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Autore: Willow Gawain    24/11/2010    7 recensioni
Hidel, contea di Northumberland, Inghilterra - 1852.
Quel villaggio era perennemente bagnato dalla neve, perennemente avvolto dal freddo, dal vento, dalle nubi. Non compariva sulle carte, ma la sua figura tanto piccola quanto antica era sempre lì, ad aspettare pazientemente. Come un mostro in agguato, come un fantasma dagli occhi spietati. Una volta entrati a Hidel, la legge del villaggio proibiva tassativamente di abbandonarlo. Una maledizione, un sortilegio, una stregoneria lanciata tempo addietro da Satana camuffato da vecchia strega.
Forse, però, c’era ancora una speranza per Hidel. E quando il primo degli Angeli, il Supervisore, varcò la soglia di quel villaggio costruito in modo perfettamente circolare, come un cerchio magico, il conto alla rovescia per l’Apocalisse di Hidel ebbe inizio.
«Ora aggrappati al mio braccio. Tieniti forte. Visiteremo luoghi oscuri, ma io credo di sapere la strada. Tu bada solo a non lasciarmi il braccio. E se dovessi baciarti nel buio, non sarà niente di grave: è solo perché tu sei il mio amore.» [Cit. S.King]
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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What colour is the snow

What colour is the snow?

Capitolo 19: Calma apparente.

-Li vedi?- finalmente Damon parlò. Da quando Nathan si era immerso nella massa dei cittadini erano passati circa dieci minuti, dieci minuti molto lenti, che lui aveva osservato passare con crescente noia mediante le lente lancette dell’orologio della stazione. Ogni tic toc che emetteva, coperto dal rumorio diffuso ma ben udibile dal suo fine udito di Angelo, sembrava una provocazione. Era come se quel coso gli stesse gracchiando contro un saccente “ah-ha, ti rode il fegato che loro passino tempo insieme e tu sia lontano da Krissy, vero?”.

-Ancora no…- la vocina di Sogno ebbe il magico – e provvidenziale – effetto di ridestarlo dalla voglia di distruggere che lo aveva preso all’improvviso. Sospirò ficcando rabbiosamente le mani in tasca, tagliuzzando con gli occhi la folla, finché la solita zazzera biondo sporco ben conosciuta non fu visibile –Yo! Nate, da questa parte!- urlò a pieni polmoni per sovrastare la calca confusa e irritata di uomini e parole che li separava.

Notò che Sogno si era messa in piedi per fare una sorta di strana segnaletica umana. Beh, meglio così, si sarebbero sbrigati prima. Voleva davvero andarsene da quel posto. Poi, con tutta la calma del mondo, avrebbe sorriso ad Ann, ci avrebbe fatto amicizia, magari. Ma ora dovevano assolutamente allontanarsi da quell’odore soffocante di umani.

La piccola Ann era cresciuta, era diventata una donna, ma il cambiamento maggiore, notò, si poteva riscontrare nello sguardo. Il viso arrossato dall’emozione, gli occhi curiosi, vogliosi di scoprire ogni cosa su quel mondo che probabilmente le risultava nuovo in ogni sfaccettatura. Si sarebbe divertita con Nathan, lui sapeva tutto. Beh, quasi tutto.

-Sogno!- esclamò la ragazzina uscendo dal nascondiglio che aveva trovato tra le braccia di Nathan, venendo sommersa da un caldo abbraccio di Sogno.

-Ann! Ann! Ann! Finalmente è arrivata Ann!-

Stettero un po’ così, a coccolarsi a vicenda, contente di rivedersi dopo tantissimo tempo.

-Scusate, eh, ma vorrei arrivare a casa per la cena, stasera c’è la partita- borbottò con un sorriso ironico Damon, aprendo la porta della carrozza che avevano affittato per far salire le due ragazze –prego, signorine- porse una mano ad Ann, che annuì tutta contenta entrando, seguita a ruota da Sogno.

-Prego, signorina- sorrise poi con fare provocatorio a Nathan, il quale gli ricambiò la gentilezza con un fraterno pugno in testa, costringendolo ad entrare mentre si teneva il capo dolorante –che donna manesca!- quando fu dentro, soffocato dal calore dell’abitacolo, si accomodò senza permesso tra le due donne, lamentandosi –Ragazze, proteggetemi da quel bruto!-

Entrambe risero, soprattutto mentre Nathan gli lanciava un’occhiataccia offesa dopo aver richiuso la portiera e avendo urlato al conducente – sperando questo che fosse riuscito a sentirlo – la destinazione: via Herpshire, 77.

-Damon, sono felice di conoscerti dal vivo!- Ann gli sorrise porgendogli una mano, mentre Nathan notava con grande delizia che il suo inglese era degno di nota per una semplice contadina.

-Onorato, chéri- lui le fece il baciamano, trasformandosi poi in un sol secondo da gentiluomo al Damon ben conosciuto da Sogno e Nathan –comunque si dice “Damòn”, non “Dàmon”-

Dire che Ann sbiancò è dir poco, tanto che abbassò il capo timidamente, sforzandosi di ridere –Eh eh… scusa… fino ad oggi l’avevo solo letto…- in realtà Nathan le aveva fatto una volta quel nome, ma la sua memoria faceva acqua nelle situazioni di grande emozione.

Il viaggio verso il palazzo dove abitavano i tre cugini fu molto vivace e colorato da mille discussioni su mille argomenti diversi. Ann raccontò come procedeva la vita ad Hidel, del fatto che i Demoni avevano mantenuto l’accordo e non si erano più registrati decessi o sparizioni – con grande sollievo di Damon ma grande disappunto da parte di Nathan, che si era legato al dito il tentavo di scaricare addosso a lui la colpa di quei terribili fatti -, quindi fu il turno di Sogno, che parlò delle giornate passate a studiare tutti insieme per l’esame annuale degli Angeli, rimanendo però molto sul vago, ben sapendo che Ann non doveva essere messa al corrente di certe cose. Le due ragazze parlottarono a lungo della città, di cosa avrebbero fatto insieme; Sogno progettava già di portare la sua nuova amica a fare un giro per negozi nei giorni successivi.

-Che te ne è parso del treno?- chiese a un certo punto Nathan, interrompendo le due.

