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Autore: The DogAndWolf    07/12/2010    3 recensioni
E se Jenny Schecter fosse stata assassinata?
A mente lucida e in maniera premeditata? O, più probabilmente, è stato un raptus improvviso? Potrebbe anche essere stato un incidente, no?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Bette Porter, Jenny Schecter
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Last World - Jenny Schecter's Death'
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«Bette?».
Sentii dei passi, sempre più vicini, salire le scale e poi girovagare per la stanza.
«Wow!».
Potevo benissimo immaginare Jenny che si guardava intorno, con un’espressione stupita e ammirata al vedere il secondo piano appena costruito della nostra casa.
Inspirai ed espirai, lentamente, come avevo imparato durante le innumerevoli lezioni di yoga che avevo seguito quelli che sembravano secoli fa.
«Bette?». Chiamò di nuovo Jenny.
Come avevo previsto, la respirazione yoga fu, ancora una volta, del tutto inutile.
Sospirai, cercando di allontanare l’ira che provavo verso quella lurida serpe sfruttatrice che si divertiva tanto a distruggere le vite altrui, senza pensare alle conseguenze.
«Bette?».
Sentii i suoi passi allontanarsi, probabilmente stava già scendendo la scala di legno senza ringhiera.
Strinsi i denti, facendomi forza, non potevo lasciarla andare senza aver prima chiarito con lei.
Uscii da dietro il mio nascondiglio e la chiamai a mia volta, con voce ferma e sicura: «Jenny!».
Aveva fatto solo quattro o cinque scalini. Ritornò subito sui suoi passi, attirata dalla mia voce.
Continuai a camminare, decisa, nella sua direzione, finché non c’incontrammo sul piccolo balcone che introduceva alla scala di legno.
Non sapevo ancora cosa avrei detto, sapevo solamente che la sua vista mi fece infuriare ancora di più.
«Ciao!».
Come sottofondo ai miei pensieri confusi e rabbiosi c’era solo il rumore dell’acqua della piscina, agitata dal freddo vento notturno, che propagava i suoi riflessi sotto al pianerottolo dov’eravamo.
«È bellissimo qui!».
Delle parole mi uscirono dalla bocca, senza passare prima dal cervello, ma ero sicura che non potessero essere più giuste visto che credevo fermamente in ogni singola cosa che dissi. Era tutto quello in cui mi restava sperare.
«Senti, voglio solo che tu sappia una cosa. La mia famiglia e la vita che ho ricostruito per loro, lavorandoci così duramente, significano assolutamente… tutto per me…».
Il mio tono era pieno di tristezza e rabbia, la mia vista si offuscò leggermente per le lacrime d’impotenza, mentre guardavo negli occhi Jennifer Schecter. La donna che minacciava di disintegrare tutti i miei sforzi degli ultimi anni, la mia famiglia, la mia vita…
Tutto… per una singola e fottutissima bugia. Un’accusa falsa e insensata stava per spazzare via tutto il mio mondo.
«E non c’è nulla che non farei… per preservale e proteggerle…».
Ferma decisione nel mio sguardo fiero e orgoglioso, non mi sarei mai piegata ad un infimo ricatto. Non mi sarei mai piegata al malato volere di una pazza psicopatica.
«Non farei mai nulla che ferisse la tua famiglia, Bette…».
Distolsi lo sguardo per un secondo dai suoi occhi, confusa.
«Ti voglio bene…».
Lo riposai subito sul suo volto, diventando estremamente diffidente, ma ero ancora troppo allibita e furiosa per poter dire qualcosa.
«E voglio bene a Tina…».
Ancora una volta non potei più reggere lo sguardo di quella traditrice.
Riuscii a racimolare un po’ di autocontrollo e, finalmente, le risposi: «Beh, sono contenta di sentirtelo dire…».
Lacrime di rabbia continuavano a bruciarmi gli occhi, intrappolate dal mio orgoglio.
Imponendomi di non piangere, continuai a parlare: «Perché sai una cosa? Non me ne importa…».
«Ok».
«Se pensi che io mi sia scopata Kelly, l’unica cosa di cui m’importa veramente è che tu sappia che io non tollererò che qualcuno minacci la mia famiglia…».
Il mio tono di voce sfuggì nuovamente al mio controllo, tremando un po’, mentre diveniva grave. Sottolineai le mie ultime parole con uno sguardo deciso e fiero.
La vidi scuotere la testa, con uno sguardo disgustosamente deluso.
«Bette… a me non devi mentire! Io non penso che tu abbia fatto sesso con Kelly! Io ti ho vista, Bette! Ti ho vista mentre lo facevi!».
