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Autore: Isangel    05/01/2011    9 recensioni
Un matrimonio combinato. Un odio profondo. Un amore dissoluto.
Sicilia, seconda metà dell’Ottocento. Marianna è una contadina ventenne allegra e impavida, amata da tutti gli abitanti di Santoro, il villaggio in cui è nata e cresciuta. Orfana di madre da quando aveva dodici anni, Marianna vive con il padre vedovo e lavora nei campi con la madrina Pinuzza, moglie del pescatore Calogero, e sua figlia quattordicenne, Tiziana.
L’arrivo inaspettato di don Pietro Ripamonti, il nuovo padrone delle terre su cui si estende il paese dalla morte del padre, getta nello scompiglio la sua vita. Il villaggio è sotto le tormentose angherie dei suoi cortigiani e l’unico modo per calmare le acque è offrire uno sposalizio. Essendo l’unica donna nubile del quartiere, Marianna si sacrifica per sposare il giovane e dissoluto conte.
Pietro è più che felice di accettare Marianna come sua sposa, avendole già messo gli occhi addosso.
L’odio che la ragazza nutre per il marito oscura completamente il desiderio che lui prova sin dall’inizio. I rapporti tra i due sono tesi e complicati: lui, dominatore stoico e deciso, non riesce a sottometterla e lei, fiera e indipendente, non ha intenzione di lasciarsi calpestare.
Solo quando entrambi abbasseranno l’ascia di guerra, a bordo di una barca sul mare sotto il cielo di luglio, le prospettive cominciano a cambiare.
Pietro vede Marianna come la sua unica donna, la sola per cui nutre un rispetto profondo e sincero. Marianna comprende più che mai che quello che riteneva il demonio in terra è una persona con un cuore, sepolto dall’antico dolore per la morte dell’amata sorella, Laura.
Entrambi si amano appassionatamente, in un amore senza veci e denso di possessione urticante e bruciante. Un amore malato che sarà diviso da un’imminente tragedia, in cui Pietro vede la sua unica donna nelle vesti di un angelo paradisiaco. E quando tutto finisce, entrambi capiscono ciò che da molto tempo temono.
Perché non è difficile lasciarsi incantare dai dolci occhi di Marianna, celesti come il cielo di luglio.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
Capitoli:
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Come il cielo di luglio

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7.

Marianna Ripamonti fa amicizia con la servitù e Clementina Pagliarini.

In una notte insonne, Pietro confessa a Marianna il desiderio malsano che nutre per lei.

 

La situazione restò invariata per un’altra settimana. Marianna, impotente, non poteva far altro che obbedire a suo marito, sottomettersi a lui per farlo godere. Era un triste destino, un amara verità. Ma sapeva che non poteva ribellarsi, o quel bastardo avrebbe fatto di tutto per farla pentire.

Pietro, invece, non si era mai sentito così bene. Si sentiva un dominatore. Non solo era riuscito a ottenere il bellissimo ed eccitante corpo di Marianna, ma era riuscito ad ammansirla, cosa certamente non da poco. Non aveva mai considerato l’idea che il suo espediente fosse decisamente indecoroso per un tipo onesto come lui. Sembrava che l’opinione negativa degli abitanti di Santoro lo avesse influenzato.

Erano passate solamente due settimane dal loro matrimonio, e l’odio che i contadini gli covavano si era trasformato ben presto in rancore. Se tutti avevano detestato quel demonio di Stefano Ripamonti, suo figlio non era da meno. Di certo, un gentiluomo non avrebbe preteso uno sposalizio con una donna bella e buona che non si meritava.

La frustrazione che Pietro provava durante la giornata la sfogava alla sera, nel letto di Marianna. Il rapporto era veloce e brutale, ma molto appagante. Marianna spesso intavolava una lunga litania dentro di sé affinché la smettesse presto con quella follia. Si addormentavano spesso insieme, stanchi per la fatica dell’accoppiamento. Solo una volta Marianna si era risvegliata tra le braccia di Pietro e non si era nemmeno spiegata come ci fosse finita lì. Infatti, non appena realizzò la cosa, si scostò violentemente da lui, come se fosse infetto di una grave e rischiosa malattia.