Ann gli sorrise innocentemente –Bello, ma lento!-

Lui rise di gusto –Cosa? E’ il mezzo di trasporto più veloce al mondo!-

-Sarà il più veloce al mondo- la ragazza saltò in piedi per andare a sedersi accanto a lui, prendendogli una mano –ma io preferisco un bel giro in carrozza. Soprattutto se ci sei tu-

Damon fece un’espressione disgustata, trovando improvvisamente molto interessante qualsiasi cosa passasse fuori dal finestrino, mentre Sogno ridacchiava sottovoce dell’imbarazzo evidente di Nathan, che si limitava a sorriderle.

-Era ora che qualcuno insegnasse al cugino Metherlance a provare sentimenti- si lasciò sfuggire, ricevendo da entrambi i ragazzi un’occhiataccia, a mo’ di rimprovero –ops!- si corresse –Non che prima non ne provasse, però…- si impappinò cominciando a balbettare.

Venne in aiuto Damon, che poggiò i piedi sul sedile opposto, dove ora erano seduti  Ann e Nathan –A noi Angeli è vietato amare, Annuccia- le spiegò –come a voi è vietato uscire dal villaggio. A proposito, non c’era quella leggenda orribile che diceva che tutti morivano se uno usciva da Hidel?-

Si era rivolto a Nathan che, con espressione estremamente scettica, annuì –Qualcosa del genere-

-No, moriva solo chi lo lasciava- Ann prese la parola, sorridendo poi ai compagni –ma io sono viva, no?- seguì uno strano silenzio.

Sogno sembrava non avere il coraggio di aprire bocca, lanciava occhiate cariche di richieste di aiuto a Damon, il quale però aveva definitivamente voltato lo sguardo verso l’esterno, rifiutandosi di mettersi in mezzo. Quell’improvviso silenzio fece molta paura ad Annlisette, già abbastanza inquietata dalla rivelazione secondo cui gli Angeli non dovevano amare. Si voltò con sguardo improvvisamente contratto dalla paura verso Nathan –Vero?- egli, dopo un iniziale momento di indecisione, le mise una mano sulla spalla, sorridendole dolcemente –Ovvio che sì-

A quel punto Ann tirò un lunghissimo sospiro di sollievo, tanto lungo che non avrebbe saputo definire quanto se gliel’avessero chiesto. Strinse con poca forza i pugni che teneva in grembo, sentendo la calda stoffa della gonna piegarsi senza opporre resistenza, come un fuscello. Aveva la strana paura di divenire anche lei debole come quel fuscello per qualche motivo. Più stava con gli Angeli, più capiva quanto era debole ed ignorante in confronto a loro. Anche se le bruciava, aveva deciso di non fare domande. E soprattutto non ora che aveva appena rivisto Nathan.

Senza chiedere il permesso – cosa per cui sarebbe stata largamente biasimata se fossero stati in pubblico – si accomodò tra le braccia del suo straniero, poggiando il capo stanco al suo petto. Sorrise pensando tra sé e sé “Che ironia… ora sono io la straniera”. Già, avrebbe dovuto far i conti con quello che significava essere quelli fuori posto. Eppure sarebbe andato tutto bene, ne era sicura. Le bastava sentire le braccia del suo Angelo che la stringevano mentre le baciava la fronte.

-Ti troverai bene, vedrai- le sussurrò.

E lei annuì.

 

Una volta arrivati a casa, Damon e Sogno lasciarono “i piccioncini a fare le loro cosacce”, come disse con aria falsamente innocente la giovane. Ann era arrossita di getto, cose simili a Hidel non le avrebbe dette nessuno; ecco la prima differenza tra il modo di fare della città e quello del villaggio.

Fu invitata da Nathan ad accomodarsi, e la prima cosa che notò entrando fu un dolce calore. Una stufa era accesa in un angolo, riscaldando l’ambiente, forse un po’ incoscientemente –Se lasci la stufa accesa la casa va a fuoco- lo riprese ridacchiando.

Lui forzò una risata –Ah, l’ho dimenticata- si scusò andando ad aprire la grande finestra in fondo alla sala principale, il cui colore dominante era il marrone. Mobili d’antiquariato, polvere in grande quantità, libri, quintali di libri, ammassati su ogni superficie. Tipico di Nathan. Ann sorrise: era come essere tornati nella sua casa-laboratorio di Hidel, solo che questa volta aveva più spazio a disposizione, dunque più possibilità di far confusione.

-E’ davvero… uhm, un disastro- rise di gusto, sentendo il cuore più caldo.

-Hey, cosa pretendi da un uomo che vive da solo?- sbuffò lui –Ho bisogno di spazio per le mie ricerche. Hai fame?-

-Così tanta che mangerei di tutto, dimostrami le doti culinarie di cui ti sei sempre vantato-

-Stasera carne al sangue; cerbiatto o cervo?-

Quando Nathan si voltò, Ann era visibilmente sconvolta. L’uomo rise sparendo in cucina –Scherzavo!- canticchiò, ricevendo qualche parolina poco gentile dalla ragazzina.

-Prendimi pure in giro! Avrò la mia vendetta, uomo!- esclamò ridendo, per poi guardarsi intorno spaesata. Lasciò correre lo sguardo su uno scaffale dove erano poggiate delle fotografie, o almeno, tali sembravano. Ne aveva vista qualcuna in quegli anni, le riconosceva dall’alone giallastro che le caratterizzava. Alcune erano molto allegre, era molto ricorrente quel solito trio che ben conosceva, in alcune, invece, spuntavano visi nuovi. Spiccava lì in mezzo il famoso ritratto di quel dolcissimo Nathan bambino assieme alla sorella Auror. Come sempre, si perse con l’immaginazione andando avanti nel tempo.

Vedeva la casa più calda ed ordinata, con decorazioni natalizie qua e là, una musichetta allegra in sottofondo. Ovviamente fuori nevicava ed era buio. Dentro si respirava una dolce atmosfera familiare mentre tanti piccoli Nathanini ed Annuccie correvano di qua e di là tenendo la mamma incita per mano.

-Ann? Tutto bene?-

Ann batté le palpebre più volte, voltandosi poi verso Nathan. Lo guardò intensamente accorgendosi che era stato solo un frutto della sua fantasia, annuendo poi con fare convinto –Sì, sì. Stavo avendo un incubo ad occhi aperti-

-Un incubo ad occhi aperti?- lui alzò un sopracciglio guardandola di sbieco –Accidenti, mi spiace- sicuramente non aveva mai avuto di simili problemi, ma come si dice? Sorridere ed annuire.

