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Autore: GrumpyTrolla    15/12/2010    5 recensioni
Lunga storia autoconclusiva e dall'introspezione estrema; si svolge interamente tra le mura dell'Arkham Asylum, ed i protagonisti li conosciamo ormai bene. Altre spiegazioni e note sono all'interno.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Prima di iniziare, le solite avvertenze d’obbligo e perché no, pure qualche spiegazione per mettervi a parte della mia mente: questa storia rappresenta il prequel - almeno per come lo immagino io - di “Red Flags and Long Nights“; Vicarious, un termine inglese - nonché noto titolo di una delle più belle canzoni dei Tool -, vuol dire “subìto, sofferto al posto di un altro”.
Si tratta di una lunga storia autoconclusiva, che ha qualcosa di strano; non vi dirò cosa, perché francamente non l’ho ancora capito neppure io, ma spero vi piaccia nonostante tutti i suoi difetti - di cui sono conscia.
Ogni critica costruttiva, ogni commento, ogni correzione - ci terrei a rammentare che non ho più una beta - sarà bene accetto e anzi, incoraggiato.
Con questo saluto e ringrazio tutti coloro che leggeranno questa storia.

Un abbraccio,
XxX.SilverLexxy.XxX


VICARIOUSLY:

Parte I: L‘Enigmista.

I can be your hero, baby. I can kiss away the pain.
I can stand by you forever. You. Can Take. My breath away.

Spaventapasseri non era mai andato d’accordo - più che altro non aveva mai voluto parlarci - con Edward: l’uomo era un megalomane narcisista e la sua presenza, irritante nei momenti buoni, sfociava con facilità nell‘odioso e non era il solo a pensarlo. Di primo acchito, l’Enigmista risultava genuinamente antipatico al novanta percento delle persone e spessissimo gli capitava di scontrarsi con loro.
Colpa dei suoi discorsi complicati ed egocentrici, di quel sarcasmo denigratorio e della sua maledetta ossessione per gli indovinelli, che più di una volta erano riusciti a scatenare risse - quelle, ad Arkham, erano infettive quanto la peste, e come tali andavano evitate.
Bastava un nonnulla, un boccone che vola fuori dal piatto in sala mensa, un grido improvviso, una parola sbagliata e la violenza si allargava a macchia d’olio: le guardie che gridavano, atterrando pazienti a colpi di manganello, le imprecazioni, gente che fuggiva o lottava o si ritirava in un angolo a piangere e strapparsi i capelli, l’allarme prendeva a suonare e le uscite venivano sigillate.
Nel bel mezzo di questa commozione, non avendo assolutamente il fisico né l’atteggiamento per gettarsi nella mischia, Jonathan restava seduto a mangiare o leggere o godersi la scena; Edward invece, una volta creato il panico, improvvisava sempre un modo per usare il putiferio a suo vantaggio, e questa era un’altra cosa detestabile: la sua megalomania era tale, che si riteneva in grado di poter far tutto, gestire ogni situazione, e se puntualmente aveva successo, era solo per pura fortuna.
Ma la cosa che riusciva a disgustarlo maggiormente, era l’attinenza di Nigma al flirt: uomini o donne per lui non faceva distinzione, da quando aveva fatto il suo primo ingresso ad Arkham aveva sedotto - e si era lasciato sedurre - con facilità la parte affascinante del personale nel manicomio, cosa che a Jonathan dava un sincerissimo voltastomaco per tutta una serie di motivi.
Voci di corridoio gli attribuivano un interesse romantico perfino nei confronti del Joker e questo andava a toccare un altro nervo scoperto: la capacità di stringere amicizie pericolose con una noncuranza spiazzante.
Perfino i loro passatempi erano diversi: Crane aveva una cultura classica, amava leggere testi di scienze e letteratura, mentre il sapere di Edward, coltivato a suon di riviste, internet e giochi - per non parlare dell‘immenso talento nel mondo del computer e della tecnologia - era attuale.
Detto ciò, sembrava ovvio che due persone come loro non sarebbero mai arrivate a parlarsi ed andare d’accordo poi, sarebbe stato addirittura impensabile.

Nigma ne era convinto, un giorno Arkham sarebbe spontaneamente esploso vista la quantità di ignoranza che era costretto a contenere e la cosa lo avrebbe fatto ridere; nei suoi periodi di permanenza forzata, tentava di divertirsi come poteva, in solitario coi numeri della settimana enigmistica lasciati lì, a prendere polvere negli angoli delle sale ricreative, oppure ponendo indovinelli cui però, solitamente riceveva in risposta più cazzotti che parole.
Tra le guardie aveva riscosso un certo successo: quegli uomini passavano molto tempo coi cruciverba e spesso venivano da lui a porre domande, forse più per vedere se conosceva davvero ogni risposta e fino a quel momento, non li aveva mai delusi.
Non poteva quindi dire di sentirsi troppo solo, sarebbe stato ridicolo viste le molte storie sentimentali che riusciva ad imbastire, dirigendole un po’ come se fossero tanti film: non provava gusto nel sesso fine a sé stesso, difficilmente si sarebbe abbandonato ad un atto simile per semplice istinto. Non si riteneva un egoista, né un animale, né un sessista, infatti per lui uomini e donne gli erano inferiori in modo paritario e su questo non aveva mai avuto problemi a farsi una ragione.
Forse l’unica persona in tutto Arkham che riuscisse a tenergli testa - anche se in modo tutto suo - era il Joker ma con tutto il tempo che passava tra la macchia e l’isolamento, non risultava poi tutta questa gran compagnia: l’ammontare delle sue evasioni era almeno il doppio di quelle di un supercriminale normale.
Poi un giorno aveva tentato, a suo rischio e pericolo, una domandina facile facile a James Grugno - che non era il suo vero nome, ma gli si adattava perfettamente -; inutile dire come fosse andata a finire.
“Cosa ci fa un telecomando a Venezia?”
La risposta era uno scherzoso cambia i canali!, ma dopo aver bofonchiato qualche stranezza, il signor Grugno s’era fatto nervoso ed Edward gli aveva gentilmente offerto la risposta; per qualche motivo però questa imbestialì l’uomo, che tentò di colpirlo sulla testa con una sedia. Se c’era qualcosa per cui Nigma era rinomato - oltre l’intelligenza spaventosa - era la prontezza con cui poteva evitare colpi micidiali come quello: il pezzo di mobilia lo mancò, sferzò l’aria ed andò a rompersi addosso al tizio seduto un posto più in là, che a sua volta cadde sul vicino, schizzando fiotti di sangue nei piatti dei più prossimi e non era davvero un bello spettacolo.
Quello che seguì, Edward lo avrebbe definito come lo decantò Dante, sette lettere.

