Ventisette
L’ultima cosa che aveva visto Thomas era
stato il portone di Alberto. Poi per lui era improvvisamente calato il buio, a
causa della gentile carezza fattagli dall’assassino. Assassino che adesso aveva
un nome e cognome, e recentemente anche un volto per Thomas. Dario Mainardi, il
vicino di casa di Alberto era un ragazzo snello ma tonico, bianco come una
mozzarella e dal visino dolce al quale sembrava mancare qualunque ombra di
malvagità. Le uniche ombre, oltre a quelle nella sua testa, erano il colore dei
suoi capelli e degli occhi, neri corvini senza essere tinteggiati. Il loro
primo incontro, una settimana prima, non fu dei migliori.
-Ciao, Thomas.- gli aveva detto Dario,
puntandogli contro una pistola scacciacani, probabilmente di suo padre.
-Ciao, Dario. Piacere di conoscerti.- aveva
risposto Thomas –Perché mi hai legato così?-
Dario aveva riso. Prima si era fatto un
risolino sommesso, che era andato di crescendo in crescendo, passando da una
grassa risata fino a diventare uno schiamazzo incontrollato. Thomas l’aveva
guardato attentamente, quel ragazzino di solo un anno più giovane, che gli
aveva bloccato caviglie e polsi con dei pezzi di corda, unendo le due estremità
con un altro lungo cavo, un fil di ferro. –Sei tu lo scrittore- aveva detto Dario
ridendo –Perché non usi l’immaginazione, invece di fare domande idiote?- detto
questo, si era magicamente calmato, come se qualcuno alla guida del suo
cervello avesse girato una chiave e spento il sistema delle risate. Gli occhi
del ragazzo erano calmi, ma Thomas sentiva che dentro di sé quel ragazzo
portava una grande pazzia. Si era accomodato alla bene meglio su quel doppio
materasso su cui era stato posato, e Dario gli aveva intimato di non fare
scherzi, senza smettere di puntargli la pistola contro. –Per favore, potresti
smetterla di puntarmi quell’affare contro? Non sono nelle condizioni di
scappare, amico.- gli aveva detto Thomas, sfidandolo. Le parole erano state
abbastanza da fare incazzare Dario.
-Ti invito a non fare lo smargiasso con me,
puttanello.- aveva replicato –So tutto di te. Facevi il puttanello ai tempi
della scuola, ho conservato la tua foto sui giornali. Hai estorto milioni ad un
politico solo perché gli era caduta la maschera e avresti minacciato di
rovinarlo.-
Si riferiva chiaramente al suo episodio di
quando era ragazzo, un episodio di cui Thomas conservava ricordi ben chiusi in
un compartimento a tenuta stagna del suo inconscio. All’epoca il politico, un
uomo di cinquantotto anni suonati, usava Thomas ogni sera come suo giocattolo
preferito, facendogli cose inimmaginabili. Chiuse gli occhi, ricordando quelle
cose… I giornali non avevano certo usato il suo nome, ma lo scandalo era venuto
fuori comunque, quando il politico aveva smesso di servirsi di Thomas in favore
di un altro ragazzo, addirittura più giovane di lui. Una regola principe del
mondo degli escort era la seguente: Rispettare sempre i clienti paganti. Una
sola regola da rispettare, e la si imparava da subito. Tuttavia le regole sono
fatte per essere infrante, e questo ragazzo più giovane aveva scelto il modo
più giusto per farlo: era arrivato addirittura a fare la cialtronata di
minacciare il paparino, dicendogli “Se non mi paghi profumatamente all’inizio
di ogni scopata, io racconterò tutto a tua moglie. So chi sei, anche se usi
quella ridicola maschera.” Tale bravata gli era costata la vita: un giorno due
sicari assoldati dall’uomo gli avevano timbrato il cartellino con due colpi di
pistola con silenziatore in fronte. Con operazioni di intelligence all’epoca
inimmaginabili per Thomas, i servizi segreti riuscirono a risalire al colpevole
dell’omicidio del suo “stimato collega” escort, che fu dapprima destituito
dalla sua carica e poi processato per direttissima. Con una moglie e due figli
(uno addirittura della stessa età del ragazzo assassinato), una famiglia
cattolicissima che non poteva sopportare i pervertiti come lo era il loro bel
figliolo prossimo alla sessantina, non riuscendo a reggere al peso della sua
stessa colpevolezza, il povero (si fa per dire) politicante si era a sua volta
messo la “cravatta eterna” al collo, lasciando per sempre quella valle di
lacrime che era il mondo. Tuttavia, prima di andarsene da quella landa di
dolore inquinata dal denaro, un po’ della sua dote era inaspettatamente
arrivata nella cassa di Thomas. Cinquantamila euro in contanti, in cambio del
suo silenzio. Buona parte di quella fortuna Thomas l’aveva usata per pagarsi
gli studi universitari, chiudendo per sempre con la sua carriera di ragazzo in
affitto, lasciando come unico legame con il passato una foto rubata da un
giornalista che aveva osato insinuare che Thomas era stato coinvolto. Sui
giornali la sua identità non aveva avuto alcun seguito, ma evidentemente Dario
ne aveva conservato una copia.
