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Autore: penny berry    29/11/2010    2 recensioni
"E salverò i ricordi. Quei ricordi… che hanno impresso nella mente di chi sapeva ascoltare, il tuo sorriso. La tua risata rumorosa. Il tuo sopracciglio corrugato ad una domanda imbarazzante. Le tue mani affusolate sui tasti di un pianoforte. La tua sbadataggine per l’affanno di afferrare ogni singolo sorso di vita..."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Robert Pattinson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: ~ and I’ll be Remembering you
Genere: Romantico, Sentimentale
Autrice: carlottina
Capitolo: 12° capitolo – Nuovo
Personaggi: Robert Pattinson più un nuovo personaggio di mia pura invenzione
Note dell’autrice: hei hei heiiiii!!! Eccomiii!! Oddio, scusatemi, scusate scusate scusate scusate!! Lo so, è un secolo che non aggiorno, ma vi giuro, non avete idea de casino di robe da fare @_@ una volta iniziata, l’università mi ha letteralmente schiavizzato… povera me, avrei potuto piantare una tenda col sacco a pelo in aula e restare lì T_T  Coooomunque, non zinzaniamo in quisquiglie, vi lascio al chap che, vi anticipo, è bello lunghetto per farmi perdonare u.u Ci si vede dopooo! ;)















12
“Nuovo”








“E… taglia!”
La telecamera si abbassò, tagliando la scena. Robert distolse lo sguardo da Kristen e scoppiò a ridere, facendo un passo indietro. La ragazza scosse la testa sbuffando divertita.
“Perfetta! Era splendida ragazzi! Ancora una volta e poi siamo a posto!”
Robert si appoggiò al bus giallo nascondendo la faccia fra le mani. Non riusciva a smettere di ridere, era rosso acceso in volto e la sua voce arrivava stridula e gracchiante.
“Robert!” lo canzonò Kristen.
“O-ddio…” sputacchiò lui. “Quello ades-so scende dal pullman e mi piglia a schiaff…” cercò di dire prima di essere interrotto di nuovo da una seconda risata rumorosa.
“Oh si, davvero divertente: chiunque riderebbe come un dannato all’idea di farsi raddrizzare la faccia, Pattinson” gli diede un pugnetto sulla spalla lei.
Robert inspirò e cercherò di calmarsi. Avevano appena finito di girare una scena, conseguente a quella della famosa serra, dove il vampiro Edward Cullen consigliava caldamente a Bella di tenersi lontana da lui: una sorta di minaccia velata, per così dire, ma che, a quanto pare avrebbe aggiunto un alone di mistero in più sulla piccola love story che stava nascendo… “Devi mostrarti deciso e freddo, distaccato. Sfoggia il tuo sguardo intimidatore, ragazzo, devi farmi tremare dietro la telecamera!” gli aveva detto la regista, Catherine, dandogli un pizzicotto sulla guancia.
Sguardo intimidatore? Lui? Era rimasto a fissarla per un paio di buoni minuti chiedendosi se per caso si fosse davvero resa conto con che persona avesse a che fare: poteva chiedergli di comporre poesie e improvvisare per un’ora di seguito cascate di note al pianoforte… poteva implorarlo di sedersi sotto casa Swan e mugolare serenate al chiaro di luna a Kristen, ma atteggiarsi da bruto… beh, dannazione quella era roba per il resto del cast maschile! Anche impegnandosi, non ce l’avrebbe mai fatta, e la cosa poteva suonare ridicola, lo sapeva.
“Hei?”. Kristen gli sventolò una mano davanti alla faccia.
“Uhm?” mugugnò lui, riprendendosi dalle fila dei suoi pensieri. “Cosa?”
“L’hai fatto di nuovo”.
Robert corrugò la fronte in una domanda silenziosa. Fatto cosa?
“Bolla” sorrise lei con un sopracciglio alzato. “Ti sei rinchiuso un’altra volta nella tua bolla. La faccia da pensatore tormentato ne è la prova… ti stai calando troppo nella parte”.
“Pensare fa bene” fece spallucce lui.
“E a che pensavi?”
Il ragazzo si strofinò un occhio, maledicendo mentalmente le lenti a contatto, per poi appoggiare la testa al bus giallo.
Pensare. Ultimamente non faceva altro. Pensare…
Strinse le labbra e puntò lo sguardo sulle nuvole grigie e gonfie, sembravano batuffoli di cotone imbevuti di pittura cupa, quasi che qualcuno si fosse divertito a lanciarle nel cielo dopo averle affogate in secchielli di vernice… Assomigliava al cielo di Londra, ad essere sinceri. La stessa umidità, la stessa luce offuscata, lo stesso vento che scuoteva le fronde degli alberi, sembrava quasi di essere a casa. Ma lui lo sapeva che per quanto nell’aspetto potesse ricordarglielo, il cielo che vedeva ogni giorno fuori della finestra di casa aveva una malinconia propria, rifletteva storie diverse. Poteva sembrare un pensiero patriottico e carico di pregiudizio, forse, ma in fondo, si disse, quando si rivolge verso l’alto la maggior parte dei propri sogni, delle proprie preghiere, desideri e pianti, alla fine si impara a riconoscere a pelle il mondo che scorre sopra la propria testa. E quello non era il cielo di Londra. Quella non era casa.
Si grattò la fronte e gli venne in mente la domanda di Kristen. “A cosa pensi?”
Pensare. Dio, ultimamente non faceva altro. Si bloccava, in continuazione, ogni pretesto era buono per soffermarsi anche sulla più piccola cosa e lasciare che la mente galoppasse a briglia sciolta seguendo strade confuse e infinite.
Si alzava pensando. Lavorava pensando. Mangiava pensando. Si lavava pensando. E poteva giurare di continuare a pensare anche mentre dormiva. E la cantilena riprendeva ogni nuovo giorno.
Si metteva in coda per la colazione, al mattino, e si soffermava sui riflessi che il cucchiaio mandava con la luce dei neon, per poi passare alla tazza bianca che riempiva con i cereali e il latte, e domandandosi se avesse dimenticato qualcosa, quando ripeteva quella stupida azione da ormai un mucchio di giorni, avendola imparata a memoria. Mangiava fissando il tavolo, come se d’improvviso fare colazione avesse perso d’importanza, e chiedendosi quali costumi avrebbe dovuto indossare prima di andare sul set, di che colore sarebbe stata la camicia, di che taglio sarebbero stati i pantaloni, lui… che dei vestiti non gli era mai importato granché, se non che fossero caldi e comodi. E quando arrivava in camerino, con la sua andatura ciondolante e gli occhi azzurro mare fissi sulla punta delle scarpe, ecco che si perdeva nuovamente interrogandosi sulla vita fittizia che avrebbe dovuto adottare per il resto della giornata; pensava a quanto Edward gli assomigliasse, o meglio… a quanto poco gli assomigliasse. Una seconda pelle che gli si incollava addosso, che scendeva sul collo, sulla schiena, sulle braccia, sullo stomaco e sulle gambe, un’armatura pesante quintali, che esteriormente altro non erano che una t-shirt, una giacca ed un paio di jeans. Eppure lui la differenza la sentiva.
