Popolo mcflyano, invoco il vostro perdono. Prima Natale, poi il veglione di Capodanno, infine la Befana... senza contare gli esami universitari che avrò a breve! Sono stata sommersa da baci del parentado, spumante, dolci, brindisi e tutto il corredo immancabile ad ogni festività! Ma adesso sono qui, sono tornata con uno dei miei capitoloni da lametta (li odio, ve lo giuro). Chissà quanto li apprezzerete! Magari molto, se vi è rimasto un pò di spumante che scorre nelle vene ;)! Fatemi sapere!
Un bacio a tutti
Ciry
***
Si incontrarono
davanti ad un tè freddo e ad un whiskey.
Cassie non
poteva sapere che lui non lo beveva quasi mai, perché non gli piaceva il suo
strano sapore amaro di alcool quasi “affumicato”.
Ma era qualcosa
di forte, ne aveva bisogno, la birra non sarebbe bastata in quel momento. Forse
più tardi, a casa…
“Scusami, è che…
mi sento ancora… frastornato…” si scusò in preda ad un triste imbarazzo mentre
evitava di guardarla.
“E’ successo
qualcosa con i ragazzi? Avete litigato?” chiese la ragazza in tono apprensivo.
“No, no, loro…
sono coinvolti, ma non sono responsabili di niente, alla fine…”
“Che vuoi dire?
Siete nei guai con il lavoro, ti hanno detto qualcosa…?”
“No, il lavoro è
a posto…”
Cassie allungò
una mano verso la sua, stretta intorno al bicchiere, e domandò cautamente: “…
Clarissa?”
Quel momento
strano e sereno scivolò via per lasciar subentrare il malessere subito dopo:
una marea di immagini di lei si rovesciarono nel suo cervello, compresa
l’ultima in ordine cronologico, quella che più di tutte avrebbe voluto
dimenticare all’istante.
Clarissa sotto
la pioggia nel suo specchietto retrovisore, in lacrime e urlante mentre correva
dietro al suo SUV.
Avrebbe potuto
risultare imbarazzante come immagine, se solo non fosse stata la sua ragazza.
Difatti era
un’immagine terribile. Quasi inconcepibile, tanto l’ atterriva.
“Sì…” replicò il
chitarrista a bassa voce, con un nodo in gola “Io e Clarissa ci siamo
lasciati.”
Cassie si morse
il labbro inferiore con un’espressione contrita prontamente stampata in faccia.
“Non ci posso
credere!” esclamò con un filo di voce, simulando incredulità “Ma come… come è
possibile? È successo così, da un giorno a un altro?”
Danny annuì e
bevve un sorso di whiskey.
“Sì” ammise, il
volto impietrito dalla collera mista alla tristezza “E’ buffo, ma è andata
proprio così…”
“Ti andrebbe, non
so… di parlarne?” osò l’altra “Se hai bisogno di uno sfogo, io ho tutto il
tempo del mondo...”
Il ragazzo le
rivolse un sorriso sincero, anche se spento, e si schiarì la voce prima di
iniziare a raccontare tutte le cose che Cassie già sapeva fin troppo bene.
~~~
Dopo aver
lasciato l’ospedale, Clarissa era tornata verso casa con i ragazzi per poi
restare nell’auto di Tom, parcheggiata a pochi metri dall’appartamento; aveva
fornito a Harry e Dougie una veloce ma completa lista di tutte le cose che avrebbe
dovuto portare via e i due amici avevano promesso di portarle tutto il
necessario in giornata.
“Adesso pensa a
riposare un po’, ok?” le consigliò Dougie dal marciapiede, mentre la ragazza
tentava di sorridergli al di là del finestrino abbassato, dal sedile del
passeggero.
Il bassista le
accarezzò una guancia, impietosito, e la salutò dicendole: “Si sistemerà tutto.
Datevi solo un po’ di tempo. A stasera…”
Clarissa agitò
una mano per dirgli “Ciao” e si trattenne dal scuotere negativamente il capo:
avrebbe soltanto fatto intestardire ulteriormente il suo amico.