Nonostante la notte fosse riservata al sesso, i loro rapporti non migliorarono affatto. Marianna evitava di parlargli ogni volta che poteva e, quando era costretta, rasentava la maleducazione. Pietro era troppo occupato per accorgersi delle stizze della donna. Le rendite si erano fortunatamente alzate di colpo e Pietro era consapevole che il suo sposalizio era stato un affare. Sembrava che tutti, per essere solidali con Marianna, si impegnassero di più. Chissà perché, quel pensiero gli contorse le viscere. Non seppe definire nemmeno lui quello strano sentimento e non volle nemmeno tentarci.

 

* * *

 

Nei momenti in cui Pietro era fuori casa, Marianna socializzava con la servitù. Da ingenua contadina qual era non immaginava di certo che per una signora avventurarsi nelle cucine fosse sconveniente, e rimase alquanto scettica alle occhiate stupefatte dei servitori. Era rimasta seriamente colpita dal tono rispettoso che utilizzavano con lei, addirittura la chiamavano Voscenza. Marianna non si era mai sentita così a disagio. Lei, una misera contadina, non si sarebbe mai sognata un atteggiamento così servile.

Si era fortemente decisa che non si sarebbe pianta addosso per quella situazione. Equivaleva darla vinta a Ripamonti e non era il suo caso. La freddezza e l’accondiscendenza a letto erano gli unici rimedi per tenergli testa.

Marianna imparò a conoscere con pazienza tutti servi, delle persone così squisite e gentili da toccarle l’anima. Si affezionò in particolar modo a Clementina Pagliarini, un’attiva e vitale quarantenne che le ricordava moltissimo Pinuzza.

Chiese spesso a Clementina se avessero capito che lei fosse una popolana. “Voscenza, si. Anzi, io vi ammiro. Ero a potare le piante quando voi tornaste tutta infuriata dalla passeggiata. Non ho mai visto nessuno in quasi un mese di permanenza far infuriare così tanto il padrone”

Le labbra rosee e piene di Marianna persero il loro sorriso. “Ripamonti è un gran figlio di…”

“E anche dal vostro linguaggio, direi. Ma siete tanto buona e cara che si può sorpassare a questo”, l’aveva presto interrotta Clementina, prima che Marianna avesse potuto insultare in qualche modo la defunta madre del padrone.  

Marianna passò le sue giornate in cucina a parlare con Clementina e a dare una mano ai fornelli. Per la prima volta, si sentì a proprio agio in quel palazzo. Era utile tornare a fare qualcosa che sapeva fare abbastanza bene. Progettò parecchie volte di versare del veleno per topi nei piatti di Pietro, ma si trattenne.

“Voscenza, vi assicuro che passerà tutto. Ho cambiato le lenzuola del vostro letto e…”. Clementina si interruppe, temendo di aver detto troppo.  

Marianna sospirò alle sue parole, ma non rispose.

 

* * *

 

Quando Marianna si risvegliò tutta sudaticcia e umida nel letto, una grande fame le attanagliò lo stomaco. Finora aveva sperimentato che fare sesso metteva un grande appetito, soprattutto con la grande passione che Pietro le riservava.

Arrossì e si maledisse per quei pensieri impuri. Si voltò nel letto, ma Pietro, stranamente non c’era. Si strinse nelle spalle e sorrise. Tanto meglio non doverlo vedere. Scivolò dal letto, recuperò la sua camicia da notte e si recò in cucina.

Tuttavia, non appena entrò nella stanza, vide un’ombra muoversi di soppiatto e cacciò un urlo. Il grido divenne più acuto quando riconobbe la misteriosa figura.

“Oh, Dio! Che ci fai qui? Mi hai fatto paura!”, strillò, vagamente isterica. Si portò una mano al cuore, ansimante. 

“Shhh!”, le intimò Pietro, gli occhi nocciola seri.

Marianna, ripresasi dallo spavento, si indignò. “Non mi fare shhh!”

“Taci, Marianna, altrimenti sveglierai tutti”, sbottò Pietro con la sua voce profonda, staccandosi dal ripiano e avvicinandosi a lei.

“Che cosa ci fai qui? Non credevo fosse posto adatto a tia”, replicò, acida, mantenendo la sua solita posizione fredda.

“Non riuscivo a dormire”, disse semplicemente Pietro, alzando le spalle.

Gli occhi celesti di Marianna, resi più scuri dal buio della stanza, si assottigliarono. “Strano. Non sono stata abbastanza brava e soddisfacente stanotte?”

Pietro sbuffò, ironico. “Non scherzare, Marianna”

“Mi ero dimenticata di quanto fosti odioso”

“Verrà il giorno in cui perderò la pazienza…”, la minacciò lui, cominciando a scaldarsi. 

