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Autore: May90    18/11/2010    4 recensioni
[Fiction a due voci] [Ben lontana dalla vicenda originale] [La mia prima fanfiction...^_^]
Capitolo 19 "Feelings And Desires" =
"Prese un altro sorso di vino e, una volta riappoggiato il bicchiere sul tavolo, si mise a giocare passando con finta non curanza l’indice smaltato di rosso sul bordo del calice. Un’altra scena di repertorio, ma sempre molto efficace, dovevo ammetterlo. - Fai bene a parlare di gatti. – riprese, senza mutare l’espressione rilassata, ma fissando intensamente quel gesto che fingeva essere spontaneo – In quanto felini, hanno molti istinti feroci insiti in loro e un innato desiderio di scoprire le cose di persona. Non si tirano mai indietro. Quando hanno uno scopo, poi, diventano implacabili. - - Quindi l’avresti presa come una sfida? Non voleva esserlo in ogni caso. – scrollai le spalle – Strano, comunque. Credevo che i gatti fossero soprattutto animali nobili, eleganti, amanti del benessere e della tranquillità. Non questi grandi avventurieri. – - Quando sono allo stato selvatico, finiscono per essere più simili alle tigri che ai cagnetti domestici. A meno che tu non mi stia paragonando ad un innocuo barboncino. – e alzò gli occhi affilati come lame sul mio volto. - Tu invece ti stai paragonando ad una tigre…? – commentai con una smorfia dubbiosa – E soprattutto, in che modo dovresti sembrare così selvatica? Vivi in una ricca dimora, partecipi spesso a serate mondane, hai sempre una perfetta manicure… -"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tyki Mikk
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 19

Feelings And Desires



“Chiunque è come la Luna, e ha una parte che non viene mai mostrata a nessuno”
(Mark Twain)






Ebbene, mi era stato chiesto di andare a prendere Vivy a teatro.
Non avevo fatto neanche in tempo a passare completamente il varco creato da Road, che mi ero ritrovato il Conte addosso. Un sorriso smagliante. Domande inutili, mentre mi bloccava la strada per la mia camera. Un’insolita voglia di vedermi uscire di nuovo e in gran fretta.
- E Lulù ti accompagnerà, va bene!? – chiese, con tanta allegria da togliere il fiato.
- Perché dovrebbe farlo…? – domandai allora, scettico.
- Perché glielo dico io! – fu la perentoria risposta e neanche il suo tono entusiasta smorzò in maniera rilevante il comando che vi era espresso.
Alzai gli occhi al cielo.
- Mi mettete in difficoltà... Io non ho bisogno di essere accompagnato… E lei non vorrà farlo… -
- Si, ti metto in difficoltà, lo so bene! No, io credo che tu ne abbia bisogno! E credimi, lei sarà ben contenta, alla fine! – sintetizzò il capo, annuendo convinto tra sé e prendendo autorevolmente il mio braccio, pronto a trascinarmi dietro, se fosse stato necessario.
- Lasciatemi… - sospirai, senza alcuna volontà a sostenere quell’esortazione.
Aveva già progettato tutto in anticipo. Non avevo possibilità di replicare. Proprio nessuna voce in capitolo. Tutto programmato per spedirmi alla stregua di uno chaperon. Fantastico. E la miseria che mi passava una tantum non era nemmeno lontanamente paragonabile allo stipendio medio per un mestiere simile…
- Bistrattato… - mi ritrovai a sussurrare, dando voce ai pensieri sulla mia situazione.
Non mi stupii che il Conte non tentasse neanche di replicare. Ormai era abituato a leggere le più pigre lamentele nella mia mente.

Nantes era coperta da una massa di nuvole nere da fare spavento.
Si preparava un bell’acquazzone ma, se non avessi avuto un impegno a cui presentarmi nella migliore dell’ufficialità richiesta e non fossi stato nella mia veste signorile, avrei volentieri sfidato il tempo e la probabile pioggia, quasi con la speranza, più che il timore, di finire bagnato fradicio. Con Iizu e gli altri lo facevo spesso…
E d’istinto, chiesi a Lulubell se le andasse di passeggiare e sfidare l’ormai prossima pioggia.
Fu un bizzarro momento di collisione tra i miei due mondi, me ne resi conto appena terminai quell’improvvisa domanda. Avevo parlato come se non ricordassi più chi avevo di fianco: la persona più formale e rigorosa che avessi mai incontrato. Certo, avevo reagito con quell’improvviso impeto anche per spezzare il fastidioso mutismo che aleggiava tra noi, oltre che per tentare di trovare un’occupazione capace di alleviare almeno per un poco le tre ore di attesa della nostra soprano. Detto ciò ero sicuro che una proposta simile non avrebbe mai potuto incontrare la sua approvazione.
Si girò prontamente verso di me e per un istante sembrò studiarmi con un’attenzione sovrannaturale. Mi stupì di quanta cura stesse usando nello scrutare la mia figura dalla testa ai piedi, come se lo facesse per la prima volta. Mi preparai a trovare una scusa qualsiasi per giustificare quella mia proposta fuori luogo, dato che sembrava sconvolgerla tanto.
Poi, vidi quell’espressione strana…
- A cosa stai pensando, Lulù…? – dissi ad alta voce, senza neanche rendermi conto di averlo fatto. Mi ritrovavo del tutto interdetto, come uno scienziato di fronte ad un fenomeno inspiegabile. E cercavo una spiegazione, anche se, seguendo il mio intuito, avrei potuto benissimo fare a meno di chiederlo a lei e domandarlo a me stesso…
- Per me va bene. – sentenziò, quieta.
Sollevai involontariamente le sopraciglia a quella inaspettata risposta. Ed ecco che anch’io mi ritrovavo a guardarla come se fosse la prima volta in vita mia.
- No, forse è meglio trovare riparo. – riformulai, frettolosamente ed indicai il locale dall’altra parte della strada.
Si limitò a seguirmi, in silenzio.