I suoi occhi si tinsero di compassione. Compassione per me.
«Io… non… ho… tradito… Tina!». Ringhiai fra i denti, ormai la collera stava per prendere il sopravvento.
Jenny scosse nuovamente la testa, guardandomi come se mi vedesse per la prima volta, sconcertata.
«Ho le prove…».
Quelle parole risuonarono vuote di significato per un momento nella mia testa, anche se le avevo già sentite da Kit, non riuscivo ancora a capire come fosse possibile.
«Jenny… non so cosa cazzo tu ti sia inventata questa volta ma… io… ti giuro che…». L’ira trapelava dalla mia voce, il mio sguardo era incandescente mentre fissavo gli occhi di quella donna pazza.
Jenny, spazientendosi, tirò fuori il suo iPhone e mi parlò come se fossi una bambina di due anni: «Bette, non mi sono inventata nulla, lo sai! Ho un filmato qui che vale più di mille parole, smettila di mentire!».
Qualcosa scattò in me ed afferrai il polso di Jenny, cercando di strapparle di mano il telefono.
«Che stai facendo?». Esclamò, impaurita e allibita.
«Dammi subito…». Le ringhiai contro, in tono minaccioso e deciso.
Successe tutto in pochi cruciali istanti.
Quando afferrai l’iPhone, lei cercò di divincolarsi dalla mia presa, tirandosi indietro, tentando di sfuggirmi. La sua mano libera raggiunse quasi la mia spalla, con l’intento di allontanarmi.
Ma io fui più veloce. Seguendo l’istinto, la spinsi via prima che mi potesse graffiare e…
Il suo polso mi sfuggì di mano mentre vedevo materializzarsi nei suoi occhi il panico puro.
Capii cosa stesse succedendo solo vedendola sospesa grottescamente a mezz’aria, davanti a me.
Cadde irrealmente, come al rallentatore. Non un suono le fuggì dalla bocca spalancata in un’espressione di terrore. Nemmeno quando la sua testa colpì con forza il bordo della piscina e lei svenne, scivolando in acqua.
Fissai il suo corpo immobile, orripilata e sconcertata.
Mi stupii per quanto poco bastasse per uccidere un essere umano… fu l’unico possibile pensiero per qualche secondo.
Perché era morta, ne ero sicura. Non respirava più: non c’era nessuna bolla attorno al suo corpo esamine che rivelasse una minima attività dei polmoni.
Ripresi contatto con la realtà quando mi accorsi del metallo freddo che stavo stringendo nella mano sinistra. Posai lo sguardo incredulo sul telefono di Jenny.
Per la seconda volta nella serata agii d’istinto.
Cercai il filmato che m’incriminava, guardandone un pezzo: non mi stupii che mia sorella ci fosse cascata in pieno. Quella stronza aveva trovato proprio l’angolazione giusta da cui filmarmi, mentre mi chinavo ai piedi di Kelly per raccogliere il bicchiere in frantumi.
Una singola lacrima solcò finalmente il mio volto.
«Cazzo, Schecter!». Sussurrai irata, mentre cancellavo il filmato dall’iPhone e lo gettavo nella piscina con la proprietaria.
Solo allora iniziai a ragionare in modo logico e lucido.
Mi guardai intorno, fortunatamente nessuno aveva sentito i tonfi in piscina.
Ora dovevo solo fare in modo di acquistare tempo, ritardando il più possibile il ritrovamento del cadavere. Era una serata fredda, nessuno si sarebbe avvicinato alla piscina tanto presto.
Sospirai per calmarmi e rientrai in casa, scossa da quello che era capitato.
Cazzo, Schecter…
 
«Jenny Schecter…».
La voce dell’investigatrice risuonò nella stanza e nella mia testa, riportandomi alla mente l’immagine di Jenny che scivolava giù dal balcone, fissandomi con uno sguardo pieno di panico.
Scacciai velocemente quella scena dal mio cervello e mi concentrai per scegliere attentamente le parole. Sospirai brevemente prima di parlare: «Complessa… ehm…»
Vidi Jenny che parlava e rideva allegramente con tutte noi, giusto poche ore prima di vendere la sceneggiatura di Alice per mezzo milione di dollari.
Presi una pausa per liberarmi la testa e concentrarmi nuovamente.
«Complicata…».
Davanti agli occhi mi apparve quel suo fottutissimo libro, Lez Girls.
«Di talento, molto dotata e… autodistruttiva…». Mi affrettai a dire.
