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Autore: Roccia di Burro    20/11/2010    2 recensioni
°°Drake... Cosa c'è di meglio di essere la star del liceo? Al secondo anno della Greensburg High School, asso della squadra di basket della scuola, uno stuolo di ragazze che cadono ai tuoi piedi, le matricole da sfottere, i secchioni da torturare, e un frocetto del tuo stesso anno da prendere in giro.°° °°Sei potente come un leone.°° °°Ma attento. La preda un giorno potrebbe rivoltarsi tra le tue zanne e diventare predatore.°° °°E a quel punto che farai?°°
Avvertimenti: la storia non è particolarmente drammatica, il rating è arancione per i temi affrontati, per la presenza di scene di bullismo, e per il linguaggio non sempre all'acqua di rose^^. Non sono comunque presenti scene violente o che possono turbare, in alcun caso^^. Ho scelto, a malincuore, "romantico", perché c'è una storia d'amore, anche se non vedrete nulla di smelenso, ve lo assicuro u.u
Ragazzi è passato un anno ormai da quando ho pubblicato questa storia!! Come sono felice...=) ringrazio chi mi ha seguito fino adesso, chi ha recensito, chi ha solo letto, ma soprattutto chi si è emozionato ^^ Grazie.
Genere: Romantico, Sportivo, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chiedo scusa se non rispondo alle recensioni ma è quasi l’una e sono proprio stanca >_>

Chiedo scusa anche per l’aggiornamento bimestrale. Purtroppo con i corsi all’università ho davvero poco tempo a disposizione, e devo organizzarmi per fare tante cose. Spero di riuscire a postare tra un mese il prossimo capitolo. Un bacio e un abbraccio collettivo :* buona lettura.

 

***************************

 

Andy si alzò lasciando Drake seduto al tavolo a scaldarsi con la sua cioccolata bollente; accostò il volto alla finestra e tirò leggermente la vaporosa tenda color salvia, per osservare il vialetto del suo quartiere. Erano appena le quattro e mezza, ma già imbruniva, il sole pallido e distante non riusciva a colorare il tramonto che si presentava freddo e argenteo ai suoi occhi. Dal tepore della sua cucina riusciva tuttavia a guardare al crepuscolo con distacco, percependovi qualcosa di etereo e quasi magico.

Scosse la testa cercando di tornare con i piedi per terra; abitare nei pressi di un bosco doveva aver contribuito a spegnere qualche sinapsi di troppo. O forse la colpa della sua sensibilità al mistero era da attribuire ad un padre archeologo troppo affascinato dall’irrazionale e dagli antichi miti – specialmente quelli egiziani, di cui aveva sentito parlare circa un migliaio di volte – e da una madre che sosteneva il gioco del marito anche quando non ce n’era affatto bisogno.

« Che guardi? »

La voce dell’amico giunse inaspettata ma non sgradita da qualche parte alle sue spalle.

Si strinse nel maglione minimizzando la propria risposta con un’alzata di spalle. « Il tramonto. »

« E com’è? »

Andy lo guardò interrogativo, aspettando che la domanda venisse esplicata, invano. « In che senso “com’è”? E’un tramonto… Sii più specifico. »

« Di solito non mi fermo a guardare il sole che cala. Soprattutto non d’inverno; non faccio in tempo a voltarmi che già sembra notte. Mi mette tristezza, tutto questo buio. Tutto questo freddo. »

Il ragazzo rimise la tenda al suo posto e si avvicinò all’altro, prendendo posto su una sedia accanto a lui. « Sei un tipo freddoloso? » Nonostante fosse una cavolata, era sempre un tratto di lui, che non aveva ancora avuto occasione di acquisire.

« Non molto a dire la verità. Mi sembravi tu quello che si congela subito. »

La sottile allusione di Drake ci mise un po’ a farsi strada nella memoria di Andy, che solo dopo qualche secondo realizzò che il ricordo a cui aveva fatto riferimento risaliva a poco più di un mese prima.

« Oh… » Commentò, abbassando gli occhi a mo’ di scusa. « La partita di basket a Greensbourgh, vero? In effetti quella sera si rischiava di morire assiderati… »

L’imbarazzo colse entrambi impreparati; Andy distolse lo sguardo cercando di trovare qualcosa di interessante in una cucina di cui conosceva ogni dettaglio da sedici anni, mentre Drake tornò a soffiare sulla cioccolata, bevendola a piccoli sorsi rumorosi dal cucchiaio.