Un vampiro nato da carta e inchiostro, ma che si stava rivelando un rompi capo più arduo del previsto perché, per quanto gli piacesse ammetterlo, lo stava mettendo a confronto con un qualcosa che aveva deciso di non affrontare. Non ancora. Ed ogni mattino lui era lì. Edward era lì che lo attendeva, diviso sugli appendini del camerino, ma che si rimodellava non appena Robert lo lasciava scivolare sopra di se.
Trucco e vestiti, lenti a contatto e gel nei capelli. Un personaggio. Un fantasma. Ma era una fantasma che scavava sempre di più nella sua testa, che gli graffiava sotto la pelle della nuca e lo strattonava per le spalle facendogli rivolgere gli occhi al cielo, e chiedere “Stai facendo la cosa giusta?”. Non era romanticismo, non era coraggio, non era altruismo, era un confronto con se stesso. Lo metteva con il viso al muro ogni giorno, e ad ogni ora, facendogli crescere nel petto un’ansia che non credeva di aver mai provato; non riusciva più a vivere al momento, gustando un’esistenza tranquilla, ma perdendosi nell’affanno di quello che ancora doveva venire… perché aveva paura. Si sentiva come una casa senza fondamenta, senza supporto, consapevole che i muri prima o dopo sarebbero crollati al suolo, riflettendo sul disastro in arrivo, ma incapace di progettare una soluzione.
Edward Cullen, e tutto quello che ne derivava, era ormai il suo flagello. Perché per riuscire a cucirselo indosso e manovrarlo secondo i propri voleri, doveva accettare prima di convivere con se stesso… e ancora non c’era riuscito. E la personalità vuota e fittizia di Edward aveva la meglio, facendolo perdere.
“È  solo un personaggio” mormorò, guardando il suolo.
“Come?” chiese Kristen.
Robert scrollò la testa ed alzò lo sguardo azzurro mare su di lei. Una nota grave in un’atmosfera allegra.
“Niente”.
“Hai detto qualcosa” annuì lei.
“Riflettevo a voce alta” sorrise lui, per sviare la sua attenzione. “Quante volte pensi che ci farà rifare la scena?”
“Forse una volta soltanto, oggi è parecchio su di giri… è probabile che ci faccia staccare prima”.
Lui annuì scostando un sassolino con la punta della scarpa, mentre la voce di Catherine giungeva da dietro la telecamera gridando di rimettersi in posizione e ripetere la scena.
Robert si scostò dal bus di malavoglia e seguì Kristen all’entrata della serra, da dove avrebbero ripreso a recitare il copione. Attesero l’eco del “Si gira!” nell’aria, e il ragazzo guardò la giovane calarsi nei panni di Bella Swan ancora una volta… la osservò camminare impacciata, i capelli lunghi castano cioccolato che le ricadevano sulle spalle, la corporatura minuta… il collo incassato nelle spalle, quasi si aspettasse un peso enorme pioverle addosso dal cielo. Timore. Diffidenza.
Assottigliò gli occhi chiari e, senza rendersene conto, lasciò che ai capelli di Kristen e alla sua andatura si sostituissero un’altra chioma folta color cioccolato ed un altro incedere del passo. Un altro sguardo e un altro sorriso.
Robert deglutì e gli ci vollero due minuti abbondanti prima di riuscire a sentire la regista sbraitare dall’altra parte del parcheggio, notare Kristen che gli andava incontro battendo le mani per attirare la sua attenzione, e qualcuno della troupe che gli batteva sulla spalla con insistenza.
“Che c’è?” chiese confuso.
“Hei! Scoppia la tua bolla, Rob, e prestaci Cullen ancora per un paio di minuti” lo richiamò Kristen con espressione perplessa. “Tutto a posto? Ti senti bene?”
“Si, perché?” rispose lui facendo un cenno a Cat che aveva recepito il messaggio. Ora era lucido.
“Sei un po’… pallido” rispose la ragazza. “Nel senso… sei davvero bianco, trucco a parte”.
“Meglio, allora, no? È più realistico” fu tutto quello che riuscì a rispondere.
Ripeterono la scena da capo, per una volta soltanto, ed infine Catherine diede il segnale di fine riprese della giornata e spedì tutti a fare una doccia e riempirsi la pancia a cena.
E come da manuale, Robert andò nella sua roulotte, pensando ai vestiti puliti che avrebbe indossato, ora che si era scollato Edward di dosso, al bruciore immaginario che sentiva sulla pelle del collo e delle spalle. Entrò nella sua piccola abitazione e, lavandosi, pensò a cosa avrebbe mangiato per cena, così come quando arrivò a cena, cominciò ad interrogarsi su cosa avrebbe fatto appena avrebbe finito di mangiare… Sempre un passo più avanti del momento vissuto, sempre in corsa su un binario in discesa, come se il presente fosse stato troppo fragile e il futuro prossimo avesse rappresentato una base a cui aggrapparsi.
“Amico, sei sicuro di sentirti bene?”
Kellan gli batté una mano sulla schiena e Robert sputò un pezzo di pane nel piatto rischiando di soffocare.
“Di sicuro ora ha rischiato di andare al creatore, Kell” sghignazzò Jack, dall’altra parte del tavolo.
“Non hai una bella cera, Rob” disse convinto il ragazzone.
Robert gli rivolse uno sguardo bieco e si schiarì la voce riprendendo a respirare normalmente.
“Forse dovresti chiedere un giorno di riposo” disse Jack. “Catherine è abbastanza concessiva”.
“Sto bene, sono solo un po’ stanco”.
“Hai una brutta cera, Rob…” ripeté Kellan.
“L’hai già detto, mi sembra, no?” gracchiò infastidito Robert. Si portò una mano alla fronte.
“Ok. Hai un aspetto da far schifo” mimò il concetto allora l’altro. “Così è più chiaro?”
“Tatto da pachiderma, Kell, una perla rara” disse Jack, alzando un sopracciglio e complimentandosi con l’amico.
“Ma almeno ora ha capito” sorrise allegro lui. Si rivolse poi al ragazzo in parte a lui. “Perché hai capito, vero?”
Robert inspirò a fondo e batté le mani sul tavolo. “Vado a letto”.
Si alzò dal panca con uno scatto così veloce che a stento credette di essere già in piedi. Kellan allargò le braccia sorpreso come a dire “Ma che ho detto?”, mentre Jackson gli applaudiva le mani in silenzio con fare da rimprovero.
Robert attraversò la grande sala adibita a mensa, scansando il via vai di gente, gli occhi sempre fissi al pavimento. Metteva un piede dietro l’altro, ma man mano che avanzava verso l’uscita, sentiva il pavimento sprofondare sotto la suola delle scarpe, come se d’improvviso si fosse trovato a camminare sull’acqua, sentendosi risucchiare verso il basso. Scrollò la testa e i suoni arrivarono distorti, confusi, come ringhi e ruggiti, e i colori esplosero in una girandola di luci che gli violentarono gli occhi, prima di scemare sempre più velocemente nel buio.
Sentì le ginocchia scrocchiare e cedere, trascinandolo verso il basso. Agitò le braccia alla ricerca di un appiglio, ma lo spigolo di un tavolo si allontanava da lui nemmeno lo stessero levando di proposito. E poi arrivò: il colpo secco alla spalla e il freddo sul viso, e poi il buio.