Harry e Tom
suonarono alla porta, nessuno aprì.
“La sua macchina
non c’è, credo sia ancora… fuori…” ipotizzò il batterista “Forse Clarissa ha le
chiavi…”
“Dovremmo…
chiedergliele…” concluse il collega, preoccupato.
L’altro sospirò
e concluse: “Lo faccio io…”.
Raggiunse Dougie
e Clarissa e si rivolse alla ragazza, armato di tutta la delicatezza di cui era
capace: “Claire… Non avresti le chiavi di casa? In casa non c’è nessuno e…”
In un gesto
stanco e lento ricevette il mazzo adornato da un pupazzetto di gomma.
“Quelle del
portone sono la più grande e poi quella colorata di blu” lo avvertì
inespressiva.
Harry annuì e
preferì non aggiungere altro; si limitò ad invitare Dougie a seguirlo con un
cenno. Il bassista allora salutò l’amica con un gesto della mano a cui lei
rispose con un sorriso forzato.
Mentre alzava il
finestrino, Tom tornò a sedersi al posto di guida.
“Claire?” la
chiamò a bassa voce.
“Mh?”
Si voltò a
guardarlo e lui non le disse niente, le sorrise soltanto.
Tentò di
rispondere con un altro sorriso, ma proprio quando stava per riuscirci un
singhiozzo le invase la gola, uscì soffocato e la costrinse a coprirsi il viso
con le mani un’ennesima volta, per non farsi vedere di nuovo in lacrime.
Il chitarrista
piegò gli angoli della bocca in giù e le passò gentilmente una mano sul
ginocchio destro, tentando di consolarla.
“Non ci vorrà
molto, ok? Dieci minuti e saremo arrivati…” la rassicurò, sperando che lo
stesse ascoltando in mezzo ai propri singulti.
“Claire… Tesoro,
entra!”
Giovanna la strinse
a sé come una mamma con la propria figlia.
Clarissa chiuse
gli occhi rossi e pizzicanti e si abbandonò all’abbraccio, cingendo debolmente
a sua volta la schiena della moglie di Tom, rincuorato e ottimista dietro di
lei.
“Ehi, che ne
dici di un bagno caldo? Ti ho preparato la vasca di sopra, perché non vai a
rilassarti un po’?” le propose gentilmente la ragazza dopo averle tolto il
cappotto.
Gettando
un’occhiata alle scale, il chitarrista le fece notare: “Si è fatta male alla
caviglia, non dovrebbe fare troppi sforzi!”
“Oddio, e
adesso?” si chiese Giovanna.
“Non importa”
intervenne la loro ospite, zoppicando verso il primo gradino “Mi appoggio al
muro e sposto il peso sull’altra gamba, Tom, non è un problema…”
“Aspetta, vengo
con te!” le andò dietro l’altra.
“Ma non ce n’è
bisogno…” si oppose la ragazza.
“Claire, per
favore…” la persuase Tom, paziente.
La sua migliore
amica si arrese con un sospiro rassegnato e lasciò che Giovanna la prendesse
sottobraccio mentre insieme salivano verso il bagno.
“Qui ci sono gli
asciugamani, te li lascio sulla sedia…”
“Grazie, Gi… Non
c’era bisogno di-“
“Se vuoi lavarti
anche i capelli, il phon è nello sportello in basso a sinistra. Ok?”
Giovanna spostò
lo sguardo su di lei.
Si guardarono,
confuse. Clarissa non diceva niente.
“Pensi… pensi di
lavarteli?” chiese timidamente l’altra, conciliante.
La ragazza si
portò una mano alla testa, le dita si infilarono tra le ciocche bionde umide e
appiccicaticce a causa della lacca.
Una veloce
occhiata allo specchio le mostrò il proprio riflesso.
I residui del
trucco erano colati lungo le guance.
Gli occhi erano
rossi, gonfi, orrendi.
Aveva i vestiti
sporchi di acqua fangosa e polvere di asfalto.
La lasciò
piangere e non le disse una parola, si limitò a cullarla nella sua stretta
finché non la sentì calmarsi.