Pensai che Jenny avesse una faccia stranamente… rilassata… quando l’avevo vista sulla barella in casa mia. Era come se si fosse liberata di un peso troppo a lungo sopportato.
In un certo senso malato, forse mi sarebbe stata grata per quello che avevo fatto.
Scacciai quei pensieri alla soglia del delirante e continuai a parlare di lei: «A volte molto generosa…».
Nessuno le aveva chiesto di montare quel video per noi. Eppure l’aveva fatto.
La prima ed ultima azione disinteressatamente generosa di Jennifer Schecter.
Per me, Tina e Angelica. Per la stessa famiglia che stava progettando di distruggere.
«Ma complicata…».
(«Ti voglio bene… e voglio bene a Tina…»)
«Complessa, sì…».
 
Sorrisi, rapita, guardando mia figlia rigirarsi nel lettino.
Le accarezzai la testa, lievemente, attenta a non svegliarla.
«Ti voglio bene, piccola mia…». Sussurrai delicatamente ad Angelica, ora molto più calma e serena di prima.
Ora sapevo che era necessario che accadesse quello che era successo.
Le sfiorai la testa per l’ultima volta, prima di allontanarmi da lei e uscire dalla sua stanzetta.
Stavo camminando in corridoio per raggiungere le altre, godendomi l’immensa pace che mi aveva pervasa semplicemente guardando mia figlia, quando una porta si aprì alla mia destra. Non trasalii nemmeno.
Fanculo lo yoga, non esiste nulla al mondo di più rilassante e riappacificante del passare del tempo con la mia bambina.
Il mio sguardo andò subito alla persona che aveva aperto la porta e sorrisi dolcemente, vedendo che era Tina.
«Ehi…». La salutai nel tono profondamente innamorato che riservavo solo a lei e nostra figlia.
«Stavo solo controllando Angie, sembra profondamente addormentata…».
«Oh, bene, bene! Io ero di sopra, ho preso un maglione… avevo freddo…».
Il suo tono mi mise subito in allarme. I suoi incredibili occhi verdi continuavano a fuggire ai miei, scuri e attenti.
La osservai, sembrava terribilmente scossa da qualcosa. Sperai che non si trattasse…
«Stai bene?».
Le accarezzai dolcemente il braccio mentre la studiavo, preoccupata.
Non più dalla possibilità che sapesse, non mi avrebbe parlato in quella maniera se Jenny le avesse fatto vedere il video sul suo cellulare prima che io…prima che cadesse in piscina.
«Sì, sto bene… io…».
Inclinai la testa, perplessa. Non stava bene.
Era davvero sconvolta. E anche arrabbiata, ma non con me, ne ero certa.
«Volevo parlarti di una cosa e… è solo che… non so…».
Si guardò intorno, sotto il mio sguardo dolce e protettivo.
«Hai… hai visto Jenny?».
«Ehm, no…». La risposta era stata automatica, troppo veloce per essere vera.
Per mia fortuna la mente di Tina era ancora occupata da qualcosa di troppo grosso per notarlo.
«Ehi!».
Ci girammo entrambe verso la voce, riconoscendo subito Max.
«Ciao!». Lo salutai prontamente. Era intervenuto in un momento davvero favorevole, anche se avevo perso la mia occasione per capire perché Tina fosse così scossa.
«Scusate…». Disse Max, accorgendosi di averci interrotte.
«Tutto bene?». Questa volta lo chiese Tina.
«Sì, avevo solo un po’ di freddo: sono andato a prendermi il maglione».
«Già, fa davvero freddo!».
«Già…». Mi affrettai a concordare anch’io.
Max aveva un’espressione strana, come di felicità stupita.
«Già… indovinate un po’, ragazze? Oggi l’ho sentito scalciare per la prima volta».
Il mio sorriso si allargò. Non era stato facile per lui, ma finalmente l’aveva accettato ed era lietamente sorpreso.
«Davvero?».
«Sì!».
«È fantastico, congratulazioni!».
«Bello, vero?».
Mi ricordai la gravidanza di Tina e, per la seconda volta nella serata, la mia famiglia cancellò il pensiero di Jennifer Schecter e quello che era successo solamente pochi miseri minuti prima.
«Posso?».
«Oh, sì». Chiesi a Max, allungando una mano per metterla sul pancione alla sua risposta affermativa.
«È meraviglioso, Max!». Esclamò Tina, anche lei sembrava un po’ più rilassata dopo quella notizia. Lo abbracciò mentre Max sussurrò tre piccole parole estremamente pesanti: «Il mio bambino…».
Sciolsero l’abbraccio e lo strinsi brevemente anch’io.