***


Charlotte osservava il proprio riflesso allo specchio con espressione indecifrabile. Sbatteva gli occhi ripetutamente, come a capacitarsi che quella fosse la realtà e non una mera illusione frutto di un incubo. Si passò una mano sulla guancia, sfiorandola con la punta delle dita incerte, inarcando le sopracciglia con fare perplesso.
Era sera, e mancava un’ora alle nove. Un’ora alla festa, pensò silenziosamente senza avere il coraggio di dirlo ad alta voce.
Dopo che Robert aveva interrotto la loro telefonata, la mattina prima, e dopo che Nia l’aveva minacciata delle peggiori torture qual’ora avesse anche solo osato opporsi al partecipare alla festa, Charlotte si era disfatta cervello e mente alla ricerca di un piano, di una via d’uscita per mandare in fumo quella che sembrava dover essere la serata più bella della loro vita, o almeno questo era quello che Nia ripeteva di continuo nelle ultime ventiquattrore…
Una bugia. Una scusa. Un’inutile e banale sciocchezza, ma che andasse a distruggere l’equilibrio di quella giornata che pareva perfetta per conciliare l’uscita serale. Charlotte le aveva pensate proprio tutte: dal fingere una febbre improvvisa o un mal di stomaco fulminante, al far cadere accidentalmente un fiammifero su metà dei proprio vestiti, ed ovviamente il come e il perché erano del tutto casuali, certo… Oppure prendere le forbici e dare un taglio drastico e improponibile ai lunghi capelli castani; mettersi a correre sulle scale, per poi arrivare in cima e fingere uno strillo di dolore per simulare una caviglia slogata. E queste erano solo le scuse di base.
Spostò lo sguardo sulla scollatura del vestito. Mai si sarebbe sognata di indossare quel… quel… beh, quella cosa. Poteva anche essere un modello dell’ultimo grido, ed effettivamente faceva strillare, ma non di certo per l’estasi del bon ton, o almeno non per lei.
Fu una sorta di magia, o miracolo, se il suo impulso di strapparselo di dosso venne stroncato sul nascere dalla porta che sbatteva alle sue spalle. Charlotte sobbalzò e si voltò con l’espressione colpevole.
Nia era di fronte a lei. La guardò a lungo, ed intensamente, con gli occhioni azzurri che risplendevano di una luce strana, insolita. “Non stavi cercando di ridurmi il vestito in un gomitolo di cotone, vero?”
“Uhm… c-che?”
“Metti la mani ben in vista, chérie”.
“Io n- non ho fatto niente”.
“Certo. Naturalmente. Ma preferisco prevenire il male, piuttosto che curarlo” sorrise la bionda, avvicinandosi con passo deciso e piantandosi di fronte all’amica, pugni sui fianchi. Fece scorrere l’attenzione su e giù, lungo la figura della mora, ed infine annuì con fare convinto e soddisfatto. “Perfetto”.
“C-che cosa?”
“Il vestito, Charlotte, il vestito” roteò gli occhi lei.
“È… stretto”.
“Deve essere stretto”.
“… e c-corto”.
“Altrimenti l’avrebbero chiamato pantalone, non credi?”
Charlotte abbassò gli occhi sul proprio petto fasciato in modo evidente e represse un gemito, mordendosi la lingua. Si sentiva nuda, come se non ci fosse stato nemmeno quel leggero vestito rosso a coprirla. Rabbrividendo, si strinse le braccia attorno al busto e strinse le spalle.
Nia piegò la testa di lato e assottigliò gli occhi. “È soltanto un vestito. Non si metterà a morderti nel bel mezzo della festa” disse, probabilmente intuendo il suo timore.
“È che… non sono… a-abituata a metterne di così - ”
“Così appariscenti? Oh, lo so” sorrise l’altra, facendo spallucce. “E forse avrei dovuto aspettare prima di mummificarti in un bocconcino come questo, ma… beh, chi mi dice che riuscirò a stanarti da camera tua un’altra volta? Meglio approfittarne, ora che posso, dato che ho anche la benedizione della Fatina Azzurra oltre mare”.
“Che c’entra adesso Robert?”
“C’entra… c’entra sempre, purtroppo” mormorò triste Nia. Il suo bello sguardo si rabbuiò per un istante, all’idea di come sarebbero potute essere le cose se lui fosse stato lì, in quel momento. Sarebbe riuscito a farla uscire con una parola soltanto? O forse avrebbe sorriso e avrebbe detto che la cosa migliore era farla decidere da sola, dandole così il permesso di nascondersi sotto il letto? Nia allungò una mano verso una ciocca scomposta dell’amica e sorrise. Dannazione. Lei stava facendo il possibile, e le sembrava così assurdo che, per due linee di pensiero del tutto differenti e contrastanti, la sua e quella di Robert, una persona dovesse cadere in una confusione totale, già di per se complicata in partenza. Eppure, entrambi avevano agito per il bene. Erano soltanto ragazzi. Facevano quel che potevano…
“Che cos’hai?” chiese Charlotte vedendola silenziosa, come di rado accadeva.
La bionda le sistemò una ciocca dietro l’orecchio e sorrise triste. “Niente”.
L’altra corrugò la fronte e fece per parlare ma Nia la zittì andando a prendere una scatola scura, tirandone fuori un paio di scarpe a tacco basso, in raso nero. Le scartò e gliele sventolò sotto il naso dicendo “Visto? Niente trampoli! Giusto perché non voglio passare l’intera serata a raccoglierti dal pavimento”.  
Passarono poi al trucco, fra suppliche, spintoni oltre la porta del bagno e lo sguardo feroce di Nia, ed infine, dopo aver raccolto i lunghi capelli castani in piccolo fermaglio, la bionda riuscì a sedersi sul letto sbuffando come una locomotiva.
“Santo cielo: mi costi come due ore di lavori forzati” sbraitò afferrando dei cleanex dal comodino e cacciandoseli sotto le ascelle, “E ti ho messo solo del fondo tinta, nemmeno ti avessi minacciato con una trebbiatrice!”
“Mi dà fastidio! Perché non te lo metti da sola?!”
“E mi toccherà rimettermelo, perché mi è colato da tutte le parti per la fatica che mi hai fatto fare!”
Continuarono a strillare per i seguenti dieci minuti, tanto da non sentire il campanello suonare, Marie Anne chiamare dal piano di sotto e da non accorgersi che, ora, qualcuno restava sulla porta della stanza, a braccia incrociate, e osservava la scena con un sorriso malandrino stampato in faccia.
Fu solo per una piccola pausa dagli strilli che lei due si voltarono verso l’intruso, il quale indietreggiò di un passo e disse “No… perché avete smesso? Era divertente”.
“Che cosa vuoi, Tom?!” sbottò Charlotte, portandosi istintivamente un braccio davanti al petto.
“Il giullare della Fatina Azzurra è arrivato, che onore” ringhiò Nia, gli occhi fiammeggianti.
“Autista, prego… Il ruolo del buffone lo lascio tutto a te, dolcezza, non potrei mai competere” sorrise di rimando Tom, facendo arrabbiare ancora di più Nia.
Il ragazzo si voltò poi verso Charlotte, posandole lo sguardo addosso con dolcezza, per poi dirle “Sei bellissima”.
“G-grazie” arrossì violentemente lei.
“Il vestito l’hai scelto tu?”
“L’ho scelto io, perché?” sbottò Nia.
“Mi era parso…” sorrise di nuovo lui, prima di avviarsi verso le scale. “Sono le nove meno dieci, sarà meglio andare, e vi conviene darvi una mossa, perché non ho intenzione di venirvi a salvare da un eventuale rapitore mentre ve la fate a piedi, perché non vi aspetto più!”
Nia inspirò a fondo, premendo la radice del naso e imprecando mentre cacciava una manciata di cleanex nella borsetta. Diede uno scossone a Charlotte che fissava il cappotto con aria spiritata, glielo cacciò sulle spalle, ed indossato il proprio, seguirono entrambe Tom fuori. Salirono in macchina e si avviarono alla festa tanto discussa.

