Crossover
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Autore: Dk86    28/12/2010    2 recensioni
Nell’Universo ci sono un sacco di cose.
Per la maggior parte si tratta di fenomeni interessanti e visivamente spettacolari ma non molto utili all’atto pratico, come giganti rosse, pulsar o nane brune. I buchi neri, se non altro, possono risultare efficaci se ci si vuole liberare di qualcosa di scomodo… Sempre che il buco bianco corrispondente non decida di aprirsi proprio davanti alla persona a cui si stava tentando di nascondere il problema in questione (ed era successo almeno una volta, a quanto si diceva).
Pianeti e satelliti invece sono molto meglio, soprattutto perché c’è la possibilità che ospitino forme di vita intelligente, o quantomeno non troppo stupida. Inoltre possono rivelarsi ottimi luoghi di villeggiatura, come la ciurma della Crazy Diamond aveva imparato a proprie spese.
E poi, ogni tanto, ci sono anche delle astronavi.
(dal capitolo 14, "Salvare l'Omniverso e altri sport estremi")
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga, Fumetti, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO QUATTORDICESIMO – SALVARE L’OMNIVERSO E ALTRI SPORT ESTREMI

 

 

Premessa: L’autore ci tiene a rassicurare i suoi quattro lettori sul fatto che, nonostante il titolo del capitolo, nessun personaggio di “Maximum Ride” verrà utilizzato in questo crossover. Ci sono già abbastanza Mary Sue in questa storia, una con le ali è proprio l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno.

 

 

Nell’Universo ci sono un sacco di cose.

Per la maggior parte si tratta di fenomeni interessanti e visivamente spettacolari ma non molto utili all’atto pratico, come giganti rosse, pulsar o nane brune. I buchi neri, se non altro, possono risultare efficaci se ci si vuole liberare di qualcosa di scomodo… Sempre che il buco bianco corrispondente non decida di aprirsi proprio davanti alla persona a cui si stava tentando di nascondere il problema in questione (ed era successo almeno una volta, a quanto si diceva).

Pianeti e satelliti invece sono molto meglio, soprattutto perché c’è la possibilità che ospitino forme di vita intelligente, o quantomeno non troppo stupida. Inoltre possono rivelarsi ottimi luoghi di villeggiatura, come la ciurma della Crazy Diamond aveva imparato a proprie spese.

E poi, ogni tanto, ci sono anche delle astronavi.

 

 

Sigla d’apertura: Shugoshin, dei JAM Project

 

 

“Chissà come mai ci ha convocati tutti sul ponte di comando…”, domandò Elena, dando voce a ciò che si stavano chiedendo tutti. “Cioè, non so se dobbiamo avere paura o che cosa, nell’interfono sembrava agitata e fin troppo euforica…”.

“Quello non è indicativo”, rispose Pietro, aggiustandosi l’uniforme grigia. “Haruhi è sempre agitata e fin troppo euforica”.

“Non hai tutti i torti nemmeno tu”.

“Piuttosto, perché abbiamo dovuto metterci di nuovo addosso questa roba?”, intervenne Riccardo, indicando la propria divisa. “È brutta e pure scomoda… E Nagi non aveva mica detto che ci avrebbe fatto dei costumi adatti a noi?”.

Ma dai, sarebbe come andare sempre in giro in cosplay”, si lamentò Marco. “Anche perché se lasci fare a lei minimo minimo ci ritroviamo conciati come dei personaggi scartati da qualche Dragon Quest”.

“Questo lo dici solo perché ti toccherebbe l’healer”, lo punzecchiò Pietro.

Marco abbassò la testa, sconfitto. “Vi prego, almeno voi lasciate perdere questa storia…”. Emise un profondo sospiro. “Anche Piton mi ha detto che gli incantesimi in cui faccio meno schifo sono quelli di cura, e una cosa del genere detta da lui è tipo il più grande dei complimenti…”.

Come al solito in plancia c’erano solo Haruhi e Kyon… e una decina di Pikmin dei colori più vari, seduti a gambe penzoloni sul bordo di uno dei quadri comandi e intenti a parlottare nel loro linguaggio acuto e frusciante. Nell’udire il quartetto entrare, si voltarono tutti verso la porta. “Alla buon ora!”, li accolse Haruhi battendo un piede per terra con aria irritata. “È passato un secolo da quando vi ho chiamati!”.

“Veramente sono passati sette minuti e cinquantuno secondi”, ribatté Kyon. Lei gli indirizzò uno sguardo omicida. “È inutile che mi guardi così, è la verità”.

Comunque sia”, ricominciò lei, ancora un po’ seccata ma meno rispetto a qualche secondo prima. “Dopo la noia profonda degli ultimi mesi finalmente abbiamo scoperto qualcosa che valesse la pena di essere trovato!”. La giovane donna era umorale come suo solito, e nel corso della frase il suo tono da scazzato divenne euforico. “Se tutto andrà come spero potremo anche mettere da parte un bel po’ di soldi per una classe S!”.

“Classe A”, la corresse Kyon. Altra occhiata di puro disprezzo. “Ehi, io una classe S non la piloto, te l’ho detto che le manovre di parcheggio sono un casino”.

Uff, stai sempre a mettermi i bastoni fra le ruote!”.

“Puoi sempre trovarti un altro comandante, se la cosa non ti sta a genio”.

Haruhi incrociò le braccia al petto e gettò al suo sottoposto un’occhiata in tralice. “N-non hai capito, stupido”, borbottò. “E comunque in effetti non saprei che farmene di tutto quello spazio…”.

Uh, tsundere moment!, pensò Marco con un ghignetto sul volto. È proprio vero che per quanto lei sia incontenibile alla fine Kyon riesce a domarla…

Già, intervenne Pietro per via telepatica. Pare che in questo caso la forza inarrestabile sia stata sconfitta dall’oggetto inamovibile!

Pietro, lieto che tu voglia fare due chiacchiere, ma non dovresti chiedere il permesso prima di leggere i pensieri altrui?

Oh, scusa, coso… Ma se non vuoi che lo faccia dovresti evitare di sparaflasharli in giro.

Ehm… ok, ci proverò.

Haruhi intanto sembrava essere tornata all’eccitazione di un minuto prima. “Allora, siete pronti a vedere con i vostri occhi la nostra futura fonte di quattrini?”, domandò, per poi fissare i quattro terrestri come se si aspettasse la più entusiastica delle risposte. Loro, dopo essersi guardati negli occhi a vicenda con un po’ di perplessità, si limitarono ad annuire, cosa che comunque sembrò bastare alla ragazza. “Kyon, mostra loro l’immagine!”, annunciò, puntando con aria plateale un indice verso lo schermo.

“Wow!”, esclamò Riccardo un paio di secondi dopo. Poi guardò i tre amici, che parevano decisamente meno colpiti, e si ricompose. “Cioè, wow”, ripeté in tono dimesso.

“Tutto qua?”, domandò Haruhi, chiaramente scocciata. “Voialtri non avete nulla da dire?”.

“Beh… è un’astronave, no?”, replicò Elena facendo spallucce. “Non è che non ne abbiamo viste, in questi ultimi mesi”.

“Senza contare che quella di B.B. e Raven era molto più impressionante, aggiunse Pietro. “Questa pare un rottame, dubito che mi azzarderei a viaggiarci sopra”.

