Rattoppi all’anima
Quando
lesse del famigerato prigioniero fuggito da Azkaban, Remus si
ripromise che avrebbe confessato al professor Silente delle entrate
segrete per il Castello, della trasformazione in Animagus di James,
Sirius e Peter. “Domani lo farò assolutamente!”
Promise
anche di dimenticare il tuffo al cuore che aveva provato quando aveva
scorto il nome del suo migliore amico sulla Gazzetta del Profeta. Per
un attimo era stato convinto che si sarebbero rincontrati davanti un
buon bicchiere di Burrobirra al Paiolo Magico prima di trascorrere
una bella giornata di fine estate insieme, in memoria dei bei vecchi
tempi. Poi, quando gli era soggiunta l’immagine dei bei
vecchi tempi – Peter e James – con un moto di rabbia
aveva sbattuto delle monete nelle mani del giornalaio e si era
impossessato di una copia del giornale. Mangiucchiandosi le unghie,
sperava di aver letto male: ma Sirius Black era davvero in
circolazione e avrebbe tentato di uccidere Harry.
Si
trattava pur sempre del figlio di James, qualche difficoltà di
percorso l’avrebbe trovata. Silente avrebbe fatto in modo di
proteggere Harry. Capì, dunque: quelle motivazioni servivano a
giustificare il non riferire mai al Preside di aver tradito la sua
fiducia e, ancor di più, non avrebbe mai rifiutato Black…
certo, sperava che non fosse quella la ragione, ma una piccola parte
di lui ne era convinta, e lo urlava sempre più forte nel
frattempo che le ore si susseguivano.
Il
professor R. J. Lupin il primo settembre viaggiò sull’Espresso
per Hogwarts assieme agli studenti della scuola, nello scompartimento
di Harry e dei suoi amici. Non scoprì di essere a contatto con
l’unico superstite della famiglia Potter fin quando un buio
colmo di freddo e tristezza si diffuse sul treno. Stranamente non gli
avevano lanciato delle occhiate di ribrezzo o di scherno, più
che d’altro di intensa curiosità. Si era sentito così
in colpa… Harry era davvero un bravo ragazzo, ricordava molto
più Lily nel carattere che James, nonostante fossero due gocce
d’acqua nell’aspetto. Lo animava un affetto
incommensurabile per i suoi compagni, ed era intenso: pieno di
potenti sensazioni.
Decisivo
fu quando il ragazzo gli chiese di insegnargli a scacciare via i
Dissennatori, perché altrimenti non avrebbe più potuto
giocare a Quidditch se fossero ricomparse le guardie della prigione
dei maghi durante una partita. L’attimo disastroso fu
sicuramente la confessione dell’udire l’urlo di sua madre
e l’aver scoperto che James era morto per primo, pregando la
moglie di fuggire e salvare il piccolo Harry, allora di appena un
anno… dopo quel giorno giurò che non oltre avrebbe
permesso a se stesso di sperare in un improvviso ritorno di Sirius.
Ma poi i suoi occhi furono catturati da una foto che chissà da
dove proveniva, rievocata accanto a una gamba della piccola
scrivania. Erano i Marauders al completo, assieme a Lily; si
muovevano da un lato all’altro della cornice, si esibivano in
smorfie. Sirius si prendeva gioco di Remus con occhiate maliziose,
Peter rideva fortissimo per chissà quale motivo. James, di
tanto in tanto, prendeva in braccio la fidanzata e la faceva roteare,
si guardavano ed erano felici. A quel tempo bastava davvero poco a
tutti e cinque per esserlo. Avevano a malapena diciassette anni,
appena concluso gli studi e possedevano esattamente quello che ognuno
avrebbe desiderato: talento, intelligenza e una famiglia.
E
allora, negli ultimi minuti di lucidità prima di trasformarsi
in lupo, aveva rimosso di nuovo qualsiasi emozione positiva, si era
ricoperto di una patina di dolore e senso di colpa, e aveva lasciato
vincere quella parte di lui senza coscienza.
“Black
è quasi riuscito ad accoltellare Ronald Weasley, il miglior
amico di Harry…”.
“Oh,
Dio! Dici sul serio? Ma allora siamo tutti in grave pericolo…
quell’Harry Potter causa soltanto danni”.
“Già…
sembra di essere cattivi, ma è la verità. Da quando c’è
lui in questa scuola non c’è mai un anno tranquillo,
attira i guai peggiori”.
“Sì,
hai ragione”.
“Non
dovreste affrettarvi a entrare in classe?”
Le
due giovani si voltarono a fissare inorridite il professor Lupin.