Qualcosa non quadrava. Avevo addosso una pessima sensazione.
Scrutavo fuori dall’ampia vetrata di fronte alla quale ci avevano fatti sedere i minacciosi bagliori che anticipavano di un nonnulla l’immediato rombo del tuono. Non aveva ancora iniziato a piovere, ma già quei segni dal cielo nero e tenebroso si susseguivano come colpi di tamburo.
Non avevo mai avuto timore del temporale, neanche quando l’avevo dovuto affrontare all’aperto, privo di alcun tipo di difesa. Anzi per certi versi mi aveva sempre divertito. Le persone che vedevo sfrecciare per strada, affaccendate a raggiungere la loro meta e il loro riparo prima dell’inizio della tempesta, erano di tutt’altra opinione probabilmente. Non potevo biasimarle, ad ogni modo: quei tessuti di ottima lavorazione rischiavano di perdere colore o di macchiarsi irreparabilmente con la fanghiglia ai lati della strada. Pensavo il contrario di quelle donne che quasi sobbalzavano ad ogni rombo sonoro e si facevano fare scudo dai loro accompagnatori, come se questi potessero combattere la natura. Un atteggiamento inutile, dettato dal solo desiderio di sentirsi rivolgere da questi qualche parolina dolce e di vederli ergersi a loro paladini. Quando non si ha il potere di fare nulla (e volevo proprio vedere come avrebbero evitato di venire colpiti da un fulmine), bisognerebbe tacere e basta, cercando piuttosto di trovare un luogo in cui nascondersi entrambi. Solo chi può reagire davvero dovrebbe poter pronunciare parola…
E poiché io, come tutti, ero del tutto disarmato di fronte allo scatenarsi della natura, avevo trovato un riparo per me e la mia accompagnatrice, come ogni umile essere vivente. Sapevo di cosa parlavo.
Comunque, non poteva essere il temporale all’esterno a farmi provare quella vaga insofferenza.

La cameriera dalla divisa rossa depose sulla tovaglia scarlatta due calici di vino color sangue.
I miei occhi corsero allora sull’intero ambiente che, nella fretta di entrare, non avevo degnato di molta attenzione. Tendaggi di velluto scorrevano sulle vetrate laterali, il bancone era coperto da una morbido raso, ogni inserviente portava una divisa specifica secondo le sue mansioni, il lampadario centrale era chiuso da un vetro resina che lanciava bagliori per tutta la sala. Tutte queste cose erano completamente rosse.
Guardai vagamente quella tonalità ridondante e me ne sentii un po’ soffocato. Come se qualcosa di inconcepibile con la ragione rimbombasse nella mia mente. Un formicolio, un sibilo, un remoto messaggio subliminale. Non lo capivo, comunque.
Che fosse quello a lasciarmi uno strano senso di inquietudine?
Sollevai di solo pochi centimetri il calice brillante e, con lievi movimenti del polso, feci dondolare quel vino di ottima qualità come un mare in tempesta, osservando le onde assassine lasciare per qualche secondo un alone carminio sulla superficie trasparente.
No, il rosso non mi faceva impressione. Il sangue non mi aveva mai fatto ribrezzo, anzi forse una parte di me lo amava fino alla follia. Se fosse stato il Piacere a vibrare in quel modo, poi, perché solo ora? No, non era questo.
Solo allora vidi con la coda dell’occhio il calice gemello al mio venirmi porto dalla mano sottile e curata di Lulubell.
Scosso dai miei pensieri, alzai lo sguardo.

I capelli biondi, per la prima volta sciolti in tutta la loro lunghezza, scivolavano liscissimi dalle spalle a incorniciare il decolté parecchio pronunciato. Non che non avessi già notato vagamente in precedenza come l’abito che indossava, rosso con inserti dorati, fosse eccessivamente fasciante e scollato per una signora per bene. O comunque come la lunghezza della gonna fosse quasi indecente, dato che lasciava scoperta non solo la caviglia ma quasi anche metà polpaccio. Però, con quell’ampia stola di ermellino che si era procurata e che aveva indossato fino a poco prima, non era stato tutto così eccessivamente evidente. Ora, invece, leggermente piegata sul tavolo per allungare il braccio nella mia direzione in una posa alquanto azzardata, evidenziava quanto fosse ardito quello scollo che quasi metteva in mostra l’inizio del seno. La collana d’oro, di fili sottili, ma molto grande, impegnava quasi tutta la parte scoperta del petto, scivolando a cascata dal filo stretto iniziale che segnava la curva del collo. Le labbra fini, in quel momento leggermente semiaperte, sembravano essersi rimpolpate improvvisamente, grazie al rossetto color fiamma che vi aveva applicato. Gli occhi, animati da uno strano e febbrile fremito, mi fissavano in un modo invitante e minaccioso allo stesso tempo.
Ecco, quella era la stessa espressione che aveva avuto poco prima e che non avevo compreso.
O meglio avevo preferito non farlo…
Una bella gatta era pronta a “giocare” con il suo topo.

