Grazie a tutti per ogni commento, pubblico o
privato. Sono davvero contenta che questa storia vi stia piacendo.
Capitolo 4
2010
Camila non si è mai
persa d’animo nella sua vita. Si è sempre data da fare, soprattutto nelle
situazioni più svantaggiate. Per questo, dopo aver ascoltato, attraverso la
porta, le parole di Alessia decide di alzare la testa e di proseguire per la
sua strada.
Ciò nonostante,
mentre esce dal palazzo e si avvia alla fermata della metropolitana, non può
fare a meno di ripensare a ciò che è accaduto nella sua abitazione.
Avrebbe voluto
rispondere in maniera diversa a Davide. Quando lui ha collegato il suo nome a
quello della ragazza di Carovigno, Camila avrebbe voluto gridare “Sì, sono io”,
ma non l’ha fatto.
Non ha potuto
farlo.
Non in presenza di
Alessia. Non dopo averli visti in atteggiamenti così intimi.
Camila non conosce
bene la sua coinquilina, ma sa che è capace di essere pungente, cinica e crudele.
Sa che molto spesso la deride a causa delle sue abitudini alimentari. Sa che
lei e Ida la considerano una svitata.
Se Davide esce con
lei, pensa Camila, è probabile che anche lui sia così. E’ probabile che anche
lui partecipi alle conversazioni in cui prendono di mira i miei vestiti modesti,
il modo in cui preparo da mangiare, le scarpe che indosso. Magari, pensa mentre
scende nella stazione di Numidio Quadrato per aspettare una corsa, Davide è
come lei: pungente, cinico e crudele.
Continua a pensare
a loro fino a che non arriva un treno.
Oggi è sabato, e
questo significa che non dovrà faticare molto per trovare un posto a sedere. Lo
trova immediatamente, infatti, accanto ad un uomo dai tratti asiatici che
indossa un giubbotto di jeans e ha l’aria stanca.
A Camila piace
viaggiare in metropolitana. Non può permettersi un’automobile, ma anche in
circostanze diverse si sarebbe servita dei mezzi pubblici. A differenza della
maggior parte delle persone, le piace l’odore consumato e rugginoso dei treni.
Le piace la voce metallica che elenca le fermate in due lingue. Le piace
osservare gli altri passeggeri.
Lo fa sempre,
soprattutto durante il viaggio dell’andata, per ingannare il tempo fra una
fermata e l’altra.
A volte legge,
anche se il movimento del treno le procura il mal di testa.
A volte non fa altro
che osservare la plastica giallognola che fa da pavimento.
Questo è uno di
quei giorni. Perché, a dispetto della sua buona volontà, Camila non riesce a
liberare la mente dal volto e dalle parole di Davide.
***
“Perché la chiami pazza?” chiede Davide, fissando la porta chiusa
invece che Alessia.
“Perché lo è!”
esclama lei, avvicinandosi al frigorifero per prendere il latte. “Apri quel
pensile, guarda quanta roba,” gli dice. “Solo una
malata potrebbe conservare tutte quelle schifezze.”
Davide non ha
bisogno di fare come le ha detto Alessia, in quanto conosce già il contenuto
del pensile. Tante barrette al cioccolato. Tanti dolcetti farciti. Perfino un
pacco da un kg di biscotti al cocco. Non pensa che siano schifezze. A lui
piacciono quelle cose, è sempre stato goloso di dolciumi.
“Magari ha soltanto
fame,” dice, facendosi da parte per consentire ad Alessia
di versare il latte in un pentolino, per riscaldarlo.
“Magari è pazza,” ripete lei. “Nessuno ha bisogno di una scorta simile. Non
appena mangia un paio di barrette, corre al supermercato per comprarne altre.”
“Le avete mai
chiesto perché fa così?” chiede incrociando le braccia sul petto.
“Sì. Ci ha guardate come un’ebete per due
minuti e poi ha detto ‘Perché sì’.” L’occhiata che
lancia a Davide è particolarmente eloquente: Alessia è convinta di vivere con
una persona a cui manca qualche rotella.