Anche se dopo breve, notò Ann, il suo sorriso mutò. Non era più quello un po’ forzato e beffardo che esibiva come un biglietto i primi tempi ad Hidel; ora era più rilassato, gentile, insomma molto più sereno. All’inizio lo aveva preso per un poco di buono che si divertiva a prendere in giro la gente, ma col tempo aveva capito che dietro quella smorfia canzonatoria c’era di più.

Il suo sguardo, come sempre molto intenso, capace di mettere in soggezione – lo avrebbe chiamato “occhiata angelica” da quel momento in poi -, la imbarazzava –Che c’è?- chiese, sentendosi tutt’un tratto di nuovo la piccola e zotica contadina di un villaggio di frontiera.

-Nulla- le venne risposto. Le prese con delicatezza una ciocca di capelli tra le dita, sorridendole –notavo solo quanto ti sei fatta bella-

Nonostante dentro stesse letteralmente ribollendo d’imbarazzo, la giovane forzò una risata –Modestamente sono bellissima!- non era vero.

-E’ vero-

-Bene, bene! Dov’è che dormo?- cercò disperatamente di cambiare argomento, ben consapevole però che il suo rossore era pressoché plateale.

-Oh, giusto. Seguimi-

La condusse in una stanza da letto che non era meno caotica del resto della casa, forse solo un po’ più pulita. Evidentemente si era dato da fare per il suo arrivo – lo notava dal fatto che, stranamente, tutti gli strumenti di ricerca erano ammassati e non sparpagliati -, senza però ottenere grandi risultati. Ma Ann apprezzò lo sforzo.

Ora c’era un solo problema: perché il letto era un matrimoniale?

Nathan rise di gusto al suo fianco –Che c’è, devo dormire sul divano?- la provocò abbassandosi alla sua altezza, con un sorriso beffardo, da quanto tempo non lo vedeva? Ammetteva che un po’ le era mancato –Lasceresti davvero il tuo angioletto che ti ama tanto dormire su quel freddo divano?-

-Ehm… ma…- provò lei, sentendosi improvvisamente muta. Lasciò pesantemente cadere la valigia che aveva in mano. Oh, fosse per lei avrebbero dormito abbracciati, il problema era quel poco di etica puritana che le era rimasta. Dormire in un letto con un uomo prima del matrimonio senza nemmeno essere fidanzati, non era un po’ esagerato? Giusto un pochino…

Ma lui continuava a guardarla, e quello sguardo così malizioso le fece nascere uno spontaneo –Ma sei un Angelo o un Diavolo tentatore? Da quando i cattivi hanno gli occhi chiari e i capelli biondi?-

Lui rise di gusto, rimettendosi dritto –Al massimo un Demone sotto le spoglie di un Angelo. Hey, la gente si è stancata degli Angeli biondi dagli occhi chiari, sai? Sono innovativo, furbo, semplicemente geniale, e…- lasciò la frase in sospeso per raggiungere la valigia della giovane, che poggiò sul letto –e dormirò sul divano per immolarmi in nome del mio solo e vero amore-

Quella rivelazione da un lato fu un sollievo, dall’altro una delusione. In fondo ci sperava che lui dormisse nel suo stesso letto, sarebbe stato bello sentirlo così vicino in piena notte, al posto di quel freddo cuscino che aveva stretto così a lungo sperando che prima o poi si sarebbe magicamente – o miracolosamente – tramutato in lui. E poi, inutile dire quanto fosse grande il tuffo al cuore che aveva provato sentendosi chiamare “mio solo e vero amore”. Ancora non riusciva a dare un senso logico a quella situazione, era come essere in un magnifico sogno da cui non voleva più svegliarsi.

Davvero felice, gli si avvicinò attaccandosi al suo braccio con fare possessivo –Innovativo, furbo, semplicemente geniale, splendido sotto ogni punto di vista, se non fosse per quella lingua lunga…-

-Ognuno ha i suoi difetti-

-L’orgoglio, la testa dura, la presunzione…-

-Hey, vacci piano!-

-Il sorrisetto da “prendimi a schiaffi”…-

-Ma non puoi dire che non sia affascinante- rise, di nuovo malizioso.

-Oh se lo è, peccato per questo tuo ego… egocene…-

-Egocentrismo, dal greco ego “io”…-

-La tua fissazione col fare il saputello e una buona dose di…-

A quel punto le fece gli occhi dolci, una cosa che mai si sarebbe aspettata da lui. Lo osservò un attimo, bloccandosi. Quell’occasione non se la sarebbe fatta sfuggire –E fu così che il mondo seppe che Nathan Metherlance sa fare gli occhi dolci. E che li fa davvero malissimo-

-Che crudele…-

-E sai una cosa cosa?-

Inizialmente Nathan fece l’offeso, guardando altrove con le braccia incrociate, nonostante la ragazzina fosse ancora appesa a lui. Le rivolse un’occhiata di sbieco –Che cosa? Ho qualche altro difetto da aggiungere alla lista?-

-Sei irrimediabilmente, inesorabilmente, inoppugnabilmente…-

-Wow, dove hai imparato questo parolone?-

-Bello, vero? L’ho letto in quel libro bellissimo che mi hai mandato due mesi fa, ci ho impiegato ore per capire cosa accidenti significa. Dicevo… angelicamente adorabile e diabolicamente affascinante- sorrise, contenta di aver ritrovato la faccia tosta dei vecchi tempi.

-Santo cielo, quanti complimenti- Nathan le carezzò gentilmente la guancia –pensavo che la lista dei difetti sarebbe continuata in eterno. Grazie, Ann, sei la prima persona che mi dice cose simili-

-Che ti insulta alla grande?-

-No- sorrise lui, con gentilezza, forse ignaro di quanto le parole che stava per pronunciare avrebbero dato inizio a un lento, scivoloso, gocciolante processo verso l’abisso –che mi fa sentire umano-

 

Era notte fonda, la stanza attorno totalmente buia, se non per gli improvvisi bagliori provocati dai fulmini che squarciavano il cielo. Erano passati tre giorni da quando Ann era arrivata a Terren, durante i quali aveva visto e imparato più di quanto si aspettasse; ma era avara di sapere, voleva vedere ancora di più. Il mattino dopo Nate e Sogno avrebbero dovuto portarla a vedere la via dei negozi, ma il tempo non sembrava favorevole. Sperava che il temporale passasse prima dell’alba.