«Congratulazioni!».
«Sembra che tu stia bene…».
Sulle parole di Tina mi allontanai anch’io da Max.
Dopo una piccola pausa lei parlò di nuovo.
«Hai visto Jenny là fuori?». Domandò, riportandomi immediatamente all’erta.
Mi guardai rapidamente e furtivamente attorno prima che Max rispondesse.
«No…».
Improvvisamente mi attraversò la mente una cosa che non avevo calcolato.
Se Tina l’avesse saputo, cosa sarebbe successo? Mi avrebbe amata ancora? Avrebbe capito che si era trattato di un incidente? Si sarebbe spaventata? Mi avrebbe odiata?
La osservai, intimorita, per un istante.
No, decisi, lei non avrebbe mai saputo. Lei e Angelica non dovevano sapere.
Nessuno avrebbe mai saputo nulla di questa storia.
 
Verso la fine del video, Alice tornò in casa. Aveva le lacrime agli occhi, era completamente sconvolta. Indicò convulsamente verso la piscina, con il pollice, alle sue spalle.
«Jenny…». Sussurrò semplicemente.
Ecco, era arrivato il momento di non lasciarsi prendere dal panico e agire lucidamente. Dovevo, innanzitutto, arrivare all’iPhone, per coprire le mie impronte digitali.
«Jenny!». Urlò Alice, fuori di sé per lo shock.
Mi alzai subito e corsi verso la porta, dovevo essere la prima a recuperare il corpo. Anche se sapevo quanto fosse inutile, anche se sapevo di trovarla già morta.
Mi tuffai nella piscina. Afferrai Jenny per la maglia e la trascinai con me, aiutata da Shane. Vidi qualcosa scintillare alla luce delle lampade da giardino e qualcos’altro più scuro lì vicino.
Il cellulare e la borsa di Jenny. Li afferrai, rapida, per poi far uscire il corpo dall’acqua.
Nessuno avrebbe mai saputo.
 
Mi versai un altro bicchiere di vino rosso, sconvolta per quello che era successo.
Eravamo tutte tornate a casa di Helena dopo l’interrogatorio e solo Angelica si era riaddormentata beatamente. Avevo passato un po’ di tempo a fingere di dormire come tutte le altre, nel divano letto a due piazze che dividevo con Tina, ma poi il bisogno di muovermi, di bere qualcosa, di togliermi da davanti agli occhi l’immagine di Jenny che scivolava nel vuoto mi aveva costretta ad alzarmi.
Ero così immersa nei miei pensieri, o, più probabilmente, concentrata sul dimenticare, che non sentii i passi di mia sorella.
«Ehi…».
Alzai lo sguardo su Kit, trasalendo lievemente. Le sorrisi, un sorriso tirato, il massimo a cui potessi aspirare dopo quella serata.
Notai che mi guardava in modo strano, ma non riuscii a decifrare i suoi pensieri.
«Cosa c’è?». Le chiesi.
Sembrò voler dire qualcosa, ma poi richiuse la bocca e scosse la testa, sconsolata. Si abbandonò su una sedia vicino al tavolo, fissando il vuoto con un’espressione distrutta e persa.
La osservai da dietro il bancone del ripiano cucina, senza dire nulla, aspettando che parlasse.
«Bette… io… non voglio chiedertelo… non vorrei nemmeno pensarlo a dir la verità…». Mi lanciò uno sguardo denso di significato.
Mi irrigidii impercettibilmente, capendo improvvisamente cosa intendesse.
Continuò a parlare mentre nella mia testa si susseguivano quelle immagini che non sarei mai riuscita a cancellare dalla mia memoria.
«Non voglio chiedertelo, ma… sto impazzendo per non poterlo fare e…».
«Dillo…». Esclamai bruscamente.
Puntò gli occhi nel mio sguardo fiero e deciso, quasi freddo.
«Chiedimelo se pensi che questo ti farà stare meglio: non fa bene tenersi tutto dentro, Kit!». Il mio tono era fermo e definitivo, anche se non credevo nelle ultime parole.
Certe cose era meglio non rivelarle. Certe cose me le sarei tenute dentro fino alla morte.
Mi rivolse uno sguardo triste, di muta supplica davanti alla mia freddezza.
Una pausa di silenzio teso e, finalmente, mia sorella parlò, dopo un lungo sospiro tremante: «Hai… sei…. sei stata tu?».
Abbassai gli occhi per un attimo sul mio bicchiere di vino. Il suo sguardo mi era sembrato più triste che accusatorio.
