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Autore: StephEnKing1985    19/11/2010    3 recensioni
Alberto aveva un ragazzo, Nathan. La loro relazione durava da cinque anni, fino a che un giorno Nathan non uscì di casa e non scomparve. A distanza di due anni, Alberto è ancora solo e non sa cosa fare della sua vita. Mentre cerca di rialzarsi, misteriosi omicidi sconvolgono la tranquilla città di Torino. Conoscendo le vittime, Alberto si sentirà in dovere di indagare. Aiutato da uno scrittore, Alberto seguirà la via dell'assassino, fino a scoprire un'agghiacciante verità che mai avrebbe potuto immaginare.
Genere: Dark, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ventitre

Ventiquattro

Thomas si svegliò di soprassalto a causa del rumore del telecomando che cadde sul pavimento del suo loft, mentre lui era addormentato sul divano. Intorno a lui, soltanto le stampate delle fotografie della stanza delle torture e poi della camera imbottita. “Cristo… che sogno. Sembrava troppo realistico…” pensò, strabuzzando gli occhi per cercare di vedere meglio. “Ho trovato la soluzione del caso…? Ma che cavolo ho sognato…?” prese in mano una delle stampe, che non erano cambiate per niente. Le solite fotografie, con quelle stupide lettere scritte sui muri e sulla porta. Cosa cavolo stavano a significare…?

Una volta, durante la sua carriera universitaria, si era trovato a risolvere quiz criminologici di una certa difficoltà. Era riuscito a risolverli tutti, ma il più difficile era sicuramente quello dove l’assassino firmava (consciamente o inconsciamente) i propri delitti con un qualche segno. Ricordava che l’assassino tracciava un piccolo triangolo rosso su una parte del corpo dell’assassino, oppure un’ape, o qualcosa di simile. Lì il mistero stava nel cercare di mettere in relazione i vari segni, fino a giungere ad una conclusione piuttosto sensata. La soluzione del suo test era in un nome, Diogene Triapecchi. L’aveva risolto con grande sforzo mentale, e si era pure stupito di quanto le menti che non funzionano riuscissero ad essere così labirintiche e machiavelliche. Criminali, appunto. Questo gioco con le lettere, era una cosa simile. Si trattava solo di trovare la chiave, che lui stava appunto cercando di … ma dov’era finito il suo bloc-notes? Frugò con la mano sotto di sé, senza risultato. Andò a cercare sotto i cuscini e lo acchiappò finalmente.

“Dunque… qui mancano alcune lettere. Nel mio sogno…” sbuffò, cercando di rimetterne insieme i pezzi “…Nel mio sogno c’erano alcune lettere che si formavano. Ma quali?” Guardò ancora una volta il taccuino, grattandosi i voluminosi capelli rossi. Mormorò un suono inarticolato, prima di portarsi le dita alle tempie, in una sorta di strana posizione meditativa. Incrociò le gambe e si concentrò per liberare la sua mente.

Ciò che stava per fare era una cosa molto difficile imparata da un maestro di arti marziali che aveva avuto in passato: meditazione per ricordare i sogni. La tecnica era semplice, bastava meditare un po’ per sgombrare la mente e poi ripercorrere a ritroso tutto il sogno, ricreando l’ambientazione, la situazione, i fatti. Proprio la natura inconscia dei sogni rendeva il lavoro difficilissimo, ma evidentemente i grandi filosofi orientali avevano previsto anche una disciplina per ricordarli (logico, altrimenti come facevano a trarre le loro massime così piene di saggezza? Sicuramente lo zampino di qualche folletto onirico ci doveva essere per forza!). Respirò a fondo, cercando di cogliere ogni minimo ricordo del suo sogno. Ricreò l’ambiente circostante, ovvero una cella imbottita. Accanto a lui, nell’ombra, un individuo che gli parlava con una voce che a lui sembrava profonda, dandogli una sensazione di paura. Serrò i denti, cercando di scacciare il pensiero di Alberto che lo baciava, un sogno che ultimamente era ricorso anche fin troppo spesso. Non gli ci voleva proprio il sentimentalismo in quel momento delicatissimo, quindi spinse con viva forza Alberto ed il suo ricordo e si concentrò sul suo sogno, cercando di cavarne quanto di buono poteva. Pensa che ti pensa, spremendo le meningi, qualcosa stava iniziando ad emergere dalla sua mente, anche se parecchio offuscata. Oltre all’ambiente, gli parve di tornare indietro nel sogno, fino a vedere se stesso che prendeva… Una lettera… due…. Tre.

A… R… D…

Tre lettere. Nulla di più. Oltre a quello, non riusciva più a ricordare nulla.

Ripreso il contatto con la realtà, respirando piano e riaprendo lentamente gli occhi, Thomas trascrisse le tre lettere sul taccuino, belle in grande. Gli altri fogli contenevano un sacco di altre combinazioni, ma la prima cosa che saltava all’occhio, era che le lettere comparse nel suo sogno, erano tutte e tre mancanti.

“Aspetta aspetta… E se…?”