Haruhi ricominciò a far ticchettare la scarpa sul pavimento, stizzita. “È proprio questo il punto!”, esclamò con il tono di chi ha appena realizzato di aver dato perle ai porci. “Quella è una nave alla deriva, e se riusciamo a recuperarla e a portarcela dietro fino a El-Dorado ci potremo ricavare un mucchio di soldi, come vi ho già detto più o meno novemila volte!”.

Marco fissò la nave con maggior attenzione; la sua esperienza con i veicoli interplanetari era alquanto limitata, ma in effetti quello sullo schermo era un po’ diverso dagli altri: laddove molte delle navi che aveva visto avevano forme bizzarre e spesso niente affatto aerodinamiche, questa sembrava un missile, affusolata, cilindrica e molto, molto lunga. Anche il colore dello scafo differiva dal consueto: sembrava costituito da un metallo grigio molto scuro, quasi nero, sul quale risplendevano strie luminose verde brillante disposte in uno schema quasi regolare (le mancanti dovevano essersi spente a causa della mancata manutenzione, ipotizzò Marco). “E quella… mh, è una classe S?”, domandò, rivolto a nessuno in particolare.

Kyon scosse la testa. “No, guardando solo alle dimensioni è una classe A, ma per molto poco”, scrollò le spalle in quello che sembrava un brivido. “Anche se è palese che quella nave non è uscita da uno dei nostri cantieri”.

“Ed è proprio questo il motivo percui vale così tanto!”, si intromise Haruhi, di nuovo raggiante.

Quindi, in pratica”, fece Riccardo. “Quella sarebbe un’astronave aliena? Aliena aliena, insomma”.

“Esatto. Molto probabilmente a bordo c’è qualche tecnologia che potrebbe tornare utile agli scienziati della Confederazione”, spiegò Kyon. “Purtroppo non credo ci sia qualche superstite, altrimenti avrebbero inviato da tempo un segnale di soccorso”.

Elena emise un sospiro contrariato: era ovvio che stava per chiedere proprio quello. “Credevo che tutti i pianeti che vengono scoperti venissero inseriti nella Confederazione”, disse invece.

Haruhi ricambiò con un mezzo ringhio di disappunto. “Purtroppo alcune delle razze non umane non sono granché entusiaste della cosa… In effetti la stragrande maggioranza dei pianeti confederati sono versioni alternative della Terra o comunque abitate da umani, essendo noi la specie più diffusa dell’Omniverso”. La ragazza alzò le spalle. “Molti si limitano a farsi i fatti loro, e se rispettano gli accordi la cosa ci sta benissimo – con gli Yeerk e i Romulani abbiamo stipulato dei trattati di pace, per dire – ma ci sono alcune razze che ci sono apertamente ostili”.

Quindi ci sono state delle guerre?”, domandò Elena in tono secco. L’argomento non le andava a genio, e si vedeva chiaramente.

“Beh, in un paio di occasioni abbiamo proprio dovuto sterminarli… Ehi, è inutile che mi guardi così, era una situazione alla ‘o noi, o loro’”, spiegò Haruhi, dopo aver intercettato l’occhiata infuriata e inorridita di Elena. “L’ultima volta che la Confederazione ha avuto un emergenza di livello indaco – che sarebbe il più alto, per capirci – io e Kyon eravamo già in servizio, quindi è stato più o meno… un anno e mezzo fa”. Haruhi rabbrividì. “Erano degli ignobili gnometti verdi, e ogni tanto me li ritrovo in qualche incubo ancora adesso”.

Marco aggrottò la fronte. “Forse ho capito chi potrebbero essere… Cervello esposto, occhi a palla, espressione da ‘ne so molto più di te e te lo dimostro con la mia pistola vaporizzante’?”.

“Esatto, proprio loro! Abbiamo dovuto eliminarli dopo che avevano attaccato due Terre per puro divertimento. Ci sono volute un centinaio di navi di classe A che trasmettevano ‘It’s all coming back to me dall’orbita di Marte… Poi c’era poltiglia verde ovunque, ma se non altro nessuno ha dovuto ripulire”.

Celine Dion usata come arma di sterminio”, mormorò Marco. “Ora le ho sentite davvero tutte”.

“L’ho sempre saputo che le sue canzoni nuocciono gravemente alla salute”. Pietro annuì con aria convinta.

Comunque sia”, riprese Haruhi. “Ora come ora la minaccia maggiore viene dalla specie chiamata Zerg, non credo li conosciate…”.

“Quelli di Starcraft!”, esclamarono all’unisono Marco, Pietro e Riccardo.

Haruhi li fissò con tanto d’occhi, poi scosse la testa. “Sapevo che non dovevo sottovalutare voi nerd”, borbottò in tono amaro.

“Ehm… una spiegazione per gli ignoranti?”, domandò Elena con il braccio destro sollevato.

Pietro si schiarì la voce. “Sono una razza di parassiti interplanetari che infettano altre specie e le assimilano, e possono spostarsi nel vuoto interstellare viaggiando da un pianeta all’altro”.

“Hai presente i Borg?”, intervenne Marco. “Il principio è più o meno lo stesso”.

Infatti ci sono… ehm, dei cervelli giganti o qualcosa di simile, che controllano le singole unità”, continuò Riccardo. “Come si chiamavano?”.

Cerebrate”, rispose Pietro. “E poi c’è l’Overmind che è la mente-madre che coordina tutti i Cerebrate”.

“Ecco, sì. E se distruggi questa mente-madre puoi ucciderli tutti, o comunque indebolirli”.

Elena rabbrividì. “E’ terribile. E disgustoso”.

“Già”, le fece eco Haruhi. “E quel che è peggio è che la loro attuale regina è – o meglio, era – un essere umano”.

“Sarah Kerrigan, dico bene?”, disse Pietro.

“Esatto, proprio lei”.

“E insomma, quella nave là fuori potrebbe essere stata attaccata da questi Zerg”, ricapitolò Elena mentre accennava al visore principale.

Questa volta fu Kyon a prendere la parola. “Forse. La nave è danneggiata, ma non ci sono i classici segni di bruciatura sullo scafo, quindi potrebbe essere rimasta vittima di un attacco Zerg”.

Perciò che facciamo?”, domandò Marco. “Cioè, non si può semplicemente agganciarla e portarcela dietro? Ce l’avremo uno di quei raggi traenti montato a bordo, no?”.

Haruhi sbuffò. “Se la cosa fosse stata così semplice l’avremmo fatto da un bel pezzo, non ti sembra? Il problema è che gli scudi deflettori a bordo di quel rottame funzionano ancora a meraviglia, e per giunta sono particolarmente intensi; quindi niente teletrasporto, niente raggi traenti, e credo che a meno di non aprire un canale stabile dall’interno siano impossibili pure le comunicazioni in entrata”.

E quindi?”.

“E quindi questo ci porta al motivo percui vi ho chiamati qui”, rispose Haruhi. “Voglio che andiate su quella nave e disattiviate il sistema di scudi, così che possiamo agganciarla con un raggio traente. E nel caso ve lo stiate chiedendo sì, è il primo ordine effettivo che vi do da quando siete stati arruolati dalla Confederazione”. La ragazza sembrava tremendamente soddisfatta della decisione presa.

Che?”, esclamò Pietro, grattandosi i ricci neri. “Ma non hai appena detto che potrebbero esserci degli Zerg, là dentro?”.