Avevo il cuore in gola per la paura che Kit lo scoprisse. L’unico rumore che mi assordava in quegli istanti, gli istanti più lunghi di tutta la mia vita, era il mio stesso battito cardiaco impazzito, che rimbombava in ogni fibra del mio essere.
Per un secondo mi sembrò che esistesse solo quello.
Iniziai a parlare dopo quell’eternità spesa a cercare di calmarmi inutilmente: «Io…».
Proprio in quel momento un’altra persona entrò nella cucina, chiamando dolcemente il mio nome, in un tono impastato dal sonno: «Bette…».
Avrei riconosciuto quella voce ovunque, tra miliardi e miliardi di altre voci.
Guardai gli occhi verdi di Tina, rapita. Erano offuscati da qualcosa.
La raggiunsi immediatamente, abbandonando il bicchiere sul ripiano della cucina. Le accarezzai dolcemente la guancia, lievemente preoccupata.
«Va tutto bene, amore?».
Cercò subito il mio sguardo affettuoso e si rifugiò tra le mie braccia.
«S-solo un… brutto sogno…». Spiegò, ancora assonnata. In quel momento si accorse di Kit.
«Scusate! Ho interrotto qualcosa?».
Non guardai nemmeno mia sorella e scossi la testa, immediatamente.
Kit sorrise a Tina, un po’ nervosa, e anche lei negò con un cenno.
I miei occhi scivolarono in quelli di mia sorella e parlai con ferma decisione: «No… stavamo solo facendo un discorso senza alcuna importanza…».
Kit mi osservò per un po’, preoccupata e triste. Temeva che io l’avessi fatto, ma non aveva più occasioni per chiedermelo. Ora non ne avrebbe mai più avute di migliori di quella che aveva appena perso.
Tina sciolse l’abbraccio e mi prese la mano.
«Allora… puoi… tornare di là che non riesco più a riaddormentarmi, per favore?».
Di nuovo i miei occhi scuri nei suoi verdi, ancora scossi dall’ombra di quell’incubo. Le sorrisi, completamente innamorata, e la baciai teneramente sulle labbra, prima di risponderle: «Certo, andiamo a dormire… domani sarà una giornata pesante…».
Demmo entrambe la buonanotte a Kit e uscimmo dalla cucina, lasciando mia sorella sola con il suo fondato sospetto a gravarle addosso.
Non avrei voluto. Non avrei mai voluto scaricare su Kit un peso così insopportabile.
Ma non potevo parlargliene. Non le avrei dato un’altra occasione per farlo.
Né ora né mai.
 
«Tina…». Chiamai delicatamente la donna davanti a me nel buio.
«Sì?». Mi rispose, assonnata, senza aprire gli occhi.
La strinsi a me e le sussurrai delle dolci parole all’orecchio, mentre giocavo distrattamente con i suoi morbidi capelli biondi: «Sai che farei di tutto per te e Angelica…».
Lei sorrise, sempre con gli occhi chiusi.
«Anch’io farei di tutto per te e per nostra figlia…».
Sorrisi anch’io nell’oscurità, felice di poterla avere ancora nella mia vita, nel mio stesso letto, stretta a me. Felice di non dover più temere alcuna minaccia per la mia famiglia.
«Bette?». Mi chiamò, ad un passo dal sonno.
«Sì?». Risposi subito.
«Ti amo!».
Appoggiò la sua testa al mio petto, accoccolandosi contro il mio corpo.
Si era già addormentata con un’espressione tranquilla in volto quando sussurrai la risposta: «Anch’io ti amo, Tina…».

 
*****
Devo dire che non mi ha mai convinta pienamente questa versione.
Anche se fosse davvero successo questo, anche se Bette avesse ucciso Jenny intenzionalmente o accidentalmente, questo non mi farebbe per nulla odiare il personaggio di Bette o modificare la visione che ho di lei. Questo perché confermerebbe solo una qualità che ritengo fondamentale in Bette: la sua indole protettiva nei confronti di Tina e Angelica.
Adoro Bette con tutta me stessa e spero veramente di averla resa bene in questa fanfiction, anche perché è la prima volta che la muovo! ^^
Mi piacerebbe sapere che pensate riguardo alla morte di Jenny. Non perché sia un dubbio che mi attanagli... secondo me è stato un finale perfetto questo. Secondo me è stato un colpo di genio non rivelare niente. Perché poi, alla fine, non importa seriamente chi abbia ucciso Jenny. Qualsiasi cosa sia successa resterà un mistero e, in uno strano modo, penso che sia meglio così per tutti.
Ma forse penso questo solo perché odio Jenny! xD
   
 
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