Jonathan non aveva idea di cosa - stavolta - Nigma avesse potuto dire per provocare le ire dell’ennesimo grosso paziente nerboruto: con la coda dell’occhio aveva colto il movimento di qualcosa che veniva sollevato in aria - una sedia - che finì col mancare Edward e schiantarsi sul suo vicino, catapultandolo, con un guizzo sanguinoso, un posto più in là e naturalmente, a nessuno faceva piacere una testa insanguinata nel piatto.
Un attimo dopo, la rissa aveva già coinvolto anche il tavolo alle loro spalle ed alcune guardie si fecero avanti, altre si precipitarono a piantonare la porta per impedire le fughe, altre corsero a prendere in custodia il Joker - nessuno voleva quel clown in giro, quando scoppiavano i casini -, ma prima di venir trascinato fuori, fece in tempo ad urlare i suoi più sentiti complimenti a Nigma.
Jonathan s’accorse di essere rimasto a bocca aperta, la forchetta a metà strada dal piatto e decise di metterla giù, tanto quella roba faceva pure schifo; restò dov’era, incrociò le mani sulle gambe accavallate ed attese che le guardie ponessero fine a quel nuovo disastro e lo riaccompagnassero alla sua cella. Farsi trovare buoni buonini durante una commozione, veniva sempre ricompensato in qualche modo.
Improvvisamente qualcosa di brutto accadde: Crane si ritrovò per terra, dolorante, qualcuno lo aveva sollevato di forza dalla sedia e quando alzò lo sguardo, proprio nel punto in cui avrebbe dovuto esserci lui, vide due uomini che si rotolavano a terra, il tavolo spezzato in due sotto di loro; avvertì la presenza del suo salvatore ancora alle sue spalle e si voltò; riconobbe il volto basito di Nigma, che dopo qualche attimo abbassò lo sguardo ad incrociare il suo.
Quanto ti ho visto male.” Commentò, scuotendo la testa. “Ma male, male, male.”
Beh, due tizi che gli si fiondavano addosso con tale forza, probabilmente gli avrebbero rotto qualche osso, se era proprio sfortunato anche quello del collo, ma considerato il fatto che quel pandemonio era scoppiato proprio a causa di Edward, decise che non lo avrebbe mai ringraziato. Fece per parlare ma l’altro lo prese per un braccio e si tirò in piedi, aiutandolo a fare altrettanto, per poi trascinarlo con sé.
Jonathan non si ribellò, curioso di vedere dove volesse arrivare ma una volta fuori dalla mensa - le guardie che avrebbero dovuto sorvegliare l’uscita erano rimaste coinvolte nella rissa - puntò i piedi e con uno strattone si liberò dalla sua presa.
“Dove credi di andare?” Chiese e Nigma lo guardò in modo curioso per qualche attimo, ma poi si riscosse.
“Se permetti, lontano da lì.”
“Lo sai vero, che se non sono le guardie ad accompagnarci fuori, viene considerato tentativo di evasione?”
“Oh, scusa.” Rispose, incrociando le braccia sul petto. “Torna pure dentro, allora.”
“Quella faccia cosa sarebbe? Ti rendi conto di essere stato tu a scatenare quel casino?”
Edward non rispose, si limitò a ghignare, scrutandolo dall’alto in basso.
Cosa?” Chiese Crane, indispettito da quell’espressione molesta.
“È divertente, pensavo fossi un catatonico! Te ne stavi fermo come un idiota, per quello ti ho aiutato. Se non potevi parlare davvero, era meglio.”
Lo disse con tale nonchalance che Jonathan avvertì l’istinto di picchiarlo; riuscì finalmente a capire come mai tutti sembravano trovare quell’uomo tanto irritante, ma mantenne una parvenza di compostezza.
Aiutato, certo! Come se non fosse colpa tua ciò che sarebbe potuto accadermi.”
“A te non capita mai di venir frainteso? Ovviamente, non l’ho fatto apposta.”
“Allora impara a tenere la bocca chiusa, perché sai essere davvero irritante, senza farlo apposta.”
Si voltò per tornare alla mensa, senza dare all’altro la possibilità di ribattere; era periodo di campagna elettorale ad Arkham, quindi per un po’, il manicomio avrebbe assicurato quella massima sicurezza che vantava di avere da anni, rendendo alquanto improbabile una fuga, almeno per qualche tempo.
Ala luce di ciò, l’ultima cosa che Jonathan voleva, era vedersi sottrarre i suoi preziosi libri a causa di quella corsetta fuori.

Quando a Nigma capitava di incontrare una persona, non era raro che il suo iperattivo cervello girasse, sul momento, lunghissimi film mentali, narrando cosa sarebbe stato di loro - a volte, negli anni a venire -; ovviamente quei giudizi non erano perfetti ed il re degli indovinelli si vedeva costretto a riadattare le sue infinite trame giorno dopo giorno, mantenendo però sempre un determinato personaggio che però, dell‘originale sé stesso, conservava solo i tratti principali.
Non era un capriccio, né un modo per passare il tempo, né tanto meno una vera e propria speranza di felicità: era sempre lui il primo a stufarsi di certe situazioni, per via dell’inconscia tendenza a cambiare atteggiamento per assecondare le sue fantasie.
Jonathan Crane non aveva mai attirato la sua attenzione prima, infatti Edward non sapeva neppure della sua esistenza fino al momento in cui lo notò, comodamente seduto mentre poco distante un gruppetto di facinorosi si accapigliava, muovendosi velocemente nella sua direzione. “Ora si sposterà.” pensò, ma non accadeva, quindi senza pensarci troppo su, si precipitò lui stesso a salvargli la vita: con tutta la forza che aveva lo afferrò e lo trascinò indietro, proprio un attimo prima che due detenuti travolgessero tutto nel punto in cui l’altro stava seduto.
Quando i suoi occhi si fermarono sul viso dell’altro, il primo pensiero che gli attraversò la mente fu: love story. L’ennesima. Un attimo dopo, aveva già approvato la teoria secondo la quale quel ragazzo, aveva perso l’uso della parola in seguito ad un orrendo trauma, ma non aveva mai fatto male a nessuno.
Tempo pochi secondi ed il suo background fu completo: si trattava di un ragazzo come tanti, ma un terribile giorno d’Autunno trovò, rientrando a casa, la sua intera famiglia sterminata, vista che ovviamente lo gettò in stato catatonico, impedendogli di difendersi dall’accusa di strage premeditata che lo spedì dritto ad Arkham. Un giorno però, nel bel mezzo dell’assurda violenza del manicomio, arrivò lui, Edward, la sola persona degna di nota in quella follia.
Quando si rialzò, aiutando il ragazzo a fare lo stesso, aveva immaginato tutte le scene clou della loro storia: già si vedeva, commosso, mentre quel dolce ragazzo ricominciava a parlare per merito suo, in barba a tutti gli psichiatri che, immaginò, avessero lavorato sul suo caso. Dopo aver brevemente deriso quegli immaginari dottori, mentre nella realtà conduceva il giovane fuori dalla mensa, nella sua immaginazione si vedeva fuggire insieme a lui e risolvere il caso della morte della sua famiglia - avrebbe fatto tutto lui, ovviamente - per scagionarlo.
Stava già scegliendo le colonne sonore, quando i suoi sogni romantici andarono comicamente in frantumi: non solo il ragazzo non era muto, ma era anche fin troppo maleducato ed irriconoscente e pareva odiarlo a priori senza una valida ragione. Non era neppure mai stato innocuo: Joker gli aveva parlato di lui quella sera stessa, raccontandogli dei suoi precedenti col piccolo chimico.
La verità era che un crollo così totale delle sue aspettative avrebbe dovuto buttarlo molto più giù di quanto fosse realmente accaduto. Jonathan aveva gli occhi azzurri, le labbra piene come quelle che si vedono sulle riviste e dei lineamenti fin troppo aggraziati per appartenere ad un uomo: crescere con un aspetto simile non doveva essere stato facile, specie se poi si sceglieva un mestiere come quello del medico perché, come disse Joker, diciamolo, chi mai si metterebbe nelle mani di un dottore così carino, se avesse un male serio?
Nigma si sentì diviso tra rabbia estrema e curiosità incondizionata per quel ragazzo che, sempre a detta del clown, era troppo bello per essere cattivo, ma che in realtà è malvagissimo!.