“Noi…
non dicevamo sul serio”.
“Ci-ci
dispiace…”
“Già,
già”.
Sto
tradendo Lily e James. Sono morti per salvare Harry ed io aiuto Black
a completare l’opera del suo signore. nella sua infinita
presunzione deve sapere che, per qualche strana ragione – la
stessa che mi legava a lui così profondamente –
non ho il coraggio di sbarrargli la strada; e magari la mia punizione
per il mio sperare sarà proprio quella di trovarlo nel mio
ufficio. Sì, con la bacchetta puntata contro di me e la
determinazione di colpirmi con l’Avada Kedavra… pagherò
per tutti i miei errori.
In
realtà si diceva che la morte non sarebbe stata abbastanza,
ancora. Aveva desiderato troppo spesso di andarsene perché
quella fosse una punizione sufficiente.
“I creatori di questa mappa si sarebbero divertiti molto a trascinarti fuori dalle mura della scuola…”.
Moony, Wormtail, Padfoot e Prongs… Harry produceva un Patronus a forma di cervo… Aveva confiscato la mappa dei Marauders a Harry e la stringeva tra le dita come se fosse il più grande tesoro…
Sulla pergamena, per lui che sapeva intravedere i ricordi intrisi in quel foglio, c’erano i volti di quattro ragazzi che sghignazzavano e immaginavano le reazioni dei loro insegnanti se avessero scoperto che varcavano la soglia di Hogwarts per esplorare la notte e la spensieratezza, tramutati in Animagus e in un lupo mannaro.
Nemmeno
Remus fu certo, in seguito, della prima reazione che ebbe a leggere
il nome di Peter Minus sulla mappa – “La mappa non
sbaglia mai”.
Eccitazione,
terrore, curiosità. Aveva spalancato in tutta fretta la porta,
lasciato indietro il segreto della pergamena alla portata di tutti.
In seguito si sarebbe pentito di quella distrazione, ma nel frattempo
correva verso il Platano Picchiatore, Peter Minus e un probabile
Sirius Black.
Infatti
li trovò. Sirius Black era sul pavimento della Stamberga
Strillante, Harry gli puntava contro la bacchetta, Ronald sembrava
star per esplodere dal dolore (?) ed Hermione era palesemente
agghiacciata.
Per
i ragazzi fu uno schock vedergli tendere la mano al vecchio amico, e
per lui fu doloroso ascoltare i loro moti di ribrezzo, il loro modo
di approcciarsi all’idea che fosse un Lupo Mannaro.
Sirius
e Remus avrebbero sempre dovuto leggersi con la follia. Uno fin
troppo razionale, tendente al sopprimere ogni barlume d’allegria
per evitare di premiarsi; l’altro completamente in balia della
disperazione, desideroso di sfoggiare il costume di se stesso, così
da poter donare un po’ del suo dolore e non tenerlo tutto per
sé…
Dodici
anni rinchiuso in una cella per un reato che non aveva commesso, e il
disgustoso colpevole scorrazzava tra le gambe di padroni gentili e
magnanimi, che mai avrebbero immaginato di avere tra le mani la
persona a cui attribuire la maggior parte delle sofferenze di uno dei
loro amici più cari. E come non citare i primi sedici
trascorsi nella gabbia d’indifferenza, disprezzo e silenzio.
Parole che venivano ripetute così spesso. Sempre le stesse:
rimproveri utili a cambiare la sua ideologia inappropriata. In quel
clima di ripudio nei suoi confronti, non c’era alcuna sicurezza
a cui aggrapparsi, se non quella che presto o tardi sarebbe tornato a
Hogwarts.
Remus
era stato seguito dall’ombra di una sfera argentata, la
consapevolezza di non meritare – e di non poter frequentare –
degli amici, e sulle fragili spalle il peso di una famiglia
preoccupata e smarrita. L’odio del mondo nelle ferite provocate
dall’astio per ciò che diveniva al plenilunio.
Non
furono molti i cambiamenti da quella notte. Remus rinunciò
alla cattedra di Difesa contro le Arti Oscure, parlò
attraverso i camini con Sirius, mentre si raccontavano dei dodici
anni che erano trascorsi senza rendersene conto, e che avevano
lasciato i segni su entrambi. Remus e la pelle rattoppata, Sirius e
la solitudine nella sua mente.
Il
loro rapporto era sempre stato identico alla loro personalità.
All’inizio spensierato, poi più cupo e compresso dal
peso della guerra; distrutto, come entrambi, agli angoli opposti di
un ring di wrestling; infine ricucito distrattamente e trasandato.