Riccardo gli mollò una pacca sulla nuca. “Piantala di rovinarci sempre tutto il divertimento! E comunque il capitano ci ha dato un ordine, quindi è nostro dovere rispettarlo. Giusto, capitano?”. I suoi occhi brillavano di una gioia febbrile e parecchio inquietante.

E’ chiaro che non vede l’ora di mettere mano alla spada e affettare qualsiasi cosa gli si pari davanti…, pensò Marco, mentre deglutiva rumorosamente. Ho paura di quello che gli allenamenti di Zaraki possano avere fatto ai suoi centri del pericolo e alla sua stabilità mentale…

“Ehi, perché mi hai picchiato?”, si lamentò Pietro massaggiandosi il punto colpito. “Guarda che io non stavo affatto dicendo ‘Meglio non andarci’. Era solo che volevo essere sicuro della possibile pericolosità della situazione”.

Haruhi fece spallucce. “Non vi mentirò, potrebbe essere che dobbiate fare un po’ di disinfestazione, là dentro. Ma credo che voi sarete in grado di affrontare la situazione senza problemi! E poi siete miei sottoposti, potrei mai mandarvi allo sbaraglio e farvi rischiare la vita?”.

Conoscendoti, la risposta è: assolutamente sì, pensò Marco.

Elena si fece avanti. Sorrideva, e la sua espressione non era molto diversa da quella di Riccardo. “Beh, nel caso almeno potremo prendere a calci il sedere di qualche alieno cattivo!”.

Ecco, siamo fregati.

 

 

La navetta d’emergenza della Crazy Diamond era stata progettata al massimo per tre persone e/o trecento chili (o così quantomeno recitava la placchetta di metallo posta sopra il portello). Haruhi, però, aveva decretato che fare due volte avanti e indietro sarebbe stato uno spreco di tempo e di carburante; quindi aveva obbligato i sette membri della “squadra di possibile disinfestazione” a togliere due dei sedili e a stiparsi a bordo. Uno di quei sette era Zaraki, che può o meno da solo occupava lo spazio delle tre persone in questione.

“Come mai sei l’unica che può usare un sedile?”, domandò Marco, che non era certo di chi fosse il proprietario delle ginocchia che gli stavano martellando le reni.

Perché sono l’unica che sappia pilotare una navetta”, rispose Yoichi in tono pratico. “Quando fai la cacciatrice di taglie, sono cose che devi sapere fare”.

Quindi anche lei, Zaraki, sa come si fa?”, domandò Pietro.

Lo shinigami emise un grugnito di disappunto. “Ken-chan ci ha provato, una volta!”, rispose per lui Yachiru. La bimba tacque per qualche secondo, mentre il visino le si faceva serio serio; era uno spettacolo quasi inquietante da tanto era raro. “Non è finita bene, no no”.

Se il ricordo ha tolto il sorriso a una come lei dev’essere stato davvero qualcosa di traumatico…, pensò Marco.

“Manca ancora molto?”, mormorò Elena; era pallida e aveva la fronte ricoperta di sudore. “Credo stia iniziando a mancarmi l’aria…”.

“Tranquilla”, rispose la sua maestra. “Ci siamo quasi. Devo solo penetrare il campo di forze e completare la manovra di aggancio…”. L’abitacolo iniziò a vibrare violentemente, mentre dall’esterno dello scafo si levarono stridii simili a quelli che produrrebbero degli artigli di adamantio su una lavagna, poi il suono di un oggetto metallico che veniva sradicato a forza. Almeno una decina di oggetti, in realtà.

“Ecco, dovremmo esserci!”, annunciò Yoichi, alzandosi di scatto e mollando la cloche come se avesse cominciato a scottare all’improvviso. “Ma credo che bisognerà riverniciare la fiancata della navetta”.

Memo: chiedere a Kyon di insegnare a Yoichi a parcheggiare, pensò Marco, togliendosi le dita dalle orecchie. Anzi, ancora meglio, chiedere a Kyon di insegnare a qualcun altro a pilotare. Dopo quattro o cinque secondi, l’arcata dentale superiore smise di vibrargli.

Evvai, non vedo l’ora di andare a smazzare qualche alieno!”, esclamò Riccardo lanciandosi verso il portello per quanto lo spazio limitato glielo consentisse, ma un gesto di Yoichi lo bloccò.

“Fermo lì! Adesso che siamo dentro al campo di forze della nave possiamo lanciare l’analisi dell’aria interna. Dì, non vorrai mica aprire la porta e scoprire che c’è stata una perdita o che il precedente equipaggio respirava del cloro, eh?”. La donna pigiò un paio di tasti sul pannello di controllo e attese per qualche secondo. “Ok, sembra tutto a posto”, disse. “Ma!”, esclamò subito dopo, notando che Riccardo già stava armeggiando con la maniglia del portello. “Prima di uscire, dobbiamo discutere di un paio di cose”. Yoichi scalò il sedile in modo da troneggiare i presenti e non ridurre ancora di più il già limitato spazio personale; la sua alta coda di capelli neri sfiorava il soffitto metallico. “Prima di tutto, vedete di contenervi. Se davvero ci sono degli Zerg o gli dei soli sanno che altro, su questa nave – e io spero vivamente di no – ricordatevi comunque che stiamo navigando nel vuoto interstellare e che basta un colpo abbastanza potente e mal piazzato per aprire una falla e condannarci a morte. Mi rivolgo soprattutto a te, Zaraki, considerando come sei abituato a combattere”.

Lo shinigami si rabbuiò, facendo rabbrividire Marco di terrore: era come trovarsi di fronte a un branco di elefanti infuriati lanciati alla carica, senza potersi spostare. “Io non vengo a dire a te come combattere, donna”, ringhiò.

“Già, ma tu mi ascolterai comunque”, gli tenne testa lei. “Non credo che il fatto che io sia stata scelta dal capitano come capo della spedizione per te possa contare qualcosa, conoscendoti; ma promettimi almeno che eviterai azioni che possano mettere in pericolo la nostra incolumità”.

Riccardo fece schioccare la lingua; la sua irritazione era evidente. “Il capitano Zaraki non lo farebbe comunque”, spiegò, a braccia conserte. “C’è Yachiru, con noi, e lui non potrebbe mai metterla in pericolo”.

“Già!”, intervenne la diretta interessata dalla spalla dello shinigami. “Anche se non sembra affatto Ken-chan è una brava persona!”.

Zaraki sbuffò. “Zitti. Non ho bisogno che qualcuno parli al mio posto”. Stranamente, però, sembrava soddisfatto.

“Possiamo andare, ora?”, domandò Riccardo; passato il momento in cui aveva difeso il suo capitano, era di nuovo smanioso di passare all’azione.

Yoichi sospirò. “Ancora un attimo. Penso sia opportuno dividersi in due squadre, per poter esplorare la nave in maniera più efficace; Ci siamo agganciati più o meno al centro, quindi…”, lo sguardo dell’arciera passò sul gruppetto. “Zaraki, Yachiru, Marco, Elena, voi vi dirigerete verso la poppa; cercate qualsiasi indizio che possa fare luce su quello che è successo all’equipaggio… e qualsiasi eventuale superstite, anche se dubito che ce ne siano. Io, Pietro e Riccardo ci dirigeremo a prua, così da spegnere l’emettitore del campo di forza dal ponte di comando. Tutto chiaro?”.