Parte II: Lo Spaventapasseri.

I would like to say that I knew that this would happen.
That things would go this way; but I cannot deceive you.
This was never planned. I Know tha you’re the Right girl.
But, do you think that I am the Right man?

Strano ma vero, Arkham possedeva una biblioteca - certo, non troppo fornita -, e trattandosi di una struttura ospedaliera vantava molti volumi di medicina e psichiatria; l’odore che c’era in quel posto, di carta stampata, di vecchie copertine e di polvere, in un certo senso riusciva a confortare Crane, che custodiva gelosamente quei  momenti di pace e solitudine - per quanto potevi essere solo, scortato da due energumeni -: non molta gente coltivava l’hobby della lettura, lì.
Su una fila di vecchi volumi, notò un titolo intrigante e lo sfilò con gentilezza.
“Una gallina sta camminando.” Disse una voce vicino al suo orecchio ed il volume gli scivolò di mano. “D’un tratto, vede un cartello che vieta il passaggio e si ferma.” Crane si voltò e storse il naso, trovandosi davanti Nigma. “La soluzione?”
“Ahm. Le galline non leggono?” Chiese con antipatia sarcastica al Re degli indovinelli, che scoppiò a ridere.
“Esatto.”
“Tutto qui?”
“Sì. Era tanto facile, non trovi?”
“E quindi?”
“Nulla. Ma non sei pazzo come dicono se non credi che una gallina possa leggere.”
“E tu non sei intelligente come credi, se pensi che tutti i pazzi siano dei cretini…”
“Una calamita attrae il ferro.” iniziò di nuovo Edward, sporgendosi verso di lui in segno di passione. “Il legno è un metallo, l’acqua possiede tre molecole di idrogeno ed una di ossigeno. Il Sole è una stella, tre di queste affermazioni sono errate. Quali sono quelle false?”
“Smettila, è un paradosso.” Rispose a metà tra lo scettico e l’irritato, ma la soluzione era esatta: l’ultima frase, nel momento in cui diveniva vera, non poteva più essere inclusa tra le affermazioni errate.
Edward si tirò indietro, raddrizzandosi e mostrandosi in tutta la sua altezza, che per la prima volta Jonathan notò essere considerevolmente maggiore della sua; l’istinto, fin dai tempi della scuola, gli aveva insegnato ad evitare i confronti con persone tanto più grosse di lui e per un attimo ammutolì.
Conosceva, certo, il disprezzo di Nigma per la violenza fisica ma quella reazione fu del tutto inconscia, tanto imprevedibile da non poterla fermare.
“Non c’è motivo di arrabbiarsi.” Sorrise Edward, calmo. “Non facevo nulla di male, pensavo ti facesse piacere avere una conversazione con qualcuno che ha cervello, per una volta.”
Il suo tono di superiorità, mischiato a quelle parole tronfie, rinnovarono l’odio che Crane nutriva nei confronti di quell’uomo: doveva forse sentirsi onorato del fatto che gli avesse rivolto la parola? Per un attimo la testa di Jonathan si svuotò, dandogli le palpitazioni tipiche che si sentono durante una lite, quando non si vede l’ora di rispondere a tono ma si ha paura di non pensare in tempo ad una risposta abbastanza efficace.
“Mi farebbe indubbiamente piacere. Per questo che gradirei che te ne andassi.”
“Che cosa sgarbata da dire.” commentò, con freddezza. “Chi la costruisce la vende, chi la compra non la usa, chi la usa non la vede. Cos’è?”
“Una specie di minaccia velata?”
“No.”
“Una bara. Non ci siamo, dovrai impegnarti di più, se vorrai parlare con me.”
Con uno scatto si chinò a raccogliere il libro che aveva lasciato cadere poco prima e, per la seconda volta da quando lo conosceva, si allontanò lasciando Nigma da solo, a sorridere in modo furbo per chissà quale perverso motivo.

A detta del nuovo medico che gli avevano affibbiato, Edward soffriva di fobia della noia che, accompagnata da una galoppante megalomania e da un disturbo narcisistico, lo aveva spinto a diventare ciò che era, ovvero - testuali parole - un uomo capace di indossare abiti verdi e sfidare il vigilante di Gotham senza mai vergognarsene o anche solo fermarsi a riflettere su fatto che non ha alcun senso.
Le sfide però erano l’unica cosa capace di farlo sentire vivo, diverso dalla massa di ignoranti di cui era circondato e che, per l’appunto, lo rendevano ciò che era, senza vergogna e certamente senza mai pensare che ciò che faceva fosse inutile. A tutti quei sedicenti dottori, finiva col rispondere sempre la stessa cosa: io sono il Re degli indovinelli, come puoi tu fare domande a me?
Entrò in biblioteca, l’aria adirata e sbatté la mano aperta sul tavolo, attirando l’attenzione dell’unico detenuto presente, la persona che stava cercando. Crane sobbalzò, completamente immerso nella lettura come era non lo aveva neppure sentito arrivare. Alzò lo sguardo - meravigliato e spaventato - su di lui.
“Sparami la tua diagnosi.” Disse Nigma, freddo.
“Spararti che?!”
“Sei uno psichiatra, no? So che muori dalla voglia.”
Il silenzio durò qualche attimo; Edward poteva quasi vederle, le rotelline che giravano velocissime dietro quella fronte pallida, mentre Crane si mordicchiava l’interno della bocca, tormentato; non sapeva se era il caso di dare voce alle sue deduzioni, ma che non vedesse l’ora di farlo era innegabile. Nigma aveva appena forato nel suo territorio.
“Megalomane.” Esordì, lentamente, ma più parlava, più la lingua si scioglieva. “Hai un bisogno pressante di metterti in discussione, covi insicurezza; vivi in una realtà curiosamente distorta in cui gli altri esistono esclusivamente in relazione a te, sospetto una fobia da abbandono dalla quale ti proteggi escludendo per primo tutti gli altri, che assolutamente non riesci a concepire come esseri a sé stanti, hai un’enorme mania di protagonismo e…”
“Cura consigliata?” Lo interruppe, la sua voce più alta del solito.
Spaventapasseri ammutolì subito, la sua espressione si fece strana, abbassò lo sguardo, sbuffò col naso e tornò a guardarlo negli occhi, serio.
“Forse non lo sai - come d’altronde sembrano esserselo scordato tutti i dottori qui -, ma la psichiatria, checché se ne dica, non è come la medicina e non esiste cura per nessuna turba. Ci si limita a tamponare gli effetti indesiderati, sopprimendo tutti i comportamenti socialmente scorretti. Solo un folle entrerebbe alla facoltà di psichiatria convinto di poter guarire alcunché.”
Nigma lo stette a sentire, inespressivo, poi si tese in avanti, chinandosi fin quasi a sfiorare il naso dell’altro col suo.
“Quindi, che faresti con me?”
“Io?” Domandò Crane, e le sue pupille si dilatarono per un attimo, vista che confuse il Re degli Indovinelli come poche cose in vita sua. “Inonderei la tua cella di gas terrorizzante e resterei a guardarti finché l’ultima briciola di sanità non sparisce. E ne annoterei ogni dettaglio.”
Scuoteva la testa mentre parlava, senza staccare neppure per un attimo gli occhi da quelli di Edward, e seppure non suonassero affatto rassicuranti, quelle parole acquietarono Nigma: per lo meno, Jonathan non avrebbe mai voluto cambiarlo. A Jonathan, lui andava bene così com’era. Lentamente, sul suo viso si aprì un ghigno, avvicinò ancor più il viso al suo, abbassandosi perché stessero alla stessa altezza, aprì la bocca per parlare ma una guardia lo afferrò trascinandolo indietro, convinto che lui e Spaventapasseri stessero per litigare o chissà che altro; a quel contatto Edward non sobbalzò, non oppose resistenza, non staccò mai gli occhi da quelli di Crane, finché non venne trascinato fuori.  