La conversazione sembrava precipitata nel mutismo, in una sorta di limbo di cristallo, che ambedue avevano paura di frantumare col secco suono delle proprie voci. Restarono immersi in un silenzio evanescente, mentre ogni tanto, in un andirivieni monotono e quieto, Andy andava ad alimentare la stufa a legna; Drake lo osservava zitto mentre apriva la portelletta e i riverberi aranciati e tremuli del fuoco gli coloravano i capelli.

Questi tornò per l’ennesima volta a sedersi accanto a lui, con le gote arrossate e umide per la ventata di calore a cui aveva esposto il viso. L’ospite si affrettò a distogliere lo sguardo, preoccupato che l’insistente contatto visivo potesse lasciar trasparire i pensieri che gli si affollavano nella testa. All’interno della scatola cranica, probabilmente, stava avendo luogo un summit tra tutti i neuroni che dicevano la propria sul da farsi, dai più moderati che suggerivano di levare le tende e tornarsene a casa, ai più ribelli e rivoluzionari (e incoscienti) che urlavano a gran voce di saltare addosso ad Andy, di baciare quelle guance tonde deliziosamente imporporate e mordicchiare il suo collo bianco.

No, non poteva dare ascolto a questi ultimi: con tutta la fatica che aveva fatto per riuscire a ricostruire una parvenza di tregua, di non belligeranza con il ragazzo, nemmeno per un milione di dollari avrebbe mandato tutto a puttane.

Recise momentaneamente i collegamenti col proprio sistema ormonale, che incalzante, stava diventando sempre più fastidioso.

« Accidenti, sono già le cinque? Si è fatto tardi. »

Andy lo guardò con l’espressione sorpresa e colpevole di un giornalista che è sorpreso a dormire ad occhi aperti nel bel mezzo di una conferenza stampa.

« Oh… Si si certo. » Cercò di ripiegare. « Comunque non mi disturbi se resti qui, sai. »

« Immagino, ma devo proprio rientrare. Non ho detto a nessuno che uscivo, e sarà meglio che mi faccia trovare a casa per l’ora di cena. »

« Se vuoi puoi restare a mangiare da me. » Propose in uno slancio di generosità.

« Davvero, mi piacerebbe, ma è meglio che vada. Grazie della cioccolata, era ottima. » Prese la tazza e il piattino e li portò nel lavabo, ignorando le proteste dell’altro che voleva fare di tutto per sembrare un perfetto e accogliente padrone di casa.

Andy lo accompagnò alla porta, dopo avergli passato giubbotto e berretto, aprì il cancello e rimase sulla soglia per salutarlo, sfregandosi con le mani le braccia infreddolite.

« Allora grazie di tutto, Andy. »

Al ragazzo non era sfuggita la lieve inflessione con cui aveva pronunciato il proprio nome, impercettibilmente più marcata e profonda.

« Grazie a te. Grazie davvero… Di essere venuto fin qui. » Strusciò un piede, avvolto da una morbida pantofola, contro una caviglia, nervosamente. Il non avere una risposta pronta anche per quel momento, evento insolito ad uno con la lingua biforcuta come la sua, gli urtava incredibilmente i nervi.

Con un gesto sgraziato e incerto, ma sufficientemente veloce, Drake gli portò una mano sulla spalla e avvicinò il volto al suo; istintivamente Andy strizzò gli occhi e abbassò il viso, cercando di proteggersi da un contatto. Si trovò invece stretto ma non imprigionato in un abbraccio che lasciava trasparire un tono convulso e disperato, suggeriti dalla forza con cui le mani del ragazzo si erano avvinghiate al suo maglione.

Si lasciò cullare, dimenticandosi del gelo che li circondava e che faceva uscire il loro fiato in piccole volute bianche.

Cinse con entrambe le braccia il collo e la schiena ampia, accarezzandogli i capelli morbidi da sopra il berretto; gli occhiali gli stavano scivolando via dal naso, ma non vi badò, perché quel momento, quella dolce curva che le loro figure formavano, avviluppate l’una nell’altra, era più importante anche del tempo.

Poggiò entrambe le palme delle mani sulle tempie di Drake e gli baciò la fronte fredda.