Lei, che aveva sempre avuto un leggero timore dei fulmini, si era rimasta barricata dentro la “sua” stanza per tutta la notte, rifiutandosi persino di andare a prendere l’abituale bicchiere d’acqua. Il quale era tutta una scusa, lo sapeva bene. In realtà si fermava per diversi minuti a guardare Nathan dormire. Come aveva sempre immaginato, era disordinato anche in questo. Ogni volta che gli passava davanti era messo in una posa sempre più buffa e sempre più scomoda, tanto che si chiedeva come facesse la mattina ad alzarsi senza essere tutto un dolore. Adorava lasciarsi cullare dal suo respiro regolare, dal profumo di Angelo che aveva sempre amato, un paio di volte le era parso pure di sentirgli borbottare qualcosa, ma probabilmente era sua impressione.

Sotto diversi strati di coperte dedite a proteggerla dal freddo, stringeva con poca forza il morbidissimo lenzuolo, sentendo il tessuto così caldo riscaldarle le dita. Da sotto i capelli scompigliati, rivolgeva occhiate poco sveglie alla finestra, contro cui la pioggia batteva forte, sempre più forte.

“Mi sa che domani non si va da nessuna parte… che peccato” pensò sbuffando, arrabbiata col tempo. Provò a immaginare che al posto di quel vuoto accanto a lei ci fosse lui, magari in una posa assurda, lamentandosi nel sonno del dolore agli arti.

Eppure Annlisette, nonostante si fosse ormai accertata di essere innamorata di lui e dopo aver promesso a se stessa che, per il suo bene, non avrebbe più ficcato il naso in faccende che non la riguardavano, non riusciva a togliersi dalla mente le sue parole.

“Sei la prima persona che mi fa sentire umano.”

Un fulmine spezzò l’aria, con un rombo assordante affettò il silenzio, violento.

Nathan, e non solo lui, ma anche Damon, Sogno, Joshua e tutta la sua famiglia e tribù, che cosa erano loro in realtà? Angeli e Demoni? Ma erano veramente Angeli e Demoni? Tutta quella storia la intrigava, nutriva un’immensa curiosità che desiderava soddisfare, ma Nate era stato categorico: scoprire la verità significava colpire lui. Se lei avesse davvero scoperto che cosa le nascondevano, che sarebbe accaduto? Avrebbero dovuto dirsi addio? Voleva chiedere, voleva affrontare di nuovo quello spinoso argomento, però…

“Sei la prima persona che mi fa sentire umano.”

Ricordava l’espressione con cui l’aveva detto, così malinconica e al contempo piena di speranza, mentre porgeva un ringraziamento scaturito dal cuore. E un Demone non può avere un cuore, di quello Ann ne era sicura. Perciò Nathan doveva per forza essere un Angelo, di conseguenza avrebbe accettato di essere messo davanti a quella fatidica domanda che la assillava sin da quando i loro sguardi si erano incrociati per la prima volta.

-Nate, che cosa sei tu…?-

 

-Ti sei mai accorto di avere un tic?- Annlisette stava bevendo quel poco di latte che restava nella tazza bianca di porcellana. Si trovavano a colazione, erano le otto e cinquantacinque e fuori splendeva il sole nonostante le nubi ancora incombenti, sarebbero andati in centro verso le nove e mezza.

-Davvero?- Nathan inclinò il capo, sinceramente sorpreso. Seduto all’altro capo del piccolo tavolo, puliva la tovaglia dalla marmellata che gli era caduta per errore.

-Sì- riprese la ragazza, gongolando come se avesse appena scoperto un grande segreto –dici spesso “hey”- ridacchiò, soddisfatta dell’espressione stupita che gli si disegnò sul volto.

-Non mi sembra, e poi, hey, che ci sarebbe di male? Tutti hanno i loro vizi- ribatté lui, confermando le supposizioni della giovane. Fu un gesto del tutto volontario, gli piaceva sentirla ridere, aveva un tono così dolce ed innocente quando lo faceva.

-Allora, milady Nevue, come si sta trovando qui a Terren? Riesce già a fare un confronto col bianco Hidel?- le chiese.

-Magnifico, casa non mi manca per niente. E’ tutto nuovo, interessante, e poi ci siete voi!- esclamò con fare eccitato, mettendosi in piedi. Fece un giro su se stessa, allegra come una bambina il giorno di Natale –oggi mi devo vestire elegantemente! Sogno me l’ha raccomandato cento volte. Cosa ti piacerebbe che indossassi?-

-L’abito bianco, il bianco ti sta benissimo. Sembri un fiocco di neve-

-Neve?- Ann, che era intanto scappata via, si voltò di nuovo verso Nathan. Si era ricordata una cosa –Hey, Nate!- richiamò la sua attenzione, sorridendogli mentre metteva le mani dietro la schiena –Hai poi scoperto “what colour is the snow?”?-

Lui parve pensarci seriamente, poi rispose con decisione –Ci sto lavorando. Te lo farò sapere appena lo saprò con certezza- sorrise con fare incoraggiante.

Tornata nella “sua” camera, Ann sospirò. Si era ripromessa che avrebbe posto all’Angelo quella fatidica domanda, ma non ci era riuscita, aveva ancora troppa paura di causare un danno. Con determinazione si guardò allo specchio. Strinse i pugni, giurando al suo stesso riflesso che, entro quella sera, gliel’avrebbe chiesto.

Indossò l’abito che era stato scelto da Nathan, quello bianco. Un maglioncino sopra per coprire per bene le spalle, un cappello per ripararsi dal sole e via. A un certo punto qualcuno suonò alla porta, e Nathan, che in quel momento era occupato a vestirsi, le chiese di aprire. A rotta di collo Ann raggiunse la porta, non curandosi di chiedere chi fosse. Erano le nove, poteva essere solo Sogno, e invece…

-E tu chi sei?- a parlare era stata una donna bella, anzi, bellissima. Ann rimase a guardarla a bocca aperta. All’istante provò grande ammirazione per quella cascata di capelli fiammeggianti, per l’altezza smisurata ma proporzionata alla linea sottile, la pelle chiara e curatissima, senza nemmeno un’imperfezione. La guardò senza rendersi conto di non aver risposto alla sua domanda, chiedendosi cosa ci facesse una principessa dei fiori in quel luogo di poveracci.