Il ragazzo, però,
non riesce a lavare via di dosso la strana sensazione che ha provato quando ha
saputo il nome della donna. Camila. In diciassette anni, Davide non ha mai più
sentito quel nome. Non ricorda quasi nulla della ragazza delle docce, e questo
gli dispiace. Ha sempre cercato di ricordare il colore dei suoi capelli, quello
degli occhi, ma allora era un bambino e si sa, i bambini dimenticano in fretta.
Davide ricorda di
essere ritornato al campo di calcio sperando di rivederla, ma Camila non è più
andata a lavarsi in quel posto. Davide ricorda di esserci rimasto male, quando
non ha più saputo niente di lei. Per qualche giorno è stato persino arrabbiato.
Ma poi ha
continuato la sua vita, lasciando Carovigno dopo la morte di suo padre e
seppellendo i ricordi della lontana infanzia.
Adesso, però,
diciassette anni dopo, non riesce a liberarsi della strana sensazione che ha
provato quando ha visto le barrette e quando ha saputo il vero nome della pazza.
“Non dovreste
prenderla in giro,” dice ad Alessia, prendendo due
cucchiai da uno dei cassetti. Lei versa il latte in due tazze, aggiunge alla
sua del caffè freddo preso dal frigorifero e apre un pensile per prendere un
pacco aperto di Tarallucci.
“Non la prendiamo
in giro,” ribatte lei sedendosi al tavolo. “Non è mica
colpa nostra se è così strana…”
“Quanti anni ha?”
chiede lui, più interessato alla donna che non alla colazione.
“Trenta? Trentacinque? Boh, chi lo sa,” risponde Alessia scrollando le spalle. “Lavora
come donna delle pulizie. Pulisce anche qui; io e Ida le abbiamo chiesto
di farlo al posto nostro, in cambio di una piccola sommetta.”
Scrolla le spalle di nuovo, come se avesse detto la cosa più normale del mondo.
“Cioè… le fate
pulire le vostre camere?” chiede Davide sbigottito.
“Sì,” dice lei masticando. “Gliel’abbiamo
chiesto, lei ha accettato… perché? Perché mi guardi in quel modo? E perché stiamo parlando della pazza invece che di noi!” esclama,
annoiata.
Allunga una mano
verso il viso di Davide per accarezzargli la barba cortissima, bionda come i suoi
capelli.
“Quando mi sono
svegliata e non ti ho trovato nel letto ho pensato che fossi andato via, lo
sai?”
“Il tuo letto è un
po’ scomodo,” risponde lui senza sottrarsi al suo
tocco. “Ho pensato di lasciarti dormire….”
“E’ scomodo per
dormire, ma per altre cose è perfetto… no?” Nel dirlo, la mano di lei scende
sul suo collo.
Davide chiude gli
occhi e si lascia andare alla piacevole sensazione.
“Ho passato una
serata bellissima,” gli dice scostando la mano e
sorridendogli. “E tu… tu sei stato bene?”
“Ovviamente,” risponde Davide.
“Potremmo rifarlo,” dice lei, arrossendo. Per un attimo, la ragazza perde
l’atteggiamento di femme fatale e mostra un lato diverso, quasi dolce. “Se sei
stato bene, se vuoi…”
“Mi sembra
un’ottima idea,” risponde Davide, prendendo un
biscotto dalla confezione e gettandolo nella tazza. “D’accordo.”
Alessia si alza per
dargli una bacio sulla guancia, e non sa che uno dei
motivi per cui Davide ha accettato è il desiderio di poter rivedere la sua
coinquilina.
***
La prima tappa di Camila
è a San Giovanni, presso una famiglia che vive in un antico palazzo con le
finestre alte e strette. In questo quartiere la maggior parte degli edifici è
di questo tipo, e a Camila piace guardarli mentre cammina.
Arriva a piedi,
percorrendo otto marciapiedi e attraversando a due incroci.