Questi in tutta risposta gli sollevò il mento e premette piano le labbra sulle sue nel bacio più dolce – e breve - che avesse mai ricevuto in vita sua; preso in contropiede, sciolse il contatto e lo guardò rabbuiato, sistemandosi gli occhiali sul setto nasale, leggermente ammaccato.

« E’ essere amici, questo, per te? » Rimbrottò a pochi centimetri dal suo volto.

L’altro inarcò le sopracciglia sottili, volgendo lo sguardo a terra. « Questo è essere “noi”. E’ essere “Drake e Andy”, perché non riesco a vedere un rapporto tra noi senza contatto fisico. »

« Il tuo problema è che non vedi nessun rapporto senza contatto fisico… Quante volte hai baciato Shawn, tanto per fare un esempio? »

« E questo deve essere per forza un problema? » Sussurrò, la voce di poco più stridula e piagnucolosa.

L’altro  si fermò davvero a riflettere, spiazzato. « Uhm… » Sospirò, affranto. « Suppongo di no. »

Rimasero a guardarsi per qualche secondo; Drake era fermamente convinto di avere stampata sulla faccia un’espressione ottusa, ma scrollò le spalle e ripeté in un sussurro che era più conveniente per lui tornare a casa.

Inaspettatamente Andy gli sorrise, in un gesto che l’altro non riuscì a decifrare ma che riuscì lo stesso a togliergli un grosso peso dal cuore. Raggiunse il cancelletto a passi incalzanti cercando di sopperire al gelo e salì in auto. Fece inversione di marcia e poco prima di riprendere la via di casa sollevò di poco la mano sventolandola in direzione dell’amico che ricambiò ondeggiando rigidamente il pugno che, dato il freddo, non ne voleva sapere di aprirsi.

Sgattaiolò in casa più in fretta possibile, rincorso dal pressante ricordo di ciò che era successo quando si era arrischiato ad uscire senza cappotto.

Saltellando da un piede all’altro per scacciare i brividi, si fiondò come un missile davanti al camino, lottando con se stesso per non gettarsi sul vetro incandescente. Sprofondò nella sua poltrona preferita e rimase a fissare il fuoco con un’espressione ebete per circa mezz’ora, poi si alzò e si sentì più stanco che mai; frugò nell’armadietto dei libri e si mise a riordinare degli appunti, ma non riuscì a pensare ad altro se non al bacio di Drake, e lo odiò per averlo fatto. Rivedeva la scena nella sua mente, e ogni volta provava un moto di stizza. Era davvero così debole da farsi fregare da una bocca calda? O forse era più corretto chiedersi, era davvero così disperato? Non riuscì a non arrossire, ripensando a quei pochi secondi per l’ennesima volta. 

 

 

Il viaggio di ritorno fu all’insegna dell’ansia. Sebbene sembrasse che tutti avessero deciso di non sfidare il gelo e rimanere a casa, Drake guidò stringendo convulsamente il volante e spidocchiando guardingo ad ogni angolo, nel più vivo terrore che spuntasse suo padre dal nulla e scoprisse dov’era andato.

Fino all’ultimo metro prima di intravedere la familiare schiera di villette tra le quali c’era anche la sua bella casa color crema, aveva temuto di farsi beccare dai genitori. Avrebbe adottato l’unica tattica in grado di salvarlo: negare, negare sempre, anche se non era sicuro che questo gli avrebbe risparmiato di trascorrere il resto dei suoi giorni in una fredda cella d’isolamento al manicomio più vicino.

Poi si disse che i manicomi non esistevano più e che erano stati sostituiti da ospedali psichiatrici nei quali i pazienti venivano curati e non detenuti, ma una malefica vocina nella sua testa gli insinuò il dubbio che qualche pazzoide ne avesse tenuto aperto almeno uno.

Infine, dandosi mentalmente del paranoico, mise l’auto al sicuro in garage ( « E se i miei arrivano adesso e sentono che ha il motore ancora caldo?! » pensò allarmato) e si fiondò in casa dissimulando in maniera assai poco credibile l’aria colpevole che gli s’era appiccicata addosso da almeno un’ora.

Le stanze erano buie e silenziose, ma tiepide. Sbirciò nel camino: era rimasta una bella dose di tizzoni che ardevano rossastri come una piccola fornace. Prese un paio di ciocchi e li gettò nel porta legna, poi salì in camera e osservando un po’ i quaderni, un po’ la play station, optò per la seconda e si buttò sul materasso afferrando il joystick.