Arrivarono alle nove e un quarto, in una viuzza poco distante dal centro di Londra, una zona senza dubbio di lusso, a giudicare dalle macchine parcheggiate e dai giardinetti curati a regola d’arte.
Tom parcheggiò in una via parallela, mentre un SUV nero lucido sfrecciava loro accanto diretto alla festa.
“Perché non è venuto un autista a prenderci?” chiese Nia, aprendo la portiera ed uscendo. “Pensavo che fosse inclusa”.
“La mia guida ti turba, zuccherino?” rispose Tom.
“Una volta sono venuti a prendere Robert a casa, per una festa” disse a bassa voce Charlotte, stringendosi nel cappotto.
Tom fece una smorfia, mentre inseriva l’antifurto. Si incamminò, con le ragazze al seguito, e passò un braccio attorno alle spalle di Charlotte. “Si, potevamo avere l’autista, ma… pensavo fosse più divertente andare per conto nostro” disse, abbassando lo sguardo sulla ragazza.
La mora lo guardò sorridendo, prima di appoggiargli il capo sulla spalla e sussurrare “Grazie”.
Pochi minuti dopo erano all’entrata. Doveva essere una delle villette più grandi nei paraggi, e la siepe che circondava la proprietà nascondeva un giardino molto grande e incantevole. C’erano lanterne sistemate lungo tutto il sentiero in pietra grigia e appese agli alberi sparsi, e gettavano una luce aranciata e calda tutt’attorno. Si intravedeva anche il profilo di una piscina, illuminata, non molto distante, probabilmente dove la festa cominciava già ad accendersi.
Un gruppetto li superò avviandosi verso la villa, tra risate e gridolini, mentre un altro SUV si fermava alle loro spalle facendo scendere altra gente.
“Interessante…” mormorò Nia, con lo sguardo sfavillante. Tom ridacchiò. “Bene, andiamo!” aggiunse poi, partendo in quarta sui suoi tacchi dodici.
Erano a metà del vialetto quando lei e il ragazzo si resero conto che Charlotte era rimasta indietro, immobile al cancello e li osservava con aria perplessa. Si fermarono.
“Bimba?” disse Tom, tornando indietro.
“Oddio, e adesso che c’è?” sospirò invece Nia passandosi una mano sulla fronte e pensando che, si, quella sarebbe stata una serata davvero lunga. Raggiunse gli altri due. “Hei, cosa c’è che non va?”
“Niente…”
“Bene! Quindi andiamo” disse sorridendo e prendendole la mano, tirandola. “A meno che tu non voglia entrare dalla finestra, per quanto possa essere originale, la porta è l’unica chance. Coraggio dolcezza”.
“N-non… a-aspetta, Nia… Lasciami!” strillò Charlotte strattonando la presa.
“Nia lasciala, smettila” si intromise Tom. Vedendo poi che la ragazza non mollava il polso della mora, si intromise a sua volta. “Adesso basta!”
“Stammi bene a sentire Thomas Sidney Jerome Sturridge” fiammeggiò la bionda. Ora era arrabbiata. Sul serio. “Eh si, so il tuo nome per intero, non guardarmi come se fossi la sfigata che ha inventato la bomba nucleare, mezzo mondo sa come diamine ti chiami! Apri bene le orecchie perché ho deciso di dare sfogo alla mia ira proprio ora, proprio qui, perciò goditi la cosa fino in fondo: sono mesi che ho umiliato la mia pazienza e sfrattato le mie buone abitudini mondane per darmi al volontariato! Non che non sia stata un’esperienza divertente e istruttiva, oh… il mio karma mi ringrazia ogni santo giorno…” assottigliò gli occhi. “Ma sfacchinare come se mi fossi iscritta a tempo indeterminato al club dei sostenitori della cause perse, sbattere la testa contro il muro perché sarebbe molto più produttivo che continuare a smuovere una persona che ha deciso che è molto più soddisfacente giocare alla damigella in pericolo, beh…  NE HO PIENI I COGLIONI!” strillò facendo sussultare due che passavano sul vialetto. Si girò e puntò un dito contro Charlotte. “Perché ti piaccia o no, lui non è qui. Lui non c’è e non ci sarà fino a quando diamine deciderà di respirare un po’ d’aria. Fattene una ragione! Non c’è la faccia di Robert Pattinson stampata sull’intero globo, il mondo non gira attorno a lui… e tu sei rimasta con i ragazzi cattivi. Io” disse indicandosi, e poi indicò Tom, “E questo povero sfigato che, per quanto spari stronzate, è molto più utile di Mr.Vampiro disperso chissà dove”.
“Nia, adesso bas - ” cercò di interromperla lui.
“ZITTO! Non ho ancora finito” gli mise una mano sulla bocca. “Quindi, Charlotte. O accetti il fatto che, per quanto una persona possa aver passato l’inferno nella sua vita, può anche trovare il modo per risalire, magari sforzandosi di essere anche una persona migliore… per se, e per gli altri, proprio come un qualcosa di ecologico: felice tu, felici noi, felice il mondo. Che cosa credi, brutta egoista? Di essere l’unico essere umano ad aver avuto una tragedia famigliare? Quanti bambini credi ci siano al mondo senza genitori? Uhm? Orfani. Si Charlotte, orfani… devi imparare a dirla quella stramaledetta parola! Perché è quello che sei, e mi dispiace… ma lo sei. Ma a differenza di altri, che superano la cosa, crescono e hanno una famiglia a loro volta, tu fai finta che sia la storia di un altro, e non la tua! Merda, lo vuoi capire, si o no? Perché in caso contrario, lascia che te lo dica, sei la delusione più grande con cui io abbia mai avuto la simpatica fortuna di andare ad impantanarmi…” e lo disse con le lacrime agli occhi, con i grandi occhi azzurri trafitti da una lamina di dolore e disperazione. Il bel viso attraversato da una smorfia di amarezza e rimpianto. “E detto ciò… mi sono divertita abbastanza. La festa è per di là, io me ne vado a casa. Ciao”.
Nia sorpassò Tom. Sorpassò Charlotte. Attraversò il cancello in un ondeggiamento di stoffa e capelli biondi lucenti. Girò l’angolo e sparì nel buio.

