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Autore: Herit    04/01/2011    3 recensioni
In una Midgar troppo sporca e macchiata dalla piaga della droga vive Cloud. Poliziotto che non fa altro che sopravvivere senza combattere o affrontare quelli che sono i fantasmi del suo passato. Nella stessa Midgar c'è una ragazza, Tifa, che l'aspetta paziente da troppo, troppo tempo, ma che non ha il coraggio di lasciarlo andare. Due persone tanto vicine da risultare tremendamente distante. E quando Tifa viene rapita, lui è costretto a fare i conti con il passato, con il presente, ed anche con il suo futuro.
Dal racconto:Vive da solo. Un fantasma di se stesso e di quello che era stato. La vita frantumata a soli ventitré anni. O per lo meno così si sente. Preda di sensi di colpa non suoi. Per cose che lui non ha fatto. Ed è forse per questo che si ritiene ancora più responsabile. [...] Con il braccio che non sorregge Denzel va ad avvolgere il collo del biondino, costringendolo a posare il capo chino sulla sua spalla. Lo stesso capo contro il quale lei appoggia il proprio. -Profumi di gigli. Sei stato alla chiesa.- Non è una domanda, quella della ragazza, ma una semplice constatazione. Lui la lascia fare. Gli piace quel contatto.
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cloud Strife, Denzel, Marlene Wallace, Sephiroth, Tifa Lockheart
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Track 3. Sliping Through My Fingers

Dreams I've Never Confessed


Era mattina presto. Quel giorno Zack aveva deciso di dormire da Claud. Non era strano, tutt'altro: solitamente i SOLDIER provenivano da diverse parti del paese e quindi venivano smistati in vari appartamenti che condividevano con colleghi e compagni di squadra. Non era un caso quindi, che la mansarda dove abitava il biondino, fosse anche quella dove avrebbe dovuto vivere il moro. Moro che da un po' di tempo a quella parte, però, aveva preso a frequentare assiduamente la casa di Aerith. Alla fine erano sul punto di sposarsi, che c'era di male?


Lui è lì, in piedi, accanto ad una delle panche rimaste integre dopo uno degli ultimi scontri avvenuti in quella cattedrale e che l'hanno ridotta ad un cumulo di macerie di cui solo poco è rimasto in piedi. Lì, fermo immobile. Il capo chino e gli occhi chiusi, come se solo quello basti a portarli indietro. A riportarli da lui. Respira piano, impercettibilmente, tanto che se entrasse qualcuno potrebbe prenderlo per un manichino lasciato là da qualche teppistello di strada pronto a far marachelle. E' qualcosa di abituale, ormai. Il suo modo di cominciare la giornata e trovare un po' di pace. Non l'avrebbero mai perdonato, ne era certo. Ma soprattutto, non si sarebbe mai perdonato lui.


-Cloud! Cloud! Vieni, ho bisogno di parlarti-. Era mattina presto, e Zack aveva pensato bene di svegliarlo con i suoi modi un poco bruschi, ma solitamente efficaci dopo che lui era riuscito a dormire sì e no un paio d'ore. Lo stava scuotendo senza troppa forza dopo averlo afferrato per una spalla. Era posato a carponi sopra il suo letto, completamente vestito, seppure i suoi capelli fossero ancora disordinati, come chi si è rigirato tutta la notte contro il cuscino senza in realtà aver chiuso occhio. Gli aveva mugugnato dietro qualcosa come: “Lasciami in pace... Tifa non te la do”, suscitando una sonora risata da parte del moro. Risata che aveva avuto il potere di strappare completamente il giovane Strife dalle braccia amorevoli di Morfeo. Lo stesso Strife che, dopo aver fatto mente locale ed essersi reso conto di che cosa gli aveva appena detto, si era rigirato sotto le coperte, sprofondando in esse. Complessato come qualsiasi buon adolescente con le sue sane beghe mentali. Solo che Cloud Strife non era più esattamente un adolescente. Due giorni dopo sarebbe ufficialmente divenuto maggiorenne. Un grugnito suggerì al SOLDIER che finalmente era riuscito ad ottenere l'attenzione del collega.