Mi riscossi con notevole difficoltà dall’improvvisa consapevolezza di quella visione e i miei riflessi furono piuttosto lenti nel far tintinnare il mio bicchiere con il suo, rispondendo a quell’invito muto ad un veloce brindisi. Sperai che non l’avesse notato, ma ormai non potevo più avere certezze.
Quella che avevo di fronte non era la Lulubell che conoscevo.
A patto che io conoscessi in qualche modo quella ragazza, cosa che non era così scontata, dato il ben poco tempo che avevo passato finora in sua compagnia. In ogni caso, era irriconoscibile.
- A cosa abbiamo brindato? – chiesi, evitando per un istante di guardarla, nel tentativo di non sembrare così sconcertato come mi sentivo. Bastò cominciare a parlare, comunque, per apparire subito più sciolto. Del resto, non ero certo un novellino nell’arte della seduzione e ora che avevo scoperto le sue intenzioni potevo difendermi facilmente. A patto di volerlo davvero, chiaro.
- Ad una bella serata? –
Fu ancora una volta agghiacciante sentire un tono così vellutato e suadente da parte del serio soldatino del Conte. Tuttavia, la curiosità di scoprire fino a che punto si sarebbe spinta ebbe il sopravvento e un sorrisetto mi comparve sulle labbra.
- Nonostante questo tempaccio? – e feci un cenno alla vetrata.
- Non vedo perché debba essere un problema. – sentenziò, quieta – Del resto, te l’ho detto. Ti avrei seguito anche sotto il peggior temporale. –
- E’ vero. Non me lo aspettavo, devo dire. – annuii, studiando una ad una le sue espressioni – Però dopo mi sono ricordato che per un bel gatto la pioggia è quanto di peggiore possa capitare. -
Prese un altro sorso di vino e, una volta riappoggiato il bicchiere sul tavolo, si mise a giocare passando con finta non curanza l’indice smaltato di rosso sul bordo del calice. Un’altra scena di repertorio, ma sempre molto efficace, dovevo ammetterlo.
- Fai bene a parlare di gatti. – riprese, senza mutare l’espressione rilassata, ma fissando intensamente quel gesto che fingeva essere spontaneo – In quanto felini, hanno molti istinti feroci insiti in loro e un innato desiderio di scoprire le cose di persona. Non si tirano mai indietro. Quando hanno uno scopo, poi, diventano implacabili. -
- Quindi l’avresti presa come una sfida? Non voleva esserlo in ogni caso. – scrollai le spalle – Strano, comunque. Credevo che i gatti fossero soprattutto animali nobili, eleganti, amanti del benessere e della tranquillità. Non questi grandi avventurieri. –
- Quando sono allo stato selvatico, finiscono per essere più simili alle tigri che ai cagnetti domestici. A meno che tu non mi stia paragonando ad un innocuo barboncino. – e alzò gli occhi affilati come lame sul mio volto.
- Tu invece ti stai paragonando ad una tigre…? – commentai con una smorfia dubbiosa – E soprattutto, in che modo dovresti sembrare così selvatica? Vivi in una ricca dimora, partecipi spesso a serate mondane, hai sempre una perfetta manicure… -
Il dito smise improvvisamente il suo gioco e la mano aperta accarezzò con lentezza il calice. Dalle mie parole si era accorta che avevo osservato bene quel gesto e stava diventando più “persuasiva”.
Un punto per lei.
D’accordo, tacitamente riusciva a trasmettere i suoi messaggi subliminali. Ora volevo capire se vi riusciva anche a parole, dato che per ora sembrava preferire girare intorno ad ogni concetto.
- Non è importante sembrarlo agli occhi di tutti. Ma bisogna svelare quella parte che nessuno immaginerebbe mai esista solo a chi potrà apprezzarla. -
Appoggiai i gomiti al piano dalla tovaglia rossa e posi il mento sulle mani giunte. Il sorrisetto malizioso con il quale avevo accompagnato quel metaforico scambio di battute fu ancora più funzionale quando domandai: – Quindi qual’era il tuo scopo? Accompagnarmi in un luogo appartato per poi sbranarmi come una belva feroce? –
La prima espressione allusiva che avessi mai visto su quel volto compassato rispose prima di lei: - Perché no? –
Secondo punto per lei.
Le mie labbra si stirarono ancora di più trattenendo una vera risata: - Sensibile alla carne, eh…? –
- Come chiunque altro. O sbaglio…? –
Diventava sempre più carezzevole quella voce. Lo sguardo penetrante, che traduceva ogni sottinteso in un invito. Quelle labbra rosse che sembravano aver finalmente trovato la loro vera funzione in un’espressione maliziosa. Ecco la Noah della Lussuria nella sua forma migliore, dedicata al Piacere, che per sua natura non poteva che assecondarla in quel vortice di desiderio.
- Non posso negarlo. – risposi e non feci nulla per nascondere l’occhiata che percorse tutta la sua figura visibile.
Ormai giocavamo a carte scoperte, come in una sfida a poker nella quale entrambi scoprivamo lo stesso full di semi diversi: una piccola passione, un piccolo bisogno, una tentazione che condividevamo, rendeva automaticamente la sfida pari, ma poteva diventare un pericoloso precedente.
Lei, civettuola, prese a solleticare con le dita i fili dorati che scendevano sul decolté, per attirare ancora una volta il mio sguardo su quella parte così interessante della sua figura.
- Rivelami il tuo trucco. – dissi improvvisamente, non facendomi pregare nel seguire i gesti della sua mano – Come pensavi di sedurmi? -
- Credo solo che questo vestito diventi terribilmente aderente se bagnato. – e i suoi occhi affilati passarono lentamente dalle mie labbra al collo e più in basso alla stoffa bianca che si intravedeva sotto la giacca nera – Almeno quanto la tua camicia immagino finisca per apparire trasparente. Pensavo solo che a quel punto la natura, mia o tua, avrebbe fatto il resto. –
Già, sarebbe di certo andata così. Vestiti fradici, pelle bagnata ma rovente, baci umidi e non solo di pioggia, brividi e sospiri, istinto selvaggio incurante di luogo e momento…
Eppure… Avrei davvero preso l’iniziativa? Domanda stupida all’apparenza: non avevo mai rinunciato ad un’avventura di una notte, non avevo mai evitato di sedurre qualunque donna mi fosse apparsa desiderabile a costo di illuderla malamente, non contavo le situazioni limite in cui mi ero imbattuto nella ricerca di un piacere sfrenato... Lulubell che allungava una mano suadente sul mio petto, Lulubell che si slanciava sul mio collo o sulla mia bocca, Lulubell che si sfilava la stola di ermellino per sfoggiare curve ancora più evidenti e sfidarmi a non sfiorarla nemmeno con un dito… Vedevo lei agire con tutta la sua sfrontatezza appena scoperta e io seguirla come se ciò non fosse che inevitabile.
Presi in mano il bicchiere di vino e ne bevvi un lungo sorso.
Anche in quel momento mi sentivo bruciare e se mi fossi trovato in un luogo meno affollato e meno compromettente, sarei arrivato decisamente vicino al punto in questione. Impossibile non farlo dopo tutto quello che ci eravamo detti. Questa era facilmente l’idea che si era fatta Lulubell: divorarmi parte per parte in un luogo appartato, anche subito, meglio subito. Allettante, certo, ma c’era un problema… Non lo volevo davvero, non completamente, altrimenti sarei stato io a prenderla per un braccio e portarla dove il tutto poteva avere luogo. E qual’era il problema…?
Non feci in tempo a formulare un’altrettanto interiore risposta…
Quando alzai di nuovo gli occhi sulla mia compagna, inaspettatamente guardava fuori dalla finestra, gli occhi affilati a fissare con astio all’esterno, come un gatto intento a soffiare contro un nemico. O un rivale.
- Cosa c’é…? – chiesi, facendo per girarmi al fine di scoprire cosa avesse attirato la sua attenzione.
Una mano dalle lunghe unghie rosse artigliò il mio polso appoggiato al tavolo e lei si voltò prontamente, una vibrazione sinistra nel tono: - Prendiamo una sala appartata. Andiamoci subito. Ora. –
- Lulù, cosa… - tentai di chiedere, ma la stretta divenne ferrea.
- Se mi vuoi devi decidere ora! – esclamò a bassa voce accostando il viso il più possibile al mio.
Ero sicuro di cosa avrei risposto? La foga di quel comportamento richiamava la necessità di lasciarsi andare all’attrazione: non me la sentivo di negarne la forza bruciante. Eppure presi tempo e cercai di farlo distogliendo lo sguardo. Dirigendolo alla finestra.
Una persona lì fuori, bagnata da capo a piedi, visibile grazie all’ultimo lampione ancora ardente nonostante il temporale, che fino a poco prima non mi ero neanche accorto essere scoppiato con tutto il suo corredo di lampi e tuoni, fissava, come allucinata, il locale. O meglio proprio noi due che vi sedevamo. Quella era sicuramente Vivy.