Prese un’altra fotografia, questa era proprio quella della cella. Con un grandissimo sforzo, era riuscito a ricavare tutte le lettere presenti sulle superfici, e le aveva trascritte, in ordine, sul taccuino, differenziandole per ambiente. Se in un ambiente mancavano quelle tre lettere, allora nell’altro…

“Ci sono!”

Ebbe i brividi per la sua scoperta. Un capogiro fece la sua comparsa, provocandogli quasi una sensazione di svenimento. Dalle sue elaborazioni così accurate, venne fuori un nome. Un nome che peraltro conosceva solo per sentito dire. Si morse il labbro, non sapendo bene cosa fare. Prese il telefono e fece per comporre il numero di Alberto. Con molta titubanza schiacciò il pulsante di chiamata, ma purtroppo… Il cellulare di Alberto, unico suo mezzo di comunicazione, era spento. “Merda!” pensò, saltando giù dal divano. “Come faccio adesso? Cosa devo fare…?” il respiro si fece sempre più affannato, non sapendo bene come comportarsi. Improvvisamente, gli venne un’idea. Andò al suo computer e compose una e-mail.

*****

Era incredibile. Per la prima volta dopo due anni, Alberto si sentiva appagato. Con Filippo era stata la notte d’amore più bella della sua vita, almeno dopo Nathan. Una lunga notte di sesso, nel quale Filippo aveva dato una brillante performance di sé, che Alberto aveva apprezzato più e più volte. Se solo l’avesse scoperto prima, forse si sarebbe risparmiato un sacco di problemi. Ora erano entrambi lì, sul divano del padrone di casa, Alberto che guardava il soffitto, con la mano che accarezzava i capelli di Filippo, mentre questi sonnecchiava sul suo petto. Lo osservò, pensando che fosse veramente molto dolce mentre si riposava. “Tanto dolce quanto selvaggio.” Pensò Alberto tra sé e sé. Contrariamente alle aspettative, c’era anche qualcosa di più. Avrebbe voluto rivederlo. Iniziare ad uscire con lui, provare una relazione. Beh, e cosa c’era di male? Per quanto ne sapeva, Filippo era single, e forse avrebbe acconsentito ad incominciare una conoscenza nel vero senso della parola. “Sì” pensò, decidendo “Sono rimasto solo per troppo tempo. Filippo mi aiuterà, comincerò una nuova vita, andrò da Fabrizio e chiarirò tutto quanto, e andremo insieme al suo party di fidanzamento. Finalmente la fortuna mi sorride!” disse, sorridendo. Poi però ripensò a Nathan e Daniele. Entrambi scomparsi, finiti chissà dove. Entrambi lo amavano, soprattutto Daniele, ma lui era stato così cieco da perderli… E pensò anche a Thomas.

Thomas, quel ragazzetto che sembrava appena uscito dal liceo con quei capelli rossi ed i jeans strappati e le dita piene di anelli, che in realtà era un laureato in giurisprudenza nonché un aspirante scrittore che picchiava forte quando lo voleva. Lo stesso ragazzetto che si era innamorato di Alberto, ma che da questi era stato respinto. “In fondo ha scelto lui di non aiutarmi più, ammesso che l’avesse mai voluto.” Si fece coraggio Alberto, fino a che un’altra voce, forse quella della sua coscienza buona, lo interpellò. “Ah sì? È così che si fa adesso? Si liquida tutto con il cinismo? Dove andremo a finire… Se fossi in te lo chiamerei per sentire se sta bene, o quantomeno per comunicargli la buona novella.”

-Quale buona novella?- domandò Alberto a sé stesso.

-Hmh…- mormorò Filippo, strabuzzando gli occhi. Alberto gli carezzò una guancia, ma Filippo non rispose. Sembrava praticamente una bambola di pezza, che non rispondeva allo stimolo. Delicatamente, Filippo prese la mano di Alberto e la tirò via dalla sua guancia, alzandosi dal divano. Stralunato, Alberto si mise a sedere, guardando Filippo come se fosse stato un alieno. Il suo profilo molto ben formato si delineò alla luce fioca dell’illuminazione stradale che filtrava dalle finestre, mentre il ragazzo prendeva un pacchetto di sigarette e ne tirava fuori una con la bocca, per poi accenderla subito dopo.

-Filippo…? Amore?-

Filippo si girò, cacciando fuori una boccata di fumo bluastro. –Dimmi, Alberto.- disse, in modo abbastanza freddo. Con la visione del sedere del ragazzo, Alberto pensò bene di coprirsi le vergogne, senza però capire bene perché il ragazzo l’avesse chiamato col suo nome anziché con l’appellativo “amore”.

-Io… volevo dirti che…-

-Cosa?-

 -Che… che ho passato una bella notte con te.-

-Ah-ha…- Annuì Filippo, continuando a tirare fumo dalla sua sigaretta.

-…E… vorrei che … insomma, vorrei che noi due potessimo conoscerci meglio.- sembrò concludere, ma poi aggiunse –Penso… penso di amarti. Vorrei averti come fidanzato.- concluse infine Alberto, un po’ titubante. Con ancora la sigaretta in mano, Filippo tirò una lunga boccata, annuendo più volte… -Alberto- attaccò –Tu … Tu devi sapere una cosa.-

-Che cosa?- domandò Alberto, leggermente allarmato.