“Io volevo stare in gruppo con il capitano Zaraki!”, protestò Riccardo.

Yoichi gli lanciò uno sguardo di sbieco. “Lo so benissimo. Ed è proprio il motivo percui ho evitato di mettervi insieme; questa è una missione, non una gita di piacere. Inoltre ho cercato di formare dei gruppi il più possibile bilanciati, e se ti avessi messo con Zaraki non ci sarebbe nessuno con me in grado di maneggiare un’arma da mischia; ti sembrava una scelta logica?”.

Riccardo emise un grugnito di disappunto ma non disse altro.

Secondo me si è presa dietro Riccardo perché ha la spada facile e Pietro perché se non lo si tiene d’occhio rischia di far esplodere qualcosa quando usa la magia, pensò Marco, trattenendo a stento un ghigno. Oh, cavolo, spero che Pietro non mi abbia sentito…

A dire il vero ti ho sentito forte e chiaro, coso…, il tono del messaggio telepatico dell’altro era sullo sconfortato andante. E anche se so benissimo che hai ragione, posso chiederti di evitare di pensarlo a voce alta? Grazie.

Marco, comunque, non fece quasi in tempo a sentirsi imbarazzato: Yoichi era riuscita a farsi largo fino al portello e l’aveva socchiuso; dall’altro lato entrò uno spiffero freddo, che fece rabbrividire i presenti e che portò con sé un odore asettico ma un po’ stagnante, come quello del laboratorio di uno scienziato pazzo. Marco si lasciò sfuggire un singulto che era quasi un conato di vomito, mentre qualcun altro emise un versetto acuto che nemmeno sembrava provenire da una gola umana.

Per un attimo tutti si bloccarono. “Ok, chi è stato?”, domandò Yoichi. Era evidente che stava trattenendo a stendo una risata. “Yachiru, per favore, dimmi che sei stata tu”.

La bambina scosse la testa. “Io non ho aperto bocca”.

“E allora chi…?”; proprio in quel momento, un ometto blu con una foglia sulla testa si inerpicò su per la schiena di Riccardo e si appollaiò sulla sua spalla.

“Ehi, è uno dei Pikmin!”, esclamò Elena, intenerita. “Deve averci seguito!”.

“Sì, l’avevamo capito un po’ tutti…”, si fece scappare di bocca Marco. La ragazza gli lanciò un’occhiata omicida.

“Ehm… Che facciamo? Lo riportiamo indietro?”, domandò Pietro.

Yoichi sbuffò. “Non dire sciocchezze! Lo lasceremo qui sulla navetta, è ovvio”.

Riccardo lo guardò. “E perché non posso portarmelo dietro? Non credo che tu abbia qualcosa in contrario, giusto?”.

La creaturina lo fissò con i grandi occhi rotondi, poi alzò le spallucce emettendo uno squittio che sembrava significare: “Bah, la cosa non mi dispiace”.

Secondo te qual è il senso di questa decisione improvvisa?, domandò telepaticamente Marco a Pietro.

Mi sembra ovvio! Vuole imitare in tutto e per tutto il suo idolo, no?

Beh, ma Zaraki ha Yachiru, non uno sgorbietto blu che squittisce…

Credo che non ci sia molto mercato per le bimbe pucciose che accettino di farti da mascotte, sai?

“Va bene, portatelo dietro”, capitolò l’arciera. “Però ora andiamo, qui dentro inizia davvero a mancare l’aria…”. E finalmente aprì del tutto il portello.

 

 

I corridoi della nave risuonavano di nuovo di passi. Il rumore dell’eco che i piedi degli invasori producevano sul metallo sembravano lo stridio di un violino male accordato. L’impressione era simile a quella che si ha quando si entra in una casa stregata: anche se tutto appare tranquillo, si procede con cautela e reverente timore, per evitare che ciò che riposa nell’intercapedine delle pareti – qualunque cosa sia – possa risvegliarsi.

L’aspetto più inquietante della faccenda era che non sembrava esservi alcuna traccia del precedente equipaggio. Non solo quelle della loro eventuale dipartita per mano degli Zerg: non c’era alcuna traccia di loro e basta, come se avessero saputo in anticipo che sarebbero stati attaccati e fossero riusciti a mettere in salvo se stessi e le proprie cose.

Qualcuno ogni tanto tentava di fare conversazione, ma dopo un paio di frasi stentate ripiombava il silenzio, rotto solo dallo scalpiccio dei passi; perfino Yachiru, di solito tanto ciarliera, se ne stava appollaiata sulla spalla di Zaraki senza dire una parola.

Nessuno di loro voleva svegliare il fantasma che dimorava in quella casa stregata.

Ma ovviamente era troppo tardi.

Nella plancia di comando, nella sala motori e in tutti gli altri locali abbastanza grandi da contenerne, le larve di Zerg erano uscite dalla stasi in cui erano rimaste immerse fino a che le vibrazioni provocate dal maldestro attracco della navetta non le avevano risvegliate. Alcune di loro avevano già iniziato a chiudersi nei loro bozzoli pulsanti e palpitanti come organi esposti.

Presto ne sarebbero uscite.

 

 

“E’ inquietante, vero?”, domandò Marco. Aveva già fatto la stessa domanda qualche minuto prima senza ottenere grossi risultati.

“Già”, rispose Elena.

Nella quiete che seguì il rumore dei passi bussò alle orecchie di Marco con intensità intollerabile. “D-dunque…”, tentò di nuovo. “Che dobbiamo fare

esattamente? Arriviamo fino in fondo, o che…”.

“Zitto”. Il ringhio di Zaraki fu così feroce che Marco si ritrovò appiattito contro la parete ancora prima di realizzare di essersi mosso.

C-chiedo scusa”, balbettò. “M-ma credevo che…”.

Ken-chan ha detto ‘zitto’”, intervenne Yachiru. “Quando Ken-chan fa così, dovresti dargli retta”.

I quattro svoltarono a destra, in un lungo corridoio fiancheggiato da innumerevoli porte, molto probabilmente le cabine dell’equipaggio; Marco procedeva a viso basso, rosso per la vergogna fino alle orecchie. “C’è qualcosa di strano”, esordì Zaraki. “E’ per quello che ti ho detto di tacere”.

L’altro si sentì un poco più leggero. “Ah, ok, credevo che…”.

“Non ti ho detto che puoi rimetterti a parlare”.

“Oh”.

“E che cosa ci sarebbe che non va?”, domandò Elena, a cui in effetti non era stato posto alcun divieto.

Zaraki scrollò le spalle. “Lo sapremo quando l’avremo trovato”.

E poi?”

Che domanda idiota! Lo ammazziamo, è ovvio”.

“Ah”.

Il silenzio calò di nuovo sui quattro, mentre percorrevano il corridoio deserto. Camminavano lentamente, fermandosi ad ogni coppia di porte e tendendo le orecchie per cogliere qualsiasi rumore potesse provenire da dentro le stanze. Alcune paratie, poi, erano spalancate, permettendo di dare un’occhiata all’interno il tempo sufficiente per rendersi conto che in quegli anonimi alloggi tutti identici non c’era proprio niente.