Sgranai gli occhi a quella visione inaspettata e sussurrai, ancora incerto: - Vivy…? –
- Tyki! -
Quando, a quel richiamo, tornai a posare lo sguardo su Lulù, l’incantesimo che aveva su di me era svanito. Tutto ciò che era passato nella mia mente, non saprei dire per quale prodigio, era scomparso, lasciando il posto a domande che riguardavano la giovane soprano appostata in quel vicolo scuro. Cosa ci faceva lì? Perché non era alle prove? Perché non aveva un ombrello? Cosa le era successo per avere quell’espressione sconvolta?
Approfittando della mia esitazione scivolò dal polso fino alla mia mano, che imprigionò nella sua: - Non fare sciocchezze. Resta qui con me! – Non era una supplica, non era una richiesta, appariva come un ordine, un richiamo alla mia parte selvaggia.
Fallì. Senza esitazione mi sottrassi da quella presa e afferrai il cappotto e l’ombrello, deciso a raggiungere la mia promessa.

Nel tempo in cui aprii quell’utile strumento sull’uscio del locale, feci solo in tempo a vederla allontanarsi in fretta, attraverso quel vicolo scuro. La seguii con passo veloce, senza tuttavia capire perché stesse scappando.
Comunque, non andò lontano. La trovai nella traversa successiva, afflosciata contro la parete, tremante, che si stringeva addosso il cappotto fradicio. Mi dava le spalle, convinta forse che non l’avessi raggiunta. Mi avvicinai lentamente, quanto bastava per coprirla con l’ombrello, ma scelsi la tempistica peggiore che esistesse per metterle una mano sulla spalla, perché quasi contemporaneamente un lampo e un tuono suggellarono all’unisono quel contatto. Lanciò un grido acutissimo, isterico, e scivolò a terra, singhiozzando come folle. Io stesso mi spaventai parecchio e sobbalzai sul posto, riuscendo comunque subito a reagire.
- Vivy, sono io! Calmati! – esclamai, piegandomi sulle ginocchia per arrivare a sua altezza.
Allora, molto lentamente, voltò il viso verso di me. Prima, a quella debole luce non me ne ero accorto, ma il suo volto terreo come la morte mostrava cicatrici crociate, mentre gli occhi erano gialli e indemoniati. Era tanto bagnata da non lasciarmi distinguere le lacrime dalla pioggia, ma ero certo che stesse piangendo fino a poco prima, anche se, non appena intercettò i miei occhi, cercò di darsi un evidente contegno. I denti battevano lievemente, quando tentò infine di parlare: - Tyki… Sto bene… -
- Mi fa piacere. – commentai, ironico – Ma domani ti verrà la polmonite se starai ancora sotto la pioggia. – mi misi in piedi e le porsi la mano per aiutarla ad alzarsi – Andiamo al riparo. -
- No… Stai con… Lulù… Io vado a casa… - sussurrò, tremando tanto forte da sembrare scossa in ogni parte del suo corpo.
- E l’opera? E le prove? – chiesi, cercando di risultare quanto più posato riuscivo.
- Nulla… Voglio… andare a casa… - rispose ancora, scuotendo la testa, tesa.
- Cosa ti è successo, Vivy? – domandai allora, posandole una mano sul capo, sui capelli bagnati, ormai tutti appiccicati.
Non giunse nessuna risposta se non un brivido forte che le fece stringere ancora di più le braccia intorno al petto.
- Ti porto io a casa. – dissi allora, ancora una volta alla sua schiena, che non aveva smesso di rivolgermi dopo il primo, sfuggente, sguardo – Ma prima voglio che tu prenda qualcosa di caldo e ti asciughi un po’. Vieni con me, per favore? -
Di nuovo tacque ma si lasciò aiutare ad alzarsi da terra.
- Però prima devi far sparire i colori dei Noah, se no… -
Avevo intenzione di lasciare la frase in sospeso in quel punto, ma fu vedere i suoi occhi sgranarsi e le sue labbra tremare a farmi smettere di parlare. Solo panico fluì dalle sue parole sconnesse:
- Non… Ti prego… dimmi che… dimmi che non è vero… - si prese il volto tra le mani – Io… non riesco… Non ci riesco! – esclamò infine, con una Paura pulsante che perfino a distanza riuscivo a percepire nettamente.
Aveva perso il controllo del sangue Noah…? Poteva accedere davvero qualcosa di simile…?
- Ora stai calma. – la presi per le spalle con fermezza – Sei sicura di non riuscire a ritornare in te? -
Annuì, senza alzare il capo dalle mani giunte.
Insistere non avrebbe portato a nulla, contando quanto fosse sconvolta. Allora semplicemente mi sfilai il soprabito e glielo posai sulle spalle. Alzai il colletto per coprirle quanto possibile il viso ingrigito e le scompigliai frettolosamente la frangia annacquata per coprire alla meglio le cicatrici.
- Non si vede nulla. Ricordati solo di tenere gli occhi bassi e socchiusi quanto puoi. Appoggiati a me. Andiamo. – dissi, risoluto, passandole una mano intorno alle spalle per guidarla e coprirla con l’ombrello.