-Hey, little princess- continuò a chiamarla con voce melodica, risvegliando Ann che scosse il capo. Ad un tratto si sentiva incredibilmente insignificante –Ah… Ann, sono Ann- rispose, non realizzando che la sconosciuta non poteva sapere chi era Ann. E invece così non fu.

Le prese le mani rivolgendole un sorriso aggraziato –Ann! La piccola Ann! Mi avevano detto che saresti arrivata!- la abbracciò come se si conoscessero da sempre, con l’effetto di far arrossire la contadina, che rimase a guardarla come si guarda una statua di cristallo.  La sconosciuta le faceva le feste, ma lei non sapeva che fare, finendo così col lasciarsi stritolare dall’allegra e frizzantissima –Angelica Rodriguez, ma puoi chiamarmi Angel- si presentò lasciandola.

-Piacere- sorrise timidamente lei. Quella donna non solo aveva un fisico assurdo, ma pure il nome era bellissimo. Da quale parte del Paradiso scendeva? E soprattutto, come conosceva Nathan? Se era lì il motivo doveva essere sicuramente riconducibile al padrone di casa.

Come se si trovasse nella propria casa, entrò chiudendosi la porta alle spalle –Oh, sapevo che Nate non avrebbe nemmeno provato a dare una sistemata! Perdonalo, cara, è sempre così disordinato, ma non lo fa apposta-

Bene, era ufficialmente gelosa. Fece un sorriso tirato –Lo so- sottolineò.

-Nathan Metherlance! Esci dal tuo buco e materializzati in tutta la tua trascendentalità!- urlò con voce acutissima, tanto che Ann si chiese come mai non si fossero infranti i vetri.

-Stai lontana da lei, Angel- la voce borbottante e poco disposta a collaborare di Nathan fece capolino nella stanza assieme alla sua zazzera irrimediabilmente disordinata. I riccioli biondi gli calavano sugli occhi dandogli qualche anno in meno, evento molto raro. Notando che aveva la camicia aperta, la ragazzina fece per coprirsi gli occhi, come le era stato insegnato, invece Angel si avviò con passo deciso verso di lui, ancheggiando così bene che Ann si annotò di chiederle come faceva.

-Cattivo! Smettila di trattarmi male! Ero venuta a portarvi buone notizie, sai?- saltellò la bella. Versò dell’acqua in un bicchiere; Annlisette notò che ella sapeva perfettamente come muoversi e dove trovare ciò che voleva. Ciò significava che aveva abitato in quella casa oppure che ne era un’abituale frequentatrice. Sentì la gelosia correrle dentro come una fiamma sotto la pelle.

-Te ne vai? Abbandoni la città per sempre? Cancelli il mio indirizzo dalla rubrica?- la ribeccò acidamente Nate, unico spiraglio di luce in quel brutto inizio di giornata.

-Ma quanto sei crudele! Insomma, Nate, ti ho detto di bere la camomilla la mattina, non il caffè!- sbuffò sonoramente l’altra, piantando i tacchi nel tappeto –Sono stata da Jen, e mi ha detto che…-

-Angel!- la apostrofò pesantemente lui, lanciandole con uno sguardo di rimprovero.

-Che ti lamenti? Anche Ann sa degli Angeli, me l’hai detto tu, brontolone!-

-Sì, ma non affrontare certe discussioni davanti a lei-

-Se volete posso andarmene…- si offrì Ann con un sorriso tirato. Bene, forse era meglio evitare l’argomento “Angeli” con Nathan, ora ne aveva la conferma. Fece per andarsene, quando un “no” venne esclamato contemporaneamente dagli altri due. Scelse comunque di non disturbarli, sedendosi sul divano in silenzio mentre Angel riprendeva la discussione.

-Dice che vuole vederti, forse ha trovato il modo di convincere Marcus a farti rientrare a Hidel a marzo-

Ann aprì bene le orecchie. Un modo per tornare a Hidel? Lei sarebbe tornata verso febbraio, se Nathan avesse potuto raggiungerla a marzo sarebbe stato perfetto! Eppure il tempo, fuori, non sembrava essere coordinato all’umore della ragazza, infatti si stava riannuvolando e, in lontananza, poteva sentire già qualche tuono. L’aveva fregata di nuovo. Cercò di concentrarsi su quello, ignorando la conversazione dei due.

-Ovvero?- sentì Nathan chiedere.

La risatina di Angel riecheggiò nel luogo –Mio dolce e ingenuo Nate, non c’è niente che non possa essere comprato con il sesso-

Quelle parole fecero sbuffare Nathan e sprofondare Ann tra i cuscini del divano. Che imbarazzo incredibile l’aveva colta. Quella parola, a Hidel, era un tabù, ed Angel l’aveva pronunciata con una tale leggerezza!

-Non voglio tornare se bisogna ricorrere a mezzucci del genere-

-Devi andare da lei al più presto, Nate. E non ti lamentare, lo sai che per te farebbe questo e altro-

Ann, bruciando di gelosia, si chiedeva come diavolo facesse Nathan a conoscere tutte quelle donne.

 

Angel non era poi così antipatica come si era prospettata. Era bella, davvero molto bella, e mentre camminava per strada con Ann, tutti gli sguardi erano per lei. Aveva uno strano effetto sul sesso maschile, il che non sorprendeva per niente la ragazzina. Eppure non era la classica bella tipa tutta tette e niente cervello, aveva dimostrato di essere un’attenta intellettuale.

Dopo quella piccola frecciatina con Nathan, Angel l’aveva presa per mano e costretta a uscire di casa, portandola in giro per le vie. Aveva promesso all’uomo che l’avrebbe riportata sana e salva entro la sera, senza lasciare alla straniera l’occasione di ribattere o anche solo puntualizzare che aveva un appuntamento con Sogno. Eppure non se la sentiva di rinunciare a quell’uscita, Angel aveva dimostrato di sapere delle cose che le interessavano molto, inoltre voleva capire in che genere di rapporti fosse con Nathan.

La mattina avevano fatto un giro per Terren, fortunatamente il temporale sembrava non volersi abbattere nuovamente prima di qualche ora, infatti si udivano tuoni in lontananza.