Il loro incontro in biblioteca non fu l’ultimo; il Re degli indovinelli sembrava - stranamente - aver perso Jonathan in simpatia e cercava la sua compagnia sempre più spesso. L’ex psichiatra però, non poteva certo dire che Edward fosse una persona invadente, per lo più si avvicinava, lanciava due chiacchiere e non tentava mai di trattenerlo quando decideva di andarsene.
Da qualche giorno nell’istituto si respirava un’aria pesante, il Joker era evaso e nessuno riusciva a capire come. Probabilmente, il clown aveva deciso di andarsene solo per dispetto, per dimostrare che quelle nuove e provvisorie misure di sicurezza, per lui erano una bazzecola ed ovviamente, a nessuno - specialmente alle guardie - faceva piacere venir giocati in quel modo, figurarsi sotto campagna elettorale, quindi ancora una volta le cose cambiarono.
Anche ai detenuti modello vennero tolti tutti quei sudati privilegi - come la possibilità di accedere ai libri -, non importava quanti sguardi innocenti o per favore potevi distribuire.
Jonathan dovette ammettere di invidiare l’Enigmista, cui bastava lanciare qualche indovinello per ritenersi soddisfatto di una giornata; era convintissimo che l’unico motivo per cui Edward continuava ad avvicinarsi a lui nonostante le male parole che continuava a sputargli addosso, era la noia. Ma in quel periodo, perfino la compagnia di un maniaco simile era preferibile alla solitudine.
“Perché un uomo tiene a fianco al letto un bicchiere d’acqua pieno ed un altro vuoto?”
“Per caso la risposta è che non esistono bicchieri fatti di acqua?” Chiese Crane, con aria stanca.
“No.” Ghignò.
L’ex psichiatra aggrottò le sopracciglia: “Così quando uno è pieno può riempire l’altro?”
“Che risposta sarebbe? Potrebbe riempire quello svuotato!”
“Non so, gli piace cambiare bicchiere ogni tanto? Ha qualche ossessione compulsiva?”
Lo sguardo che Edward gli rivolse era fulminante, sembrava dire chiaramente no comment.
“Ti arrendi?”
“Giuro che se è una cavolata, ti soffoco mentre dormi.”
“Perché quando ha sete beve il bicchiere pieno, quando non la ha, quello vuoto. Prepara i cuscini, Jonathan.”
“Idiota.” Mormorò, voltandosi dall’altro lato nel tentativo di nascondere un sorriso.
L’Enigmista ghignò ancora una volta, orgoglioso di sé stesso: non solo aveva fregato Crane, gli aveva anche strappato un sorriso; quel giorno, passarono tutto il tempo libero insieme ed i tentativi di Jonathan di allontanarlo erano davvero poco convincenti. L’ex psichiatra si ritrovò a pensare che la compagnia di Edward non fosse poi così male come aveva immaginato… ogni tanto si sorprendeva a fargli piccole confidenze, nulla di importante ma ciò non di meno parti del suo passato: il suo programma preferito da bambino - di cui fu Edward a ricordargli il titolo -, il fatto che avesse preso la patente solo al college, la preferenza per la musica classica e l’odio profondo per gli artisti o gli animali domestici.
Nigma sembrava trovare piacevole la sua compagnia e di questo, Jonathan non si faceva una ragione viste le prese in giro e le continue risposte di sufficienza che continuava a dargli.
Nessuno dei due sembrava fare alcuno sforzo per andare incontro all’altro, eppure stavano spesso vicini a parlare del più e del meno senza una ragione precisa. Amici, magari non sarebbe stato il termine esatto ma era il primo che gli venisse in mente.

Parte III: Il Joker.

You’re something beautiful, a contradiction.
I wanna play the game, I want the friction!
You. Will be. The death of me…
You. Will squeeze. The life. Out of me…