 

 

La mattinata si presentava umida e fredda. Il gelido vapore che esalava dagli alberi inargentati e dalle strade si insinuava sotto i vestiti e Drake camminava in fretta verso la scuola cercando di scaldarsi le mani sfregandole energicamente l’una contro l’altra e procedendo spedito.

Non appena entrò nell’atrio sentì il calore invaderlo e benedì i termosifoni, bene dell’umanità. Non avevano dato un Nobel a chi li aveva inventati? No? Ma come avevano potuto?! Intravide Shawn che prendeva alcuni libri dal proprio armadietto, e senza neanche salutarlo, lo agguantò per il cappuccio e lo trascinò nella prima aula vuota che gli capitò a tiro.

« Devo parlarti. » borbottò senza tanti preamboli.

L’amico lo guardò stralunato. « Meno male, per un attimo ho temuto che volessi stuprarmi. » replicò, alludendo sarcastico alla presa ferrea che l’altro ancora esercitava sul suo giubbino, e che si affrettò ad allentare.

« Scusami. »

« Dicevi? » continuò, invitandolo a spiegarsi.

« Ieri sono andato a casa di Andy. »

Shawn annuì poco convinto, non capendo perché quella zucca vuota gli stesse ribadendo cose che già sapeva.

« Vi siete sbranati? » chiese poi, cercando di capire quale fosse il punto del discorso. Doveva essere una cosa molto seria, a giudicare dall’espressione a tratti funerea e a tratti sconvolta di Drake.

« L’ho baciato. » esalò infine in un sospiro sconsolato.

« E ti ha mandato affanculo? »

L’amico scosse la testa.

« Allora non vedo dove sta il problema. »

« Ma tu… non sei arrabbiato? Ho rischiato di rovinare tutto… » ammise con un singulto strozzato.

Shawn si passò una mano sulla fronte. « Ti ha sgridato? No. Ti ha tirato un pugno? No. Ha risposto al bacio? A quanto pare si. Non ci vedo niente di male Dre’, tu sei fatto così, lo sapevo che non saresti riuscito a tenere le mani a posto. Non le tieni neanche con me, figurarsi con il signor Occhidolci Nolan. »

« Grazie tu si che sai sempre come non farmi sentire un idiota. » soffiò irritato, simile ad un grosso e fulvo gatto dagli occhi dorati e dalle orecchie a sventola.

« Su, muoviti, dobbiamo andare a lezione – e tu sei sempre in ritardo. Se poi incontriamo Andy e lui non ti falcia significa che non sei andato male, ok? E smettila di fare quella faccia lì. » gli ordinò accigliato, dopo aver visto il broncio che Drake aveva messo su.

Riusciva sempre ad essere terribilmente infantile, nei momenti meno indicati.

 

 

Andy giunse a scuola trafelato e in ritardo, a dispetto della sua proverbiale puntualità. Schizzò come un razzo nella classe di lettere antiche, e trovò gli altri studenti che assonnati sistemavano le borse e gli zaini su sedie e banchi. Qualche testa si girò a guardarlo mentre ansimava e prendeva posto.

« Andy, tutto bene? » un ragazzo piuttosto basso con i capelli rossicci gli si era avvicinato silenziosamente e gli aveva messo una mano sulla spalla.

« Ah, Vincent, ciao… Si tutto bene… » disse annaspando sull’ultima parola.

« Sicuro? Mi sembri un po’ di corsa. » sollevò un sopracciglio e gli lanciò un’occhiata in tralice.

La verità era che il ragazzo aveva del fanatismo verso gli orari delle lezioni e per lui “ritardo” significava essere in anticipo di soli cinque miseri minuti. Rincuorato ma perplesso, Vincent tornò al proprio posto scotendo la testa.

In fondo era un ragazzo così bravo e tranquillo, lui, che proprio non comprendeva come potessero esistere persone con una simile frenesia nelle vene, e consigliò ad Andy di rilassarsi e respirare a fondo onde evitare un infarto alla veneranda età di sedici anni e mezzo.