Ok, siamo arrivati ad un’altra svolta, pensò con un brivido Marco quando si fu lasciato alle spalle le ultime due porte. Ora gireremo l’angolo e ci ritroveremo davanti un’intera parata di Zerg. Oppure due gemelline sporche di sangue che si tengono per mano e ci chiedono di giocare con loro per sempre. Oppure…

Marco girò l’angolo.

Nulla.

Solo un altro corridoio, più breve di quello che si erano appena lasciati dietro, ma identico ad esso in ogni altro particolare. Completamente vuoto, com'era ovvio.

Però così è anche peggio, si disse il ragazzo, mentre l’oppressione nel suo stomaco invece di evaporare si faceva sempre più densa e stopposa. Se ci fosse stato davvero qualcosa – qualsiasi cosa – almeno sapremmo che questa nave è pericolosa e potremmo trovare un modo per risolvere il problema. Ma come facciamo ad affrontare il nulla? Non è qualcosa contro cui le zanpakuto possano fare qualcosa. Né le frecce di Elena, peraltro, né… In un gesto istintivo Marco portò una mano alla cintura, dove alloggiavano la sua bacchetta magica e due pugnali. Sfiorare l’impugnatura delle armi fu come accarezzare il ventre molliccio del serpente, e per qualche istante un pallido spettro di Bielorussia aleggiò dietro lo schermo delle sue palpebre chiuse. Ci saranno sangue e dolore, lo ammonì l’apparizione. E non soltanto tuoi.

Oh, per favore, si disse lui, riaprendo gli occhi e scuotendo la testa per scacciare ogni traccia dell’inquietante ragazza. Sono già abbastanza terrorizzato di mio, ci manca solo che quella tizia e la mia mente si coalizzino contro di me…

Qualcuno gli sfiorò la spalla, facendolo sobbalzare. “Marco, tutto a posto?”, gli domandò Elena.

S-sì… Mi sono solo lasciato suggestionare un po’…”, rispose lui abbozzando un debole sorriso. Alzò gli occhi e notò che Zaraki – contrariamente al suo comportamento di poco prima – si stava dirigendo con sicurezza verso una porta.

Yachiru si voltò verso di loro e bisbigliò: “Qui dentro!”.

Zaraki fissava la paratia come un enorme felino che attende il momento propizio per assalire la prossima vittima, il lungo naso affilato teso e vibrante e le narici dilatate. “Qui dentro”, ripeté in un sussurro roco.

Marco annusò l’aria un paio di volte, ma non riconobbe nessun odore particolare. Tranquillo, significa solo che sei una persona normale, lo rassicurò il suo cervello.

In effetti, però, anche lui riusciva a percepire qualcosa di sospetto: per la precisione le sue orecchie avevano iniziato a captare un monotono, basso ronzio provenire da oltre la porta, mescolato a qualcos’altro… un gorgoglio, forse?

“Tu”, gli si rivolse Zaraki, senza nemmeno voltarsi. “Aprila”.

Eh-oh?”, rispose Marco, colto alla sprovvista. “E perché io?”.

Lo shinigami digrignò i denti. “Perché ho promesso a quella donna che mi sarei trattenuto, ecco perché”.

Wow, vederlo sottomesso in questa maniera non è davvero qualcosa che capiti tutti i giorni, pensò Marco divertito mentre estraeva la bacchetta dalla cintura. La puntò verso la porta – il tremito delle sue mani tradiva un certo nervosismo – ed era sul punto di lanciare l’incantesimo quando qualcosa gli riverberò nella mente in maniera confusa e perturbata; non riuscì a capire con chiarezza cosa fosse, ma gli diede l’idea di un messaggio di SOS lanciato da una voce familiare ma quasi del tutto sommerso da scariche statiche. Oh, al diavolo, pensò. Devo davvero piantarla di farmi suggestionare dal mio stesso cervello. Agitò la bacchetta in un ampio gesto – e per la tensione rischiò di tirare una gomitata nel fianco a Elena – e disse “Alohomora!”.

La sezione di parete scivolò pigramente sui binari, rivelando una spettrale e soffusa luce ambrata; Zaraki balzò nella stanza con la zanpakuto sguainata, ma evidentemente non trovò ciò che si aspettava – leggasi: qualcuno da ridurre a listelle – perché si affacciò con aria delusa un paio di secondi dopo. “Potete entrare”, borbottò. “Ci sono solo tre tizi dentro degli affari che paiono usciti dal laboratorio di Kurotsuchi…”.

Elena e Marco mossero un passo nella stanza, perplessi: si trattava di un locale più grande rispetto a quelli del precedente corridoio, dalle pareti tappezzate di macchinari (la maggior parte dei quali spenti), e un fastidioso e insistente gocciolio proveniente da un angolo.

Ma furono i cilindri – o quantomeno il loro contenuto – a congelare sul posto i due ragazzi; erano tre, alti circa tre metri e larghi la metà, riempiti con un liquido arancione chiaro che sembrava Fanta annacquata. In ognuno di essi galleggiava una persona, raccolta in posizione fetale e all’apparenza priva di coscienza: un giovane dai corti capelli grigi con le spalle coperte da scaglie color antracite, una fanciulla dalla lunga chioma nera, tranne per un’unica ciocca bianca, che le galleggiava intorno come una medusa di catrame, e un uomo alto e muscoloso dal volto gentile la cui corporatura poteva rivaleggiare con quella di Zaraki.

Erano anche completamente nudi, ma non fu questo a sconvolgere i due.

“Guarda, Ken-chan, gli si vede tutto!”, squittì Yachiru puntando un indice verso i tre; poi sembrò accorgersi che Marco e Elena erano rimasti pietrificati sulla soglia. “Ehi, voi? Che vi prende? Non state bene?”.

Marco, gli occhi fissi sui cilindri, sembrò finalmente trovare la forza di aprire la bocca. “Ele, li vedi… li vedi anche tu, vero?”.

Uh-uh”, rispose lei, il volto impassibile ma gli occhi spalancati.

“Insomma, si può sapere che cazzo vi prende?”, borbottò Zaraki, guardandoli con aria accigliata.

“Noi sappiamo chi sono queste tre persone”, spiegò Marco con un filo di voce.

E lo sappiamo perché…”, continuò Elena. “Perché siamo stati noi a crearli”.

 

 

L’esplorazione del gruppo di prua era stata decisamente più movimentata. I tre infatti – o quattro, volendo contare anche il Pikmin adottato da Riccardo – incontrarono la prima traccia della presenza Zerg a soli dieci minuti dallo sbarco.

“Oh, Dio”. Pietro era sbiancato e sembrava sul punto di dover rimettere anche la colazione di un paio di giorni prima. “Quella è…”.

Davanti al gruppetto si stendeva per oltre tre metri quello che sembrava essere il risultato di uno scontro frontale fra un carico di trippa e uno di vernice verde: pezzi di carne, grumi rappresi di sangue e altri fluidi erano sparsi sul pavimento, sulle pareti e perfino sul soffitto, da cui gocciolavano con piccoli tonfi vischiosi.

“Sono le spoglie di una crisalide Zerg, già”, fece eco Yoichi, estraendo con calma la sua arma dalla faretra; non sembrava spaventata e neppure particolarmente tesa, ma il suo viso aveva perso qualche tono di colore. “Qualunque cosa ne sia uscita l’ha fatto da pochi minuti, a giudicare da tutto questo schifo”.

