Fanfic su artisti musicali > Beatles
Segui la storia  |       
Autore: Ariadne_Bigsby    02/01/2011    1 recensioni
Una copia dell'edizione tedesca dell'Amleto, un profumo di rose ed una bottiglia di assenzio. Questi sono i tre elementi, collegati ad un ricordo che John Lennon non riesce ad individuare, ma che ha cominciato a prendere forma durante le riprese di "Come ho vinto la guerra". Ma una canzone riporterà alla luce una serie di avvemimenti che hanno segnato la sua vita e quella degli altri Beatles, ad Amburgo, sei anni prima.
(CAPITOLO 10) Ogni sera, il pubblico rumoreggiava sotto il palco, cantando le canzoni: sembrava che il volume altissimo della musica ed il suono cupo e martellante del basso Hofner di Stu lo esaltasse. Ognuno era attratto in modo diverso dai componenti della band: Paul colpiva per il suo aspetto da bambino e per le guance tonde, George per la sua aria innocente e smarrita, Stuart per il fascino tenebroso e Pete per l’aria impassibile e rilassata e per i suoi seducenti occhi azzurri.
Ma il fulcro dell’attenzione del pubblico sia maschile che femminile era John: John aveva il fascino del ribelle, dell’anticonformista, dell’arrogante e colpiva per quell’aria perennemente torva e la postura aggressiva che assumeva sul palco.
Il pubblico rideva alle sue battute dall’umorismo feroce e tagliente e veniva totalmente coinvolta dall’energia che John sprigionava, chiedendosi se quel ragazzo conoscesse il significato della parola “limite”.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, John Lennon , Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
kjh

 

Discussions

“Sono uscito a comprare il cibo.

Aufiderzen 

Auch Fi 

Augh

Si insomma, ciao.

Paul.

John si stropicciò gli occhi, mentre osservava il bigliettino che Paul aveva appiccicato accanto alla porta, ma senza vederlo davvero.

 

Quanto aveva dormito? Pochi giorni prima aveva battuto ogni record di dormita, ovvero rimanendosene a letto per 11 ore filate, fino alle 6 del pomeriggio.

D’altro canto, che poteva farci se era esausto? Suonavano fino alle due di notte con 30 miseri minuti di pausa, 30 minuti nei quali il bar dell’Indra Club faceva affari d’oro, perché i 5 davano letteralmente fondo a tutte le scorte di birra.

Le previsioni di Stuart sulla birra si erano rivelate fortunatamente sbagliate: abituati com’erano alla birra inglese, tiepida e poco alcoolica, la birra tedesca fu una scoperta sensazionale.

“Allora? Com’è? “aveva chiesto John in tono impaziente a George, che si era preso l’incarico di assaggiarla per primo. George non aveva risposto, ma aveva spalancato gli occhi all’inverosimile ed aveva continuato a tracannare senza sosta, sotto gli sguardi stupefatti degli altri 4, che reggevano ancora i loro boccali pieni fino all’orlo.

Quando George ebbe finito ci fu un attimo di silenzio, poi il ragazzo si era asciugato molto lentamente la schiuma dalle labbra con la manica della giacca violetta (giacca che John aveva cominciato a disertare apertamente, imitando Pete che si presentava sul palco in camicia, l’aria di chi è appena precipitato dalle nuvole, dicendo in un tono fin troppo dispiaciuto per poter risultare credibile che se la era dimenticata sul letto.)

“Allora?” chiesero Paul, John ,Pete e Stuart come un sol uomo.

“Allora…” disse George a voce bassa e guardandoli con aria inespressiva “…credo che..me ne farò un’altra!”

La frase di George era bastata per far seguire il suo esempio agli altri 4 (che nel frattempo si erano avventati sulla loro birra come un branco di cammelli assetati) e per quella sera, due giri di ghiacciata birra tedesca bastarono a tenerli su di morale. Ma, dalla sera seguente, la quantità di birre che i 5 si scolavano aumentò in maniera vertiginosa, rimpolpando le finanze del bar dell’Indra. L’inconveniente era che i 5 salivano sul palco sempre più barcollanti e confusi.

Gli altri capirono che, dopotutto, un giro di birra era più che sufficiente a dare lo stimolo necessario a suonare fino alle due, ma John doveva fare di testa sua ed era quello che rimaneva inevitabilmente sbronzo.

“Io reggo benissimo l’alcool!” sentenziava sbattendo il 5 boccale sul tavolo, come a rafforzare quanto detto, ma il risultato era che saliva sul palco sempre più barcollante, con la vista annebbiata e la stanchezza che si faceva sempre più pressante.

E quel pomeriggio la stanchezza era insolitamente più forte.

John si alzò, tenendosi la testa fra le mani: sentiva il mondo girargli intorno come una trottola impazzita e voleva urlargli di fermarsi.