-Gliel'ho chiesto, Cloud. Le ho chiesto di sposarmi!- Entusiasmo. Quell'entusiasmo che lui non avrebbe mai avuto. Zack gli aveva praticamente urlato contro quelle parole in un impeto di euforia che lui probabilmente non avrebbe mai capito, né potuto sperimentare. O almeno di questo era convinto.

Indugiò per qualche istante, riemergendo da sotto le coperte, prima di osservare il moro che in quel momento doveva avere la testa su un altro pianeta, appartenente ad un altro sistema solare, e con tutta certezza ad una dimensione parallela. Non era strano vedere il First Class Soldier stralunato. Un tipo alla buona, decisamente più spontaneo ed amichevole di lui. Ma in quel momento lo era fin troppo. Evidente fosse al settimo cielo. Era per la banalità della domanda che sarebbe seguita che il biondino si stava trattenendo dal porgliela lasciando le labbra dischiuse ad incamerare aria, rizzandosi lentamente a sedere contro la testiera del letto ed il muro che si trovava alla sua destra, schiacciandosi contro a questo..


Stringe nella mano le chiavi della Fenrir. Un tocco gentile, tutto sommato. Completamente differente da quello con cui impugna la spada e la pistola. Si spinge avanti di un paio di passi, andandosi a sedere poi innanzi a quello spiazzo di terra coltivato a gigli. In quei tre anni erano morti e rinati ad ogni ciclo senza che nessuno se ne prendesse cura. O almeno di questo è sempre stato convinto. Probabilmente non si è mai accorto di quella tacita figura che di quando in quando entrava nella chiesa ad innaffiarli nei giorni troppo caldi o a proteggerli quando la pioggia era troppo battente ed il vento rischiava di spazzarli via.

Stringe il portachiavi con leggerezza, lasciando che due anelli si incontrino tra loro provocando un fine suono metallico. L'unico suono che riempie l'ambiente, in quel momento.


-E... e lei..?- Si era ritrovato a chiedere mostrando un'espressione forse poco convinta in quella dimostrazione di curiosità che sicuramente non era da Cloud Strife, ma che in quel momento era d'obbligo. Almeno nei confronti dell'amico. Questi tornò a posare i piedi per terra, abbandonando quella dimensione parallela nella quale si era tuffato, mostrandogli un sorrisetto ruffiano. Di chi sapeva bene di aver vinto un premio. Un premio speciale. E a quel pensiero sorrise con gentilezza, per poi lasciarsi ricadere all'indietro, andandosi a stendere sul letto del collega con le braccia incrociate dietro il capo, soddisfatto di essere riuscito addirittura a strappare due parole di senso compiuto dalla bocca del futuro poliziotto.

-Ha accettato.- Ammise con l'espressione di chi in quel momento è in pace con il mondo. Di nuovo silenzio. Di nuovo la quiete, ma per una volta fu Cloud a spezzarla, distaccandosi dal muro, così da poter osservare meglio il volto dell'altro, visto che questi era steso con il capo rivolto verso i piedi del letto.

-Complimenti.- Basso il tono del giovane. Ingentilito, in qualche modo, da una sorta di complicità con l'altro ragazzo. Era da settimane, se non mesi che continuava ad assillarlo con quel discorso. Voleva davvero sposarla e Cloud aveva avuto modo di rendersi conto che parteggiava per il collega e che davvero sperava che Aerith gli rispondesse positivamente. Uscì pigramente dal letto. Ormai era sveglio: tanto valeva alzarsi per preparare la colazione. Presto sarebbero dovuti partire per proseguire un'indagine.