“C’è una cosa che mi sono sempre chiesto, doc.”
Jonathan sobbalzò a quella voce tanto improvvisa alle sue spalle: non si trattava dei toni sommessi e familiari di Edward quindi, lentamente, si voltò, stupendosi nel vedere niente meno che il Joker in piedi, appoggiato coi gomiti contro lo schienale dei divano ed apparentemente tanto occupato a non guardarlo, che l’ex psichiatra pensò stesse parlando con qualcun altro.
Come ad intercettare quel pensiero però, Joker abbassò gli occhi ad incontrare i suoi, poi riprese a parlare.
“Ahh… non so se hai presente, ma ad un certo punto della loro vita, le persone…” si bloccò, come a corto di parole, gli angoli della bocca si abbassarono in una smorfia di riflessione, per un momento spalancò le palpebre e le mani si stesero, palmo verso l’alto “Beh. Iniziano ad interessarsi di robe cretine, tipo ahh. Ricette di cucina, tovagliolini ricamati, francobolli ed altre minchiate simili. Tu riesci a spiegartelo?”
Quegli occhi, ardenti e vuoti allo stesso tempo, inchiodarono quelli di Jonathan come in un qualche incantesimo terrificante ed era come venire stretti da mille giri di catene, la cui presa si faceva via via sempre più stretta, soffocante, mortale. L’unico modo per liberarsi, era rispondere.
Crane non si scompose: dopo anni passati alla direzione del manicomio, aveva imparato a mantenere una facciata neutra in ogni situazione, perfino quelle al di là della fantasia, perfino in quella situazione lì - che, nella sua mente, si avvicinava di molto alla peggiore delle crisi.
“Paura di morire senza lasciare nulla al mondo, credo. Si inizia a collezionare cose, accumulando roba ed elevandola a cimeli.”
La faccia del clown era pulita, non aveva addosso le solite circensi pitture di guerra, ma l’effetto di avere una persona simile al proprio fianco non era meno terrorizzante, e Joker doveva esserne conscio. Non staccò mai gli occhi da quelli dell’ex psichiatra, e sebbene non si fosse neppure mai mosso, Crane ebbe l’impressione che si stesse avvicinando sempre più.
“E tu, doc? Paura di morire?”
“Saprai quando ne avrò appena mi vedrai raccogliere tappi di bottiglia, immagino.”
Joker scoppiò a ridere, finalmente distogliendo lo sguardo dagli occhi azzurri di Jonathan che però continuò a guardarlo: anche se scosso dalle risa, il clown non chiuse mai completamente le palpebre, poi con un salto scavalcò il divano e prese posto al suo fianco. Stranamente, in quel momento gli sembrò di capire perché lo chiamassero il Principe Clown del crimine.
“Mi piacciono le tue risposte, doc. Allora, ahh… iniziamo la seduta?”
Crane chiuse il libro che teneva sulle gambe da circa una settimana - e che non era riuscito a finire per colpa di Edward -, conscio del fatto che ignorare il Joker, o fingere di farlo, era una scommessa che a lui non andava di fare. Mentre il clown si sistemava contro lo schienale, le gambe allungate davanti a sé e le braccia dietro la testa, Jonathan intercettò Nigma, che aveva appena fatto il suo ingresso ed ora li guardava con espressione confusa.
“Beh? Non ti sarai già fatto riprendere?” Chiese al clown, avvicinandosi con un ghigno stampato in faccia.
“Preso, sì. A calci, sì. Dal pipistrello, beato lui e la sua ignoranza.” Fu la risposta divertita.
Al suo passaggio, Edward poggiò per un attimo la mano sulla spalla di Spaventapasseri, stringendo brevemente in segno di saluto, per poi prendere posto e per un momento - con l’Enigmista alla sua destra ed il Joker a sinistra - Crane ebbe la sensazione di essere circondato e dovette reprimere un brivido.
“Povero.” Commentò, freddo, l‘ultimo arrivato. “Ma dimmi, qual è quell’antichissima invenzione che permette agli uomini di passare attraverso i muri?” Ed incrociò e braccia sul petto con un sorriso enigmatico.
“La bomba. O il martello pneumatico.”
“Macché, è la porta.” Buttò lì Crane e Joker si raddrizzò a sedere, fissandolo come se fosse pazzo.
“In quel caso, passeresti attraverso la porta, no? Non devi esserci tutto di testa, tu.”
Edward scoppiò a ridere nella sua maniera sommessa, annuendo e dondolandosi leggermente avanti e indietro un paio di volte, un movimento quasi impercettibile.
“Adorabile.” Commentò poi, voltandosi a guardare entrambi.

Il Joker, checché ne dicesse, sapeva di essere profondamente ignorante in fatto di empatia: naturalmente però, partendo dal presupposto che ognuno è ciò che è - dietro la sua maschera tristemente borghese -, che ogni cosa ha un proprio posto e che sulle abitudini altrui si poteva sempre fare affidamento, gli riusciva eccezionalmente facile cambiare, svelare, spostare e manovrare fino a distruggere quelle deboli illusioni e ridere quando la gente - della quale apparenza originale non restavano che le vestigia - scatenava il loro me stesso più recondito.
Ovviamente anche questo suo credo aveva delle eccezioni; una era Edward, che lo divertiva e gli chiedeva in cambio pochi sforzi per andarci d’accordo: bastava pensare “Ah occhei, a ciascuno le sue ossessioni.” e poi ci si poteva godere quella piacevole personalità in tutte le sue sfumature, perché non era da Eddie nascondere un qualsiasi lato di sé stesso. Si riteneva meraviglioso. Meravigliosamente puro.
Un’altra clamorosa eccezione, era ovviamente Batman: l’uomo pipistrello e quel da tempo ridondante “Va bene, mi basta sapere che faresti sempre, comunque il contrario”. Oh, quanto lo faceva ridere quella stoicità, quell’impegno tanto fuori posto, al servizio di una metropoli marcia come Gotham! Se il vigilante fosse rimasto sempre sé stesso, il clown ne avrebbe di certo gioito.
Con Crane però era diverso: sentiva - forse per la prima volta in vita sua - di poterci arrivare.
Joker poteva conoscere un numero infinito di cose ed impararne altrettante, ma capire era ben diverso: una persona perbene aveva certi principi, talmente stereotipati che la rendono manovrabile ma che a lui continuavano puntualmente a risultare insensati e stupidi, perciò incomprensibili. Qualcosa che non avrebbe mai fatto parte di lui.
Ma Johnny era fatto di una pasta diversa, una in cui era difficile affondare le mani ed ancor più difficile da mescolare, ma proprio per questo - per quell’alone di mistero e per le mille sfumature indecifrabili eppure vicine, tanto vicine! -, Joker era convinto che ne valesse la pena. Di far cosa ancora non lo sapeva di preciso, ma qualche idea gli sarebbe venuta di certo.
Per il momento, il clown si divertiva a fare il finto tonto.
Il giorno successivo alla loro prima discussione l’ex psichiatra aveva smesso di parlare con Edward, che naturalmente brancolava nel buio e si disperava nel tentativo di capirne la ragione; Joker lo prendeva in giro, suggerendogli motivazioni e soluzioni una più strampalata dell’altra, ma sapeva perfettamente che in realtà, la colpa era sua.
Il povero Johnny doveva sentirsi giocato, quasi in trappola ora che la figura ingombrante del Principe Clown lo aveva preso di mira e, nonostante il povero Eddie c’entrasse poco e niente con quella curiosa attrazione, i pessimi presentimenti di Crane dovevano essere molti e così forti, che su qualcuno doveva pur riversare cotanta rabbia.
Tutto ciò faceva ridere Joker, ma soprattutto lo lusingava: trovava davvero carino da parte dello Spaventapasseri - il Sovrano del terrore  -,  avere paura di lui.
“Sei ancora arrabbiato con me?” Chiese Nigma, da qualche parte alla sua destra.
“Ma certo che lo è!” Lo rimproverò Joker, seduto a sinistra dell’ex psichiatra, come a volerlo catturare tra due fuochi. “Non vedi, ce l’ha scritto in faccia.”
“Potrei conoscerne il motivo, finalmente?”
“Qualunque esso sia, sono sicuro che Johnny ha perfettamente ragione.”
“Vedo che ami rendermi le cose facili Clown, grazie!”
“Oh, Eddie. Per te questo ed altro.”