“Usa pure tutto
quello che trovi sul bordo, ci sono shampoo e balsami per un esercito…” le
disse infine prima di lasciarla sola in bagno.
L’amica accennò
un sorriso e mormorò un altro “Grazie”, dopodiché si spogliò dando le spalle
allo specchio e accumulando i vestiti in un angolo.
Per rimuovere la
schiuma dello shampoo dalla testa, la immerse per metà, annegando
anche le orecchie nel suono ovattato dell’acqua che gorgogliava ad ogni suo
movimento.
Si strinse nelle
spalle, provando vergogna mentre fissava il soffitto bianco, come se quest’ultimo
potesse spiarla nella sua nudità esposta e rea confessa.
Quel corpo, così
abituato a sentire Danny, con la sua pelle, le sue mani, il suo calore… avrebbe
dovuto abituarsi alla solitudine.
Solo in quel
momento realizzava che non avrebbe mai voluto fare ciò che aveva fatto.
Era intontita,
su di giri, frastornata dal fascino nuovo del primo che le era passato davanti.
Non che fossero
giustificazioni, le sue, solo constatazioni: lei in primis si considerava
colpevole.
E… perseguibile.
Portare via tutte
le sue cose da quella casa, piangere a dirotto, subire le sue grida, i suoi
insulti, il suo disprezzo…
La parte più
brutta doveva ancora venire.
L’irrefrenabile
voglia di tornare indietro. Un indignitoso aggrapparsi alle più flebili
speranze.
L’accettazione.
Le lacrime
sgorgarono senza alcun singhiozzo, spontanee e silenziose.
Si coprì il viso
con le mani per poi rannicchiarsi su se stessa mentre risollevava il capo
bagnato.
Con il fiato
grosso per il nodo che le serrava la gola, passò una spugna imbevuta di
bagnoschiuma sulle braccia, sulle gambe, sul collo…
Strusciò,
strusciò, strofinò fino ad arrossarsi.
Sei una puttana, devi soffrire, non ti
meriti altro.
“Claire? Claire,
va tutto bene? Ti sei fatta male?”
Giovanna bussò
due volte a vuoto e se ne stette in attesa davanti alla porta. Tom la raggiunse
dopo pochi secondi, preoccupato quanto lei.
“Non si sarà
fatta male alla gamba?” azzardò incerto.
“Ma se è caduta
dovrebbe lamentarsi, si dovrebbe sentire qualche… qualche rumore, insomma…”
balbettò sua moglie.
“Clarissa? “
tentò il chitarrista, colpendo la porta con discrezione “Hai bisogno d’aiuto?”
Niente.
La ragazza fissò
il marito, indecisa sul da farsi, e un suo cenno la convinse a fare capolino
nel bagno…
“Ehi, abbiamo
sentito dei rumori…” esordì a bassa voce per poi interrompersi bruscamente, il
respiro morto in gola.
Tom la richiamò
perplesso: “Gi? Che c’è?”
“Claire, oddio…”
Non guardò
neanche per un istante il suo corpo nudo.
La prese in
braccio, infradiciandosi quasi completamente, e prese a schiaffeggiarle il
volto per tentare di risvegliarla con Giovanna al suo fianco, che la copriva alla meglio con un
asciugamano, in preda al panico, mentre cercava il medico di famiglia al
telefono.
~~~
“Come sta?”
“Un po’ meglio,
il peggio è passato…”
“Ha bisogno di
essere ricoverata?”
“No, ma quello
che le è successo è una sorta di… campanello d’allarme. La vostra amica ha
bisogno di farmaci. E di riposare.”
“Che tipo di
farmaci?”
“Tranquillanti.
Leggeri, almeno per il momento. Vorrei farle fare un ciclo di dieci giorni con
un farmaco nuovo, leggero, non la scombussolerà più di tanto, solo dormirà un
po’ più profondamente, almeno all’inizio…”
“Tranquillanti?
Per Claire?”
“Ce n’è bisogno,
Tom.”