Charlotte e Tom rimasero immobili, statue di sale, nel mezzo del vialetto. Almeno tre coppie di invitati gli passarono accanto, chiacchierando e spensierati. Fu quando la musica si levò più alta dalla villa che i due cominciarono a riprendere possesso delle proprie facoltà mentali.
Tom storse la bocca ed inarcò un sopracciglio, fissando le mattonelle.
Charlotte sbatteva gli occhi ripetutamente, mentre cercava di dire qualcosa.
Tom irrigidì il collo e alzò il viso verso il cielo.
Charlotte si morse il labbro e lasciò cadere una lacrima lunga la guancia.
Tom inspirò e, lentamente, portò l’attenzione sulla ragazza di fronte a lui.
Charlotte deglutì e strinse i pugni, ripetendosi che Nia era effettivamente scomparsa.
“I-io…” cercò di dire lei.
Il ragazzo sembrava diverso. Un’espressione mai comparsa sul suo viso, che gli dava un’aria adulta, seria, priva di dolcezza, priva di bonarietà, assente da ogni traccia di ilarità. Gli occhi azzurro chiaro erano immobili e graffiavano come uncini.
“Nia non sarà di certo la prima candidata al concorso internazionale del bon-ton, e detto da me non è un complimento” disse asciutto. “Ma ha semplicemente detto quello che io da mesi non sono riuscito a dire a chiare lettere. E per quanto possa far male sentirtelo ripetere, ha detto la verità”.
Charlotte chiuse gli occhi, mentre le lacrime le si staccavano dalle ciglia come perle argentee, cadendo al suolo. Riusciva quasi a percepirne la loro silenziosa caduta, come un grido agghiacciante che si infrangeva in mille pezzi sulle mattonelle fredde. Riaprì gli occhi scuri e li posò sul ragazzo.
E a sua volta, sul viso le comparve un’espressione fra lo sgomento e la decisione, fra lo stupore e la durezza, fra l’angoscia e la determinazione. Una via di mezzo. Un posto nascosto fra due mondi che continuavano a strattonarla, cercando di conquistarla e portarla con se, come una terra senza bandiera, una terra di battaglie sanguinose, una terra calpestata e in ginocchio e che, prima o poi, avrebbe dovuto scegliere a quale partito dare una chance.
“Verità” ripeté atona.
“Pensi di star facendo molto, di sforzarti. Ma non è così. E se stai per chiedermi con che diritto parlo così, ti rispondo dicendoti che se ti importasse almeno la metà di tutto quello che è stato fatto, probabilmente Robert sarebbe un attore affermato da tempo, io non sarei qui, e tu e Nia sareste alla festa già da un pezzo. E questo solo per quanto riguarda stasera. Ma non occorre che allarghi le tue visuali, penso di essere già abbastanza chiaro, non è vero?”
Charlotte non rispose ed abbassò il capo. Guardò poi le finestre illuminate della casa e pensò alla gente all’interno, sembravano divertirsi.
“Ho perso memoria di come ero un tempo…” disse a bassa voce.
“Hai voluto dimenticarlo. Perché fa troppo male ricordare”.
“È un modo di difendersi, come tanti altri”. Aveva una voce strana, roca e cupa, come un ricordo che, avvinghiato alla gola, altro non aspettava che venire alla luce.
“Difesa contro cosa? Contro chi? Contro di me? Contro Bobby?”
“Ogni cosa…”
Il silenzio scese. Le lacrime avevano smesso di scendere, congelate come cristalli sulle guance arrossate.
“Non ho mai voluto farti del male” mormorò Tom.
“Ogni sentimento, ogni attenzione, ogni cura, ogni… affetto, mi ha ferito. Il vuoto ti riempie il petto per un evento che non hai chiesto, e disperatamente ti affanni per colmarlo perché l’assenza del calore ti fa sentire spoglia, nuda ed insignificante. Ma quando ne hai accumulato tanto da scoppiare, ti rendi conto che… no… non puoi. Perché godere dell’interesse, della protezione e del sostegno di qualcuno se poi, per piani da noi non premeditati, si viene cancellati senza nemmeno avere il tempo di dire addio? Solo una persona tremendamente forte e pazza potrebbe farlo. E io non sono forte. E non sono pazza”.
“Non è vero”.
Charlotte fece scattare gli occhi su di lui. “L’hai detto anche tu. Se lo fossi, le cose sarebbero diverse da un pezzo”.
Tom scosse il capo e le si avvicinò di un passo. Allungò la mano e le sfiorò i capelli.
“Tu sei forte. Lo sei sempre stata” le sorrise. “Sai perché io e Bobby ti prendevamo sempre in giro da piccoli? Perché sapevamo che per quanto ti arrabbiassi, alla fine non ti importava… perché sapevi il fatto tuo, eri già ritagliata nel tuo mondo indistruttibile. E lo sei ancora adesso: sei la persona…” la voce gli tremò e deglutì ricacciando indietro le lacrime. “Sei una delle persone più straordinarie che io abbia mai incontrato. Avresti potuto demolire un grattacielo da piccola con la sola forza dello sguardo, e non oso immaginare cosa potresti fare ora. Quando sorridi è come se la stanza si illuminasse di luce propria. Quando io e Bobby abbiamo un pensiero o un dispiacere, e sentiamo la tua voce… pensiamo che si, alla fine non è poi tutto uno schifo, c’è ancora qualcosa per cui vale la pena lottare. E questo perché siamo uniti, e lo siamo sempre stati: amici, Charlotte. È questo. Soltanto questo. La forza dell’affetto, della devozione e della solidarietà. È per questo che Robert s’è cucito addosso il tuo dolore. L’ha stampato sui muri di casa propria per condividerlo, perché potesse essere di conforto a te! Ha ritagliato la sua vita attorno alla tua, ha scelto di combattere anche oltre un confine che io definirei eccessivo, ma… l’ha fatto lo stesso. E di certo non per diletto personale”. Ormai piangeva, senza preoccuparsene. “Ed è lo stesso che io e quella disgraziata stiamo facendo. Perché quando un amico crolla, noi affondiamo con lui. Quando un amico soffre, noi piangiamo con lui. Quando un amico strilla, noi ascoltiamo. E tu l’hai sempre fatto… tempo fa. Ora era il mio turno. Quello di Bobby e Nia. Ma non… n-non… approfittarne, ti prego. Perché è logorante, è dannatamente distruttivo agire vedendo che quello che sto facendo non serve a niente. Perché io non ho altro! Dio io… io non altro! Non ho altro da darti se non l’aiuto di un povero scemo, e credimi, Nia pensa lo stesso, e Robert pure”. Le passò una mano sul viso, togliendole le lacrime. “Il tempo per piangere è finito. Il sole non è poi così brutto” disse sorridendo.
E Charlotte pianse. Gli gettò le braccia al collo e lo strinse come se avesse potuto scomparire da un momento all’altro. Sentì il suo petto schiacciarsi contro lo sterno e le braccia di Tom serrarsi contro la sua schiena e sollevarla da terra. Pianse. Piangevano. Mormorò “Mi dispiace”. Lo sussurrò così tante volte che era divenuta una filastrocca. Perché in fondo era vero, quando una persona affonda, porta con se ciascun’anima che almeno una volta le ha sorriso e le ha teso la mano. E lei, di affetto, ne aveva ricevuto in quantità immane, solo… doveva imparare ad apprezzarlo di nuovo.
“Mi dispiace, Tom” singhiozzò. “Mi dispiace”.
“Non importa. Va tutto bene” la cullò lui. “Le cose cambieranno, cambiano sempre”.
“Cambiano troppo in fretta”.
“Sono solo schifosi punti di vista, tesoro. Punti di vista”.
“Mi manca, Tom. Mi manca… vorrei che fosse qui”.
Tom sorrise e le accarezzò la testa. “Anche io”.
“Io non ho mai voluto che lui… che lui si distruggesse per stare vicino a me, non l’ho mai voluto. E sono un’ingrata! Io… io vorrei che fosse qui e riuscire a dirgli almeno per una volta che lo so. Che mi dispiace!”
“Non è una questione di volere o non volere. È un’azione di affetto, tesoro. Di amore” disse lui guardandola. “L’ha fatto per te. E credimi… lo sa che ti dispiace. Altrimenti non l’avrebbe fatto”.
Charlotte fece una smorfia sconfitta. “… non c’è stato nemmeno per Capodanno. Ho dovuto sentirlo attraverso un dannato telefono, mentre mi faceva gli auguri, quando… quando tutti gli altri anni lo festeggiavamo tutti assieme. Vive cose che io non avrò modo di condividere, non potrò dargli il mio appoggio, così come tu non potrai! Io…”
“Basta così, basta così” disse il ragazzo, tornando a stringerla a se. “Non occorre tirare fuori tutto in questo modo, serve solo a farti agitare e stare male. Basta… Lo so che è brutto, lo so che è dura, lo è anche per me. Non credere che non mi manchi! Diamine, sto diventando un santo per colpa della sua brillante idea di andarsene, mi tocca essere responsabile, e quello responsabile era lui!” disse ridacchiando per smorzare la tensione. “Ho cercato di non pensarci i primi tempi, ripetendomi che era giusto che se la cavasse da solo, che un po’ di lontananza gli avrebbe fatto bene, eppure sono stato il primo a rimanere fregato, come te, perché… mi manca. È come un fratello, e odio il fatto di non essergli vicino, a prescindere da qualunque sia l’occasione. E ho paura che le cose possano cambiare a tal punto da dividerci troppo. Ma è successo. È andata. Prima o poi si cambia. Sempre. È lo scopo di ciascuno di noi… Lui sta cambiando per se. Io cambio in seguito ad una sua azione, e tu cambierai a tua volta. E forse cambierà anche la tua amica bionda, lo spero. Ma i cambiamenti non devono farci paura, o saremmo ancora all’età della pietra, non credi?”
Si guardarono ancora un istante, azzurro contro castano cioccolato, e poi Tom fece una linguaccia e lei rise,
forte, col viso rivolto al cielo, la risata più bella del mondo, assieme ad un amico.
“Ah. Grandioso. Io mi incazzo come iena e, appena torno, voi ridete come Hansel e Gretel davanti alla casetta di marzapane”.
Charlotte e Tom si voltarono di scatto verso il cancello. Nia se ne stava di fronte a loro, a braccia conserte, il naso rosso e la faccia indescrivibile.
“Oh guarda. L’effetto boomerang del senso di colpa, bentornata dolcezza”.
“Fa silenzio” ringhiò Nia. Ma non fece in tempo a dire altro che Charlotte si sciolse dall’abbraccio di Tom e le corse in contro saltandole addosso in una morsa stritolatrice. “Sono contenta che sei tornata”.
Nia assunse un’espressione confusa e sorpresa; guardò Tom in cerca d’aiuto e ricevette una fulminata assassina pari ad una minaccia implicita di ricambiare l’abbraccio e smettere di lanciare critiche gratis.
E così fu tempo per la seconda riconciliazione. Una festa tanto odiata, e così tanto amata allo stesso tempo. E la serata non era ancora finita.
“D’accordo… vabene, vabene, ho capito, adesso smettila, chérie, ho un orgoglio da mantenere, intese?” si scollò Charlotte di dosso. La osservò con affetto, mascherato sotto un cipiglio scocciato. “Ho il fondo schiena ibernato, le orecchie e le mani perse in un’altra dimensione, e non ho camminato per due quartieri su questi dannati tacchi a spillo per non baciare nemmeno lo zerbino di quella stupida cazzo di villa, capito?! Muovetevi, tutti e due!”


***


All’interno si scoppiava. Il riscaldamento doveva essere al massimo, perché non appena entrarono, i tre si tolsero i cappotti di dosso e slacciarono i primi bottoni della camicia e si fecero aria con le mani.
“Oh Gesù… è un forno” borbottò Nia, sistemandosi l’orlo del vestito striminzito.
“Un punto a favore di chi ha organizzato la festa: risparmiano sul tempo che uno impiegherà a spogliarsi… La cosa si prospetta interessante” commentò Tom, guardandosi attorno alla ricerca di chissà cosa.
“Tieni per te le tue riflessioni maschili selvagge, Thomas Sidney Jerome” sbuffò lei.
Tom si voltò lentamente verso di lei, con occhi lampeggianti. “Tom”.
“Uhm? Oh, Thomas. Tom. Sidney. Jerome. Fa lo stesso, no?” sorrise provocatoria.
Lui strinse i pugni. “Bisbetica”.
“Non hai idea di quanto” allargò il sorriso lei.
E sarebbe finita nuovamente in lite se, “Ok! Promemoria per Nia: Thomas Sidn… cioè, Tom, odia il romanzo di secondi nomi che si porta appresso” esclamò Charlotte saltando come una molla fra i due. “È una persona riservata, Nia”.
La bionda spostò lo sguardo sull’amica, la fissò, poi lo riportò sul ragazzo che era sul punto di incenerirla con la forza della volontà. “D’accordo”, disse. E lo disse ghignando silenziosamente.
Charlotte sospirò, mentre Tom si incamminò verso una porta a doppi vetri dove stava un uomo in giacca e cravatta, auricolare all’orecchio e i bicipiti più grossi che Nia avesse mai visto.
“Prego” disse questo.
“Tom Sturridge” rispose Tom, allungando una busta bianca, che l’uomo scartò prontamente tirandone fuori un invito in carta stampata. “E loro?” aggiunse con un cenno alle due ragazze.
“Sono con me, su richiesta personale del signor Pattinson” annuì Tom, allungando una seconda busta, che l’uomo aprì e controllò. Attimi di lungo silenzio, prima che una fitta lista di nomi venisse controllata due volte e la porta a doppi vetri venisse aperta.
“Vi auguro una buona serata” disse l’uomo.
“Altrettanto” lo salutò Nia.