Come se non aspettassero altro che quelle parole, i miserevoli resti di mutazione aliena iniziarono a raggrinzirsi e evaporare. “Ecco, guardate: fra poco della crisalide non resterà alcuna traccia”.

“Per fortuna”, aggiunse Pietro. “Non credo che sarei riuscito a passare lì in…”.

Accadde in un attimo. Tutto ciò che lo preannunciò fu un lieve ticchettio, praticamente inudibile… Poi l’idralisca balzò da dietro l’angolo in un tumulto di artigli e zanne e atterrò davanti a Pietro e a Yoichi, il muso inumano distorto in un ghigno famelico.

Aaaa…”. Pietro era completamente paralizzato. Adesso mi uccide, adessomiuccideadessomiuccideadessomiuccide. I suoi pensieri erano un fiume, ma la corrente era troppo forte per poterlo controllare. Gli sembrava che le interiora fossero diventate di plastica, fredde e inerti. Con la coda dell’occhio vide Yoichi afferrare una freccia dalla sua faretra e incoccarla, ma gli sembrava che la donna si muovesse come dentro ad una bolla d’acqua, troppo lenta per poterli salvare.

L’idralisca sollevò una delle sue braccia, una mortale lama ossea, pronta a colpire… poi la sua testa rotolò sul pavimento, troncata di netto.

“Meno male che non mi ha notato!”, esclamò Riccardo rinfoderando la spada mentre il corpo dell’alieno, dopo un ultimo spasmo, si accasciava a terra. Dalla spalla del ragazzo il Pikmin blu fissava la scena con tanto d’occhi. “Anche se pensavo che sarebbe stato più difficile ucciderne una, nel videogioco ci volevano non so quanti proiettili…”.

“Beh, per essere la tua prima idralisca abbattuta te la sei cavata alla grande!”. Yoichi abbassò l’arco, la freccia ancora incoccata: sembrava padrona della situazione, e sicuramente sarebbe riuscita a scagliare in tempo il suo dardo… ma si vedeva che era sollevata. “Non pesnavo che Zaraki potesse insegnare qualcosa a qualcuno… E’ evidente che mi sbagliavo”.

Massì, non è stato niente di che”, minimizzò Riccardo, che però un po’ era arrossito. “Ho solo fatto quello che di solito faccio quando mi alleno, e… ehi!”. Pietro era appena balzato in avanti e lo aveva stretto in un abbraccio. “Si può sapere che cazzo ti prende tutto d’un tratto?”.

“Grazie, coso”, borbottò Pietro, la faccia contro la spalla dell’amico. “Senza di te a quest’ora sarei morto”.

“D’accordo, ma ora staccati!”, rispose Riccardo, riuscendo alla fine nell’intento di scrollarselo di dosso. “E l’ho già detto, non è stata chissà che impresa. La prossima volta che ne incontriamo uno, perché non ci pensi tu a sistemarlo? Ormai con la tua magia te la dovresti cavare bene, no?”.

L’occasione per Pietro di farsi valere, in effetti, si presentò meno di trenta secondi dopo, quando il gruppetto ebbe girato l’angolo e vide due zergling che come velociraptor violacei trotterellavano verso di loro, attirati forse dal sangue del loro simile.

“Vai, ora!”, gridò Riccardo, riestraendo l’arma per buona misura.

“Sì!”, esclamò Pietro, facendosi avanti e descrivendo con la bacchetta un arco abbastanza grande da comprendere entrambi gli alieni. “Petrificus Totalus!”.

“Facciamo una cosa”, disse Riccardo qualche secondo dopo, ripulendosi la poltiglia verde dalla faccia con il dorso della mano. “La prossima volta che ti dico:Occupatene tu’, fai finta che io non abbia detto niente. E soprattutto non puntarmi addosso quell’affare!”.

Ma non è stata colpa mia!”, protestò Pietro, completamente ricoperto di fluidi corporei e frammenti di carne bruciata degli zergling. “Io volevo bloccarli, non farli esplodere! Sono sicuro che è ‘sta dannata bacchetta la colpevole, avrà un difetto di fabbricazione o che so io…”.

“Beh, quantomeno ci hai liberato di loro in maniera efficace”. Yoichi era riuscita a ripararsi dietro l’angolo, e i danni al suo vestiario erano stati minimi. “Però davvero, Pietro, non andartene in giro puntando quella cosa contro la gente”.

Il diretto interessato aprì la bocca per rispondere, poi la richiuse e scosse la testa, reinfilandosi la bacchetta in tasca. “Beh, almeno ora sappiamo che questa nave è invasa da alieni antropofagi”, osservò alla fine in tono piatto. “Qualcuno ha qualche idea su come dovremmo regolarci in merito?”.

“Prima di tutto entriamo qui dentro”, disse Yoichi, spingendo i due terrestri dentro una stanzetta e facendosi scivolare la porta alle spalle. Si concesse un leggero sospiro di sollievo, poi tornò rivolgersi ai membri del suo gruppetto. “D’accordo, ammetto che per essere stata la vostra prima uccisione ve la siete cavata bene. Tranne, beh, per quella piccola storia dell’esplosione…”. Pietro abbassò di nuovo lo sguardo. “Ma nel corso degli ultimi anni ho visto non sapete quanta gente morire durante il loro primo scontro con gli Zerg”. La donna si lasciò sfuggire un sorriso malinconico. “In fondo, c’è solo una cosa che dovete ricordarvi: voi siete uno, loro sono migliaia; se anche ne uccidete uno, ne possono sempre arrivare altri; ma se morite voi, è game over. Quindi insomma, se farete attenzione e non vi lascerete prendere dall’euforia andrà tutto bene”.

Qualche attimo di silenzio.

“Tutto qua?”, domandò Riccardo. Aveva ancora i capelli incrostati dalla robaccia verde fuoriuscita dagli zergling. “Nel senso, è finito il discorso?”.

Yoichi sembrò sorpresa. “Ehm… Sì. Non sono granché con le parole di incoraggiamento, vero?”.

Pietro le batté una mano sulla schiena. “Nah, te la sei cavata bene. E quantomeno non hai tirato in ballo certi clichè tipo la forza dell’amicizia o che dobbiamo credere in noi stessi per ottenere quello che vogliamo!”.

Comunque direi che è il caso di darci una mossa, no?”, intervenne Riccardo. “Più aspettiamo, più c’è la possibilità che qualcun altro di quegli stronzi salti fuori”.

Una volta che furono all’esterno della stanza, però, i tre non incontrarono nessuno Zerg per almeno un quarto d’ora di cammino.

“Forse erano rimasti solo quei tre”, osservò Pietro dopo l’ennesima svolta priva di eventi. “Voglio dire, può benissimo essere, no? In fondo non sappiamo da quanto tempo questa nave è stata attaccata”.

Yoichi annuì. “Sì, può essere. Anche se sarebbe strano, visto che le larve possono rimanere in stasi per anni e una volta che ne sono uscite ci mettono pochi minuti a svilupparsi”.

Il corridoio aveva raggiunto uno slargo, in fondo al quale si apriva un doppio portello. “Ecco, lì dentro c’è di sicuro la plancia di comando”, disse l’arciera. “Con un po’ di fortuna fra cinque minuti avremo disattivato il campo di forze e saremo di nuovo al sicuro sulla Crazy Diamond”.