“Continua pure a minacciare a destra e a manca, tanto non mi fai paura”. Marianna non voleva saperne di contenersi.

“Riuscirò a dominarti, Marianna, arriverà il giorno in cui riuscirò…”, promise Pietro, in un tono decisamente inquietante e iroso.

“Aspetta e spera, allora. A meno che non passi ai ricatti”, lo punzecchiò lei, facendo una smorfia.

“É stato necessario”, replicò lui, come se fosse una cosa del tutto naturale ricattare la gente per ricevere dei favori in cambio.

Marianna non rispose, altrimenti lo avrebbe accoltellato. Pur di ignorarlo, cominciò a passare in rassegna la cucina, alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti. Trovò un pezzo di pane e, fingendo di non vedere il marito, si accomodò sullo sgabello e iniziò a mangiare. Pietro la imitò, sedendosi sulla panca di fronte a lei, il tavolo come divisorio.

Marianna continuava piluccare la mollica, cercando di non far caso all’occhiata di fuoco che Pietro le rivolgeva.  

“Domani non esci?”
L’improvvisa domanda di Pietro, assolutamente semplice e civile, la colse di sorpresa. “No, perché?”

“Te ne stai sempre in casa”, constatò lui, versandosi un bicchiere di vino.

“E allora? Tanto te nemmeno vorresti”

“Era solo una domanda”

Marianna si strinse nelle spalle. “Mi diverto”

Pietro ridacchiò, facendola sobbalzare. “Tu? Qui in casa da sola? Proprio no”

“Ma se neanche mi conosci!”, sbottò.

“Non dire bugie, Marianna”

“Non devo stare qui a dirti che faccio durante il giorno. E io cosa dovrei dire a te, che qui non ci sei mai?”, domandò lei, retorica.

Pietro fissò le iridi scure nelle sue celesti, catturandole lo sguardo. “Vado in giro per il paese, per controllare com’è l’andamento del lavoro. È molto migliorato da quando ci siamo sposati”, buttò lì.

“Chissà come mai”, borbottò Marianna, ironica.

Pietro non ci vide più. Nonostante lui cercasse di conoscerla più a fondo, lei resisteva. Non aveva mai conosciuto una donna più testarda di lei. Forse Laura, ma cercò di non rammentarla. “Puoi smettere per una volta di fare l’acida e cercare di essere carina?”

“Mi sembra una cosa assolutamente insensata. Come potrei essere carina con la persona che meno mi rispetta al mondo?”, strillò lei, ora seriamente arrabbiata. Batté il pugno sul tavolo, molto eloquentemente.

“Non mi sembra che ti manchi qualcosa”, replicò Pietro, non meno irato di lei.

“Cos…? Sei un demonio, una bestia! Come puoi dirmi una cosa del genere? Va bene, con il nostro matrimonio sono una signora, ho gioielli, abiti e tutto. Ma non ho amore. Mi sento sola. E ho un uomo che mi scopa e basta!”

All’ultima frase, Pietro impallidì. Ma si riprese in un attimo. “Non ti permetto di parlarmi in questo modo!”

“Non è così, d’altronde? Dimmi di no, Pietro. Illuminami”, sputò, scettica.

Pietro non rispose. Si limitò a studiarla attentamente, i pugni serrati tremanti. Lo faceva uscire di testa. Non solo per la passione fisica che provava per lei, ma per la sua arroganza.

Marianna balzò in piedi, tutti i muscoli tesi al massimo. “Visto? Per te non sono altro che una puttana da scopare alla sera, così, per appagarti. Per te non sono niente. Ci siamo sposati per niente!”

Pietro si alzò, accostandosele pericolosamente. Sperò di incuterle un po’ di timore, ma lei non si ritrasse minimamente. “É questo quello che vuoi dire, Marianna? Che per te salvare la tua gente è stato inutile?”

“Se tu fossi un signore come si dovrebbe, niente di tutto questo sarebbe stato necessario”

“Sei un ingrata! Con tutte le donne che avrei potuto sposare… dovresti ringraziarmi”

“Per cosa, Pietro? Per cosa? Dimmelo!”

Non ce la fece più. Marianna fu stretta in un abbraccio furioso e passionale, trovandosi la bocca calda e morbida di Pietro sulla sua. Le sue labbra si muovevano sulle sue, la lingua che le tracciava sensualmente il contorno delle labbra. Marianna non riuscì minimamente a muoversi, tanto era lo stupore. Non capiva assolutamente niente, e questo la turbava.