-Sì, sei soltanto un puttano che usa il suo
corpo per ricattare la gente. Fai soltanto schifo, dovrei ammazzarti adesso-
disse Dario puntando la pistola contro Thomas, che chiuse gli occhi spaventato…
-D…Dario- si era sentito balbettare
–C…cerca di capire… Io non … Io non ho estorto dei soldi a quel politico… su
che giornale l’hai letto?-
A quella domanda, Dario aveva digrignato i
denti, posando la pistola sul pavimento, e sempre tenendo gli occhi impregnati
di furore sulla persona di Thomas, aveva tirato fuori una specie di taccuino,
dal quale a sua volta aveva preso fuori un foglio di giornale ripiegato.
-“
-…Io ti odio. Ti odio con tutto il mio
cuore, pezzettino di merda.- il suo alito profumava di gomma da masticare alla
menta, ma il suo furore faceva paura -…Quando Alberto sarà qui, ci fidanzeremo
ufficialmente, tu morirai ed io piscerò sulla tua tomba.- detto questo, diede
un altro strattone ai capelli di Thomas, gli tirò un pugno sul naso e gli sputò
negli occhi. Impossibilitato a replicare alla minaccia del pazzo, il povero
Thomas gemette di dolore, provando a rannicchiarsi per quanto gli riusciva, nel
tentativo di scendere a patti col dolore, mentre Dario si alzava ed andava
verso la porta, lasciando solo ed al buio il suo prigioniero, che nel frattempo
si era messo a piangere.
Questo era stato il loro primo incontro, al
quale Thomas ripensava quasi ogni giorno e durante il quale aveva capito perché
Dario avesse fatto fuori tutti quei poveri ragazzi. Una lista nella quale
sarebbe entrato anche Thomas, se non fosse arrivato un miracolo dal cielo o se non
si fosse fatto venire un’idea. Mentre
aspettava, ormai da alcuni giorni, Thomas se ne stava lì disteso su quel
materasso, con le caviglie e i polsi bloccati da quelle corde. Fortunatamente
Dario non gli aveva tappato anche la bocca, così poteva respirare
tranquillamente. Il suo aguzzino andava a trovarlo ogni giorno. Quasi
maternamente lo metteva a sedere e lo imboccava con fette di pizza che comprava
prima di recarsi lassù. Grazie alla metodicità di Dario, dopo due volte che gli
aveva chiesto l’orario, il suo aguzzino era diventato anche il suo orologio: tutte
le sere alle ventuno arrivava a portargli la sua pizza margherita. Dopo tutto
quel tempo avrebbe anche potuto dire in anticipo quando sarebbe arrivato (salvo
imprevisti). Ora Thomas se ne stava disteso guardando la porta, nel buio. Si
sentiva sporco, sudato, puzzolente. Desiderò di essere fuori da lì, nel suo
loft, a fare una bella doccia e dopo a guardare un po’ di televisione. Accanto
a lui c’era Alberto, al quale non aveva mai smesso di pensare… Nemmeno dopo che
l’aveva lasciato. Adesso avrebbe avuto bisogno di lui, e pregò tutti i santi in
paradiso che il ragazzo avesse letto la sua e-mail. D’altronde era stato
abbastanza incauto a presentarsi a casa sua direttamente. Si sarebbe dovuto
presentare alla porta di Dario armato di una bella pistola scacciacani e dargli
il fatto suo. Il problema era che non aveva mai posseduto una pistola. Era uno
scrittore, non certo un poliziotto, anche se negli ultimi giorni si era calato
in quel ruolo.