Fa visita a questa
famiglia due volte alla settimana, il martedì ed il sabato. Si tratta della
casa più faticosa da gestire, ma anche di quella più divertente. I Patriarca
hanno due bambini piccoli, di tre e cinque anni; per questo motivo le stanze
sono sempre in disordine, il bucato da stirare è tanto e i piatti nel lavandino
si accumulano con facilità. I coniugi Patriarca insegnano al liceo, e non hanno
molto tempo da dedicare alla cura della casa.
Trattano Camila con
rispetto, pagandola puntualmente.
A Camila piace la
loro casa. E’ luminosa e moderna, a dispetto dell’antichità del palazzo. I
bambini sono sempre felici, e questo la mette di buonumore. Le piacciono i
bambini; avrebbe tanto voluto dei figli, ma il destino non ne ha fatti arrivare
e per questo gioisce quando passa del tempo con Matteo e Leonardo.
Camila trascorre tre
ore a casa Patriarca, dalle 9 alle 12. Pulisce i due bagni, si occupa della
cucina e stira numerose gonne e camicie. Cambia le lenzuola al letto
matrimoniale ed aiuta la signora a scrivere la lista per la spesa che lei e suo
marito andranno a fare nel pomeriggio.
Dopo aver salutato
adulti e piccini, esce dal palazzo e si ferma ad uno dei tanti bar che la
separano dalla fermata della metropolitana. Compra un tramezzino al tonno ed
una bottiglietta d’acqua.
Avrebbe voluto fare
colazione e prepararsi un panino prima di uscire di casa, ma non ha potuto. Non
era in grado di rimanere con Davide ed Alessia un minuto di più.
Chissà se hanno
continuato a parlare di me, pensa. Chissà se lui ha ricordato.
La seconda tappa
della sua giornata lavorativa è più a nord, nel quartiere Flaminio. Camila
raggiunge l’abitazione della famiglia Ballotta attraverso la metropolitana,
fino alla fermata Flaminio, e con un autobus, salendo sul numero 491.
I Ballotta non
hanno bambini piccoli, ma un solo figlio di ventotto anni.
Da loro, Camila si
occupa di pulire con cura i pavimenti di parquet e di passare l’aspirapolvere
sul grande terrazzo. Sì, l’aspirapolvere. La famiglia Ballotta non possiede una
comunissima scopa.
Tutte le famiglie
presso cui lavora sono molto ricche. Professori
universitari, avvocati, costruttori di case (come nel caso del signor
Ballotta). Camila è contenta del suo giro lavorativo, e loro lo sono di lei.
E’ sempre puntuale,
educata, competente. Non manca mai di dare buoni consigli domestici, quando
richiesti, e all’occorrenza sa cavarsela anche ai fornelli. Il figlio dei
Ballotta, Simone, impazzisce per la sua Bolo Nega Maluca, la torta brasiliana
che sua madre (originaria del Pernambuco) le ha
insegnato a fare in Germania. Camila l’ha preparata in occasione del compleanno
di Simone che l’ha divorata. Da quella volta, meno di un anno fa, Camila ha
preparato quindici Bolo Nega Maluca per il ragazzo, ed ogni volta ha pensato ai
suoi genitori.
Trascorre due ore a
casa dei Ballotta, guadagnando trenta euro. Quando va via, ringrazia la signora
e le chiede conferma per l’appuntamento della settimana successiva. A
differenza dei Patriarca, questa famiglia ha bisogno delle sue prestazioni una
sola volta alla settimana.
“No, cara,” risponde la donna dai capelli biondi. “La prossima
settimana saremo in Umbria, al matrimonio di mia nipote Giulia. Te ne ho parlato, ricordi?”
“Oh, già… è vero.”
Camila cerca di
ricordare tutte le cose che le vengono dette mentre pulisce, lava, stira, ma
non è facile. A volte sembra quasi che le padrone di casa approfittino di lei
per sfogare i propri problemi, le proprie vicissitudini familiari, e Camila non
è molto brava a tenere a mente tutto.
“Ci vediamo fra due
settimane, d’accordo?” chiede la donna accompagnandola all’ingresso.
“Va bene,” risponde lei. “Buona domenica.”
“Anche a te, cara.”
La signora sta per chiudere la porta, quando ricorda qualcosa d’importante.