Lulubell se ne andò immediatamente. Quando entrammo nel locale era già in piedi, con la stola a coprirle parte dello scostumato abito. Non la fermai, anche se la cortesia avrebbe voluto che almeno le offrissi di restare, con la sicurezza che comunque non avrebbe accettato. Non fece caso alla mia mancanza, ma ero certo che avesse fulminato con vivo odio sia Vivy sia il mio braccio che ancora la avvolgeva. Accettò il mio ombrello e salutò entrambi con rigida cortesia, senza concedere neanche un’occhiata alla ragazza.
Chiesi ad una delle cameriere rosso vestite se poteva concederci una sala privata e portarci un tè caldo e un calice di vino rosso, oltre ad un paio di asciugamani.
Ci accompagnò ad una stanzetta illuminata solo da un candelabro posto su un tavolinetto di mogano, arredata all’orientale, anche se ancora con i più vari toni del sanguigno. L’addetta si chiuse i pannelli a scorrimento alle spalle prima di andare procurarsi ciò che le avevo chiesto.
Vivy prese a muoversi lentamente, ma quasi a scatti. Prima si tolse dalle spalle il mio soprabito e lo piegò sul bracciolo del divano rivestito di tessuto carminio, ricamato con aironi in volo e fiori di loto. Poi si passò una mano incerta tra i capelli scuri, tentò d lisciarsi il vestito verde per quanto la stoffa fosse scomposta dall’effetto bagnato, cercò di asciugarsi il viso con una manica del tutto fradicia…
- Per favore, siediti. – la invitai, indicandole lo spazio rimasto tra me, che avevo già preso posto, e il mio cappotto abbandonato nell’angolo opposto.
- Io… dopo… ora devo… - cercò di opporsi, senza trovare una scusa soddisfacente.
- Non c’è nulla che tu possa fare finché non arriva qualcosa per asciugarti e per scaldarti. Quindi, puoi solo sederti e calmarti. – risposi, risoluto.
Sospirò un po’ più forte e si sedette, rigida, con le braccia conserte. Meglio che nulla. Vederla ancora a lungo affannarsi per evitare di fermarsi e sentire scorrere la piena del panico mi avrebbe reso ancora più suscettibile di quanto già non fossi. Era la terza volta da dieci minuti che cercava di contraddirmi e, nonostante avessi imparato che dove non bastava un “per favore” aveva maggiore effetto una seria risoluzione, non avrei permesso che tentasse ancora una volta a prendere le distanze.
- Perché… non siamo… andati a casa…? – chiese improvvisamente, con voce spezzata dai tremiti.
- Perché sei sotto la mia responsabilità e non posso permettere che il Conte ti veda in queste condizioni. Prima devo essere sicuro che tu stia bene. – risposi, con la scusa più logica che avessi in mente.
Vera, certo, ma anche falsa. In realtà ero convinto che una volta tornati si sarebbe chiusa in bagno per farsi una doccia calda, sarebbe tornata frettolosamente nella sua camera, impedendomi di entrare con qualche pretesto, poi ne sarebbe uscita qualche ora dopo, se non proprio il giorno successivo, con uno dei suoi sorrisi concilianti e tutta l’intenzione di sviare ogni mia domanda sul tema. Non potevo premetterlo, dovevo capire cosa fosse successo.
Per quanto avrei preferito mille volte ammettere di essere meramente incuriosito dal suo stato, piuttosto che preoccupato, probabilmente le proporzioni delle mie sensazioni erano molto diverse. Mi chiedevo cosa avesse potuto ridurla a questo stato di sconvolgimento e Paura, tale da renderla del tutto indifesa e sofferente.
- Io… sto bene… - disse ancora, anche se nel farlo notai distintamente la brutta piega che assunse la sua bocca, quasi si rifiutasse di formulare l’ennesima bugia.
Stavo per ricordarle malignamente che in quel caso sarebbe riuscita a cancellare le cicatrici scure dalla fronte, ma l’idea di una sua nuova crisi isterica mi trattenne. Anche perché non era il momento di punzecchiarla, per nulla. Allora, cosa dovevo fare esattamente?
Il pannello di velina scarlatta si aprì per accogliere la cameriera con una pila di asciugamani bianchi. Ringraziai la prontezza di spirito che Vivy dimostrava di avere nonostante tutto: per evitare che la ragazza notasse quella sua stranezza, tuffò quasi la testa nel mio cappotto, fingendo di cercare qualcosa in una tasca. Tornò a sedersi compostamente non appena l’estranea uscì.
- Poteva anche portare tutto insieme, asciugamani e ordinazioni. – commentai, afferrando un telo perfettamente stirato e spiegandolo davanti a me. Glielo posai piano sulle spalle. Era il più grande dei due e poteva avvolgerle completamente spalle e petto. Passai piano le mani su quel tessuto, dalle spalle alle braccia, cercando di raccogliere almeno l’acqua che ancora impregnava la pelle e eccedeva nel tessuto lucido.
Lei non mosse un muscolo e mi lasciò fare, in silenzio, anche se la tensione stringeva le sue membra in una rigidità soprannaturale. Mi sarei sentito troppo un animale ad approfittare della situazione per continuare ad accarezzarla attraverso quel morbido mezzo. Non era proprio il caso né il momento per quei pensieri. Evidentemente stavo ancora degenerando, almeno mentalmente, dopo tutte le bizzarre esperienze di quella serata, per altro non ancora finita.
- Stringitelo bene addosso. – le consigliai, limitandomi ad avvicinare i due opposti lembi del telo perché se lo avvolgesse secondo suo gusto. Sfiorai involontariamente la sua pelle, gelata e scivolosa. Continuava a guardare altrove, come per un’incomprensibile vergogna e pudicizia.
Tutta quella sua eccessiva vulnerabilità mi rendeva strano. Da una parte ardito, dall’altra timoroso. Non in me di certo, proprio come lei sembrava lo spettro di se stessa.
Presi prontamente un altro asciugamano: - Vivy. – e sentendosi chiamare quasi sobbalzò, richiamata alla realtà fuori dall’incubo da cui era immersa – Dovresti asciugarti un po’ anche i capelli. –
Ancora non ricevetti risposta, quindi non mi sentii in dovere di chiederle altro.
Le sfilai, lentamente per non farle male, i pettini che la acconciavano e con le mani, non senza difficoltà, le districai i capelli neri, folti e leggermente mossi. Poi il massaggiai al meglio che potevo con quel tessuto spugnoso, dalla loro considerevole lunghezza alla cute delicata. Continuai anche quando sentii la maggior parte del telo umido, ipnotizzato da quel gesto a me stesso inconsueto e dalla strana accondiscendenza della mia fidanzata.
- Perdonate l’attesa! – intervenne la cameriera, prima ancora di entrare, cosa che mi permise di calare prontamente l’asciugamano sul capo di Vivy, che abbassò altrettanto in fretta la testa per nascondere i segni dei Noah, ancora visibili. La ragazza posò un vassoio scuro sul tavolo modanato e appoggiò le ordinazioni, poi ci esortò a chiamarla se avessimo avuto bisogno di altro.
Una volta che un delicato tonfo le segnalò la chiusura della stanza, Vivy si tolse il telo che l’aveva nascosta, ma si strinse ancora al petto quel tessuto che continuava ad avvolgerle le spalle, mentre si piegava sul basso tavolino per raccogliere la caraffa bollente e versarne il contenuto nella tazza. Notai con un po’ di disappunto il ticchettio provocato dai tremiti continui delle mani bianche. Presi un sorso di vino, prima di allungare istintivamente una arto per aiutarla a reggere la teiera, che sembrava prossima a fracassarsi a terra.
- Stai ancora tremando, Vivy. Non puoi negare di stare male. - osservai, trattenendo le sue dita tra le mie e il calore della porcellana – Devi dirmi cosa posso fare per aiutarti… -
Sapevo che la mia condizione di impotenza era perfettamente compresa in quella frase. Sapevo come questa rappresentasse una debolezza del tutto inaccettabile. Sapevo che comportarmi così segnalava una compassione che non dovevo neanche pensare di manifestare. Eppure stavo arrivando all’esasperazione.