Avevano visitato moltissimi negozi di vario genere, da quelli di sarti a quelli di fiori, dove Angel aveva regalato una rosa rossa ad Ann. La contadina non sapeva bene il significato di quel gesto, ma capiva che doveva essere un segno d’affetto. Angel la strapazzava, abbracciava e le faceva in continuazione le feste, affermando che “era così carina che era impossibile resisterle”.

In seguito si erano dirette alla biblioteca principale della città, dove la ragazza era rimasta a dir poco sconvolta davanti all’enorme vastità del luogo. Ogni scaffale era stracolmo di libri, talmente tanto che era difficile pensare che non sarebbe caduto da un momento all’altro.

Angel le trovò un libro che affermava le sarebbe sicuramente piaciuto: “The most excellent and lamentable tragedy of Romeo and Juliet”.

-Sembra una storia d’amore. Però non mi piacciono molto…- Ann si sedette con delicatezza sulla grande poltrona rossa al centro della stanza, avendo paura di strapparne il fine cuscino. Tutto in quella biblioteca era rosso e nero, forse erano colori simbolici.

Si trovavano in una grande stanza adibita a sala lettura, in fondo si trovava un camino acceso che riscaldava l’ambiente, un caldo tappeto peloso occupava tutto il pavimento, si trovavano diverse sedie e molti tavoli, quello delle due ragazze era pieno di romanzi.

-Leggilo, ti piacerà- le assicurò Angel con un sorriso dolce –Romeo e Juliet sono uguali a voi, così innamorati! E’ davvero fantastico!-

Ann le sorrise a sua volta –Di cosa parla?- chiese.

L’altra sprofondò nella sua sedia, assumendo un tono solenne, la sua figura, illuminata appena dalla luce circostante, sembrava mistica. Era una sorta di maga oscura pronta a pronunciare il suo incantesimo –Romeo e Juliet appartengono a due antiche famiglie in rivalità dai tempi dei tempi, ma sono profondamente innamorati l’uno dell’altra. Un amore impossibile, capisci?- si allungò verso Ann con sguardo complice.

Qualcosa si accese negli occhi della piccola contadina, che chiese con tono quasi emozionato –Il nostro amore… è proibito?- in effetti ricordava la legge a cui aveva accennato Damon durante il viaggio. Ad un Angelo era proibito amare.

-Bingo!- sorrise a trentadue denti l’altra, dandole una pacca sulla spalla –Te li scegli bene i maschi, little princess!-

Dopo qualche altro chiacchierio sottovoce, fu il momento di leggere. Le due si lasciarono trasportare dai propri libri, un’esperienza che Ann trovò davvero sublime. Il calore del luogo, la tenue luce che rendeva l’atmosfera romantica, la tragedia che si stava rivelando interessante, la vista del distante legno che scoppiava tra le fiamme, l’odore della carta antica e la sensazione della calda lana che le lambiva la pelle, tutto sembrava assolutamente perfetto.

Scoprì che l’amore tra Romeo e Juliet era davvero pericoloso per entrambi, perché i loro genitori non avrebbero mai permesso loro di unirsi in matrimonio e deporre l’ascia di guerra. Così Romeo si propone si fingersi morto, ma quest’azione ha terribili conseguenze, chiudendo a lutto la tragedia.

Il finale lasciò l’amaro in bocca ad Ann. Alzò gli occhi dall’ultima pagina prendendosela molto con Shakespeare per quel lieto fine mancato. Ma forse doveva prendersela solo con la sua fervida immaginazione, che l’aveva spinta ad impersonarsi con la protagonista. E non era stato bello vedere Nate morire.

-Questo libro è molto triste…- sussurrò, sentendosi molto stupida. Davanti a una donna colta come Angel avrebbe voluto dire qualcosa di intelligente, esprimere un giudizio quantomeno critico, e invece era riuscita a dire solo la cosa più ovvia tra tutte.

Voltò lo sguardo al camino acceso, dove ballavano le lingue di fuoco, lambendo insidiosamente la legna ormai bruciata. Angel intanto abbassò il suo volume, guardandola con apprensione, come una madre con la figlia, carezzandole con dolcezza la guancia.

-Non tutte le storie d’amore hanno un lieto fine, principessa-

 

Le parole di Angel avevano duramente colpito Ann. Non era mai stata il tipo di ragazza che fantasticava di amori proibiti che finivano con il solito “e vissero per sempre felici e contenti”. Lei non era mai stata una che crede nel “per sempre felici”. Nella vita c’erano sempre insidie, pericoli, e questa regola valeva per tutti. Forse erano un’eccezione soltanto i nobili, ma neanche loro ultimamente se la passavano molto bene.

Eppure ci aveva sperato veramente nel suo lieto fine. Ci sperava ancora a dir la verità, ma vedeva all’orizzonte nuvole nere, e non quelle che tuonavano, diluviavano, lanciavano fulmini rumorosissimi mentre attraversava la strada allagata, immergendosi nelle tenebre della vecchia Terren. Anche al buio quella città era particolare, nonostante assumesse tratti macabri e inquietanti. Con buio la splendente e prosperosa città lasciava spazio alla miseria e alla disperazione di chi camminava sotto l’acqua scrosciante senza ombrello, vestito di stracci, cercando con ben poca speranza un posto dove passare la notte, un posto possibilmente asciutto. Mutilati, vecchi, donne probabilmente non più grandi di sua madre ma che dimostravano sessant’anni, bambini scalzi, dai piedi neri e pieni di calli, dai visi scavati di chi non mangia decentemente da secoli, uomini che trattenevano le lacrime, ombre che si nascondevano tra i vicoli, in attesa di qualche sfortunato da derubare. Ma nessuno sarebbe passato di lì, perché durante quel temporale tutti stavano rintanati in casa con le imposte chiuse, da cui si intravedeva qualche spiraglio di luce.

La città era bella ma terribile. Ora Ann capiva cosa intendeva suo padre quando le diceva che Terren era ricca di povertà.

-Little princess, io vado. Salutami il vecchio brontolone- sorrise Angel da sotto il suo ombrello rosso, lasciando Ann all’entrata del palazzo numero 77 di via delle camelie.

-Stai attenta, mi raccomando…- la pregò lei, lasciandola con un cenno della mano.

Quando Angel sparì attraverso le tenebre, la ragazza corse come una matta verso l’ingresso del palazzo, chiudendosi la porta alle spalle. Le faceva paura la città di sera.