“Ho capito, ma…”
“Dottore, non
avrà bisogno, non so, di parlare con qualcuno?”
“Io non sono uno
psichiatra, ma… da quel che ho capito, la ragazza necessita solo di serenità e
di amici con cui stare. Fondamentalmente è molto abbattuta, ma risponde agli
stimoli, sia nel fisico che nella mente. Non è depressa, né isterica.”
“Certo che no.
Non lo è mai stata.”
“Non volevo dire
questo, Tom.”
“Lo scusi,
dottore… Ci siamo spaventati moltissimo, credevamo che volesse… che volesse
uccidersi.”
“Parlatene con
lei appena sarà un po’ più in forze. Abbiamo fatto una chiacchierata durante
la visita e le sue intenzioni non erano quelle. Ma voi la conoscete sicuramente
meglio di me…”
“Grazie per
essere accorso subito… Non volevamo trascinarla di nuovo in ospedale…”
“Dovere, dovere.
Chiamatemi ogni volta che ne avrete bisogno. E statele vicino.”
“Di sicuro.
Grazie ancora, dottore, arrivederci…”
“Buonasera a
voi.”
“Vogliamo andare
a vedere… come sta?” propose proprio il bassista, esitante, puntando le scale con gli occhi.
Giovanna fece
spallucce con aria dubbiosa e Tom si fece avanti per primo: “Sì, controlliamo
se è sveglia…”
“Credo che mi
verrà un’influenza paurosa, ma sono qui…” la sentì dire appena entrò nella
stanza, seguita dai due musicisti.
“Si può?”
domandò Dougie.
“Certo che
potete… “ rispose la ragazza con un sorriso gentile mentre si sistemava meglio
l’asciugamano sulla testa per tamponare i capelli umidi.
Tom e il
bassista le sedettero accanto, Giovanna la fissò rincuorata dai piedi del suo
letto, nella stanza degli ospiti.
“Ti fa ancora
male la caviglia?” si informò “Non sarebbe meglio spalmarci qualche pomata
sopra?”
“Tranquilla, era
solo una storta, non si è neanche gonfiata…” la rassicurò la bionda,
rivolgendosi poi ai due ragazzi: “Voi state bene?”
Dougie ridacchiò
nervosamente, imitato da Tom, che rispose per entrambi: “Adesso sì. Adesso sì…”
“Non volevo fare
quello che state pensando” intervenne subito la ragazza, seria “E’ stato… è
stato un momento. Ha cominciato a girarmi la testa e sono svenuta. Tutto qui.”
“Un-“
“Crollo nervoso.
Sì, Doug. È stato quello e… sono svenuta perché non ho retto.”
“Vuoi riposarti
un po’, Claire? Ti ho messo i vestiti a lavare, il cambio lo ha portato Doug…”
fece Giovanna, premurosa.
Dougie confermò:
“Ti ho preso i vestiti, i libri e tutta la roba per il bagno. Al resto penserà
Harry, l’ho lasciato ancora indaffarato in casa…”
“Grazie,
Poynter” ribatté Clarissa, spettinando grossolanamente i capelli dell’amico “E
grazie anche per aver portato il borsone pieno di tutta la roba fin quassù…”
“Di niente.
Forse Judd si farà vivo in serata. Ti farà sapere lui. Io vado adesso, Frankie
vorrà sapere come stai… Ci vediamo in questi giorni, ok?”
“Volentieri,
certo…”
“Riposati!”
Un bacetto
veloce sulla fronte e il bassista uscì dalla stanza dopo aver salutato anche l’amico.
Giovanna lo accompagnò fino alla porta d’ingresso.
Clarissa e Tom
rimasero soli.
La ragazza gli
lanciò un’occhiata sorridente e gli disse: “Non è successo niente. Devi stare
tranquillo, ok?”
