto il cuore, sei un
piccolo
santo” mi disse.
Delle lacrime mi uscirono dagli occhi: qualcuno, per
la prima volta, mi aveva ringraziato. Fu davvero la cosa più
felice che avessi
mai sentito in vita mia.
“Si figuri” dissi forzandomi di mantenere la voce
ferma e uscii.
Spero abbiate
apprezzato questo capitolo. Ditemelo con un commento.
Non mancate al prossimo.Ciao.