Sentii, più che vederli, dato che erano ancora molto lontani dall’incontrare i miei, i suoi occhi riempirsi di lacrime, che però trattenne prontamente. Udii un solo lieve singhiozzo e poi sospiri ripetuti, per imporsi la calma. Non voleva piangere di fronte a me, evidentemente. Come se non immaginassi che anche lei avesse un lato sofferente, debole e sconfitto… Sciocca, pensai, in un istante di stizza, ma mi trattenni dall’intervenire.
Allontanai le mani e lei fu libera di sollevare il piattino, che però si alzava instabile, facendo tintinnare anche la tazza che vi era appoggiata. Sospirai, distogliendo lo sguardo. Non aveva senso che restassi lì, se si ostinava a non volere nessuno, a non volere aiuto. E l’amarezza che mi avvolse fu la sensazione più intensa che mi scoprii a provare.
- Non… mi puoi aiutare… - la sua voce era debole, lieve e fragile.
- Non puoi saperlo se continui a non volermi parlare. – le risposi, volgendo anche il capo lontano da lei, come se fossi un immaturo ragazzino offeso.
Prese un respiro affranto, che mi riempì di mestizia. Cercai di scacciare quella sensazione, segno dell’empatia che non potevo permettermi di avere, a nessun costo.
- Volevo… dimenticare… Voglio dimenticare… - sussurrò – E… non ci riesco… mai… -
- Cosa? – chiesi, cercando di apparire ancora distaccato, anche se sentirla finalmente pronunciare tante parole di seguito mi stava quasi svegliando dal letargo.
- Era lì… Quel volto… Quelle parole… Mi ha… mi ha toccata… Dio… -
- Chi? Chi era? – domandai ancora, voltandomi finalmente.
- Si chiama... Rouelle… Padre Rouelle… -
- Raccontami… - le chiesi, appoggiando una mano sulla sua, che teneva in grembo – Cosa vuole quel monaco da te? – e non potei evitare di mostrare tutta la mia disapprovazione di principio sulla qualifica di quell’uomo a me ignoto.
Quel contatto attirò i suoi occhi affranti su di me. Le labbra tese, arrossate forse dall’essere state a lungo mordicchiate nervosamente, si curvarono piano verso il basso, infelici.
- Lui… Ha catturato me… e mia madre… Ci accusava di… essere streghe… - spiegò brevemente, ma con dolorosa fatica – Io non so… Lui… Credeva che… i poteri… dei Noah… fossero… stregoneria… -
Aggrottai le sopraciglia: - Un inquisitore fuori dal suo tempo… - sentenziai, sentendo il disgusto per quella persona che neanche conoscevo crescere oltremisura - Anche tua madre è una Noah…? – domandai subito dopo, notando che lei sembrava  pronta a chiudersi di nuovo, a seguito della mia osservazione irriverente. Del resto il suo sguardo era tornato basso e distante.
- Si… Lei… Insomma… Quel tipo ha detto… che era la Follia… - rispose, scuotendo la testa, come per scacciare qualcosa di peggiore.
Rimasi un secondo in silenzio perché qualcosa non quadrava. Chi era “quel tipo”? Se il prete non sapeva neanche cosa fossero i Noah, chi era stato a riconoscere per tale la madre di Vivy?
- Di chi stai parlando ora? – chiesi allora, confuso.
Scosse la testa sempre più forte, come se non volesse prendere coscienza di quello che diceva: - Non lo so… L’hanno chiamato… Bookman… Non so altro… Però ha usato… quella cosa… Quel… cristallo… -
- Innocence…? – chiesi, io stesso abbastanza sconvolto all’idea di dover davvero usare quella parola, per la prima volta. In effetti aveva un suono molto fastidioso…
- Quando l’ha usata… la mamma… - sentii le sue mani artigliarsi in parte sulla mia in parte sul tessuto della gonna, mentre il silenzio sospeso lasciava intendere ogni cosa.
- Vivy… - cercai di intervenire, sentendola esitare.
- Ma è stato Rouelle ad ordinarglielo! Quel vecchio mi ha… mi ha salvato la vita, Tyki! – esclamò improvvisamente, come se mi avesse letto nella mente la disapprovazione per quella nostra misteriosa nemesi.
- Calmati, ho capito. Devi la vita a questo Bookman. – assentii, con una smorfia poco convinta.
- Lui mi ha protetta… Ha convinto… quel… demonio… Quello… credeva già… di vedermi… - il suo tono divenne improvvisamente stridulo - … diventare polvere… ai suoi piedi…! –
- Vivy… - tentai di interromperla ancora, questa volta alzando la mano deposta sul suo grembo e portandola a quel viso diretto a terra, sul quale vedevo luccicare il riflesso delle prime lacrime.
Fece resistenza per qualche istante al mio desiderio di guardarla, finché giunsi ad accarezzarle la guancia con maggiore delicatezza. La Paura regnava sul suo volto d’angelo, sporcandolo in un modo che solo io potevo accettare e comprendere. Questo mi rendeva anche l’unico che potesse aiutarla a liberarsi dal suo incubo.
- Scusa… - bisbigliò, come se quelle lacrime fossero un tremendo peccato.
- Non devi scusarti. Hai guardato negli occhi la parte peggiore del tuo passato, è normale restarne scioccati. – ma non riuscii a reprimere del tutto il dispetto che mi provocava la sua vergogna nei miei confronti e sentenziai, severo: – Non vergognarti di me. –
Trattenne un singhiozzo e si passò le dita sugli occhi: - E’ stato Bookman… a dirgli… che avevano ordinato… entrassi nel… convento… Non credo… fosse vero… Ma l’altro… non poteva opporsi… Ora… come ha fatto… a trovarmi…? – mi chiese, come se potessi spiegarle perché le fossero avvenute tutte quelle cose tremende.
- Non lo so. Doveva accadere e basta. -
Eppure sentivo una sensazione nota vibrarmi nella testa. Quel marchingegno che funziona solo quando qualcuno lo attiva, non può trovare energia che nell’accensione di un interruttore. Un meccanismo che solo un artigiano poteva far funzionare. Nell’ombra, nel silenzio. Aveva un nome, poteva averne uno solo…
Fu a causa di questo pensiero inquietante che mi distrassi. Altrimenti non avrei fatto un errore tanto clamoroso.
- Non sai nulla di tuo padre? – chiesi.
Fui ingenuo e stupido a parlare di qualcosa a cui lei, volontariamente, non aveva neanche accennato. Anche se non l’avesse mai conosciuto, sarebbe stata piuttosto fuori luogo come interrogazione. Oltretutto era assurdo toccare quel tasto dopo tutti i sottintesi che aveva lasciato sulla sorte della madre.
La sua reazione fu anche peggio di quello che avevo visto finora.
I suoi occhi divennero vitrei, mentre un orrore che non potevo immaginare si materializzava nella sua mente. Uno spasmo la attraversò e la Paura vibrò in ogni sua fibra. Faceva quasi male percepirne la manifestazione, tanta fu la sua forza in quell’istante. Si prese il viso tra le mani e cominciò a gridare. Gli urli ne uscivano soffocati ma riempivano la stanza con un lugubre rimbombo.
Scattai senza neanche accorgermene.
Le mie braccia la avvolsero con foga e concitazione, ma manifestando una naturale attitudine a quel gesto così raro. La strinsi più forte che potevo e una mia mano corse alla sua nuca, facendole appoggiare la fronte sulla mia spalla.
- Perdonami. Sono stato un idiota. Ti chiedo scusa. – dissi, sinceramente pentito della mia leggerezza. La cullai piano tra le braccia fino a che smise di gridare.
- Tyki… Io… - sussurrò, rauca, facendo per staccarsi.
- No, non dire più nulla. La colpa è mia. Tu resta qui fino a che vorrai. Sfogati. – la incitai, tenendo le braccia avvolte alla sua schiena scossa dai singhiozzi.
Allora si strinse altrettanto disperatamente a me, afferrando forte la mia giacca con le dita e immergendo il viso nella mia spalla, e prese a piangere forte, istericamente. Sentendola abbandonarsi contro di me, assunsi una posizione più comoda facendola sedere sulle mie gambe, i suoi piedi giunti a penzoloni del divano, e poggiandole la schiena al sedile e al mio braccio disteso, finendo per sostenermi contro lo schienale solo con la spalla a cui era accoccolata.

