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Autore: StephEnKing1985    20/11/2010    1 recensioni
Alberto aveva un ragazzo, Nathan. La loro relazione durava da cinque anni, fino a che un giorno Nathan non uscì di casa e non scomparve. A distanza di due anni, Alberto è ancora solo e non sa cosa fare della sua vita. Mentre cerca di rialzarsi, misteriosi omicidi sconvolgono la tranquilla città di Torino. Conoscendo le vittime, Alberto si sentirà in dovere di indagare. Aiutato da uno scrittore, Alberto seguirà la via dell'assassino, fino a scoprire un'agghiacciante verità che mai avrebbe potuto immaginare.
Genere: Dark, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ventitre

Ventisette

L’ultima cosa che aveva visto Thomas era stato il portone di Alberto. Poi per lui era improvvisamente calato il buio, a causa della gentile carezza fattagli dall’assassino. Assassino che adesso aveva un nome e cognome, e recentemente anche un volto per Thomas. Dario Mainardi, il vicino di casa di Alberto era un ragazzo snello ma tonico, bianco come una mozzarella e dal visino dolce al quale sembrava mancare qualunque ombra di malvagità. Le uniche ombre, oltre a quelle nella sua testa, erano il colore dei suoi capelli e degli occhi, neri corvini senza essere tinteggiati. Il loro primo incontro, una settimana prima, non fu dei migliori.

-Ciao, Thomas.- gli aveva detto Dario, puntandogli contro una pistola scacciacani, probabilmente di suo padre.

-Ciao, Dario. Piacere di conoscerti.- aveva risposto Thomas –Perché mi hai legato così?-

Dario aveva riso. Prima si era fatto un risolino sommesso, che era andato di crescendo in crescendo, passando da una grassa risata fino a diventare uno schiamazzo incontrollato. Thomas l’aveva guardato attentamente, quel ragazzino di solo un anno più giovane, che gli aveva bloccato caviglie e polsi con dei pezzi di corda, unendo le due estremità con un altro lungo cavo, un fil di ferro. –Sei tu lo scrittore- aveva detto Dario ridendo –Perché non usi l’immaginazione, invece di fare domande idiote?- detto questo, si era magicamente calmato, come se qualcuno alla guida del suo cervello avesse girato una chiave e spento il sistema delle risate. Gli occhi del ragazzo erano calmi, ma Thomas sentiva che dentro di sé quel ragazzo portava una grande pazzia. Si era accomodato alla bene meglio su quel doppio materasso su cui era stato posato, e Dario gli aveva intimato di non fare scherzi, senza smettere di puntargli la pistola contro. –Per favore, potresti smetterla di puntarmi quell’affare contro? Non sono nelle condizioni di scappare, amico.- gli aveva detto Thomas, sfidandolo. Le parole erano state abbastanza da fare incazzare Dario.

-Ti invito a non fare lo smargiasso con me, puttanello.- aveva replicato –So tutto di te. Facevi il puttanello ai tempi della scuola, ho conservato la tua foto sui giornali. Hai estorto milioni ad un politico solo perché gli era caduta la maschera e avresti minacciato di rovinarlo.-

Si riferiva chiaramente al suo episodio di quando era ragazzo, un episodio di cui Thomas conservava ricordi ben chiusi in un compartimento a tenuta stagna del suo inconscio. All’epoca il politico, un uomo di cinquantotto anni suonati, usava Thomas ogni sera come suo giocattolo preferito, facendogli cose inimmaginabili. Chiuse gli occhi, ricordando quelle cose… I giornali non avevano certo usato il suo nome, ma lo scandalo era venuto fuori comunque, quando il politico aveva smesso di servirsi di Thomas in favore di un altro ragazzo, addirittura più giovane di lui. Una regola principe del mondo degli escort era la seguente: Rispettare sempre i clienti paganti. Una sola regola da rispettare, e la si imparava da subito. Tuttavia le regole sono fatte per essere infrante, e questo ragazzo più giovane aveva scelto il modo più giusto per farlo: era arrivato addirittura a fare la cialtronata di minacciare il paparino, dicendogli “Se non mi paghi profumatamente all’inizio di ogni scopata, io racconterò tutto a tua moglie. So chi sei, anche se usi quella ridicola maschera.” Tale bravata gli era costata la vita: un giorno due sicari assoldati dall’uomo gli avevano timbrato il cartellino con due colpi di pistola con silenziatore in fronte. Con operazioni di intelligence all’epoca inimmaginabili per Thomas, i servizi segreti riuscirono a risalire al colpevole dell’omicidio del suo “stimato collega” escort, che fu dapprima destituito dalla sua carica e poi processato per direttissima. Con una moglie e due figli (uno addirittura della stessa età del ragazzo assassinato), una famiglia cattolicissima che non poteva sopportare i pervertiti come lo era il loro bel figliolo prossimo alla sessantina, non riuscendo a reggere al peso della sua stessa colpevolezza, il povero (si fa per dire) politicante si era a sua volta messo la “cravatta eterna” al collo, lasciando per sempre quella valle di lacrime che era il mondo. Tuttavia, prima di andarsene da quella landa di dolore inquinata dal denaro, un po’ della sua dote era inaspettatamente arrivata nella cassa di Thomas. Cinquantamila euro in contanti, in cambio del suo silenzio. Buona parte di quella fortuna Thomas l’aveva usata per pagarsi gli studi universitari, chiudendo per sempre con la sua carriera di ragazzo in affitto, lasciando come unico legame con il passato una foto rubata da un giornalista che aveva osato insinuare che Thomas era stato coinvolto. Sui giornali la sua identità non aveva avuto alcun seguito, ma evidentemente Dario ne aveva conservato una copia.