“Peccato, speravo che ci sarebbe stato qualche combattimento in più”, disse Riccardo, tamburellando con le dita sull’elsa della spada. Il Pikmin sulla sua spalla, come percependo la sua delusione, emise a sua volta un acuto mugolio di disappunto.

Se vuoi, la prossima volta ti porto con me ad un raid su uno dei pianeti infestati”, propose Yoichi con una strizzatina d’occhio. “Però ti avverto, non sarà una passeggiata”.

Stavolta fu Riccardo ad abbassare gli occhi, anche se solo per un attimo. “Mah, penso si possa anche fare…”.

Pietro fissò il momento di imbarazzo dell’amico con un sogghigno, poi intervenne. “Forza, cosa stiamo aspettando? Prima entriamo qui dentro, prima potremo…”. Mentre parlava si era avvicinato al pannello e aveva premuto il pulsante per l’apertura; le porte scivolarono sui binari con un lieve sibilo, che però fu sufficiente per far voltare tutti gli Zerg assiepati nella sala. Dovevano essere almeno un centinaio: non soltanto zergling e idralische, ma anche dei contaminatori e perfino una regina.

“Oh, merda”, si lasciò sfuggire Pietro. Come se non si aspettassero altro, decine e decine di fauci si spalancarono in un gorgoglio ultraterreno, prima che i loro proprietari si lanciassero all’attacco.

Pietro, chiudi quella cazzo di porta!”, gridò Riccardo. Yoichi, però, era scattata in avanti ancora prima che il ragazzo finisse di parlare e aveva premuto il pulsante; i primi zergling si schiantarono contro il pannello, riuscendo a deformarlo.

Pietro si voltò verso gli altri due, il volto privato di qualsiasi colore. “C-che facciamo?”, domandò con un filo di voce.

“Corriamo!”, rispose l’arciera. Meno di venti secondi dopo, i tre – lanciati alla massima velocità consentita dalle loro gambe e dal terrore – sentirono il suono del portello che veniva sfondato e di un’enorme massa di corpi lanciata alla carica. Yoichi estrasse da una delle tasche dello hakama un piccolo congegno quadrato e lo premette, facendolo illuminare e borbottare in tono monotono. “Ho aspettato fin’ora, ma direi che è il momento di chiedere rinforzi, eh?”, mormorò ansante, facendo del suo meglio per sorridere ai suoi sottoposti.

Marco, ti prego. Pietro non sapeva quale fosse la portata della sua telepatia, ma non era certo nella situazione di rinunciare solo per quello. Se riesci a sentirmi, pianta tutto quello che stai facendo e raggiungimi subito con gli altri! Noi siamo in grave pericolo!

 

 

“In che senso, li avete creati voi?”, domandò Zaraki; sembrava che gli fosse difficile afferrare il concetto.

“Ecco, vedi”, spiegò Elena, avvicinandosi ai cilindri. “Lui si chiama Shin, la ragazza è Miyu e l’omone è Senkou. E se mi chiedi come faccio a saperlo, beh… li ho disegnati io”.

“Già, è stato quando c’eravamo fissati di realizzare un manga tutto nostro”, intervenne Marco. “Anche se non siamo mai passati ai fatti, visto che ognuno di noi aveva idee diverse sulla trama e quindi non se n’è fatto più niente… Ma, beh, a quanto pare è stato sufficiente per renderli reali”. Il ragazzo tacque per qualche secondo, gli occhi fissi sui tre individui in stasi. “Cazzo, non ci credo… Quindi quello che ci ha detto Silente, tutta quella roba sulla realtà del consenso… Wow”.

Elena intanto si era avvicinata al macchinario a cui erano collegati i tre cilindri. “Marco, dai un taglio al monologo e vieni a darmi una mano”, disse, un’espressione concentrata sul volto.

“E tu che vuoi fare?”, si intromise Zaraki.

“Farli uscire, ovvio”.

Lo shinigami emise un ringhio di disappunto.

Elena, nell’udire quel suono, si accigliò, per poi voltarsi e fronteggiare Zaraki. La ragazza era quasi di mezzo metro più bassa dell’altro, ma in quel momento – quantomeno a Marco, che fissava la scena a bocca spalancata – non sembrava in alcun modo meno intimidatoria. “Senti un po’, se hai qualcosa da dire fallo e basta, ok? Ma che ti sia chiara una cosa: anche se dovessero volermici giorni per tirarli fuori da lì, io senza di loro non me ne vado. Chiaro? E sono sicuro che Marco la pensa allo stesso modo”.

Il diretto interessato annuì debolmente, ancora a bocca aperta. Non che avrei mai avuto il coraggio di dirglielo, comunque.

Zaraki aprì la bocca per ribattere, ma Yachiru fu più rapida. “E’ vero, Ken-chan. Anche noi faremmo lo stesso”, disse, in tono serio.

L’uomo sembrò riflettere su quelle parole, poi annuì. “Hai ragione”, rispose. “Non si lasciano indietro i propri commilitoni”.

“Allora, visto che sono stata brava, voglio un premio!”, esclamò la bambina, annuendo convinta.

Zaraki sospirò. “E va bene… volevo dartelo dopo la missione, ma già che ci siamo…”, e da una delle pieghe dello haori estrasse un enorme lecca-lecca azzurro che Yachiru iniziò a ciucciare con gusto.

Ok, credo di avere capito come funziona”, fece Marco. “Premendo questo pulsante dovemmo poter svuotare le capsule dal liquido”.

“Wow, come l’hai capito?”, domandò Elena in tono ammirato, avvicinandosi a guardare. “Ah, vabbé, bella forza, ci sono i disegnini”.

“Ehi, mica ho detto che è stato difficile”. Il dito di Marco indugiò sul bottone. “Che faccio, lo premo?”.

“Vai. E speriamo che vada bene”.

Marco si aspettava un processo lento e graduale, ma dopo che ebbe schiacciato il pulsante il liquido arancione venne assorbito dal basso in meno di cinque secondi, lasciandosi alle spalle solo un rumore di risucchio, come un vecchietto senza dentiera che sorbisca del brodo.

Un attimo dopo, Senkou spalancò i grandi occhi dorati. “Ehm…”, mormorò, il corpo rattrappito dentro il cilindro e la voce attutita dal vetro. “Posso chiedervi di spiegarmi come sono finito qua dentro?”.

Prima che qualcuno potesse rispondere, il cilindro di sinistra andò in mille pezzi e Shin ne balzò fuori, guardandosi intorno con aria irritata. “Spero che non siate stati voi a chiudermi lì”, borbottò, fissando Marco e Elena con sguardo torvo.

La ragazza distolse gli occhi e li puntò verso il soffitto, la pelle del suo viso rossa quasi quanto i suoi capelli. “C-copriti con qualcosa!”, esclamò con voce spezzata.

Shin abbassò lo sguardo sul proprio corpo. “Oh”, fece, in tono di noncurante sorpresa.

“Ehi!”. Miyu, invece, sembrava ben conscia di ciò che stava mettendo in mostra, ma questo non le impediva di urlare a pieni polmoni. “Qualcuno mi faccia uscire!”.

“Dio, quanto sei rumorosa!”, la rimbeccò Shin. “E non ho capito perché non esci da sola, sei abbastanza forte da spaccarne mille, di quei cosi”. Si voltò verso Senkou. “Pure tu, si può sapere che stai aspettando?”.

“Volevo evitare di romperlo…”, rispose l’altro in tono umile.