 

 

Le ore trascorsero lente e monotone, e quando suonò la campana dell’una e un quarto, che segnava l’inizio della pausa pranzo, gli studenti si risvegliarono magicamente e schizzarono fuori dalle aule come proiettili, chi diretto alla mensa, chi a casa, chi al bar, e infine alcuni che semplicemente avevano voglia di una passeggiata ristoratrice per sgranchirsi un po’ le gambe.

Andy si ritrovò con Joy, Eve e Josh sotto tacito accordo, e notò piacevolmente che nulla sembrava cambiato e i mesi di assenza degli amici erano lontani e costituivano uno sfocato ricordo.

Si sedettero al loro tavolo preferito, che era un po’ piccolo ma appartato, e sistemarono i vassoi quasi come stessero giocando a tetris per riuscire a farci stare anche quattro persone con annessi bagagli.

Andy iniziò a mangiare il suo pasticcio di carne, e il cielo volle che il suo sguardo fosse intercettato da Drake, che cercava un tavolo libero, proprio mentre il nostro eroe era alle prese con un pezzo di lasagna particolarmente grosso e bollente, col quale rischiò un po’ di ustionarsi e un po’ di strozzarsi. Tossì e gli vennero le lacrime agli occhi, mentre sentiva le guance e le orecchie scaldarsi violentemente per l’imbarazzo, e venne salvato in corner da Eveline che gli diede qualche poderosa pacca sulla schiena che quasi gli sfondò il costato ma lo salvò da soffocamento sicuro. Risollevando gli occhi, vide che Drake gli sorrideva imbarazzato e lo salutava con la mano. Nel farlo, i piatti che aveva sul vassoio scivolarono di lato e per poco non finirono di sotto, mentre Shawn imprecava e aiutava l’amico a non combinare disastri.

Uno pari.

E dato che gli dei sembravano aver voglia di divertirsi, il gruppo ben fornito e variegato di cheerleaders e giocatori della squadra di basket scolastica decise di andare ad accaparrarsi il grande tavolo proprio accanto a quello in qui il quartetto stava consumando il proprio pranzo fumante. Non era vicinissimo, ma di sicuro nessun altra tavolata era altrettanto a portata d’orecchio.

Joy scoccò loro un’occhiata di disapprovazione, evidentemente alludendo allo starnazzare delle ragazze che, civettuole, ridacchiavano stupidamente e si rassettavano i bei capelli per farsi notare.

« Ah già, me n’ero quasi scordato! » esclamò ad un tratto Josh, interrompendo il rumoroso sferragliare di forchette e coltello e abbandonando le posate al proprio destino; si batté una mano sulla fronte e sgranando gli occhi fece assumere alla sua bocca una perfetta forma ovale.

« Che diavolo c’è adesso? » chiese Eve, aggrottando le sopracciglia nella sua solita espressione da “adesso-Josh-spara-una-cazzata”.

« Mi sono dimenticato di chiedervi una cosa… » continuò ignorandola, e ammiccando a Andy e Joy. « Chi è il capitano della squadra di basket? »

Andy rischiò la trachea una seconda volta. « Perché ti interessa saperlo? »

« E’ urgente, devo parlargli! »

« E’ urgente e te ne sei dimenticato? Credimi, se fossi solo un po’ più lento andresti all’indietro. » gli rimproverò la sorella, scotendo la lunga coda, esasperata. « Se solo non avessimo la stessa faccia, faticherei a credere che siamo parenti. E’ pur sempre probabile che ti abbiano fatto un trapianto alla nascita. »

« Dai Eve, non essere acida. » le rispose allegramente. « Allora, chi è? » ripeté, rivolto a Joy.

« Drake Foster » disse quella tranquillamente.

« Davvero? » e la bocca di Josh tornò a formare la sua perfetta O.

Andy annuì. « Che devi dirgli? »

« Adesso sentirai. » replicò l’amico con un guizzo divertito negli occhi. Si alzò abbandonando momentaneamente i suoi broccoletti e si diresse verso il tavolo dove si trovava la squadra. Dopo aver adocchiato Drake, gli comunicò che aveva bisogno di parlargli ma che non c’era problema se anche gli altri ascoltavano. Il ragazzo rimase un po’ interdetto e rivolse uno sguardo nervoso ad Andy, che finse di non aver visto nulla, e si concentrò sul proprio piatto tendendo però l’orecchio tanto che aveva paura che si staccasse dalla sua testa e andasse a posarsi tra le braccia di Dan, che era seduto nel posto più esterno.