Mai in vita sua Jonathan aveva sentito un tale desiderio di ammazzare qualcuno: era tutta colpa di Edward - lo era e basta! - se quell’inquietante presenza circense sembrava, da un po’ di tempo a quella parte, trovarsi ovunque fosse anche lui; Crane non amava le situazioni difficili, né i rischi inutili e legare in qualsiasi modo col Joker, non aveva altre definizioni.
Il Principe Clown era imprevedibile, violento e pernicioso, sempre pronto a lanciare battute che andavano dall’inquietante - ma solo nei momenti buoni - al macabro, passando fin troppo spesso per il pessimo gusto.
Edward aveva parlato di lui ad un tizio simile, aspettandosi cosa, di preciso? Il risultato era ben visibile al suo fianco e solo ad un cretino come Nigma poteva sfuggire la gravità di quella situazione: praticamente ogni giorno ormai, si ritrovava incastrato tra lui ed il Joker, le loro voci che rimbalzavano da destra a sinistra come palline da ping pong e non era rassicurante, né piacevole.
Spaventapasseri aveva osservato bene il clown, nei suoi comportamenti quotidiani, nelle sue bravate, nei clamorosi attentati alla sanità mentale ed alle convinzioni dei gothamiti… e se era mai stato certo di qualcosa, era proprio questa: con lui, non avrebbe mai voluto avere a che fare. Nel migliore dei casi, una tale presenza avrebbe distrutto ogni brandello di calma e ordine nella sua vita e Crane sentiva di non poterselo permettere.
Aveva già commesso troppi errori, dall’alleanza con Ra’s Al Ghul, all’aver sottovalutato il Vigilante mascherato, ma se avesse lasciato fare il Joker, anche solo per un attimo, quello sbaglio sarebbe stato così distruttivo da non essere neppure lontanamente paragonabile agli altri. Neanche se messi tutti insieme.

Parte IV: C’era una volta…

Killed by the husband, drowned by the ocean, shot by his own son,
She poisoned his tea, then kissed him goodbye.
That’s my kind of story: there’s no fun ‘til someone dies.


C’era una volta, in un luogo chiamato Arkham, il Re degli Indovinelli.
Nessuno ad Arkham era disposto a credere che qualcuno potesse voler frequentare assiduamente il Re, a meno di avere un rapporto di più intima natura con lui, per cui era quasi naturale che prima o poi, sarebbero nate delle voci sullo Spaventapasseri; tutti conoscevano ormai bene quel sedicente Sovrano e visto che la cosa era possibile, ben presto divenne legge.
Ad Arkham, una volta, c’era anche il Principe Clown che per forza di cose - non aveva un bel carattere, il Principe -, era sorvegliato molto più della maggior parte dei detenuti quindi certi momenti - il sonno, la doccia, i pasti - li passava rigorosamente da solo o comunque, con un numero di persone più ristretto possibile, nel vano tentativo di evitare qualsiasi tipo di incidente.
Nessuno lo conosceva davvero, neppure la miriade di dottori che lo avevano avuto in cura fino a quel momento, e tutti erano dell’erronea convinzione che il Principe desse, ad ogni cosa o persona indiscriminatamente, un valore pari o almeno molto vicino allo zero. Non gli avevano mai attribuito un qualche tipo di possessività o gelosia, perché questo avrebbe implicato per lui, anche se in linea minore, la capacità di affezionarsi e di provare sentimenti positivi.
Ad Arkham, uomini e donne vivevano rigorosamente separati e ciascuno conduceva la sua vita - chi per scelta, chi per forza di cose, chi con noncuranza totale - come se l’altro sesso praticamente non esistesse, per cui non era raro prendere sbandate, corteggiare o cercare contatto con i propri compagni - specie per quei detenuti che non avevano la fortuna di evadere troppo spesso.
Spaventapasseri - anche lui c’era, una volta, ad Arkham - era dotato di infinito fascino che, inutile dirlo, gli era valso più di qualche spasimante tra quelle fila di bifolchi. Con quelli più aggressivi, si era perfino trovato nella condizione di dover tirare calci lì dove fa più male, ma tra grida furiose e rocambolesche fughe, era sempre riuscito a conservare la sua… solitudine, diciamo.
Manco a dirlo però, la notizia che dopo tanti calci e rifiuti, Spaventapasseri avesse scelto un amante - il Re degli Indovinelli - non andò giù a tutti. Specie a quelli presi a calci.
Tra questi vecchi pretendenti, figurava anche una vecchia conoscenza del Re - una di cui neppure ricordava -, tale James Grugno, che pieno di livore, tentò più volte un attacco diretto al Sovrano; dall’alto dei suoi superiori talenti però, questi riuscì sempre ad evitare il massacro. Il Re non aveva idea del perché di quell’odio aperto ed andava avanti come sempre, nella convinzione che fosse semplicemente troppo perfetto per non essere detestato.

Joker aveva sempre riso, delle voci che correvano a proposito della relazione tra il tanto desiderato Spaventapasseri e l’altrettanto ottenuto Nigma; sapeva che queste scivolavano addosso ad uno ed irritavano quanto mai l’altro, pur trattandosi solamente di pettegolezzi innocui e talvolta spassosissimi.
Le arringhe di Grugno poi, erano qualcosa di unico: era capace di dare a Eddie i soprannomi più strani ed offensivi, cimentandosi anche in credibilissime imitazioni; Joker lo ascoltava con un orecchio solo, non partecipava mai attivamente a quel dileggio, anche perché non aveva ancora deciso se stava ridendo con, o di quel poveraccio.
Sinceramente: Grugno aveva l’aspetto di uno che poteva fermare la carica di un toro a mani nude - e solo questa differenza di corporatura era raccapricciante - ed era entrato ad Arkham dopo aver annodato la spina dorsale di un tizio che gli era passato davanti mentre era in fila alla posta; dire che la sua intelligenza era scarsa sarebbe stato fargli un complimento, ed il suo linguaggio sfiorava a malapena un livello da terza media.
Joker non capiva come, un animale simile, potesse anche solo sperare che uno come lo Spaventapasseri gli concedesse di toccarlo pure solo con un dito.
Nigma comunque, nonostante la corporatura esile e la scarsa attitudine alla violenza, si era guadagnato un certo rispetto; aveva - raramente, ma in modo molto efficace - già dimostrato di saper essere pericoloso e fare davvero molto male, quando voleva per cui a parte qualche risata alle sue spalle in pochi si sarebbero schierati contro Edward tanto a cuor leggero.
Quella di Grugno era perciò destinata a restare una guerra solitaria e nonostante le punzecchiature in proposito, quella sera l’uomo sembrava alquanto tranquillo. Gli ci volle appena qualche insistenza perché iniziasse a raccontare in un linguaggio alquanto povero, ma dai toni fin troppo crudi, come esattamente si fosse in realtà già preso la sua vendetta.
Joker si voltò a fissarlo, il sorriso gli si gelò sul volto fino a scomparire, invertendosi completamente: la linea che le sue labbra disegnavano, in netto contrasto col percorso preso dalle sue cicatrici.
Gli si stavano davvero piantando in testa quelle immagini, e non riusciva a trovarle spassose né divertenti: il pensiero - vivido come se ne fosse stato spettatore - di quel bruto ignorante che malmenava Crane, che lo costringeva sotto di sé, gli tolse la vista agli angoli degli occhi, mentre tutto ciò che restava prese a brillare, accecante come un lampo.
Quando riacquistò infine il controllo di sé lo stavano trascinando, scalciante ed urlante, alla sua cella mentre un dottore gli piantava una siringa nel collo. Piano piano, il clown iniziò a perdere le parole; quando quel fiume incessante cessò di fluire dalla sua bocca, se ne rese anche conto: non aveva nemmeno idea di cos‘avesse sbraitato fino a quel momento.