“John? Tutto ok?” la voce di George sembrava essere sbucata dal nulla ed era stranamente rimbombante.

“No.” Ammise John stringendo gli occhi, nell’assurda convinzione che il mal di testa passasse in fretta, facendo così.

“Dove sono gli altri?” chiese John appoggiandosi al muro e reclinando la testa.

“Paul ha detto che andava a comprare qualcosa da mangiare, credo abbia lasciato un bigliettino. Stu e Pete non ho idea di dove siano: dicevano che sarebbero andati a fumarsi una cicca, ma non sono ancora tornati.”

John annuì appena, rimanendo con le braccia appoggiate al muro e la testa abbassata: gli veniva da vomitare.

George osservò il suo amico e chiuse con un sospiro la rivista che stava leggendo. “Credo che Paul sia preoccupato per te. Non mangi da tre giorni.” Osservò in tono preoccupato.

John trattenne il respiro e si appoggiò con più forza al muro gelido “3 giorni? “ pensò.

“Sono 3 giorni che non tocchi cibo. Bevi birra, ne bevi a litri..ma non hai mangiato nulla e, francamente, non so come tu faccia a restare in piedi su quel palco a sgolarti e a fare il matto, come fai tutte le notti.”

“Eh già..” gracchiò John “ Ho delle riserve che tu non immagini nemmeno, giovane Harrison.”

Ecco a cos’era dovuto quel mal di testa! Era a digiuno da 3 giorni e il suo stomaco reclamava attenzioni, dopo serate impegnative come l’ultima, e quella prima e quella ancora prima. Era da quasi un mese che si trovavano laggiù.

“Francamente..”continuò George lasciandosi cadere sul letto “non ho idea di come facciamo tutti noi a restare su quel palco. Siamo ridotti male.”

Aveva ragione: tutti loro erano stanchi morti, erano le ombre di loro stessi.

Paul aveva due occhiaie violacee che non passavano inosservate, Stuart e George sbadigliavano a tutte le ore ed avevano gli stomaci che brontolavano per il poco cibo che mangiavano e Pete aveva le dita ricoperte di garze nere  ricavate da alcuni stracci attaccate con lo scotch alla bell’e meglio, perché non avevano soldi da spendere in cerotti e disinfettanti.

La stanza sembrava rimpicciolire ogni giorno che passava, l’aria si faceva sempre più pesante e opprimente….e il risentimento per essere stati mandati a suonare in un buco era ancora forte, specie in John, che spesso borbottava a mezza voce contro Koschmider, Fischer, Reeperbahn, Amburgo, l’Universo, il genere umano e l’inventore delle sigarette.

“Buongiorno ragazzi Ho fatto la spesa!” la voce di Paul distolse John dai suoi pensieri. Il suo bassista era appena entrato nella stanza con una busta di tela sottobraccio. Paul aveva un aspetto terribile: era dimagrito in maniera impressionante e le occhiaie sembravano ancora più evidenti. Si era praticamente scartavetrato le dita a furia di premere sulle corde della chitarra a ritmi che nessuno di loro aveva mai creduto possibili.

Non a Liverpool, almeno.

Tuttavia, il lato positivo nelle nottate e nelle giornate di Paul era il fatto che lui si era già fato la ragazza fissa, una certa Elsie. Elsie lavorava in  un club là vicino e Paul aveva iniziato a chiacchierarci durante una sua “uscita notturna”.

 La sera dopo lei era venuta a sentirlo suonare all’Indra Club, la sera successiva dopo il turno di lavoro di Paul erano usciti insieme e si erano baciati sulle rive dell’Elba e la sera dopo se lo era portato a letto.

John non si curava troppo delle ragazze: era troppo stanco ed esausto per consolarsi in qualunque modo e, tanto per cambiare, sentiva la mancanza di Cynthia.

“Ho comprato panini con wurstel per tutti, sigarette per me e Pete, i biscotti per George e i cerotti per Pete. Non posso più vederlo con quei cosi che gli fasciano le dita.”

“Qualcuno ha parlato di cibo?” fecero la loro comparsa i due dispersi, che si misero a sedere vicono a Paul, osservando il contenuto della busta.

“5 marchi. Sono riuscito a rientrare in soli 5 marchi di spesa.” Disse Paul compiacendosi della propria abilità.

“Bravo Paul. Ora passa un panino.” Disse Stuart allungando le mani verso la busta. Avea una fame da lupi, le minestrine di pollo che riuscivano a rimediare in qualche locale aperto non bastavano minimamente a sostenerli.

“John, smetti di fare l’eremita e vieni a mangiare.” Sbottò Paul osservando John che si metteva la giacca e faceva per uscire “Onestamente mi stai facendo paura con quella tua faccia spiritata e siccome non voglio che tu stasera abbia un collasso per mancanza di cibo…siediti e mangia.”