Sono due fedine d'oro. Sembrano piccole spirali bianche, gialle e rosse. Tre tonalità del medesimo metallo. Sono particolari. Quando riapre gli occhi è su quelle che va a posare lo sguardo per qualche istante. Non si dilunga troppo, come se non riuscisse a sostenerne la vista. Prega. Prega in silenzio. Non prega delle divinità, però. No. Lui prega solo perché vuol essere perdonato. Lo fa tornando ad occhi socchiusi. Lo fa osservando quelle due fedi che non adornano le dita che dovrebbero. Lo fa vicino a quei fiori. Lì, dove solo tre anni prima avrebbe dovuto avvenire la cerimonia. Lo fa a capo chino, quasi attenda che la falce della Nera signora cali anche sul suo corpo a prendersi anche la sua, di vita.

-Ho promesso di vivere anche per te. Ma non riesco a portare sulle mie spalle il peso di tre vite.- Snocciola lentamente quelle parole, come se gli costasse fatica il fatto di farle susseguire le une alle altre. Alza gli occhi verso quel cielo coperto da una leggera foschia causata dalle fabbriche e dall'umidità insita nell'aria. Tanto che anche la luce del sole arriva ovattata ed attutita. Nuvole nere che invece si dispiegano all'orizzonte.


-Vorremmo che foste tu e Tifa i testimoni. E anche...- Era strano sentire Zack titubare davanti a qualcuno. Era strano vederlo incerto davanti a qualcosa. Specie perché alla fine stava parlando con lui. Da quando si faceva problemi a parlargli? Cloud l'osservò senza capire il prosieguo del discorso. Si limitava a fissare il collega dall'altra parte del tavolo con una fetta di pane mezza mangiucchiata in bocca. Già allora mangiava senza voglia, solo perché altrimenti sarebbe cascato a terra come un frutto maturo a metà giornata.

-Nh?- Un suono nasale emesso giusto per fargli capire che, nonostante la svogliatezza con cui stava affrontando la colazione, lo stava ascoltando. Era insolito vedere Zack giocare con i cereali inzuppati nel latte anziché finirli in un lampo per poi agguantarlo per la collottola che lui non aveva nemmeno finito di mangiare, e fiondarsi di corsa al 7th Heaven poco distante dal loro appartamento per farsi un caffè prima dell'inizio del loro turno di pattuglia.

-Vorremmo che faceste da padrini ai bambini.- La voce incrinata dall'emozione. Era palpabile lo stupore che albergava nella stanza. Tanto che se avessero potuto l'avrebbero tagliato con un grissino. Il coltello sarebbe stato un'esagerazione: troppo affilato. Quella fu la prima volta in cui Fair vide Cloud a bocca aperta, tanto che la fetta di pane gli cadde direttamente dentro il bicchiere con la spremuta di limone. Sì, perché tra tutte le cose anomale che caratterizzavano il giovane Strife, c'era anche una passione particolare per la spremuta di limone. Per lo meno da un po' di tempo a quella parte.

-Padrini... ai... bambini?- Ripeté quelle parole tra un eccesso di tosse ed un altro. Imbarazzato, forse. Stupito. Sconvolto. Scene che probabilmente non avrebbero più visto la luce. E Zack sorrise divertito all'amico, annuendo. Sarebbe divenuto padre e lui stesso stentava a crederci.


Claud si gira verso la porta e poco a poco si dirige nuovamente all'esterno. E' in ritardo, ma non par badarci più di tanto. Anche il fatto di andare a lavorare, ormai è solo una questione di abitudine. Lo fa perché deve, ma nulla l'invoglia più a metterci la passione di quando andava a caccia di malviventi assieme a Zack e Sephiroth. Tocca la porta di legno con la devozione di chi si trova di fronte ad una reliquia dal valore inestimabile. Ed è con lentezza che abbandona la chiesa. Anche in questa mattina che si presenta più uggiosa delle altre. Una lentezza che però lascia presto passo alla velocità. Così come il silenzio lascia spazio al rombo del motore di una moto. La Fenrir parte e lui si lascia dietro la piccola cattedrale, ma non quei ricordi che continuano a bruciargli l'anima.

   
 
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