Erano solo le venti, eppure sembrava che fossero le due. Sospirò calmando il battito del cuore; non voleva più affrontare un solo secondo in quella città se da sola. Strinse con forza il pacchetto che teneva tra le mani, salendo le scale.

“Sei la solita codarda, Ann…” si rimproverò. Si sforzò quindi di pensare ad altro, facendo un riepilogo della giornata. Aveva capito che Angel non era un pericolo per la sua relazione con Nathan, anzi, sembrava piuttosto contenta di saperli insieme. La donna la adorava, la adorava davvero. Le aveva pure fatto un regalo. Inoltre aveva chiarito alcune perplessità, tra cui la prima riguardava la regola degli Angeli che vietava di amare, la quale scoprì essere stata fatta per un semplice motivo: un Angelo deve essere di tutti, ma nessuno deve avere un Angelo.

Angel l’aveva classificata come “semplice e ovvia spiegazione”, ma Ann non riusciva a capire che cosa ci fosse di così semplice e ovvio.

I suoi dubbi non avevano ancora avuto risposta insomma; non aveva scoperto chi erano Jen e Marcus, per quale motivo a Nathan non fosse permesso tornare a Hidel, che cosa accidenti volesse questa fantomatica Jen dal suo Angelo. Che cosa erano gli Angeli.

Quella giornata era stata ricca di sorprese e di novità, eppure le aveva anche messo addosso tanti dubbi, tante paure.

Saliva pesantemente i gradini, sentendosi sprofondare ad ogni passo. Quando arrivò al terzo piano, dove abitavano Nathan, Damon e Sogno, le fu quasi difficile suonare il campanello. Rimase a guardare il vecchio 12 inciso nella porta con poca professionalità, quando la porta si spalancò. Nathan era sottosopra più del solito.

-Ann!- le mise le mani sulle spalle –Stavo venendo a cercarti! Tutto bene?-

Lei annuì con fare poco convinto, quindi gli si avvicinò per abbracciarlo.

-Hey, che succede?- le sussurrò lui in modo comprensivo, stringendola con gentilezza per poi farla entrare in casa –Angel ha fatto qualcosa?-

La ragazza scosse il capo –Angel è stata dolcissima. E’ solo che… beh… - non sapeva esattamente come spiegargli la malinconia che l’aveva presa all’improvviso –ho letto “Romeo and Juliet”, ecco tutto…-

-Ah- era molto comprensibile l’espressione indecisa che lui le lanciò –non pensavo che potesse avere questo effetto devastante quel libricino…-

Ann scosse il capo, assicurandogli di nuovo che stava bene. In realtà aveva una gran paura. Lo prese per mano come per cercarne il conforto, che ricevette immediatamente, eppure non bastò. Lo abbracciò, ma non sembrava essere ancora abbastanza. E lui intanto si preoccupava, le chiedeva se aveva bisogno di qualcosa, e l’unica cosa che lei era in grado di rispondere era che aveva semplicemente bisogno di tenerlo stretto. Ma Nathan non capiva, ne era sicura. L’aveva detto Sogno, l’aveva confermato lui stesso.

Lui non era capace di provare sentimenti. Gli era vietato amare. Non si sentiva umano.

-Posso farti una domanda?- gli chiese a un certo punto, di nuovo insicura, restando accoccolata tra le sue braccia –Una domanda molto personale…- lui annuì, a quel punto lei trattenne il fiato –non voglio sapere che cosa siete voi, da dove venite o perché vi è vietato fare certe cose. Dimmi solo una cosa… tu mi ami davvero, Nathan?-

E fu silenzio.

L’espressione di lui la spaventò seriamente. Non ricordava infatti di averlo mai visto così stupito. L’aveva preso in contropiede, mettendolo al muro come lui mai aveva fatto con lei. Chi poteva mai immaginare che quattro semplici parole potessero fargli fare quell’espressione spaurita, come se gli avessero appena chiesto se aveva rinnegato tutto quello in cui credeva, dato alle spine tutto ciò per cui si era impegnato, le promesse fatte, gli impegni presi, le sfide vinte e perse.

Ann osservò i suoi occhi celesti farsi pieni di indecisione, tuttavia non riusciva ancora a leggerli chiaramente, era impossibile capire cosa accidenti stesse pensando lui. Si limitò dunque ad osservarlo sentendosi tutta un brivido, sperando che lui le salvasse la vita anche quella volta, metaforicamente parlando.

“Fai innumerevoli viaggi in mezzo alla foresta del popolo del suono, lotti contro lupi più grandi di un essere umano, attraversi le Nameless per andare a studiare dei massi antichi, tieni dei segreti che sembrano essere in grado di distruggere il mondo… e basta così poco per farti tentennare?”

-Io…- cominciò, prendendo finalmente parola, guardandola intensamente. Il suo sguardo, forse per la prima volta, era umano. O forse era il buio che li circondava a creare un’atmosfera troppo romantica, troppo da “Romeo and Juliet” –sediamoci…-

La invitò ad accomodarsi sul divano tenendole ancora le mani, seguendola poco dopo. Ann si aspettava una bomba da un momento all’altro –Ann… a noi Angeli è vietato amare-

-Lo so- confermò lei inclinando il capo, incoraggiandolo a guardare non alla legge, ma a se stesso –ma non mi interessa delle vostre leggi. Voglio sapere che cosa pensi tu, Nathan-

Egli parve ancora cercare le parole adatte, inciampando un po’ durante il discorso –Io penso che tu sia la persona che mi sta di più a cuore. Per te rischierei la vita, anzi, l’ho già fatto. Ed è una cosa che ho fatto solo per Auror; sono molto egoista, lo sai…-

Ann annuiva, ma non sapeva di questo episodio in cui aveva rischiato la vita per sua sorella. Intuiva che i due doveva esserci stato un legame fortissimo quando Auror era ancora viva, ma non capiva cosa c’entrasse con tutto quello.

-Ti ringrazio e ti ho già detto per cosa. Io credo che tu possa farmi provare sentimenti che mi sono stati negati poco prima della morte di Auror-

Lei alzò un sopracciglio, annuendo. Voleva forse farle capire che non si nasce Angeli, ma ci si diventa? Quel piccolo indizio andava ad aggregarsi al grande puzzle che era quella vicenda.