-Sì, sei soltanto un puttano che usa il suo corpo per ricattare la gente. Fai soltanto schifo, dovrei ammazzarti adesso- disse Dario puntando la pistola contro Thomas, che chiuse gli occhi spaventato…

-D…Dario- si era sentito balbettare –C…cerca di capire… Io non … Io non ho estorto dei soldi a quel politico… su che giornale l’hai letto?-

A quella domanda, Dario aveva digrignato i denti, posando la pistola sul pavimento, e sempre tenendo gli occhi impregnati di furore sulla persona di Thomas, aveva tirato fuori una specie di taccuino, dal quale a sua volta aveva preso fuori un foglio di giornale ripiegato.

-“La Repubblica”, diciotto maggio duemilaquattro. Cito testualmente: “…Sembra che il suicida, il deputato Massimiliano Calvetti, abbia prelevato una grossa somma di denaro in contanti poche settimane prima di morire. Il denaro contante risulta sparito nel nulla, ed i servizi di intelligence stanno lavorando per recuperarlo, o quantomeno cercare di fare luce su questo increscioso episodio…” Chi altri può aver beneficiato di quella somma???- aveva detto, e poi aveva mostrato una foto sul giornale. Quella foto ritraeva Thomas di profilo, mentre cercava di coprire con la mano l’obiettivo della macchina fotografica. –Tu, gran figlio di puttana. Soltanto tu. Ti sembra giusto che un povero ragazzo sia stato assassinato per colpa tua?- “Senti chi parla di assassinare” aveva pensato Thomas. Dario stava camminando avanti e indietro e squadrandolo da capo a piedi, evidentemente aspettando una risposta. Tirare nuovamente fuori quella storia era un brutto colpo per il povero ragazzo, che già stava soffrendo per quei nodi che gli stavano segando mani e piedi. Poi Dario era scattato e si era andato a sedere accanto a lui, tirandogli i capelli. Thomas aveva urlato dal dolore, versando anche qualche lacrima…

-…Io ti odio. Ti odio con tutto il mio cuore, pezzettino di merda.- il suo alito profumava di gomma da masticare alla menta, ma il suo furore faceva paura -…Quando Alberto sarà qui, ci fidanzeremo ufficialmente, tu morirai ed io piscerò sulla tua tomba.- detto questo, diede un altro strattone ai capelli di Thomas, gli tirò un pugno sul naso e gli sputò negli occhi. Impossibilitato a replicare alla minaccia del pazzo, il povero Thomas gemette di dolore, provando a rannicchiarsi per quanto gli riusciva, nel tentativo di scendere a patti col dolore, mentre Dario si alzava ed andava verso la porta, lasciando solo ed al buio il suo prigioniero, che nel frattempo si era messo a piangere.

Questo era stato il loro primo incontro, al quale Thomas ripensava quasi ogni giorno e durante il quale aveva capito perché Dario avesse fatto fuori tutti quei poveri ragazzi. Una lista nella quale sarebbe entrato anche Thomas, se non fosse arrivato un miracolo dal cielo o se non si fosse fatto venire un’idea.  Mentre aspettava, ormai da alcuni giorni, Thomas se ne stava lì disteso su quel materasso, con le caviglie e i polsi bloccati da quelle corde. Fortunatamente Dario non gli aveva tappato anche la bocca, così poteva respirare tranquillamente. Il suo aguzzino andava a trovarlo ogni giorno. Quasi maternamente lo metteva a sedere e lo imboccava con fette di pizza che comprava prima di recarsi lassù. Grazie alla metodicità di Dario, dopo due volte che gli aveva chiesto l’orario, il suo aguzzino era diventato anche il suo orologio: tutte le sere alle ventuno arrivava a portargli la sua pizza margherita. Dopo tutto quel tempo avrebbe anche potuto dire in anticipo quando sarebbe arrivato (salvo imprevisti). Ora Thomas se ne stava disteso guardando la porta, nel buio. Si sentiva sporco, sudato, puzzolente. Desiderò di essere fuori da lì, nel suo loft, a fare una bella doccia e dopo a guardare un po’ di televisione. Accanto a lui c’era Alberto, al quale non aveva mai smesso di pensare… Nemmeno dopo che l’aveva lasciato. Adesso avrebbe avuto bisogno di lui, e pregò tutti i santi in paradiso che il ragazzo avesse letto la sua e-mail. D’altronde era stato abbastanza incauto a presentarsi a casa sua direttamente. Si sarebbe dovuto presentare alla porta di Dario armato di una bella pistola scacciacani e dargli il fatto suo. Il problema era che non aveva mai posseduto una pistola. Era uno scrittore, non certo un poliziotto, anche se negli ultimi giorni si era calato in quel ruolo.