Si ritrovarono in una hall ampia e piastrellata in marmo, che dava su due gradinate laterali, le quali portavano ad un salone inondato di luce e colori. Lungo le ringhiere erano affissi mazzi di rose bianche e rosa, l’odore dolciastro dei fiori sospeso ovunque tanto da far venire il capogiro.
“Hai capito?” commentò piacevolmente sorpresa Nia, affacciandosi al balconcino che dava sulla sala. Charlotte la raggiunse, e le poggiò il capo sulla spalla. “Pensi che incontreremo qualcuno di famoso?”
“Uhm? Oh… non lo so, immagino di si” rispose la mora.
“Pensavo fossi informata su questo genere di cose: hai un neo attore che ti scorrazza in casa…”
“Robert non mi ha mai portato alle feste. Non gli piace… mettersi in mostra in situazioni simili” fece spallucce lei, guardando di sotto con aria perplessa.
“Quel ragazzo è davvero fatto al contrario” scosse la testa la bionda. Charlotte sorrise.
“Allora, bambine. Scendiamo? Non vi porto in braccio” le chiamò Tom da metà scala. E le due lo raggiunsero, Charlotte prendendolo sottobraccio.
“Thomas, a rapporto” gli sibilò nell’orecchio Nia.
“Che cosa vuoi?”
“Chi è presente? Chi c’è? Che cosa si fa? A che ora ci rinchiudono? Datti da fare, dimmi qualcosa!”
“Il Signore ha voluto darti occhi e mani, con mio sommo dispiacere, vedi di arrangiarti da sola, che dici?”
“Attento Sidney, non provocarmi…” ringhiò Nia.
“Hei, guarda… quello l’ho già visto da qualche parte” li interruppe Charlotte, indicando un ragazzo impegnato in una conversazione. Era alto, slanciato, capelli folti e scuri.
“Oh… mio… Dio”. Il vocabolario di Nia si ridusse notevolmente, per lo shock.
“Chi è?” chiese confusa Charlotte.
“Uhm?” borbottò Tom voltandosi a guardare. “Dove? Ah. Quello è Ben! L’hai visto perché ha appena finito di girare… aspetta cos’è? Oh si, le Guerre di Narnia, o qualcosa del genere”.
Cronache di Narnia, Cronache, razza di blasfemo” sibilò Nia. Era visibilmente accaldata, le guance in fiamme e lo sguardo lucido e acceso. “Beh che fai lì impalato? Renditi utile, presentacelo!”
“Ma com’è possibile che tu sia diventata di colpo disabile? Devo portarti più spesso alle feste!” le sorrise Tom. “Arrangiati!”
“Tu!” guardò allora Charlotte.
“Ah no, io non conosco nessuno e se sapessero che conosco Robert, non… credo né che farei una bella figura non conoscendo nessuno qui dentro, né ne uscirei viva dai pettegolezzi” scosse il capo Charlotte.
“D’accordo facciamo così” le prese per le braccia Tom. “Andate in giro da sole, io vado a parlare con una persona, affari di lavoro, le feste servono anche a questo, ci vediamo fra una mezz’oretta, d’accordo? E per favore, dai un tranquillante ai tuoi ormoni, perché se Charlotte finisce spennata, giuro che andrai a fare compagnia alle rose sul cornicione: è abbastanza chiaro come concetto, bionda?”
E fu così che le due si ritrovarono sole, circondate da una marea di gente sconosciuta, vestita in abiti di alta sartoria, scintillio di paillettes e strass, morbidezza di raso e cotone pregiato, profumo di dopobarba ed eau de toilette femminile… Charlotte chiuse gli occhi per un secondo, aggrappandosi al braccio di Nia, ripetendosi che poteva farcela. Era solo una stupida festa, era solo caos. Erano solo calore e rumore. Erano solo risate e discorsi accesi. Era solo divertimento. Cercò di scavare a fondo nella sua testa, fra i suoi ricordi, tuffandosi fra le mille immagini d’adolescenza, alla ricerca di un appiglio che le rammentasse come ci si comportasse, che le ridesse la sicurezza che sapeva di possedere, ma che era finita in un mare di polvere. Tom aveva ragione. Lei era sempre la stessa, basta solo ammetterlo ed accettarlo.
“Ti senti male? Hai bisogno d’aria?” le chiese Nia, vedendola impallidire.
“N-no. Sto bene. È solo che non ho l’abitudine… ma posso farcela. È come andare in bicicletta dopo parecchio che hai smesso, giusto?” cercò di sorridere. E forse fu quel sorriso timido a stringere il cuore della ragazza, accanto a lei.
“Andrà benone, è solo una festa chiassosa. E ci sono io” le disse stringendola. “E no, non era una minaccia, non stavolta”.
Gironzolarono facendo la slalom fra persone impegnate a bere o in una conversazione al blackberry, fra gruppi di uomini e donne lanciati in discorsi incomprensibili, fra camerieri dalle facce scolpite nel marmo e il braccio fermo con i loro vassoi colmi di cibo. Rimasero abbagliate dallo sfarzo e dall’eleganza che trasudavano da ogni singolo angolo di quella villa, quasi fosse una melodia lussuriosa che scivolava nell’aria fondendosi ed impregnandosi i presenti. Man mano che passavano in parte ad un invitato, Charlotte aveva l’impressione di sentirsi minuscola ed insignificante, quasi che tutti fossero divenuti d’improvviso dei gigante e lei altro non fosse che una formica, col rischio di restare schiacciata. Sentì la testa girarle, ma provò a non pensarci.
“Che ne dici se andiamo fuori?” chiese Nia. E l’altra annuì prontamente. Aveva bisogno d’aria.
Il giardino era immenso, ed inondato di luce tanto da non percepire la differenza dall’interno all’esterno. Una piscina enorme e dai bagliori azzurri attirò la loro attenzione. Attorno ai suoi bordi v’erano concentrati quelli che probabilmente erano la gioventù della festa di quella sera. Ragazzi fra i venti e i trent’anni, vestiti fra l’elegante e l’originale, fra il ricercato e il minimalistico. Ridevano, chiacchieravano, facevano brindisi, fermavano i camerieri per prendere altro champagne, si spintonavano amichevolmente, sospiravano e flirtavano… Ragazzi. Giovinezza.
“E così abbiamo trovato la nostra riserva di caccia standard, tesoro” sorrise Nia, passandosi involontariamente la punta della lingua sulle labbra. Si portò poi una mano sulla bocca e guardò Charlotte, “Ma direi prima di andare a prendere qualcosa da bere, mai correre… ho bisogno di riflettere prima”.
“E nei tuoi piani è contemplata anche la mia sopravvivenza, si?”
“È al primo posto, chérie, sempre” le strizzò l’occhio lei, prima di portarla al piano bar. Il ragazzo dietro il bancone le salutò con un sorriso accecante e voce roca. “Due baileys con ghiaccio, grazie” ordinò Nia sorridendogli. Si voltò poi rivolta all’amica, “Partiamo con qualcosa di leggero”.
“Guarda che so cos’è” borbottò lei, offesa.
“Bene! Doppio giro allora, dolcezza!” rise forte l’altra.
Restarono sedute al bancone assaporando la loro crema di whisky ed intavolando una fitta conversazione con il barista che Nia aveva prontamente coinvolto, finendo con lo scoprire che si chiamava James, che aveva ventiquattro anni, che era americano e quella era la terza festa importante a cui partecipava come barista. Un gran affare, così pareva.
Charlotte giocherellava con il bicchiere, passandovi il dito sul bordo, ed ascoltando distrattamente Nia flirtare allegramente con il barista. Aveva perso il filo del discorso da un pezzo ormai, sentiva l’ansia e la tensione scorrerle addosso come un secondo vestito, ma allo stesso tempo era troppo distratta e assente per riuscire a preoccuparsene davvero. Galleggiava in un misto di emozioni che, si disse, forse si era addormentata e quello che stava vivendo non era altro che un sogno dai colori troppo accesi e i suoni assordanti.
Guardò il fondo del bicchiere e le sfumature del liquido cremoso e leggermente alcolico. Dio, da quanto non beveva? La sua ultima festa in grande stile era stata ad un compleanno, quello di Tom per la precisione. Ricordava ancora i nomi degli invitati, lei stessa aveva compilato la lista e mandato gli inviti… “Sei più brava di me nelle pubbliche relazioni, manda tu le lettere, non vorrai che il povero Robert finisca per invitare qualche strana pazza maniaca, vero?” le aveva sussurrato all’orecchio Rob, quel giorno, implorandola di aiutarlo nella gestione della festa a sorpresa.
Charlotte sorrise, se l’era dimenticato… Stava dimenticando come fosse il suono della voce di Robert, come fossero i suoi occhi, come fossero le sue mani e il suo modo di camminare ciondolante. Erano connotazioni impresse nel cuore, ma che la memoria e l’abitudine richiamavano con disperazione per timore che finissero cancellate. Ne aveva bisogno. Avvertiva la sua mancanza come un graffio fondo sulla gola, aveva persino smesso di guardare le loro fotografie assieme, avrebbe arrecato solo dolore… Sentirlo per telefono cominciava a non bastare, cominciava ad essere riduttivo, come l’ora d’aria per un carcerato, e le minime mail mandate erano quasi inesistenti, Rob non amava scrivere a computer. Era come avere un diario le cui pagine sparivano e si cancellavano con il passare del tempo e, per quanto lei si sforzasse di fissare le parole, esse fluttuavano nell’aria lasciandola con un pugno di cenere in mano.
Si portò una mano alla fronte e sospirò. Si, forse era davvero il momento di cambiare e pensare ad altro. In quel modo non andava, inutile girarci attorno.
“Ciao”.
Charlotte quasi lasciò il bicchiere a terra. Si voltò alla sua sinistra e incontrò gli occhi azzurri più grandi e cristallini che avesse mai visto, dopo quelli di Nia.
“C-ciao”.
Era un ragazzo. Non doveva avere più di vent’anni, pensò Charlotte. Aveva dei lineamenti duri ma ingentiliti dal sorriso pieno e lo sguardo giovane. Il ciuffo biondo gli cadeva scompigliato sugli occhi, nascondendoli in parte e dandogli un’aria interessante… Lei lo guardò, legandosi a quegli occhi che era certa di aver già visto, a quel volto che era sicura di aver già incontrato, lo guardò come si guarda un’opera d’arte, come si osserva un fiore particolarmente perfetto, dimenticandosi completamente di avere l’uso della parola.
Fu lui a riportarla alla realtà, sorridendo di nuovo e offrendole la mano, “William, piacere”.