“Ti prego Alberto… Vieni… Vieni a
salvarmi…” pensò, con un sospiro. Improvvisamente, la porta della sua prigione
si aprì con uno scatto di chiave, e la figura di Dario con un cartone di pizza
in mano si profilò sulla soglia.
-Ciao, Thomas- lo salutò con scherno –Come
stai oggi?-
-…Fottiti.- gli rispose Thomas.
-Come siamo acidi stasera. Ti ho portato la
cena- disse, poi aggiunse –ed è meglio che tieni a freno la lingua, se non vuoi
che ti lasci a morire di fame.- E rise, andando verso di lui. Thomas si zittì,
osservandolo con aria truce. Dario si inginocchiò davanti a lui, posando la
torcia sul pavimento lercio e polveroso. Alla luce della lampada, il volto di
Dario era dipinto da giochi di ombre molto suggestivi, gli stessi che c’erano
anche sulla faccia di Thomas. Per la prima volta durante quel periodo, Dario si
soffermò a guardare Thomas. Lo guardò a lungo, senza dire nulla, soltanto
osservando il suo viso ed i suoi occhi verdi. “L’angelo bianco e l’angelo nero”
pensò Thomas, mentre i suoi occhi erano fissi in quelli di Dario.
-Sai…- disse Dario, portando una mano sulla
guancia di Thomas e carezzandogliela –…Non sei niente male. Se fai il bravo,
potremmo anche fare un’esperienza a tre.- Rise di gusto –Sì! Io, tu… e il
nostro Alberto. E’ un bel ragazzone, lui… sono sicuro che riuscirebbe a
soddisfare due sederini come i nostri.-
-Con il tuo di sicuro ci metterà poco
tempo. Per toglierti più in fretta dai coglioni- rispose acidamente Thomas. A
quella risposta, Dario cambiò espressione e mollò un ceffone in faccia a
Thomas, lasciandogli il segno di cinque dita più due anelli.
-E adesso prova a mangiare da solo- disse
stizzito, calciando il cartone della pizza, che volò fuori dal contenitore.
Dentro di sé, Thomas stava ridacchiando. Il riso gli passò quando sentì il
rumore di un motore che si avvicinava.
*****
Una leggera nevicata aveva preso a scendere
dal cielo di Torino. Al volante della sua Fabia, Alberto si augurò che la neve
non attecchisse al terreno, perché altrimenti il ritorno sarebbe stato
difficile. Il posto segnato sulla mappa (una stampa da “Tuttocittà” con una X
rossa che indicava il posto giusto) era proprio nei pressi del cantiere di
Fabrizio: si trattava di una vecchia casetta abbandonata, praticamente in
disfacimento. Il tetto era praticamente sfondato, e inchiodato ad un muro c’era
un cartello che avvertiva del pericolo di crollo. Così il buon Dario poteva
contare sull’appoggio di due case abbandonate, in quel posto sperduto dove non
andava mai nessuno, per fare i suoi comodi. “Thomas dev’essere sicuramente là.”
Avanzò lentamente, abbandonando l’auto, munito soltanto di una torcia e di un
lungo cacciavite a lama (l’unica arma che era riuscito a trovare in caso ci
sarebbe stato da difendersi), che nascose prontamente dietro la schiena. Con la
torcia esplorò la facciata della casa, mentre la neve che cadeva dal cielo si
stava già depositando. Nessuno in vista, quindi avanzò lentamente, stando bene
attento alle spalle, in caso il suo pazzo vicino di casa fosse lì appostato. Si
armò del suo cacciavite, pronto a ficcarlo in gola a Dario in caso non avesse
voluto collaborare. Deglutì al solo pensiero, dopotutto lui era uno che non
aveva mai fatto male ad una mosca, quindi si augurò che il ragazzo se ne fosse
stato buono.
Nell’avvicinarsi sempre di più alla casa,
gli venne la pelle d’oca. C’era qualcosa che lo terrorizzava, soprattutto al
pensiero che Nathan potesse essere stato ucciso là. Cercò di farsi coraggio il
più possibile, dato che ormai conosceva il colpevole… Dato che non voleva
complicazioni, aveva evitato di chiamare i carabinieri. Thomas doveva essere assolutamente
salvato, ammesso e non concesso che non fosse già troppo tardi. Dopotutto,
erano passati alcuni giorni da quella mail. Una settimana minimo.
“Signore, se ci sei… Io ti imploro… Ti
prego, fa che Thomas sia vivo.”