Nel
giugno del millenovecentonovantacinque Remus andò a vivere con
Sirius. Nulla di speciale né intimo. A far loro compagnia
c’era la famiglia Weasley e sporadici membri dell’Ordine.
Sirius pensava spesso al suo figlioccio; discutevano per ore intere,
com’era stato un tempo, della vita, di cosa ne avrebbero fatto
una volta che Voldemort fosse stato sconfitto. Sirius voleva cercare
di incantare un’altra moto, perché gli mancava. Si
sarebbe fatto prestare, di tanto in tanto, la scopa da Harry.
“Dovremmo viaggiare. Magari tu potresti tornare a insegnare, ed
io un Auror. Però prima un annetto nei posti più caldi.
Padfoot e Moony, in memoria dei Marauders… dopotutto, se ci
pensi, è come se Peter fosse morto”.
“Seppellito
dallo squallore in cui è caduto… sì, è
vero”.
“Non
so come abbia fatto Harry a perdonarlo”.
“È
il sangue di Lily”.
Non
che fossero stati dei brutti giorni quelli dal giugno
millenovecentonovantacinque al novantasei, ma alla conclusione di
quella landa desolata che era stata l’esistenza di Black, Remus
avrebbe preferito che non si fossero mai svolti. Era tutto stato
meticolosamente calcolato di modo che progettassero una scappatoia,
una fuga a quel disastro, una casetta ai Caraibi, le vacanze con
Harry Potter, ristrutturare la villa a Godric’s Hollow da
affidargli. La bomba era scoppiata, proprio nell’istante meno
opportuno. Sirius pareva averlo predetto; il settembre del quinto
anno a Hogwarts di Harry aveva scritto di suo pugno un testamento di
fronte all’irritazione di Remus.
“Perché
lo fai?”
“Non
voglio che tutto quello che ho vada nelle mani sbagliate. So che
Harry saprà come sfruttare la mia eredità, ed è
questo quel che conta. Ti prego di prenderti cura di lui come dovrei
far io”.
La discussione si era conclusa in quel modo afflitto e disarmante.
Nove mesi dopo L’Ordine della Fenice compiangeva la morte di Sirius Black senza nemmeno poter seppellire il corpo, inghiottito dal velo all’Ufficio Misteri al Ministero. Tutto il mondo magico in allarme: Silente non mentiva, Voldemort era tornato.
Tonks
lo scorse in una soleggiata mattinata mentre era appoggiato sul letto
della camera di Fierobecco; fissava i topolini che l’Ippogrifo
uccideva e mangiava, da bravo predatore qual era, ma era assente,
pensieroso e infuriato.
“Hagrid
lo porterà di nuovo a scuola”.
“Già,
è la cosa migliore…”.
“Senti,
Remus… lo so che sei ferito, era il tuo migliore amico. Posso
comprendere perfettamente come ti senti e-“ Remus sorrideva,
l’espressione ancor più triste di quelle intraviste in
precedenza. Tonks vi leggeva una rassegnata morte: non c’era
più nient’altro da fare, il resto era vuoto. “Non
devi soffrire per forza, c’è un’alternativa”.
“E
qual è?”
“Continuare
a sopravvivere e imparare, col tempo, a guarire”.
La
differenza insormontabile tra i due era proprio quella: il mondo
agiato in cui Tonks aveva vissuto, la felice naturalezza della sua
gioia. L’uomo che sposò era l’opposto, aveva molto
poco da perdere, troppo da distruggere nelle persone al suo fianco.
Il
giorno del matrimonio Remus era altrove, impalpabile e malinconico.
C’era un cagnone enorme accanto al prete che gli strizzava
l’occhio e gli prometteva un ridente futuro… che sciocco
bugiardo, pensò. E continuò a mentire tacendo.
Angolino
dell’autrice:
Fiction partecipante al meraviglioso “Cave
Canem”.
Questo
contest mi ha aperto le porte verso il mio lato wolfstarico, è
stato stupendo lavorare a questa fan fiction, anche se magari non è
un’eccellenza.
Ho
scelto “Certe volte la gente mente soltanto tacendo”
perché pensavo che fosse appropriata, e importantissima per
chiunque, non soltanto per una coppia travagliata (almeno secondo il
fandom) come quella Wolfstar.
I
personaggi citati non mi appartengono, sono di J.K. Rowling. Non si
intende nessuno copyright non rispettato, in quanto questa storia non
è scritta a scopo di lucro.
Spero
che qualcuno l’abbia letta e che sia piaciuta.
Grazie
a tutti, in particolare alle giudici.