***


La luce era soffusa. Non c’erano rumori. Sentiva caldo.
Robert aprì a fatica gli occhi, sentendo le palpebre pesanti come fossero macigni. Li strizzò un paio di volte prima di riuscire ad abituarsi alla penombra in cui era immerso.
Era a letto, notò, nella sua roulotte. Era sotto le coperte e con addosso solo la sua vecchia t-shirt. Alzò un sopracciglio: o aveva fatto tutto da solo, o… qualcuno l’aveva portato lì e l’aveva spogliato. Cercò di mettersi a sedere ma un improvviso capogiro lo costrinse ad incollarsi al cuscino, implorando perché la stanza smettesse di girare.
“Oh, sei sveglio!”. Una voce femminile gli arrivò all’orecchio e ci impiegò un po’ prima di focalizzare Kristen, seduta sul bordo del letto.
“C-ciao…”
“Come ti senti?”
“Uhmm… come se fossi in caduta libera da un palazzo di settecento piani” mormorò lui massaggiandosi la fronte dolorante. “Che è successo?”
“Non te lo ricordi?” chiese sorpresa lei. “Sei svenuto. Mentre eravamo a cena”.
“Grandioso”.
“Eri ancora vicino a Kellan quando sei caduto, ma non abbastanza perché riuscisse a prenderti al volo. Hai… ehmm… sbattuto la faccia, temo” borbottò lei, quasi si sentisse in colpa.
“Come minimo. Sono riuscito anche a fratturarmi una gamba o incrinarmi una costola, nel caso? Le fortune vengono sempre tutte assieme” biascicò lui.
Kristen rise. “No, eroe. Solo un livido sulla tempia, ma passerà”.
Restarono in silenzio per un po’, poi Kristen raggomitolò le gambe sul letto. “Vuoi qualcosa da mangiare?”
“No, grazie”.
“Dovresti. Ultimamente mangi molto poco”.
“Tu dici? E come fai a dirlo?” chiese lui alzando la testa per guardarla.
“Me ne accorgo” annuì lei, per nulla imbarazzata.
Robert rise e tornò ad appoggiarsi sul cuscino. “Vabene. Mangerò qualcosa dopo”.
“Meglio così, perché Jackson è appena andato a rubare dalla cucina apposta per te”.
“Jack era qui?”
“E anche Kellan. Se ne sono andati cinque minuti fa… Ma non credo che la cucina sopravviverà a lungo con Kell nei paraggi e senza guinzaglio” commentò solenne lei.
Robert rise di nuovo, sentendo la testa girare forte, ma non vi badò. Tossì un paio di volte, sentendo la gola secca come se avesse ingerito carta vetrata e cercò di rimettersi a sedere. Puntò i gomiti e con una smorfia unica ballonzolò sul cuscino, dovendosi limitare a sollevare solo la schiena. Kristen al vederlo con la faccia distrutta, i capelli ramati sparati per aria e la maglietta storta scoppiò a ridere gettando la testa all’indietro.
“Ma come sei simpatica” borbottò Robert girando la faccia altrove per l’imbarazzo.
“Oh andiamo, dovresti vederti, sembra che ti sia passato un tornado in testa!” rise lei coprendosi la bocca con la mano.
“È il fascino dell’uomo trasandato, sai?”
“Oh ohooo, ceeerto” si batté la fronte Kristen, annuendo come se Robert avesse appena rivelato una verità assoluta. Si fissarono poi per qualche istante, prima di scoppiare entrambi a ridere nuovamente.
E ridevano ancora quando Jackson entrò nella roulotte con un cestino di vimini ed un fazzoletto rosso legato in testa, nemmeno fosse stato la nonna di  Cappuccetto Rosso. Saltellò come un bambino nel vedere che Robert era ancora tutto d’un pezzo e sfoggiò il bottino di guerra che, a detta sua, con tanta fatica era riuscito a sottrarre alla razzia che Kellan stava attuando in cucina.
“È peggio di un panzer, giuro”.
“Per non parlare dei suoi eccelsi gusti culinari” alzò le sopracciglia Kristen.
Robert scartò il suo panino, e fece spallucce. “Per me è uno a posto”.
La ragazza ridacchiò, “Per te, tutto il mondo è buono, tesoro”. E lui sorrise in tutta risposta addentando il panino.
“Come ti senti? Va un po’ meglio?” chiese Jackons, appoggiato al comodino.
 “Beh, la stanza ha smesso di girare, e ora vedo una Kristen anziché due… quindi si, direi che va molto meglio, grazie”annuì lui con aria sollevata.
Kristen dal canto suo gli tirò un pizzicotto sul braccio con aria offesa. “Dopo che sono rimasta qui a vegliarti tutto il tempo? Bel ringraziamento!”
“Un gentleman modello, vero? Lo so” sorrise Rob.
Restarono a chiacchierare per poco più di una mezzoretta, Robert accoccolato fra le lenzuola e il cuscino, Kristen appoggiata al muro ai piedi del letto e Jackson appollaiato sul comodino. Si scambiarono vecchi aneddoti e ricordi dell’infanzia, parlarono di quanto effettivamente il lavoro fosse quasi una riunione di famiglia, tanto l’atmosfera era rilassata ed accogliente, e rifletterono sul fatto che, forse, il pezzo forte doveva ancora venire con il tour di promozione.
“Sarà interessante” disse Kristen, guardandosi le unghie.
“Lo dici con un entusiasmo che potrebbe uccidermi” le rispose Robert. E Jack annuì.
Lei fece spallucce. “Non ho mai amato particolarmente le feste e i discorsi ufficiali… È il lato dark del lavoro che scarterei volentieri”.
“Il lato dark…” le fece eco Robert cercando di capirla.
“Recitare è solo una questione di giornate lavorative, di corse avanti e indietro sul set, di… battute recitate a memoria” cercò di spiegarsi allora lei, agitando le mani. “Scegli i personaggi, c’è quello in cui ti immedesimi meglio e quello che devi convincere a collaborare con la tua personalità. È questo il lavoro dell’attore: perché i tours di promozione e le feste, allora?”
“Perché se no nessuno verrebbe a vedere il film?” le giunse in aiuto Jackson.
“Si chiama promozione apposta, Kris” concordò Robert. Osservava la ragazza torturarsi le mani e sbattere le palpebre ripetutamente, come se fosse a disagio o come se stesse cercando di esprimere un concetto non semplice.
“Ho solo detto che non mi piace, non che non debbano farla” cacciò la lingua lei, prima di nascondere la faccia dietro un ciuffo di capelli.
Jackson scosse il capo e scese dal comodino.  “Donne, chi le capisce… ha la mia stima” rise scompigliando i capelli di Kris. “Andiamo, lasciamolo dormire. Cat ha detto che puoi prenderti un paio di giorni di riposo Rob, e io ne approfitterei. Passiamo a trovarti domani a pranzo”.
“Grazie, per…” disse lui, indicandosi lo stomaco alludendo al panino, “Buona notte”.
“Dormi bene” lo salutò Jack, scendendo i gradini ed uscendo.
“Cerca di riposare, d’accordo?” si alzò dal letto Kristen. Gli andò vicino e gli diede un bacio leggero sulla fronte. “Ci vediamo domani”.
“Cosa volevi dire, prima?”
La ragazza si fermò e lo guardò in viso. Sospirò. “Solo che… mi terrorizza l’idea che le persone si aspettino da me sempre di più di quello che in realtà io possa dare. Io sono io, non posso inventare qualcosa che non sono. La recitazione è solo un lavoro”.
“Beh, è più semplice di quello che credi allora, no?” le sorrise lui. “Riconoscerai a colpo d’occhio chi riesce a considerarti per la pazza che sei, tralasciando la moltitudine di facce che hai indossato sul grande schermo. Io lo prenderei come un vantaggio… non come una cosa di cui dispiacersi”.
Kristen soppesò le sue parole e parve pensarci su, mordendosi un labbro. “Si, forse è così…” si strinse nelle spalle. “Buona notte, Rob”.
“Buona notte. E grazie per avermi fatto compagnia”.
Lei sventolò la mano in saluto e sparì al di fuori chiudendo la porta della roulotte.