John aveva sperato di poter uscire a prendere una boccata d’aria fresca: aveva visto pochissimo di Amburgo ed era curioso di scoprire come fosse fatta la città fuori dal quartiere a luci rosse.

 Voleva vedere quanto fosse diversa da Liverpool, quante cose avessero in comune. Voleva camminare fra la gente senza sentirsi indicato e scansato come a Liverpool, voleva vedere come ci si sente quando si assapora la libertà.

Ma seguì il consiglio di Paul e si sedette: dopotutto aveva fame e, chissà se quell’assillante mal di testa se ne sarebbe andato se avesse messo qualcosa sotto i denti.

Nessuno parlò mentre mangiavano, ma si vedeva che Paul aveva bisogno di dire qualcosa

“Ragazzi, dobbiamo fare un discorsetto.” Sentenziò non appena l’ultima briciola di biscotto fu ripulita dallo straccio che avevano usato per tovaglia.

“Stiamo cominciando a calare sul palco. Abbiamo dato fondo a tutti i pezzi rock che conosciamo ed il pubblico diventa sempre più esigente. Non possiamo riproporre la solita roba troppo spesso: se fossimo a Liverpool non mi importerebbe, ma ho paura di quello che potrebbe succederci. Tanto per cominciare, Koschmider potrebbe licenziarci. Va bene, so cosa state pensando: che siamo trattati come schiavi e che sarebbe una liberazione. Invece no, ragazzi: è un lavoro. Mal pagato, massacrante..ma pur sempre un lavoro. E dobbiamo tenercelo stretto, costi quel che costi. Non dobbiamo fare passi falsi….” E qui lo sguardo di Paul si posò per un attimo su George.

George stava lavorando abusivamente: era minorenne ed ai minorenni era vietato lavorare oltre le dieci di sera…e questo per quanto riguardava lavori in ambienti normali, privi di ballerine mezze nude. Figuriamoci se qualcuno avesse saputo che un minorenne lavorava fino a notte fonda in uno strip club!

“Capiamo benissimo il problema Paul..” lo interruppe John prendendo la parola. “ a dire la verità ci avevo pensato pure io. E avrei anche la soluzione già pronta.”

“Illuminaci.” Borbottò Pete, togliendosi le garze nere dalle dita con una smorfia.

“Assoli.” Disse semplicemente John incrociando le braccia.

I 4 lo guardarono senza capire.

Assoli. Triplichiamo il numero di assoli in una canzone. Prendiamo ad esempio “What i’d say” o “When the saints go marchin’in.”…” disse John contando sulla punta delle dita.

 “Fatte. Suonate fino alla noia.” Ribattè Paul scuotendo la testa.

“Era per fare un esempio. Credete che al pubblico importi della varietà finchè pestiamo duro come abbiamo sempre fatto? Io ho capito che tutto quello che il pubblico vuole è musica alta, musica che spacca i timpani. E noi gliela daremo. Ripeteremo gli assoli di una canzone anche 20 volte e la allungheremo all’inverosimile. Magari possiamo cambiare qualche nota, possiamo invertire l’ordine..che diamine se ne avremo bisogno ci inventeremo di sana pianta le parole.” Ci fu un breve silenzio “o meglio..io mi inventerò le parole. Mi riesce abbastanza facile..:” aggiunse John con un sorrisetto poco rassicurante.

“Poveri noi.” Commentò Paul alzando gli occhi al soffitto “allora si che siamo a posto. Ci manca solo che in “Love me tender” tu ti metta a parlare di dugonghi verdi o chissà cos’altro.”

“Ehi Macca! Mi hai dato un’idea “Love me tender” con i dugonghi verdi è geniale!”

Alla fine la discussione finì in un parapiglia generale, con John che aveva ripreso tutta la sua abituale verve ed il suo entusiasmo e snocciolava versi sconnessi ed assurdi sulle note di “Heart Break Hotel” e gli altri che contribuivano con altre trovate, mentre il sole calava lentamente lasciando il posto ad un'altra nottata di musica all’Indra Club. Solo che quella serata avrebbe preso una piega diversa per John.

 

Penny Lane:

Ta daaan! Rieccomi qui a tediarvi aggiornare questa storia che era finita nel dimenticatoio. A dire la verità avevo metà capitolo scritto da Ottobre circa, ma non riuscivo a concluderlo. Con la scuola e i casini che si legano irrimediabilmente ad essa non ho più avuto tempo per mettermi alla scrivania e concludere…,ma grazie alle feste alla fine ce l’ho fatta. (anche se è un capitolo un po brutto e piatto…non succede nulla di eclatante)

 e conto di poter aggiornare anche le altre storie.

Ma..passiamo ai ringraziamenti.

Grazie anche a chi ha soltanto letto, al prossimo capitolo!!!

 

 

 

 

 

 

This Web Page Created with PageBreeze Free HTML Editor

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Beatles / Vai alla pagina dell'autore: Ariadne_Bigsby