*****
Thomas non fece in tempo ad urlare che
Dario gli aveva già sigillato la bocca con un pacco di nastro da pacchi sulla
bocca. –Se ti azzardi a starnazzare- gli stava dicendo –ti taglio quella gola.-
Comprendendo che non era il caso di
resistere, Thomas annuì e chiuse gli occhi.
-Vedo che capisci. E comunque quegli occhi
tienili aperti. Voglio che tu stia a guardare mentre…- non terminò la frase,
lasciando ad un sorriso sardonico tutto il significato attribuibile. Thomas
ringhiò, con tutto lo scotch che gli aveva appiccicato la bocca.
*****
Il salone d’ingresso sembrava proprio un
antro malefico. La struttura era insolitamente anglosassone, ovvero c’erano le
scale che portavano al piano superiore già all’ingresso. Analogamente all’altro
casolare in campagna, questo qui era coperto dello stesso marciume ed elementi
della natura, ovvero foglie morte e rami spezzati, che nelle case abbandonate
riuscivano sempre ad entrare in qualche modo. Dal pavimento fuoriuscivano dei
tubi molto vecchi ed arrugginiti, piegati verso l’alto come le due canne di una
doppietta. Tese l’orecchio, cercando di captare qualche rumore. Senza sentire
nulla, cominciò la sua esplorazione del posto, camminando piano e tenendo
sempre alto il lungo cacciavite, immaginando di essere un cavaliere per farsi
coraggio. Se Thomas era lì, lui l’avrebbe tirato fuori, ad ogni costo. La luce
della torcia nell’altra mano creava dei paurosi giochi di ombre con le tende
ormai sfibrate e consunte da troppi anni di cambiamenti climatici, e l’ombra
proiettata di un ragno fece fare un balzo ad Alberto per la paura. Si trovò
davanti un lungo corridoio, il quale si snodava a sinistra verso la fine. Ai
lati del corridoio c’erano quattro porte. Due a sinistra e due a destra.
Furtivamente, si mosse cercando di fare piano ma anche in fretta, ispezionando
brevemente le porte. Appreso che non c’era nessuno, girò verso sinistra nel
corridoio, e …
-Fermo.- gli intimò una voce. Era Dario, in
un timbro vocale che non gli aveva mai sentito fare. Beh, d’altronde si erano
parlati veramente poco in tutti quegli anni che si conoscevano, per cui gli
sarebbe stato difficile riconoscere la voce del ragazzo. Alberto rimase
impietrito, cercando di vedere con la coda dell’occhio, ma non riuscendoci,
rinunciò a voltarsi. –Non voltarti. Lascia cadere il cacciavite e alza le mani.
Lentamente.-
La voce di Dario era molto impostata, quasi
quella di un soldato che beccava un prigioniero di guerra, troppo suadente. –Ho
una pistola, per cui decidi tu se vuoi collaborare oppure farmi incazzare come
ha fatto il tuo amico giù di sotto.-
-Dario, non è il caso di…-
-Zitto!- gli intimò, e questa volta sentì
la pistola che gli toccava la base del collo, ed il fiato caldo di Dario che
gli parlava all’orecchio. –Adesso vai avanti. E scendi lentamente le scale. Te
lo ripeto, non fare scherzi o dipingerò le pareti di questa casa soltanto
premendo il grilletto.- Non scherzava affatto, tanto più che poteva sentire il
freddo metallo della rivoltella sul collo, che gli fece venire la pelle d’oca. Scesero
le scale insieme, Alberto davanti e Dario dietro, che già pregustava lo
spettacolino che aveva in mente, quella sua mente bacata che aveva perpetrato
così tanti delitti. Arrivati a destinazione, Dario intimò ad Alberto di aprire
una porta, e una volta varcata la soglia vide una persona che sembrava Thomas,
ma che aveva i capelli talmente scarmigliati, il viso sporco e insanguinato ed
un grosso pezzo di nastro adesivo sulla bocca e si spaventò.
-Thomas!!!-
Fece per accorrere da lui, ma Dario gli
puntò la pistola alla schiena e disse –Io non lo farei…- provocando il blocco
immediato di Alberto. Thomas incominciò a latrare mugolii dalla gola, e Alberto
vide che era prossimo a piangere. Tranquillamente, Dario girò intorno ad
Alberto con il suo cacciavite in mano, che buttò in un angolo della stanza, il
più lontano possibile dai due.
-Bene- disse Dario –è ora di cominciare.-
Un ghigno satanico gli si dipinse sulle labbra.