« Ho parlato con il professor Miller e ho concordato il mio ingresso in squadra. Ho sentito che vi manca un giocatore che si prenda il ruolo fisso di ala grande, giusto? »

Drake annuì lentamente, curioso.

« Beh, se è possibile vorrei candidarmi. »

Il tavolo cadde nel silenzio. Tutti fissavano Josh, questo nuovo arrivato che appena aveva fatto vedere la sua faccia già si era proposto per una parte così importante, si era inserito bruscamente nel loro gruppo come un cuneo appuntito e ora pretendeva anche riconoscimenti. Però non poterono fare a meno di notare che la stazza era assolutamente perfetta per i requisiti richiesti, e anche come fisico il ragazzo sembrava adatto. Drake comprendeva bene che un rifiuto netto sarebbe stato da pazzi. Aveva una gran voglia di mandare via Josh a calci perché si, era un bambino, era infantile e si, era assolutamente geloso di lui e del rapporto speciale che poteva vantare di avere con Andy, ma d’altro canto la sua squadra era a corto di giocatori davvero validi e quel ragazzo sembrava la manna caduta dal cielo. Li guardava con quegli occhi grandi e tondi da cucciolotto felice, e Drake si aspettava quasi di vederlo scodinzolare.

« Per queste questioni burocratiche devi parlare con Shawn. » disse infine.

L’interessato gli scoccò un’occhiata infastidita e gli assestò un calcio negli stinchi, così forte che lo fece quasi piangere.

« Per le questioni burocratiche, eh? Com’è che gli affari in cui bisogna impegnarsi anche col cervello li lasci sempre a me? »

« Perché sei tu quello col cervello qui… » rispose in un sospiro affannato Drake, piegato sul tavolo dal dolore, con ciocche di capelli che sfioravano pericolosamente il purè di patate.

L’amico gli mollò un buffetto sulla testa e si rivolse a Josh con un sorriso.

« Allora stasera alle quattro presentati in palestra e facci vedere di cosa sei capace. Poi ti faremo sapere. Ok? Immagino che Miller ti abbia mandato da noi perché questo lunedì era impegnato, mi pareva avesse accennato qualcosa del genere sabato… Ad ogni modo, affare fatto. Ci si vede questo pomeriggio. » concluse, porgendogli la mano, che venne presto afferrata e stretta con vigore.

A Josh, se possibile, si era illuminato ancor più il viso; tornò dagli amici barcollante e con lo sguardo vacuo e sornione.

« Come mi piacerebbe far parte di una squadra… » mormorò prima di rituffare la forchetta nei broccoli e infilarsene una generosa porzione in bocca.

 

 

Alle tre in punto Josh Fortington stava scavando un solco nel pavimento dello spogliatoio maschile della palestra scolastica a furia di camminare avanti e indietro lungo lo stesso breve percorso. Avrebbe dovuto cambiarsi già adesso? Avrebbe dovuto presentarsi alle quattro in punto oppure prima? Se si fosse presentato in orario avrebbe rischiato di apparire troppo ossequioso, se fosse arrivato in anticipo invece avrebbe dato l’impressione di essere previdente o semplicemente noioso e bacchettone?

Si sedette sulla panca di fianco al borsone che aveva appoggiato di malagrazia pochi minuti prima, ma dopo alcuni secondi si rialzò in piedi, quasi come se il sedile fosse incandescente. Iniziò a ripetersi febbrilmente le regole del basket, anche se le conosceva perfettamente a memoria e in quella specie di “provino” che avrebbe dovuto sostenere non si richiedeva una conoscenza teorica, ma pratica.

Guardò l’orologio: erano le tre e cinque minuti. Maledisse il tempo che passava così lento e si vide come in un cortometraggio mandato avanti in flashforward, davanti ad un lungo tavolo al quale erano seduti i ragazzi della squadra, con al centro Drake che lo fissava con occhi freddi e gli diceva che era la peggior dimostrazione a cui avesse mai assistito.