D’altronde, lei non aveva mai conosciuto il desiderio. Nemmeno facendo sesso, perché solo di quello si trattava, con suo marito. Non avevano mai fatto nulla insieme. Per lui, lei non era nient’altro che una bambola viva, accondiscendente e passiva.  

Pietro si staccò ansimante, le mani saldamente ancorate alle spalle di Marianna. La trasse più vicino a sé, passionale, schiavo dei suoi stessi sentimenti. Per arrivare alla sua altezza, le si inginocchiò di fronte, trascinandola con sé sul pavimento rustico della cucina. Marianna non disse nulla, né desistette. Non aveva mai visto Pietro così stravolto. Mai. Si era ripromessa che non avrebbe mai indagato sulla sua persona, perché niente di lui le sarebbe interessato. Ma ora era tutto diverso. La sua naturale indole buona le suggerì di afferrargli il viso e di accarezzarlo. Non importava che fosse l’uomo che odiava più di ogni altra cosa al mondo. In quell’attimo, erano solo Pietro e Marianna. 

“Per questo”, sussurrò sconnesso Pietro, il viso nascosto nell’incavo del suo collo. Glielo baciò, aspirandone il profumo. “Ma non sono stato io a ordinare di obbligarti per sposarmi. Immaginavo che in un paesino del genere tu fossi una tra le poche donne nubili. Speravo che fossi tu la mia sposa. Ti ho vista la sera della festa, mentre danzavi. Eri una dea. Sei una dea. Ti ho desiderata per tanto, troppo tempo. E ti volevo tutta per me, perché non sopportavo che qualsiasi altro uomo potesse averti già toccata. Io ti desidero, Marianna, ti voglio. Sei il mio tormento. E possederti, mi manda in gloria divina… in paradiso…”. Ansimò, la voce rotta dalla sua debolezza. Si vergognava di aver detto così tanto, di essersi esposto troppo.
Marianna per un istante non fiatò. Finché non collegò immediatamente le sue parole.

Lui l’aveva vista ballare alla festa del raccolto. Sapeva che era nubile, e aveva sperato che fosse lei a offrirsi per lo sposalizio. In caso contrario, l’avrebbe sempre cercata.

L’aveva sposata solo perché la desiderava. Per possederla, per offrirsi il piacere assoluto dei sensi.

L’aveva sposata solamente per compiacersi. Per se stesso. A lei, a suo padre, a tutti gli altri, non aveva mai pensato. Aveva assecondato solamente le sue passioni e i suoi insani desideri. Era un demonio. 

Marianna, per quanto la mole di Pietro glielo permise, lo spinse via. Gli occhi erano colmi di lacrime represse e le mani le tremavano.

Pietro rimase così, inginocchiato, il volto inespressivo.

“Io ti odio! Ti odio! Sei l’ultimo uomo sulla terra che avrei mai potuto sposare!”, gridò, con disprezzo.

Corse via dalla cucina, non voltandosi mai indietro. Nonostante fosse inutile, si rinchiuse nella sua stanza, e pianse per tutta la notte.

Da quella sera, Pietro non toccò più Marianna con un dito.

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Ciao a tutti! Eccomi qui ad aggiornare.

Allora, inizio con il dire che questo è uno dei capitoli chiave della storia, pieno di avvenimenti. Troppo surreale? Io non credo. Troppo presto? Forse, ma, d’altronde, i sentimenti non sono programmati.

Non saprei cosa aggiungere, se non che sono stati i miei personaggi a suggerirmi che sarebbe andata così, fin dall’inizio. Pietro è freddo, scostante, ma nasconde una grande passionalità. E di solito, quando si ha un così alto grado di sentimento, non si riesce più a trattenerlo. Perciò lui ha buttato fuori tutto, vergognandosi magari delle sue confessioni insane, ma incapace di fare altrimenti.

E poi, che dire? La reazione di Marianna è del tutto lecita. Attenzione, Pietro non ha ancora capito di aver sbagliato. Insomma, è una bella testa dura, ma, credetemi, rifletterà molto sulla situazione. Aspetto i vostri commenti, sperando di non avervi deluso!

Ringrazio tutte le persone che hanno commentato e inserito questa storia nelle preferite, nelle seguite e nelle ricordate. Grazie per i meravigliosi complimenti, davvero. Grazie anche a tutti quelli che, dopo aver letto questo capitolo, avranno la santa pazienza di leggere questo delirio.

  
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