Erano passate più di due settimane da quando il Joker era stato sbattuto in isolamento per il brutale assassinio di un compagno nelle docce: all’arrivo dei medici, del cervello di Grugno non v’era più traccia. Dopo avergli fatto perdere l'equilibrio - fin troppo facile in una doccia - ed aver ripetutamente sbattuto la sua testa contro il muro, il clown aveva calpestato il magro contenuto di quel cranio finché questo non scivolò nello scarico e quindi, nella fognatura.
Crane si sentiva contento, sia dell’improvviso decesso che dell’assenza dell’assassino. Aveva ripreso la sua vita come al solito - com’era prima di quel chaos, iniziato quando aveva fatto la conoscenza di Edward -, ed ora si trovava nella striminzita biblioteca del manicomio, alla ricerca di qualche lettura interessante. Come era giusto che fosse.
Improvvisamente, si sentì afferrare e manovrare finché la sua schiena urtò il muro; alzò lo sguardo e riconobbe l’ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere. Com’era possibile, dopo un simile show di violenza, che Joker fosse stato liberato dall’isolamento così presto? Jonathan era senza parole, lo fissò a bocca aperta per molti momenti. Si trovavano tra due alte librerie di metallo, l'unica telecamera nella stanza inquadrava il lato opposto, le guardie avevano l'obbligo di restar ferme all'ingresso e per di più il clown sembrafa furioso come poche cose. Ciò non andava bene.
“Quante volte è successo?” Chiese poi il clown a bruciapelo e Crane strabuzzò gli occhi.
“Successo cosa?”
“Questo!” Insistette, accennando con la testa all’occhio nero di Crane, ai punti sul labbro inferiore.
Spaventapasseri tacque ancora per un po’; aveva capito dove quella surreale discussione sarebbe andata a parare, ma non riuscì a capacitarsene. L'incidente nelle docce acquistò un significato del tutto diverso, aveva un senso, ma il solo pensiero che ne avesse era spiazzante. Spaventapasseri boccheggiò più volte, prima di riuscire a formulare una risposta diplomatica.
Questo, non significa niente.” Disse, sicuro. “Qualsiasi cosa tu abbia sentito o immaginato, non mi è mai successo nulla di simile.”
Ed aveva detto la verità: evidentemente il povero Grugno era morto per delle fanfaronate fantasiose, che nella realtà - dopo qualche breve momento in cui aveva creduto di avere la meglio - si erano concluse con il solito calcio dove fa più male. Stavolta fu il turno del clown di boccheggiare, distogliendo gli occhi da quelli di Crane; poi si passò la lingua sulle labbra, un tic che gli aveva visto assecondare più volte e tornò a guardarlo, la sua espressione al tempo stesso sospettosa ed indagatrice, valeva più di mille parole. Spaventapasseri capì che, se c’era un momento per attaccare, era proprio quello se voleva liberarsi dal Joker una volta per sempre.
“Lo so, cosa ti passa per la testa. Con chi ce l‘hai? Con quel ritardato che ti ha fatto arrabbiare, con me che ne sono la causa o piuttosto, con te stesso? Scommetto che non hai la minima idea di cosa ti sia preso, vero?”
Joker tacque per molti attimi ed i suoi occhi - già carichi d’odio - si riempirono di furia, apparivano annebbiati ma solo all’ultimo momento Spaventapasseri si accorse del colpo in arrivo e non riuscì a fare niente. Un calcio all’altezza dello stomaco gli tolse il respiro, lo costrinse a piegarsi in avanti, poi un pugno dritto in faccia lo mandò a terra senza neppure un suono.
Quando iniziò a tossire, del clown già non v’era più nessuna traccia e nonostante il dolore - ben peggiore se ti coglie impreparato - sul viso di Spaventapasseri si aprì un sorriso cattivo e leggermente insanguinato.

Parte V: Always.

I’ve made mistakes, I’m just a man.
But baby if you give me just one more try,
We can pack up our old dreams and our old lives.

Edward si sentiva confuso, sballottato da una situazione all’altra e non ci capiva niente, neppure facendo mille volte il punto della situazione - cosa che invece, lo aveva sempre aiutato fino a quel momento -, per non parlare del fatto che i diretti interessati si rifiutavano di aprire bocca.
Con Crane andava d’accordo, almeno all’inizio, prima che l’ex psichiatra iniziasse di punto in bianco a non parlargli. Era anche convinto di essersi avvicinato alla riappacificazione, la presenza di Joker al loro fianco durante quegli altrimenti monologhi gli dava fiducia; col clown era sempre andato d’accordo, ricambiava abbondantemente le sue simpatie dentro e fuori da Arkham, a volte anche in modo alquanto fisico, ma pure lui aveva preso a rivolgergli a malapena la parola.
Gli era arrivata la voce dell’omicidio da lui perpetrato con barbara violenza nelle docce, e per quanto ai suoi occhi un’azione simile risultasse deprecabile, in fondo quello era Joker. Cose simili accadevano con una facilità estrema attorno a lui. Era rimasto sconvolto alla notizia ma ben presto gli era passata e non vedeva l’ora di rivedere il compagno fuori dall’isolamento.
Quando un paio di settimane dopo lo lasciarono interagire nuovamente coi suoi compagni però, lo trovò estremamente irritato; aveva smesso di parlare con lui e con Crane e passava la maggior parte del tempo da solo, nella sua cella, a fare cosa non ne aveva idea. Spaventapasseri in compenso, riprese a parlargli quel minimo indispensabile, che però aumentava piano piano, sempre più.
Si sentiva, in quei giorni, a metà tra il soddisfatto e il depresso, per cui decise che era ora di andarsene da lì, evadere.
Come se nulla fosse, si lasciò scivolare su uno dei divani coperti di plastica della sala ricreativa, nel posto a fianco a quello di Jonathan e lentamente, gli sfilò di mano il libro che stava leggendo. L’ex psichiatra alzò lo sguardo su di lui, la sua espressione minacciosa grandemente attenuata dai lividi - ormai praticamente sbiaditi - sul suo viso, che lo rendevano molto simile ad un panda. Ma solo da un lato. Un panda a metà.
“Volevi qualcosa?” Domandò infine, di fronte al sorrisino divertito di Nigma.
“Volevo chiederti se mi hai perdonato alla fine, o no.”
Jonathan si lasciò sfuggire un breve verso denigratorio. “Sì. Ora và tutto bene.”
“E non hai intenzione di spiegarmi il motivo di quel trattamento?”
“Ma tu non eri il Re degli indovinelli, una volta?”
Ma tu non eri il Re degli indovinelli, una volta?” Gli fece il verso, incrociando le braccia sul petto.
“Oh certo, molto maturo!”
“Perché smettere di parlare a qualcuno senza spiegarne il motivo, dovrebbe esserlo.”
“Non importa più, davvero. Era tutto qua?” Chiese, alzando gli occhi al cielo.
“No. A breve, ho intenzione di andarmene.” mormorò, e Jonathan si voltò a guardarlo.
“Dai sempre tutto per scontato, vero?” Chiese, denigratorio.
“Non lo faccio. Semplicemente non puoi non allearti con me, sono l’unica persona intelligente che conosci.”
“Certo.” Ed alzò ancora una volta gli occhi al cielo.
“Allora?” Domandò Edward, mentre passava un braccio dietro lo schienale, attorno alle spalle dell’ex psichiatra.
“Quando?”
“Non lo so ancora. Forse domani. Ci stai?”
“Hai un piano?”
Il Re degli indovinelli lo guardò con espressione delusa. Con chi credeva di avere a che fare?
“Allora va bene.” annuì Jonathan e si voltò ancora, trovando il viso di Nigma vicinissimo al suo, nessun accenno a spostarsi, così non lo fece neppure lui, non gli avrebbe dato questa soddisfazione. Non era con una maledetta quindicenne che stava avendo a che fare, e glielo avrebbe fatto capire una volta per tutte.
“No.” Disse, scuotendo appena la testa.
“No?” Chiese Edward, confuso.
“Non succederà mai niente tra noi due, Ed.”
Il Re degli indovinelli sorrise ampiamente, si tirò indietro ed alzò le spalle. “Valeva la pena tentare.