“Ti prego Alberto… Vieni… Vieni a salvarmi…” pensò, con un sospiro. Improvvisamente, la porta della sua prigione si aprì con uno scatto di chiave, e la figura di Dario con un cartone di pizza in mano si profilò sulla soglia.

-Ciao, Thomas- lo salutò con scherno –Come stai oggi?-

-…Fottiti.- gli rispose Thomas.

-Come siamo acidi stasera. Ti ho portato la cena- disse, poi aggiunse –ed è meglio che tieni a freno la lingua, se non vuoi che ti lasci a morire di fame.- E rise, andando verso di lui. Thomas si zittì, osservandolo con aria truce. Dario si inginocchiò davanti a lui, posando la torcia sul pavimento lercio e polveroso. Alla luce della lampada, il volto di Dario era dipinto da giochi di ombre molto suggestivi, gli stessi che c’erano anche sulla faccia di Thomas. Per la prima volta durante quel periodo, Dario si soffermò a guardare Thomas. Lo guardò a lungo, senza dire nulla, soltanto osservando il suo viso ed i suoi occhi verdi. “L’angelo bianco e l’angelo nero” pensò Thomas, mentre i suoi occhi erano fissi in quelli di Dario.

-Sai…- disse Dario, portando una mano sulla guancia di Thomas e carezzandogliela –…Non sei niente male. Se fai il bravo, potremmo anche fare un’esperienza a tre.- Rise di gusto –Sì! Io, tu… e il nostro Alberto. E’ un bel ragazzone, lui… sono sicuro che riuscirebbe a soddisfare due sederini come i nostri.-

-Con il tuo di sicuro ci metterà poco tempo. Per toglierti più in fretta dai coglioni- rispose acidamente Thomas. A quella risposta, Dario cambiò espressione e mollò un ceffone in faccia a Thomas, lasciandogli il segno di cinque dita più due anelli.

-E adesso prova a mangiare da solo- disse stizzito, calciando il cartone della pizza, che volò fuori dal contenitore. Dentro di sé, Thomas stava ridacchiando. Il riso gli passò quando sentì il rumore di un motore che si avvicinava. 

*****

Una leggera nevicata aveva preso a scendere dal cielo di Torino. Al volante della sua Fabia, Alberto si augurò che la neve non attecchisse al terreno, perché altrimenti il ritorno sarebbe stato difficile. Il posto segnato sulla mappa (una stampa da “Tuttocittà” con una X rossa che indicava il posto giusto) era proprio nei pressi del cantiere di Fabrizio: si trattava di una vecchia casetta abbandonata, praticamente in disfacimento. Il tetto era praticamente sfondato, e inchiodato ad un muro c’era un cartello che avvertiva del pericolo di crollo. Così il buon Dario poteva contare sull’appoggio di due case abbandonate, in quel posto sperduto dove non andava mai nessuno, per fare i suoi comodi. “Thomas dev’essere sicuramente là.” Avanzò lentamente, abbandonando l’auto, munito soltanto di una torcia e di un lungo cacciavite a lama (l’unica arma che era riuscito a trovare in caso ci sarebbe stato da difendersi), che nascose prontamente dietro la schiena. Con la torcia esplorò la facciata della casa, mentre la neve che cadeva dal cielo si stava già depositando. Nessuno in vista, quindi avanzò lentamente, stando bene attento alle spalle, in caso il suo pazzo vicino di casa fosse lì appostato. Si armò del suo cacciavite, pronto a ficcarlo in gola a Dario in caso non avesse voluto collaborare. Deglutì al solo pensiero, dopotutto lui era uno che non aveva mai fatto male ad una mosca, quindi si augurò che il ragazzo se ne fosse stato buono.