“Già, mica siamo tutti dei barbari lunatici come te, sai?”, gli fece eco Miyu.

“E comunque non preoccuparti, Shin, credo di avere trovato il pulsante per l’apertura dei cilindri…”, aggiunse Marco. Un paio di secondi dopo le due capsule rimaste scivolarono silenziose verso l’alto, liberando Miyu e Senkou. “Oh, meno male!”, fece la ragazza. “Non ne potevo più di stare là den…”.

“Come sai il mio nome?”. La voce di Shin risuonò tagliente come un pugnale nell’orecchio di Marco, e zittì tutti i presenti. Il volto del ragazzo, di solito annoiato, sfoggiava ora un’espressione minacciosa, gli occhi grigi stretti a fessura. “Io non ti conosco di certo, ma è evidente che tu conosci me”.

Stranamente, Marco si scoprì molto meno spaventato di quanto avrebbe dovuto. Dev’essere perché lo conosco, appunto, e so che non passerebbe alle vie di fatto per così poco, pensò, lucido. In fondo l’ho creato io. “Certo che ti conosco”, rispose perciò con la massima tranquillità. “Così come conosco anche Senkou e Miyu”. I due, impegnati nella ricerca frenetica – e fino a quel momento inutile – di qualcosa per coprirsi, sobbalzarono nel sentirsi nominare. “E il motivo percui vi conosco – anzi, vi conosciamo”, e indirizzò uno sguardo a Elena, che sorrise e salutò con un cenno del capo. “E’ che…”.

Con un tempismo da film di serie B, Zaraki – rientrato in modalità predatore – interruppe la spiegazione. “Glielo dirai dopo. Sembra che ora abbiamo compagnia”.

Sul gruppo calò il silenzio, e tutti poterono sentirli; acuti scricchiolii spezzati, proprio oltre la porta chiusa.

 

 

Haruhi fissava il monitor con aria preoccupata. “Kyon, novità?”.

Il comandante scrollò le spalle. “Non più di quante ne avevo prima. Purtroppo gli strumenti parlano chiaro: la gravità della luna del pianeta intorno cui stiamo orbitando sta attraendo la nave… e lo schianto avverrà fra due ore e diciassette minuti, a meno che là dentro non riescano a disattivare il campo di forze”.

Haruhi si mordicchiò nervosamente l’unghia del pollice. “Merda, cosa possiamo fare? Ci hanno inviato un segnale di soccorso, ma non possiamo raggiungerli, visto che abbiamo una sola navetta. E manco possiamo rispondere loro!”. Gli occhi della ragazza si dilatarono. “Però aspetta… Non possiamo agganciarci con la Crazy Diamond? Perché non ci ho pensato prima?”.

Perché è infattibile”, replicò pratico Kyon. “La navetta si è potuta agganciare perché è penetrata completamente nel campo di forze, ma noi siamo troppo grandi per riuscirci. Se i nostri scudi reggessero rimbalzeremmo via dopo qualche secondo; in caso contrario… credo che finiremmo tagliati in due”.

“Oh”, rispose lei. Le parole del sottoposto sembravano averla scossa parecchio. “Cazzo, perché siamo stati così idioti da non accorgerci subito che la nave era in traitettoria di collisione?”, mormorò in tono frustrato, continuando a martoriarsi il pollice.

“Non è colpa tua”, rispose Kyon. “Cioè, in teoria sì, visto che sei il capitano, ma nemmeno gli strumenti di bordo avevano captato il pericolo fino a poco fa”.

“Bah, è inutile cercare scuse. La colpa è mia anche in pratica, visto che sono stata io a ordinare loro di andare su quella dannatissima nave”. Qualcuno bussò alla porta della plancia. “Avanti!”, gridò il capitano in tono stizzito.

Hayate, con aria un po’ intimidita, fece il suo ingesso nella sala. “Ehm… Suzumiya-san, ho sentito che ha un problema…”. Il ragazzo lanciò un’occhiata a Kyon, poi continuò, in tono un po’ più basso. “In realtà l’ha sentito tutta la nave”. E in effetti dietro il maggiordomo si era assiepato l’intero equipaggio, compreso anche qualche Pikmin, forse preoccupati per l’assenza di uno dei loro.

Haruhi lanciò un’occhiata di fuoco al comandante, il quale non reagì per qualche secondo e poi finse sorpresa. Malissimo. “Oh, che sbadato. Devo essermi appoggiato per errore al pulsante dell’interfono”.

Comunque”, continuò Hayate, per evitare che il capitano andasse a strangolare il diretto sottoposto. “Forse ho una soluzione per riuscire a salvare tutti quanti e a recuperare la nave prima che si schianti”.

Haruhi fissò il ragazzo con aria molto poco convinta; poi, un paio di secondi dopo, l’incredulità lasciò il posto alla comprensione. “Aspetta, mi stai dicendo che vorresti chiamare…”.

Il maggiordomo si lasciò sfuggire un piccolo sorriso. “L’ho già fatto, in effetti. Saranno qui fra venti minuti al massimo”. L’espressione sul suo volto si fece un po’ più rilassata. “Ovviamente applicheremo le solite tariffe”.

Haruhi ricambiò il sorriso, le braccia incrociate sul petto. “Ovviamente!”, rispose. “D’altronde, farei qualsiasi cosa, pur di salvare i miei sottoposti!”.

 

 

 

 

MIYU: Chi sono i misteriosi individui convocati da Hayate? Riusciranno i nostri eroi a sopravvivere nell’astronave piena di Zerg? E Miyu, Senkou e Shin troveranno dei vestiti? Lo scoprirete nel prossimo capitolo!

SHIN: Si può sapere che è tutta questa verve? Ti ricordo che stiamo rischiando la vita.

MIYU: Questo non vuol dire che nessuno debba occuparsi delle anticipazioni!

SENKOU: Il quindicesimo capitolo di “Il cielo è un’ostrica, le stelle sono perle”, si intitola “La luna è severa maestra, parte prima”. Buona lettura!

MIYU: No, volevo farlo io!

SHIN: Tu l’hai già fatto la volta scorsa, giusto? E allora accontentati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MmhRieccomi qua! Alla fine un mese e mezzo è passato davvero, chiedo scusa!XD

Comunque, finalmente con i prossimi capitoli anche Marco e gli altri faranno qualcosa in battaglia! Beh, soprattutto gli altri; Marco, poveretto… Insomma, vedrete!

Ne approfitto intanto per fare gli auguri di Natale ai miei lettori anche se un po’ in ritardo, nonché gli auguri di Capodanno, questi ultimi con qualche giorno d’anticipo!

E ora, le risposte alle recensioni!

Per Morens: Zaraki lo si vedrà un po’ in azione nei prossimi capitoli, infatti! Cioè, si vedrà qualcosina, ma più si proseguirà con la storia più anche lui avrà cose da fare (che nel suo caso equivale a: nemici da ridurre in poltiglia)!

Per Anonimo: I pugnali che fendono alla realtà purtroppo sono merce rara… Quantomeno, alla Lidl non si trovano!

Non so alla Conad. Il motore a gatto imburrato sarebbe un’idea, in effetti! Però è qualcosa di un po’ più… prosaico, diciamo. Spero di non deluderti.XD

 

 

E con questo anche per stavolta ho finito! Vi aspetto nel prossimo capitolo!

Davide

 

  
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