Non so per quanto tempo rimanemmo così prima che riuscissi a sentire il suo respiro regolarsi lievemente, anche se i singhiozzi ritmati persistevano. Il suo abito bagnato a contatto mi aveva inumidito il completo fino alla pelle sottostante, ma non mi importava. I bei capelli neri, sciupati dal tempo e dall’asciugamano, accarezzavano comunque con una certa grazia e gradevolezza la mia guancia e il mio collo. Il contatto della sua mano delicata con la nuca a cui si era aggrappata con tanta disperazione era qualcosa di tenero e inaspettato. Le mie dita accarezzavano pudicamente un corpo sottile e delicato, magro e desideroso di protezione, nonostante un palmo, nella nuova posa, non potesse arrivare che ad un fianco della giovane. Anche se l’acqua l’aveva diluito e svalorizzato, riuscivo a sentire a tratti qualche nota del suo profumo di pesca. Quella vicinanza, che in qualunque altra situazione mi avrebbe provocato solo pensieri poco casti, ora mi ammantava di una tenerezza inaspettata.
E quando un luogo imprecisato del mio inconscio diceva che non era questa la sensazione che mi si addiceva, lo mettevo a tacere beandomi di quella dolce figura che cercava in me una fuga dal suo spaventoso passato.
- Tyki… - mi chiamò, con una dolcezza flebile e candida – Ti ho bagnato tutto… Scusa… -
- Non importa. – le risposi, con i sensi intorpiditi dalla lunga posa pressoché immobile.
Staccai piano una mano dalla sua schiena per afferrare il calice di vino e berne un sorso. Anche lei si mosse: staccò le mani da me, ma solo per prendere a lisciare piano la spalla della mia giacca, ormai bagnata. Allora avvicinai lentamente il bicchiere al suo viso:
- Bevine un po’. – la incitai.
- Sai che sono astemia... – si lamentò lei, cercando di allontanarlo con un gesto.
- Si, ma un sorso non ti farà male. Anzi, proprio perché non sei abituata, potrebbe farti un buon effetto rilassante. – insistetti.
- Sei sicuro…? – chiese, lieve, ma lasciò che le accostassi infine il bordo del cristallo alla bocca. Permise solo un piccolo sorso prima di fermarmi la mano, che insisteva ad inclinare e versare.
- … E’… - cercò un momento la parola migliore - … Brucia… - commentò, infine, scontenta.
- Se brucia fa bene. – sentenziai, come se sapessi di cosa parlavo.
Posai nuovamente il bicchiere al suo posto, ma la sua voce mi interpellò prima che potessi avvolgerla di nuovo in quell’abbraccio, ormai tanto famigliare:
- Tyki… Ho ancora… - esitò un istante - … la Paura…? –
Le alzai piano il capo dalla mia spalla prendendolo tra le mani. Il volto era piuttosto roseo, le cicatrici lasciavano solo un delicato alone, ma le iridi erano ancora rapaci e diaboliche.
- Un po’… - minimizzai – Hai ancora gli occhi un po’ gialli… -
- Oh, no… E ora come faccio? – domandò preoccupata, mentre le lacrime si preparavano a scendere nuovamente.
- Non ti agitare. E’ peggio. Ci vuole solo un altro po’ di tempo per riprenderti. – conclusi, mentre il pianto bagnava le mie mani ancora appoggiate sulle sue guance.
- Non volevo che mi… vedessi così… Io voglio essere forte… - disse infine, dando voce a quei gesti che avevo io stesso interpretato poco prima.
- Non ne hai bisogno. Questo tuo lato più fragile, ora che lo conosco, non è più un punto debole. – sentenziai, serio, senza smettere di ricambiare il suo sguardo lacrimevole – Fidati di me. –
- Tyki… - intervenne, preoccupata.
Sapevo perché lo era, ma non potevo evitarlo.
Volevo eliminare quel monaco. Volevo cancellare quell’incubo dalla mente di Vivy. Volevo vedere il terrore nello sguardo di quel verme assassino, lo stesso terrore che instaurava nelle sue vittime. Volevo sentirlo implorare la mia pietà e poi, nella disperazione totale, abbassarsi a chiedere a lei quella misericordia che lui non avrebbe mai usato alla sua prigioniera. Volevo vedere quell’orrendo essere umano, quel violento uomo di Dio, pregare noi, segnati da un sangue diabolico, ma suoi unici giudici. Volevo sentire la soddisfazione di negargli ogni speranza.
Ucciderlo con queste mani. Ucciderlo macchiandomi del suo sangue infetto, ma provare la sensazione di infilzare quel corpo debole alla voluttà della violenza. Sentirlo agonizzare, mentre lo obbligo, con le sue ultime forze, a guardare negli occhi la donna che porterà sempre nell’anima il ricordo del male che lui le ha fatto. Ordinargli di chiederle perdono. E infliggergli infine la morte, la sua condanna, con tutto il Piacere che me ne sarebbe derivato.