Nell’avvicinarsi sempre di più alla casa, gli venne la pelle d’oca. C’era qualcosa che lo terrorizzava, soprattutto al pensiero che Nathan potesse essere stato ucciso là. Cercò di farsi coraggio il più possibile, dato che ormai conosceva il colpevole… Dato che non voleva complicazioni, aveva evitato di chiamare i carabinieri. Thomas doveva essere assolutamente salvato, ammesso e non concesso che non fosse già troppo tardi. Dopotutto, erano passati alcuni giorni da quella mail. Una settimana minimo.

“Signore, se ci sei… Io ti imploro… Ti prego, fa che Thomas sia vivo.”

*****

Thomas non fece in tempo ad urlare che Dario gli aveva già sigillato la bocca con un pacco di nastro da pacchi sulla bocca. –Se ti azzardi a starnazzare- gli stava dicendo –ti taglio quella gola.-

Comprendendo che non era il caso di resistere, Thomas annuì e chiuse gli occhi.

-Vedo che capisci. E comunque quegli occhi tienili aperti. Voglio che tu stia a guardare mentre…- non terminò la frase, lasciando ad un sorriso sardonico tutto il significato attribuibile. Thomas ringhiò, con tutto lo scotch che gli aveva appiccicato la bocca.

*****

Il salone d’ingresso sembrava proprio un antro malefico. La struttura era insolitamente anglosassone, ovvero c’erano le scale che portavano al piano superiore già all’ingresso. Analogamente all’altro casolare in campagna, questo qui era coperto dello stesso marciume ed elementi della natura, ovvero foglie morte e rami spezzati, che nelle case abbandonate riuscivano sempre ad entrare in qualche modo. Dal pavimento fuoriuscivano dei tubi molto vecchi ed arrugginiti, piegati verso l’alto come le due canne di una doppietta. Tese l’orecchio, cercando di captare qualche rumore. Senza sentire nulla, cominciò la sua esplorazione del posto, camminando piano e tenendo sempre alto il lungo cacciavite, immaginando di essere un cavaliere per farsi coraggio. Se Thomas era lì, lui l’avrebbe tirato fuori, ad ogni costo. La luce della torcia nell’altra mano creava dei paurosi giochi di ombre con le tende ormai sfibrate e consunte da troppi anni di cambiamenti climatici, e l’ombra proiettata di un ragno fece fare un balzo ad Alberto per la paura. Si trovò davanti un lungo corridoio, il quale si snodava a sinistra verso la fine. Ai lati del corridoio c’erano quattro porte. Due a sinistra e due a destra. Furtivamente, si mosse cercando di fare piano ma anche in fretta, ispezionando brevemente le porte. Appreso che non c’era nessuno, girò verso sinistra nel corridoio, e …

-Fermo.- gli intimò una voce. Era Dario, in un timbro vocale che non gli aveva mai sentito fare. Beh, d’altronde si erano parlati veramente poco in tutti quegli anni che si conoscevano, per cui gli sarebbe stato difficile riconoscere la voce del ragazzo. Alberto rimase impietrito, cercando di vedere con la coda dell’occhio, ma non riuscendoci, rinunciò a voltarsi. –Non voltarti. Lascia cadere il cacciavite e alza le mani. Lentamente.-

La voce di Dario era molto impostata, quasi quella di un soldato che beccava un prigioniero di guerra, troppo suadente. –Ho una pistola, per cui decidi tu se vuoi collaborare oppure farmi incazzare come ha fatto il tuo amico giù di sotto.-

-Dario, non è il caso di…-

-Zitto!- gli intimò, e questa volta sentì la pistola che gli toccava la base del collo, ed il fiato caldo di Dario che gli parlava all’orecchio. –Adesso vai avanti. E scendi lentamente le scale. Te lo ripeto, non fare scherzi o dipingerò le pareti di questa casa soltanto premendo il grilletto.- Non scherzava affatto, tanto più che poteva sentire il freddo metallo della rivoltella sul collo, che gli fece venire la pelle d’oca. Scesero le scale insieme, Alberto davanti e Dario dietro, che già pregustava lo spettacolino che aveva in mente, quella sua mente bacata che aveva perpetrato così tanti delitti. Arrivati a destinazione, Dario intimò ad Alberto di aprire una porta, e una volta varcata la soglia vide una persona che sembrava Thomas, ma che aveva i capelli talmente scarmigliati, il viso sporco e insanguinato ed un grosso pezzo di nastro adesivo sulla bocca e si spaventò.

-Thomas!!!-

Fece per accorrere da lui, ma Dario gli puntò la pistola alla schiena e disse –Io non lo farei…- provocando il blocco immediato di Alberto. Thomas incominciò a latrare mugolii dalla gola, e Alberto vide che era prossimo a piangere. Tranquillamente, Dario girò intorno ad Alberto con il suo cacciavite in mano, che buttò in un angolo della stanza, il più lontano possibile dai due.

-Bene- disse Dario –è ora di cominciare.- Un ghigno satanico gli si dipinse sulle labbra.

   
 
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