Il ragazzo rimase nel letto a fissare il soffitto così a lungo che perse la cognizione del tempo. Aveva la mente sgombra, come se qualcuno gli avesse fatto il lavaggio del cervello e gli avesse resettato la memoria. L’unica cosa che ricordava era il suo nome, ma diede colpa alla stanchezza. Si, doveva prendersi un paio di giorni di riposo.
Volse l’attenzione all’orologio sul comodino. Erano solo le otto di sera, eppure si sentiva così stanco, doveva aver fatto un bel volo perché ogni parte del corpo gli faceva male. Pensò a quella volta che era in bicicletta, a come aveva guardato distrattamente la vetrina di una biblioteca, per poi trovarsi a tre metri da terra e poi con la faccia contro il cemento del marciapiede. Ricordava ancora lo strillo di sua madre, da brividi.
Ridacchiò all’idea, passandosi la mano fra i capelli. Dio, quanto era imbranato.
“Sei sempre il solito! Ho appena messo a posto, non ci vuole una laurea per camminare in linea retta senza radere al suolo ogni cosa, Rob! Va in cucina, sciò!”
La voce di Charlotte gli scoppiò nella testa, come una granata, e si portò istintivamente le mani alle orecchie, tappandole. Inspirò a fondo più volte, ripetendosi di calmarsi, che era solo stress e stanchezza, che una notte di sonno gli avrebbe fatto bene, si meritava un po’ di riposo. Ma poi si ricordò della festa, dell’invito che aveva ceduto a Tom, per quella sera, e del fatto che Charlotte aveva detto di si. Avrebbe partecipato all’evento.
Non riuscì più a reprimere l’impulso che gli faceva scoppiare la testa, afferrò il cellulare sul comodino, compose un numero in fretta, ed attese.
“Pronto?”
“Ciao Tom”.









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Spazio sproloqui


Oh my god! Ce l’abbiamo fatta! O.o
Wellà dolcezze, la bellezza di ben quattordici pa.gi.ne.! Pensavo di spezzarvele a metà a dir il vero, ma poi ho considerato che avete atteso fin troppo e così l’ho tenuto intero e… nel prossimo chap, avremo ancora la festa *-*
Allora, che dire? Sono successe un po’ di cosine interessanti: Nia è esplosa a mo di bomba ad orologeria, tosta la biondina 0.o Ci sono rimasta male io nello scrivere… Tommy è sempre Tommy, so che il suo momento di serietà può stonare un po’ con il suo carattere da simpaticone, ma penso che ci stesse, alla fine tutti abbiamo il nostro attimo di riflessione; ma vedo che poi s’è ripreso a meraviglia, quindi è tutto ok… xD
E Charlotte. Accendiamo un cero, s’è svegliataaaa! L’ha capita, la fanciulla, ci voleva il fungo atomico di Nia, o qua dormivamo ancora sugli allori u.u  Per non parlare della Fata Turchina oltre mare: che dite, la vediamo l’intesa fra lui e Kristina, o… non la vediamo? Uhm?? Ah io lo so come va a finire… u.u Ma voi, che mi dite?
Ultima cosa da aggiungere, avete visto che ho già introdotto due nuovi personaggi, anche se uno è solo nominato: Ben… e William. Ok, Ben è quel divino Apollo di Barnes *-* Ma Will? Dai che lo sapeteee! Vi anticipo che avranno entrambi un ruolo nella storia, Will più di Ben… Ma ne arriveranno altri! ;)


E ora passiamo ai ringraziamenti:
Ello: ehilà! Cara, perdonami, ho fatto aspettare un sacco, eh? ^^’’ Ti ringrazio per aver letto fin qui, e si… le amiche come Nia sono un vero toccasana, chiunque ne abbia una è da considerarsi davvero fortunato! Oh beh, anche se a Nia un corso di diplomazia male non farebbe eh xD Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! Un bacione e grazie ;)
Cherie Lie: ciao :) prima di tutto mi scuso per l’enorme ritardo. Secondo… Grazie infinite. I tuoi commenti mi fanno sempre capire che quello che scrivo non passa inosservato, e non perché io voglia acquistare particolare popolarità o meno, ma perché quello che cerco di trasmettere altro non è che l’idea che persone come loro, attori, sono esattamente come noi. Con sofferenze, pensieri, frustrazioni, dubbi e paure. Probabilmente sono persone che sono ancor più complessate di noi stessi, che erigono facciate e comportamenti a mo di difesa, e, allo stesso tempo, ci invidiano per la nostra libertà… Sono contenta che questa storia ti piaccia e ti faccia emozionare, e ti ringrazio enormemente per il tuo sostegno *-* Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, nonostante il ritardo. Un bacioneee! :)
_Miss_: ciao bambolina, come andiamo? Allora, ricapitoliamo: Tom si, è un bonaccione, un “casinaro”, un po’ strafottente a volte, ma penso sia uno dei personaggi più sensibili in assoluto nella storia, un po’ come Nia, e a cui sono molto affezionata :) Comunque, Tom si, soffre per la mancanza di Robert, e anche in questo capitolo lo dice, così come Robert ne patisce la lontananza, sono cresciuti assieme, è un po’ come dividere due gemelli… Charlotte dal canto suo, è si sulla buona strada per continuare senza di lui, ma aveva bisogno che qualcuno glielo dicesse a chiare lettere: un conto è saperlo ma non ammetterlo veramente, e un conto è sentirselo dire e accettarlo ;) E ora che succederà? Kristina mi par di capire che non incontra i tuoi favori… ma non temere, non incontra nemmeno i miei, vedremo che fare di lei xD Un bacione e grazie per il commento :)

E ora, grazie infinite a chi l’ha aggiunta fra i preferiti e seguiti, grazieee!!
Ci vediamo al prossimo chap, spero di aggiornare in fretta xD

beth

  
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