Illa puella
Sapeva
che lui non
sarebbe tornato. L’aveva visto morire, dopotutto, ma non
riusciva a
rassegnarsi, non avrebbe mai abbassato la cresta, e nessuno sarebbe
riuscito a
tagliargliela.
Neanche quella ragazza.
Perché continuava ad
insistere? Perché faceva tutti quegli sforzi inutili per
farsi accettare?
Non lo capiva, non voleva
più capire niente. Aveva solo voglia di lasciarsi andare
alla vita e seguire il
suo compagno, come sentiva di fare, uccidendo tutti quelli che
avrebbero voluto
impedirglielo, sempre se qualcuno avesse avuto il coraggio di farlo.
Solo quella ragazzetta gli
sbarrava la strada.
Lui, dal suo conto,
sentiva già esaurire la sua scorta di pazienza, che tra
l’altro non era mai
esistita.
La allontanava, ma lei non
mollava e tentava ancora di avvicinarsi, l’aveva fatto
infinite volte.
Minacciava chiunque, ma
solo lei sembrava non essere impaurita. Non lo era mai stata, impaurita.
Tutti scappavano
incontrando il suo sguardo di braci ardenti, solo lei lo sosteneva
audacemente,
con il suo, viola.
L’aveva quasi uccisa, una
volta, c’era andato vicinissimo, ma aveva fallito, per colpa
di quello stupido
gnomo.
Il tempo passava,
lasciandolo del tutto insofferente: il dì la ragazzetta gli
parlava, parlava di
tutto, ma dopo quel giorno in cui l’aveva quasi uccisa
manteneva le distanze;
la notte, in sogno, il suo compagno, il suo unico alleato, lo pregava
di
andargli incontro, e la sua immagine, stampata indelebilmente sotto le
palpebre, gli sorrideva, incoraggiandolo, invogliandolo per quella
strada che
aveva intrapreso. Doveva continuare ad imporsi, doveva farlo per lui.
Per il
loro patto.
E poi c’erano quelle
catene, il dolore, un dolore che da un paio di giorni non voleva
ammettere gli
pesasse più del lecito.
Decise di ribellarsi e,
quando lo trascinarono al solito posto, fece di tutto per impedire ad
altri di
decidere dove lui dovesse andare, ma il dolore era diventato
insopportabile.
Solo allora si accorse
della ragazza che, con il petto gonfio d’orgoglio e lo
sguardo fiero, avanzava
a passo sostenuto verso di loro.
<< Ehi, voi!
>> la sua voce era squillante, ancora infantile, ma al
contempo trasudava
rispettabilità. << D’ora in poi non
voglio più vedere quelle catene!
>> La reazione dei due fu irrispettosa.
La cosa lo irritò
ugualmente: non voleva essere protetto da una ragazzetta. Lui si era
sempre
difeso da solo. Tuttavia era troppo preso dal dolore per curarsene.
La conversazione seguì per
un po’, ma lui non stava più molto attento, era
intento ad ispezionarsi la
ferita. Uno l’apostrofò e mise in discussione la
sua parola, lei provò ancora
una volta ad avvisarli, ma di
nuovo nessuno dei due intendeva portare lei il
rispetto preteso.
Fu un attimo, sguainò la
spada e li minacciò, sta volta non un obbiezione si mosse
contro la ragazza,
anzi, i due annuirono e andarono via con passo concitato.
Lei si voltò e lo guardò
mentre lui riversava ogni sua attenzione alla ferita, provò
ad avvicinarsi, lui
fu più veloce, si scansò e
l’avvisò sbuffando vistosamente.
La ragazza non sembrò
preoccuparsene, questo lo fece adirare ancora di più, era
già pronto ad
ucciderla, sta volta ci sarebbe riuscito, ma si fermò,
spiazzato da un
fendente, che tagliò l’aria appena sotto di lui.
La catena era andata in
pezzi e ora lei era stata veloce più di lui, chinandosi
sulla ferita.
Si sarebbe voluto
spostare, e l’avrebbe anche fatto se solo la sua ferita ora
non fosse avvolta
da un tepore che gli regalava quel
sollievo desiderato da tempo.
Curioso, chinò il capo e
notò la ragazzetta completamente dedita alla sua ferita
purulenta. La fonte del
calore erano le sue mani piccole e affusolate, protese verso di lui.
Di nuovo s’irritò, in quel
momento trovò la forza di allontanarsi e lo fece, ma come
nulla fosse lei si
avvicinò e ricominciò a curarlo.
Rimase per del tempo a
fissarla, a fissare la sue mani, a valutare l’affetto che lei
potesse
ipoteticamente provare nei suoi confronti, e si stupì nel
capire che non era
una bugia quello che lei diceva. Loro due
erano uguali.
Infelicità, confusione,
tanta sofferenza…
La ragazzina accennò un
sorriso nel notare che la ferita non era più infetta e si
deterse la fronte con
il dorso della mano, accasciandosi al suo fianco, come se si fidasse
ciecamente
di lui.
Continuò ad osservarla,
l’irritazione lasciò spazio alla
curiosità e, anche se non l’avrebbe mai
creduto, alla gratitudine.
<< Mi devi la
libertà, Oarf. Da oggi vedi di fare il buono.
>> biascicò la ragazza,
mentre si alzava in piedi e puntava il suo sguardo viola dritto in
quello di
lui.
Per la prima volta fu
accondiscendente e tornò nel suo giaciglio senza forzate.
La sera si ritrovò a
pensare intensamente quella ragazza, mentre l’immagine di
Dhuval si disperdeva.
Soffocò un ruggito. Non
voleva dimenticarlo, ma era grato alla ragazza. Tra l’altro
erano dannatamente
simili, e forse provare non gli sarebbe costato niente.
Lanciò un occhiata veloce
alla zampa quasi del tutto guarita e poi si accucciò contro
la paglia, calando
le palpebre verdi e squamose per dare riposo al suo sguardo di fuoco.
Per la prima volta, quella
notte, Oarf non sognò Dhuval.
Non sono morta e non
sono un miraggio ;D, spero vi piaccia, bacio.
Ido: certo, ti
concentri anche su un drago, ed io???
io: sarai il prossimo,
prometto, mio macho *o*
Ido: per sta volta
posso anche perdonarti ù___ù