Edward sapeva che il loro tempo era limitato - era stato proprio lui a ragguagliare lo Spaventapasseri sull’urgenza della situazione -, dovevano assolutamente guadagnare l’uscita prima che l’allarme giungesse sulla terra ferma e quindi a Batman, ma perdio correva da quella che sembrava un’eternità e non ce la faceva più: era un dannatissimo pigiabottoni lui, un uomo di cervello, non d’azione. Di certo poi, alzare lo sguardo e vedere che Jonathan lo aveva ormai superato di molti metri senza neppure avere il fiatone non aiutava: chi diavolo era, l’uomo bionico?! Immaginò che quell’invidiabile resistenza nella corsa venisse da un tormentato passato di fughe, ma prima che la sua mente si lanciasse in un nuovo ed interminabile film mentale, scosse la testa e si fermò.
“Occhei basta, pausa!” Urlò, irritato, con tutta la voce che gli era rimasta.
Non sentiva quasi più le gambe, le ginocchia avevano preso a tremare; tentando di riprendere fiato, si piegò in avanti, portò una mano sul fianco dove la milza pulsava dolorosamente già da un po’; serrò gli occhi e quando li riaprì un attimo dopo, Jonathan lo aveva raggiunto e si guardava intorno con urgenza.
“Eri stato tu a dire che non c’era tempo da perdere!”
“Oh beh, scusami Terminator, se io non ho il fisico per rincorrere le macchine.”
Una risata alta e breve li raggiunse, ed entrambi si voltarono nella direzione da cui proveniva.
“Sei rimasto l’unico, parrebbe.”
Nigma strabuzzò gli occhi: la vista di Joker lo aveva colto del tutto alla sprovvista, non aveva la più pallida idea di cosa ci facesse laggiù con loro, e con un aspetto tanto calmo e tranquillo per giunta. Lanciò uno sguardo a Crane e gli sembrò più turbato, che stupito. Raddrizzandosi sulle gambe, il respiro leggermente più regolare, squadrò il clown da capo a piedi.
“Che ci fai qui?”
“Che ci faccio io? Che ci fate voi, piuttosto. Ahh… se stavate fuggendo, devo dirlo, non avvertirmi è stato molto scortese da parte vostra. Ma, non. Fa. Niente. Sono di buon umore e per di più, ho anche il mezzo.”
Ammiccò, sollevando e riabbassando velocemente le sopracciglia mentre faceva tintinnare un mazzo di chiavi davanti alla faccia.
“E quelle si può sapere dove le hai prese?!” Domandò Edward, al limite della disperazione.
“Una guardia tanto gentile me le ha prestate.” roteò gli occhi con aria innocente, mentre si avvicinava.
“Anche se fosse, non ci è di aiuto.” Esclamò Jonathan, il tono secco e contrito. “Come capiresti qual è l‘auto?”
“Beh.” Joker alzò le spalle, poi tese il braccio sopra la testa e premette un bottoncino sulla chiave; il rumore per lo scatto delle sicure li fece voltare tutti insieme, giusto in tempo per vedere l’allegro scoppiettare delle luci di emergenza di una Rover scura. “E’ quella.” Annuì il clown, convinto. “Ahh. Quanto tempo è che non guidi una macchina, Johnny?”
Nigma dovette soffocare una risata, guadagnandosi così uno sguardo polverizzante da Crane; una cosa era certa, per come era fatto, Spaventapasseri non avrebbe mai fatto passare liscia un’umiliazione simile, né a lui né tanto meno a Joker. Ma in fondo, ad Edward non importava: era contento di essere praticamente fuori da quel manicomio, per giunta in compagnia dei suoi due folli preferiti e nessuna vendetta avrebbe mai demolito quell’euforia.
“Beh, andiamo?” Domandò allora il Re degli indovinelli.
“Ah, prima mi escludete da un’evasione e poi pretendete di farvi salvare? Non credo proprio.”
Ed in quel preciso istante, il rumore di una potentissima sirena riempì l’aria e tutti si guardarono intorno: il parcheggio aveva iniziato a risplendere di rosso, per via dell’allarme visivo e dopo qualche attimo, Spaventapasseri fece un verso di disprezzo.
“Anche tu sei qui, e di certo non ci hai mai messo a parte dei tuoi piani.” Disse, acido, praticamente sputando quelle parole.
Joker lo fissò per un po‘, poi fece altrettanto con Nigma ed alla fine annuì. “Occccccheeeei. Andiamo, allora.”

C’erano una volta, ad Arkham, il Re degli Indovinelli, il Principe Clown, ed il Sovrano della paura.
Il trio aveva, dopo tante peripezie, finalmente abbandonato Arkham, e ora si dirigevano, a cavallo di una Rover che non gli apparteneva, verso ancora ignote mete e anche se non si poteva dire fossero tutti felici e contenti… c’era una volta, Gohtam.
Gotham era la capitale di molti vizi, della sporcizia e della disonestà. E si stendeva ai loro piedi.



***

Ed in ultimo, ci terrei a precisare che questa storia altro non è che un regalo di Natale anticipato ed inaspettato per Sychophantwhore, sperando che le piaccia naturalmente.
Ci stavo lavorano da mesi, ed alla fine mi sono decisa a riprenderla in mano.
Avrei potuto postare alla vigilia, ma non so se potrò esserci, quindi meglio anticipare che ritardare. Questo, sorvolando sull'impazienza e l'euforia in cui verso alla fine di parti simili, mettendomi fretta ;).
Din, don, dan, merry Christmas!


  
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