“Oh, Camila, aspetta!”
“Sì?” chiede lei,
intenta a scendere le scale.
“Una delle mie
amiche avrebbe bisogno di un aiuto; la ragazza che andava da lei ha avuto
qualche problema… sai com’è, non era in regola,” dice
sottovoce. “Posso darle il tuo numero? Saresti interessata a
darle una mano?”
Camila non ha
ancora capito perché le chiedano sempre di dare
una mano, quando invece si tratta di lavorare e basta.
“Sì, certo,” risponde con educazione. “Può darle il mio numero, così
possiamo metterci d’accordo per un appuntamento.”
“Perfetto!” dice la
signora. “Simona Falco, questo è il suo nome. Aspettati una chiamata da lei,
d’accordo?”
“D’accordo,” ripete Camila. “Buona domenica, signora. A presto.”
“Ciao, cara.”
In questi anni,
Camila ha imparato a non rifiutare mai un’offerta di lavoro. Non può
permettersi di dire no ai pochi soldi che guadagna, e non vuole neppure rifiutare
le opportunità che le vengono date dalle ricche persone che conosce.
Il suo giro di
pulizie le permette a malapena di mantenersi: dire no ad una nuova serie di
appuntamenti sarebbe come darsi la zappa sui piedi.
Il viaggio di
ritorno, da Roma Nord al Quadraro, dura sempre troppo.
Camila è stanca, dopo
le ore passate a pulire e dopo quelle passate a camminare, ed oggi ha su di sé
anche il peso dello stress causato dall’incontro con Davide ed Alessia.
Per fortuna è
sabato, pensa. Per fortuna riesco a trovare un posto a sedere sulla metro.
Osserva di nuovo il
pavimento giallognolo, riempiendosi i polmoni dell’aria viziata e dei respiri
caldi della gente.
Uomini e donne che
tornano a casa, ragazzi e ragazze che si preparano al sabato sera fuori.
Ognuno di loro ha
una storia, ognuno di loro pensa a qualcosa.
Camila pensa a
Davide, anche se non vorrebbe.
***
Davide continua a
pensare a Camila, anche dopo aver fatto sesso con Alessia per la quarta volta.
“Pensi che Ida ci
avrà sentiti?” chiede la ragazza, appoggiandosi, ansimante, su di lui.
“Forse avrà sentito
te,” scherza lui. “Sei tu quella più chiassosa.”
“Scemo.
Probabilmente non avrà sentito nulla. Probabilmente sarà andata a letto dopo
essere rientrata. Hai visto che occhiaie profonde? Secondo te
cos’ha fatto?”
“Non ne ho idea,” risponde lui, meravigliandosi di come Alessia riesca ad
essere ancora piena di energia.
La verità è che
quando Ida è tornata, prima di pranzo, lui è uscito dalla camera di Alessia
solo perché pensava che si trattasse di Camila. Non ha prestato molta attenzione
all’altra inquilina, tantomeno alle sue occhiaie.
I due restano in
silenzio per qualche minuto, avvolti dalla penombra della camera da letto.
Alessia pensa a
quanto sia bello stare con Davide.
Davide pensa a come
fare per rivedere Camila.
“Potremmo rimanere
qui, stasera,” dice lui ad un certo punto. “Anche se è
sabato. Potremmo ordinare qualcosa per cena… che ne pensi?”
“Davvero?!” chiede lei alzandosi a guardarlo. “Vuoi rimanere qui?”
“Perché no? Potremmo
cenare tutti insieme, anche con Ida e Camila.”
“Vuoi
cenare con la pazza? Non
se ne parla,” dice Alessia, gesticolando.
“Perché? Camila non mangia come tutti gli altri?”
Si rifiuta di
chiamarla pazza. Vorrebbe che neanche Alessia osasse tanto.
“Camila mangia in
camera sua,” replica lei, imitando il tono di Davide.
“Sempre.”
“Beh, magari
stasera farà un’eccezione,” dice quasi a se stesso.
“Proverò a chiederglielo io.”
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Accetterà? Non accetterà? Mah.