Ricordai allora il discorso di Lulubell. Aveva deciso di svelare il suo lato segreto solo a me.
Poco prima Vivy era stata obbligata dalle circostanze a mostrarmi il suo.
Ora il mio mi appariva sul volto, inevitabilmente, con i tratti malvagi dei Noah, mentre mi inebriavo di quella deliziosa fantasia di vendetta.

Sorrisi a quel volto affranto e spaventato che stringevo tanto bene tra le mani: - Ti proteggerò da quell’uomo. Ti libererò di lui. Ad ogni costo. Con Piacere cancellerò quello schifoso da questo mondo. –
- Tyki, ti prego… No, non farlo… - sussurrò, spaventata, afferrandomi spasmodicamente i lembi della giacca.
- Credi che meriti tanti riguardi da parte tua? Non temere, ci sono io… - e seppi che ormai un ghigno carico di aspettativa per quel momento riempiva il mio viso.
- Non voglio che… tu uccida nessuno…! Promettimi che non ucciderai nessuno! – esclamò, liberandosi dalle mie mani.
Temetti per un secondo eterno che il suo animo immacolato si sarebbe ribellato al punto da allontanarsi del tutto da me. Temetti che a quel punto cominciasse ad avere Paura anche di me.
Invece, appena libera, si slanciò contro di me, cercando ancora riparo e sicurezza tra le mie braccia.
Poteva odiare quel mio improvviso desiderio omicida, ma non poteva negare che fosse tutto rivolto alla sua difesa. In quel momento, ero certo che avrei fatto di tutto per difenderla. Nel lato più insicuro e fragile del suo carattere non poteva che essermene, suo malgrado, riconoscente.


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Holà-Holà!|
Sono tornata ancora, sempre più drammaticamente in ritardo...
Mi scuso fin da subito con coloro che (magari) mi hanno aspettata al varco finora... Avrete fatto provviste per accamparvi lì nella selva più selvaggia per... 5 MESI... ò_ò

Ad ogni modo, quello che leggete é per l'80% il risultato del lavoro esclusivamente serale di queste ultime due settimane. Mi sono resa conto con disperazione che se non aggiornavo ora, non l'avrei più fatto probabilmente per questo intero anno, quindi ho cercato di non lasciare alla deriva questa fanfiction per un altro numero indefinito di mesi.
Devo dirvi che tre parole hanno rischiato di farmi impazzire in questo capitolo: nell'ordine, "mani", "occhi" e "asciugamano"... Non sapevo  più dove trovare sinonimi elaganti a questi termini... Quindi, se trovate ripetizioni (ma spero di no!) abbiate pietà... ç_ç
Come si suol dire, non si conosce mai abbastanza una persona.
Trovo sia indispensabile che Lulù sia anche così, una diabolica gatta morta. Altrettanto che Vivy non riesca sempre a combattere contro tutto e tutti, riuscendo alla meglio a nascondere i suoi incubi. Allo stesso modo, che Tyki senta in qualche modo quell'istinto alla violenza che é connaturato alla sua figura (anche se, in questo punto della mia storia, é ancora lontano dal diventare il diabolico persecutore di cui abbiamo tutti una chiara immagine).
Ecco, spero di non aver esagerato con le smancerie, soprattutto quelle compiute da lui, piuttosto contrverse rispetto alla sua figura tradizionale... Se vi sembra che l'abbia "rammollito" troppo, pensate che alla fine é  stata una strana serata anche per lui e non sapeva bene quello che faceva, ormai... ^^''''
Con questo, finisce il mio angolino, perché non so che altro aggiungere. u_u
Mi dispiace per l'attesa lunga che vi ho preannunciato, ma vi prego di portare pazienza: gli esami si preannunciano drammatici, questo trimestre... ç_ç

Grazie a tutti coloro che leggono, leggeranno, daranno un'occhiata, lasceranno una recensione (siate numerosi!)!!!
Grazie a tutti coloro che nonostante tutto non hanno ancora tolto questa storia dalle preferite e/o dalle seguite!!!

Lady Greedy = Oh, grazie per essere tornata a recensire! *_* Mi ricompari sempre sui gemelli, sarà un caso... XD Devo dirti che anch'io ho sempre avuto forti pregiudizi su Lulubell, ma a forza di cercare di parlare di lei, comincio a vederla come un personaggio normale. Certo, con questo, sarà sempre e comunque dal lato sbagliato della mia personale barricata... Eh, si... ^^

TriggerHappy = Dato che nel frattempo hai cambiato nick, ci ho messo un secondo a riconoscerti, ma ora ci sono, "ex-Bohemienne"!!! ^^ Spero di non trovarti eccessivamente languente, dato il tempo interminabile che ho lasciato passare... Mi dispiace, ma i miei trip mentali mi hanno condotta altrove per un po' e l'università ha fatto il resto... Grazie perla comprensione!
Come vedi bene anche da questi messaggi, il "puntini-puntini" é un mio vizio. Mi sto sforzando di rimediare, comunque, e appena avrò un po' di tempo, cercherò di dare un occhio ai vecchi capitoli per minimizzare l'effetto. I puntini abbondano anche in questo capitolo, ma era l'unico modo che avevo per cercare di mostrare chiaramente le interruzioni e i tremiti di Vivy. Ad ogni modo, ti ringrazio molto per la segnalazione!!! Spero che questo capitolo ti piaccia!!! ^^


Loveless_ = Ti ringrazio da subito per la preferenza e l'apprezzamento di Vivy!!! *_* Non finirò mai di inneggiare a tutti coloro che apprezzano il mio personaggio originale, nonostante tutte le sue fisime e il suo stile melodrammatico! Grazie mille!!!
Il potere di Vivy... dunque... *pensa* ò_ò ... verrà fuori più avanti... Decisamente più avanti... In effetti devo ancora definire un paio di cose al riguardo, ma qualche tempo fa ho avuto l'illuminazione che mi é servita per quella scena del capitolo precendente. Se non cambierò idea in futuro, quello che si può intuire di quel passaggio non é che un frammento del potere che le voglio assegnare, ma é ancora tutto da specificare. E poi, anche se avessi vere certezze, non credo potrei fare questo spoiler colossale... Ad ogni modo, la tua curiosità verrà appagata: ti ci vorrà parecchia pazienza con me, ma non disperare!


I Am NOT = Aiko, ti ringrazio molto per la recensione e la preferenza!!! XD  Tutti questi complimenti al mio modo di scrivere mi commuovono sempre (soprattutto in questi casi, quando, cioé, ho dato di sclero per tentare di dare una forma un po' lineare all'intricata mentalita di Tyki e ai miei random mentali, uniti insieme in un minestrone di follia... ò_ò)!!!
Devo dirti che, incuriosita, ho dato una scorsa alla tua storia, ma la scarsità di tempo non mi ha permesso di leggere tutto, se mai di farmi giusto un'idea. Quando riuscirò a fare le cose per bene, ti lascerò volentieri un commento! ^^ E ti saprò dire se vedo davvero l'ipotetico plagio di cui mi avvisi preventivamente... Per quello che ho potuto vedere in uno dei capitoli che avevo aperto a campione, non devi farti questi problemi! L'idea di Tease é decisamente diversa e originale, basta questo direi, poi le situazioni possono essere simili, é inevitabile! ^^
Spero ti piaccia questo capitolo e ti ringrazio anche della pubblicità che mi hai fatto!!! XD




  
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