Titubante, Filippo cercò le parole dentro di sé, non sapendo bene quali e quante dosarne per non urtare Alberto. –Io… Non voglio un fidanzato.- portò la sigaretta alla bocca e diede un’altra boccata, cacciando fuori il fumo anche dalle narici, mentre Alberto lo guardava… -Non posso avere un fidanzato. È nella mia natura di ragazzo libero. Mi piace divertirmi e non disdegno nessuno, però questa mia particolarità ti renderebbe infelice. Tu sei un bravo ragazzo… dolce… premuroso… gentile… Io sono tutto il contrario.- Scosse la testa, mestamente -…Ti farei soltanto male, lo capisci? Tu… tu sei destinato ad una persona migliore. E quella persona non sono io.-

Se gli ultimi due anni non erano bastati a fargli crollare i nervi, bastò quella dichiarazione. Nella sua vita non aveva ricevuto molti rifiuti, più che altro perché non aveva mai provato più di tanto. Di solito era lui a rifiutare, e anche con Nathan non aveva dovuto decidere se rifiutare o meno, dal momento che con il suo Nathan si trovava bene ed il loro fidanzamento era stato quasi un atto consensuale, frutto dell’evoluzione di una splendida amicizia. Mestamente, Alberto raccattò i suoi indumenti e li indossò, senza dire una parola, ma sentendosi ferito nel suo cuore. Ecco cosa aveva provato Daniele prima di scomparire, con il suo rifiuto. Filippo rimase lì seduto sulla poltrona, a finire di fumare la sua sigaretta, guardando un punto imprecisato nel vuoto. –Chissà quanti cuori hai spezzato prima d’ora, eh?- domandò ad un certo punto Alberto, con una voce talmente bassa che si faceva fatica a sentirlo. Il tono era leggermente sibilante, come la sintesi di una rabbia trattenuta.

-Più di quanti immagini- rispose Filippo, sospirando –Non è facile essere belli, te lo assicuro.-

-E pensare che mi eri sembrato tutto un altro tipo di persona…- Ora Alberto era in piedi nell’ombra, accanto alla porta d’entrata dell’appartamento.

-Mi dispiace. Che altro posso dirti? Non saresti felice con me, renditene conto.- concluse freddamente Filippo, lasciando ampio spazio di replica al suo interlocutore. Alberto restò zitto per qualche minuto, poi la sua voce sibilata e roca si fece di nuovo sentire –Spero soltanto che ti sia divertito anche stavolta. Un ragazzo con il cuore a pezzi fa molto più gola di qualcuno a cui spezzare il cuore per primo, credo.-

Filippo non rispose, ma Alberto continuò –Da ora in poi, tu per me non esisti più. Guai a te se ti fai vedere in giro nell’area degli uffici all’Università. Lasciami in pace, non cercarmi mai più. Buona notte.- concluse, e con molta calma aprì la porta, per poi richiuderla dietro di sé. Rimasto solo, Filippo spense la sigaretta nel posacenere, quindi sospirò e guardò il vuoto avanti a sé.

*****

Seconda fase del piano. Siccome non poteva aspettare Alberto, Thomas si era recato direttamente a casa sua, nel palazzo. Siccome la sua auto era ancora in riparazione presso il gommista, ora girava con una Fiesta a noleggio. Arrivò allo stabile dove viveva Alberto, preparandosi mentalmente a qualsiasi cosa il ragazzo gli avrebbe potuto dire. Parcheggiò l’auto e scese, correndo verso il piano del ragazzo. Suonò il campanello, ma questi non aprì. Suonò una seconda volta, ma non ci fu niente da fare. Pervaso da una strana eccitazione, dovuta al fatto di sapere chi si celava dietro i delitti, si mise a correre avanti e indietro per un po’ di tempo, intervallando le sue corse a momenti in cui si scaldava le mani per il freddo. Improvvisamente, a quell’ora, il portone si aprì, e ne uscirono alcuni ragazzi allegri, che parlavano di una festa. Bloccò il portone che si stava chiudendo con una spallata, quindi salì velocemente le scale per raggiungere il piano di Alberto.

Arrivato a destinazione, si attaccò al campanello, che suonò con un “Driiiiiiiiiiiiin” veramente squillante, tanto che forse avrebbero potuto sentirlo anche i due inquilini del pianerottolo e forse anche quelli del piano inferiore.

“Ma dove cazzo è? Possibile che non…”

Portò di nuovo la mano al campanello e fece per suonare nuovamente, quando all’improvviso… un dolore lancinante prese a corrergli dalla testa ai piedi. Qualcosa di lungo e spesso aveva colpito la sua nuca, facendolo crollare sul pianerottolo. Negli ultimi istanti di coscienza, vide una faccia nascosta dall’ombra del pianerottolo, un paio di jeans neri… ed un paio di scarpe a scacchi bianchi e neri, come quelle della serie “Vans”.

 

   
 
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