Il chitarrista
ribatté con aria angosciata: “Lo so. È che… per un attimo ho avuto paura sul
serio…”
Lei spense il
suo sorriso e lo avvertì: “Il dottore mi ha detto che dovrò prendere dei
tranquillanti. La cosa non mi piace, ma se dicono che mi farà stare meglio… Ho
paura. Mi sento come se in qualsiasi momento potessi rivivere quello che è
successo…”
“E’ finito,
Claire. Sei qui, lontana da tutto e da tutti. Ci siamo noi con te, ok? Ci sono
io…” la rassicurò il ragazzo, stringendole la mano destra.
L’altra aumentò
la stretta e ribatté con voce tremante: “Ho sbagliato. E adesso devo pagare. È
come se… come se stessi cercando di portare in salita un masso enorme sulle
spalle. Sono stanca, mi sento sempre stanca, io non so se…”
“Ce la farai” la
interruppe l’altro, guardandola negli occhi “Non importa quanto ci vorrà o
quante ricadute avrai. Non lascerò che tu ti arrenda. Te lo prometto, fosse
l’ultima cosa che faccio.”
Clarissa annuì
con il labbro inferiore tremulo e abbracciò il suo migliore amico, ricacciando
indietro le lacrime.
“Andrà tutto
bene, sì…” mormorò, facendosi coraggio.
“Questo è lo
spirito giusto…” sorrise Tom, accarezzandole la schiena.
~~~
Si incontrarono
in corridoio e Danny sobbalzò per la sorpresa. Harry lo salutò per primo.
“Ciao. Scusa,
sono solo venuto a… prendere alcune cose di Claire…”
“…Ah” fu la
replica apatica del chitarrista, che mollò le chiavi dell’auto sul mobile vicino
alla porta per poi dirigersi in cucina, alla ricerca di una birra fresca in
frigorifero.
Il batterista
continuò ad accumulare indisturbato gli effetti personali della sua amica in un
grosso zaino: pochi indumenti che Dougie non era riuscito a far entrare nel
borsone, qualche CD, un paio di fotografie incorniciate, i medicinali, un
aspirapolvere, alcuni prodotti di bellezza. Gli ci era voluto un po’ per
trovare tutto quanto, ma il peso finale non sembrava essere granché
ingombrante. Si caricò la sacca sulle spalle ed imbracciò l’aspirapolvere.
Dando una rapida
occhiata all’orologio constatò che si erano già fatte le sei. Decise di
andarsene.
Ma non prima di
aver chiesto una cosa a Danny…
Gliele sventolò
davanti con disinvoltura dopo averle estratte dalla tasca dei jeans; il
chitarrista gli si avvicinò per togliergliele e rispose impassibile: “Queste
sono di casa mia. Le terrò io.”
Annuì,
camuffando una nota di delusione negli occhi, e fece per salutarlo con un
semplice “Ci vediamo”.
Ma l’altro lo
costrinse a fermarsi sull’uscio.
“Ha mandato te,
dunque. Si è fatta servire e riverire. Siete stati molto… cortesi…” insinuò con
sarcasmo con la voce stranamente impastata.
Il ragazzo
ridusse gli occhi a due fessure e ribatté lapidario: “Io e Dougie ci siamo
offerti di portare tutte le sue cose a casa di Tom, che la ospiterà per un po’
di tempo. È finita in ospedale per una crisi di nervi. Giusto perché tu lo
sappia.”
Lo lasciò a quel
modo, sbattendo il portone.
Danny rimase
immobile in mezzo all’ ingresso, la bottiglia di birra in una mano e il mazzo
di chiavi nell’altra.
Sbuffò
stancamente e scosse la testa, disgustato.
Lo aveva difeso
a spada tratta, gli aveva offerto il proprio sostegno e aveva concluso la loro
rinfrancante chiacchierata con un bel “Chiamami
se hai bisogno di me, Dan. Io ci sono.”.
Lei c’era. Lei.
Loro…
Loro erano da
Clarissa. A consolare, aiutare, difendere, sostenere Clarissa.
Gli scappò una
risata amara mentre tornava in cucina.
Stronzi.
Dopo due lunghe
sorsate si ritrovò a fissare il soffitto con gli occhi lucidi.
Si sentiva
triste. Solo. Abbandonato. Rifiutato senza un motivo. Rimpiazzato.