Una forte stretta lo prese alla bocca dello stomaco, e decise che doveva fare qualcosa, altrimenti sarebbe morto di angoscia entro un quarto d’ora. Si cambiò in fretta indossando una T-shirt e un paio di pantaloncini corti, infilò un paio di morbidi calzini di spugna e poi le scarpe da ginnastica, sfilò un asciugamano dalla borsa e se lo mise attorno al collo, poi andò in palestra. Come immaginava, era già aperta; molto probabilmente Drake aveva chiesto al responsabile di lasciare così la porta anche dopo la fine delle lezioni mattutine in vista dell’occasione speciale di quel pomeriggio. Si infilò nella stanza e accese le luci. L’odore di plastica e legno tipico degli strumenti ginnici lo fece sentire un po’ più a casa; posò il borsone a terra e andò nel ripostiglio a prendere un pallone. Afferrò l’oggetto e lo fece scorrere tra le mani grandi, tanto che con le lunghe dita tornite riusciva a tenere comodamente la palla senza doverla afferrare con entrambe le palme. Tastò con i polpastrelli la ruvida superficie arancione, prese un bel respiro e iniziò a riscaldarsi. Fece qualche giro del campo palleggiando davanti a sé, cambiando mano e ritmo. Poi ripeté alcuni palleggi incrociati sotto le gambe e provò qualche mossa veloce, scatti, scarto dell’avversario – immaginario – con stop della palla, e infine qualche tiro a canestro. Poi decise che aveva voglia di esercitarsi un po’ anche su una delle cose che stavano particolarmente a cuore ai ruoli di centro e ala grande, ovvero i rimbalzi sotto canestro. Lanciò la palla verso il tabellone e il cerchio del cesto e corse fulmineo per afferrarla non appena veniva respinta senza centrare il canestro. Lanciava, saltava e poi afferrava la palla schizzando dall’altra parte del terreno di gioco. Reiterò quest’operazione per parecchie volte, finché si sentì abbastanza carico, e poi provò qualche tiro libero per testare la propria mira. Ma gli piaceva troppo correre, intercettare la palla, scartare i giocatori, così si mise a fare un po’ di finte e deviazioni improvvise, segnando un canestro alla fine del lungo percorso, come a coronare l’azione.

Da poco lontano gli giunse il suono di qualcosa che avrebbe potuto essere un applauso.

Si voltò di scatto, col fiatone.

Drake era appoggiato allo stipite della porta con una spalla e teneva le caviglie incrociate; notò che si era già completamente cambiato indossando la divisa da allenamento della squadra. Sorrideva.

« Vedo che hai già iniziato il riscaldamento. Molto bene, così possiamo cominciare subito con la parte principale di questo incontro. »

« Cosa dovrò fare? » chiese Josh.

Intanto, da dietro le spalle del capitano erano spuntati Shawn, Dan MacGill, Mike Evans e un paio di ragazzi di cui Josh non conosceva il nome. Presero posto sulle panchine riservate al coach e alla squadra, appena davanti alle tribune e adiacenti al campo. Il ragazzo salutò nervoso: non si sentiva molto sicuro, ora che aveva sei paia di occhi puntati addosso.

Anche Shawn sorrideva, e questo lo mise molto più a suo agio del ghigno a metà tra il malizioso e il divertito che troneggiava sul viso appuntito di Foster. Assomigliava ad un’alta e smilza volpe che si leccava i baffi, pronto a catturarlo come un indifeso leprotto.

Drake gli si avvicinò. Effettivamente il suo paragone, da quella prospettiva, non gli sembrava più tanto felice: lui era circa dieci centimetri più alto dell’altro, e parecchio più grosso.

« Allora… » disse, raggiungendolo e squadrandolo per bene, sempre con quel suo sorrisetto strafottente nel quale Josh vedeva un che di pornografico « …abbiamo pensato un po’ a cosa farti fare, e siamo giunti alla conclusione che un breve incontro uno contro uno è la cosa migliore. »

Il ragazzo avrebbe voluto deglutire ma sembrava che non fosse rimasta una goccia di saliva nella sua bocca.

« E chi dovrò sfidare? » chiese con voce roca.

Drake gli si avvicinò ancor di più, fissando, per quanto possibile, le iridi dorate nelle sue.

« Me, e chi sennò! L’ala piccola di solito è quella che insieme al playmaker dà più fastidio ad un’ala grande, ma visto che Shawn deve rimanere in panchina a osservarti da un punto di vista esterno, io ti studierò direttamente sul campo. Sei pronto? »

Josh annuì, e passò la palla a Drake.

Shawn mise il fischietto in bocca, e soffiò.

 

  
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