-Ma…- ecco, c’era sempre un ma –non mi sento ancora in grado di pronunciare quelle parole. Prima di dirlo voglio esserne sicuro-

Ann annuì e si sforzò di sorridere, anche se le faceva male. Lui lo capiva, per cui fece per stringerla in un abbraccio, ma lei si strattonò velocemente –Scusami, scusami davvero; non dovevo farti questa domanda-

-Avevi tutto il diritto di farmela, è normale che tu voglia sapere- le rispose con un’espressione malinconica, avvicinando un dito alla sua guancia, carezzandola con delicatezza –Ann, mi dispiace. Non voglio che tu pensi di aver fatto un viaggio a vuoto venendo qui…-

-Non sarebbe stato comunque un viaggio a vuoto- lo interruppe –sto imparando un sacco di cose. E’ giusto che io maturi. Non posso pretendere da te tutto e subito, l’ho capito leggendo “Romeo and Juliet”. Ci sono cose che potrebbero creare danni gravissimi se fatte con fretta-

-Con impeto- la corresse lui –era l’impeto dell’amore a spingere Romeo all’estremo atto di coraggio-

-Tu l’hai già fatto- annuì lei –e solo devi ringraziare solo Sogno se sei qui. Non voglio che tu finisca come Romeo. Non devi rispondere subito alla mia domanda, posso aspettare- poi abbassò lo sguardo, scura in volto –potrebbero farti del male se sapessero che…-

Lei si interruppe, e lui la guardò. Non riusciva a capire come Ann potesse provare emozioni così forti. Lui era stato allenato all’apatia e solo nei momenti di grave pericolo sentiva il peso delle emozioni gravargli sulle spalle. Ricominciò a carezzarle la guancia, sorridendole in modo comprensivo –Capisco che tu tema per me, non ce n’è bisogno, Ann. Troverò un modo. Deve esserci un modo. Dammi solo il tempo di capire con sicurezza, poi ti darò la mia risposta. Non preoccuparti di nessun’altro- le assicurò.

Marcus ci era riuscito davvero. Se nel periodo in cui era stato ad Hidel il suo carattere era diventato più irruento e meno logico, quell’anno e mezzo di lontananza era riuscito a farlo tornare il razionale e calcolatore Angelo che era stato prima che la valanga di emozioni di Ann lo contagiasse. In fondo però era meglio così.

Ann aveva ragione: dovevano agire con raziocinio e soprattutto prudenza. Lo aveva capito anche lei, nonostante il suo carattere spesso imprudente. Il minimo errore avrebbe potuto esser loro fatale, ma la piccola non lo doveva sapere, ci avrebbe pensato a farsi carico di questi problemi. Questo era ciò che pensava Nathan.

E forse il suo principale errore era appunto quello di voler fare tutto da solo.

-Come vuoi…- mormorò Ann, mettendosi in piedi con espressione ancora malinconica.

-Vai a letto?-

-Sì, ma stasera vorrei dormire da Sogno… è possibile?-

L’uomo annuì, ma la cosa non gli piaceva per niente. Immaginò che la ragazza fosse arrabbiata con lui, o forse aveva semplicemente bisogno di pensare, di stare da sola, di passare un po’ di tempo con un’amica, come faceva ad Hidel.

Anche lui si mise in piedi, deciso a fare anche quello pur di vederla un po’ sollevata –Ma certo- le disse –prendi i vestiti, vado ad avvertire i ragazzi-

Lei annuì, per poi guardarlo allontanare –Nathan- lo chiamò un’ultima volta, muovendo un passo in avanti. Lui la osservò, invitandola a parlare. La ragazza si dovette fare molta forza, ma… -… nulla, nulla, scusa-

Nathan rimase qualche secondo in silenzio, poi uscì dall’appartamento, lasciandola da sola in quella città spaventosa.

Ann sospirò stringendo il pacchetto che fino a quel momento aveva tenuto in grembo.

Non era riuscita a dargli il suo regalo né a fargli la domanda fatidica.

“Sei la prima che mi fa sentire umano.”

“Che cosa sei veramente, Nathan?”

 

 

Note dell’Autrice:

Come sempre, gli aggiornamenti di questa storia arrivano tardi, in tutti in sensi! Mi spiace di farvi aspettare così tanto, questo capitolo mi ha impegnata più del previsto, e poi, tra la scuola – quest’anno esami di maturità, figuratevi – e il mio forum – ultimamente uso Ann e Nathan più sul GdR che nella FF .-. -, il tempo che avanza è sempre poco.

Sono felice di annunciare che finalmente non mi devo limitare a fare due righe di risposta per ognuno di voi nelle note dell’autrice, grazie alla bellissima funzionalità di EFP infatti potrò rispondervi immediatamente *-* basta tenere d’occhio la pagina delle recensioni!

Colgo comunque l’occasione per ringraziare tutti i lettori, i recensori, e per invitare quella trentina di persone che seguono la fic a commentare, eh è_é ho bisogno di tanti pareri! *E fu così che Sely venne sommersa di critiche “costruttive”*

Piccola incidentale: ho disegnato Nathan versione allenatore di pokémon xDxD appena riesco a fare una scan vi posto il link xD è troppo coccoloso con la sfera poké!

Infine, una cosa personale. C’è una FF su questo sito che mi ha letteralmente fatta sognare, purtroppo rimasta incompiuta. Bellissima, davvero bellissima, non ho altri aggettivi. Mi sono lanciata una sfida: quella FF con 19 capitoli ha 62 recensioni, voglio vedere se Snow con 19 capitoli la raggiunge. E’ una cosa sciocca, lo so, è una sorta di stupida vendetta personale nei confronti di quell’autrice a cui ho rotto le scatole via mail ma che non continua più la storia U_U anche se già so che non sarò mai ai suoi livelli come scrittrice xD

Bene, anticipazione del prossimo capitolo. Come da contratto, ogni 9 capitoli, il 10 spetta totalmente a Nathan. Il nostro protagonista maschile mi ha già preannunciato di aver in mente qualcosa di molto grosso per il capitolo 20, mi ha pure detto il titolo, strano, davvero strano: “Persona significa maschera” .-. il che è tutto dire. Nate, ti prego, non farmi un bis del capitolo 10 alias la-tragedia-greca.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, alla prossima!

 

Chu,

Sely.

  
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