Mille grazie per le vostre
recensioni! Ogni volta è un grandissimo piacere per me leggerle!
CAPITOLO DICIANNOVE
Wherever you go, I'll be there beside you
'cause you are my brother, my brother under the sun.
We are like birds of a feather,
we are two hearts joined together,
we will be forever as one,
my brother under the sun.
(Bryan Adams, Brothers under the Sun)
Don entrò nella sua vecchia casa nella luce dorata del sole del tardo
pomeriggio, lasciando scivolare il suo sguardo intorno. I mobili di legno scuro
scintillavano nella luce che penetrava dalla grande finestra. I raggi del sole
basso rendevano visibile la polvere nell’aria, aumentando l’atmosfera
malinconica. Tutto aveva un aspetto così falso: era troppo in ordine, troppo
vuoto. Abbandonato.
La prima volta, ci era voluta più forza per ammetterlo, ma la sensazione e allo
stesso tempo la quotidianità erano diventate compagne fin troppo abituali per
lui: sentiva la mancanza di suo fratello.
«Papà?» chiamò.
Nessuna risposta. Forse Alan era
andato a fare la spesa.
Un po’ maldestro, Don bighellonò tra le stanze abbandonate. Il suo sguardo si
fermò sul grande orologio a pendolo. Le sei del pomeriggio. Giusto in tempo.
Prese il cordless dalla base e continuò la sua escursione mentre componeva il
numero a memoria.
«Charlie Eppes» rispose una voce caldamente famigliare.
«Ciao, fratellino».
«Don! Ciao!»
Dalla risposta di Charlie si
poteva sentire che stava sorridendo. Era almeno un buon inizio, no?
Nel frattempo, Don era arrivato alla sua destinazione e si sedette, il
ricevitore in mano, sul bordo del laghetto dei Koi. Al momento non poteva
essere più vicino a suo fratellino che lì.
«Allora, come stai oggi?» chiese Don, proponendo la domanda standard per
cominciare la conversazione.
«Bene» rispose Charlie, conformemente alla verità.
Don sentì con felicità che non sembrava nemmeno stanco come nei giorni più
brutti. In quei giorni, la loro conversazione, che era diventata una routine
quotidiana, spesso non durava nemmeno cinque minuti. La conversazione che Don
aspettava con ansia durante tutta la giornata. La conversazione per cui anche
Charlie gioiva di più. Anche suo padre e Amita telefonavano ogni giorno e Larry
si faceva vivo quasi quanto loro. Eppure fino ad allora Charlie ce l’aveva
fatta a impedire che almeno Larry e Amita venissero a visitarlo.
«Oggi è un buon giorno» aggiunse Charlie inutilmente. Voleva dire, tradotto: oggi possiamo parlare più a lungo. Tutto
normalmente. Puoi star tranquillo.
Don sorrise.
«Un buon giorno, sì? Allora oggi
non hai dovuto fare lezioni?»
«Dai, smettila» disse Charlie e Don poteva vederlo davanti ai suoi occhi, con
un sorriso stanco e tanto meno vivace paragonato a qualche tempo prima.
Significato delle sue parole: continua.
«Perché?» continuò a punzecchiare il suo fratello minore. «Dimmi, oggi hai di
nuovo potuto spiegare a quello – come si chiama, Peter? – quella legge dei
grandi numeri di… di quel francese? Oppure ha trovato un’altra opportunità per
annoiarti?» Uguale a: se quel tipo ti
annoia, dimmelo. Mi prenderò io cura di lui.
Dopo che Charlie gli ebbe raccontato del momentaneo vicino di letto, Don ci
aveva messo un po’ per smaltire la sua irritazione sul fatto che uno
sconosciuto importunasse talmente tanto Charlie e l’esaurisse solo per gioco.
«Per prima cosa Bernoulli era svizzero; seconda cosa: sì, il mio compagno di
stanza si chiama davvero Peter; terza cosa: lascialo stare. E’ gentile». E
grazie a Dio non è in camera in questo momento, aggiunse Charlie
silenziosamente.
«Ma è anche molto scocciante». Voleva dire qualcosa come: Stai davvero bene? Sembri esausto.
Ma che cosa non ti fa sentire tale?
pensò Charlie un po’ triste, facendo sprofondare di più la testa nel cuscino e
voltando lo sguardo un po’ di più verso la finestra. Avrebbe preferito essere
lì, ma avrebbe dovuto alzarsi e in quel momento un simile gesto era al di sopra
delle sue possibilità. In fin dei conti non voleva che succedesse ancora una volta.
Solo il giorno prima si era svegliato sul pavimento della sua stanza. Una mano
l’aveva scosso e quando la nebbia si era dilatata aveva potuto distinguere
Peter sopra di lui con uno sguardo preoccupato. Poi, la memoria era ritornata
pian piano. Doveva aver provato ad andare in bagno prima di essere avvolto in
un velo nero. I dottori gli avevano assicurato che una cosa del genere non era
fuori dell’ordinario, eppure Charlie aveva preferito non raccontare questa
storia alla sua famiglia. Tanto, in un modo o un altro, sarebbero forse
riusciti comunque a tirargliela fuori quando sarebbero venuti a fargli visita
la prossima volta.
Era esausto. La chemioterapia non era una passeggiata. Poteva a mala pena
tenere in mano il ricevitore: era senza forze. Aveva la febbre e tremolava
malgrado il caldo. I dottori avevano detto che questo accadeva a causa degli
antibiotici, ma in fondo a Charlie non importava perché si sentiva davvero
male; avrebbe solo voluto che fosse finito subito. Stava lì già da tre
settimane e mezza e aveva già superato la metà della fase di induzione. Sperava
che tutto diventasse più sopportabile dopo il trapianto del midollo osseo fra
due settimane.
Charlie rabbrividì e la febbre non fu la sola causa. Se qualcosa fosse andato
male col trapianto… se fosse successo qualcosa a Don…
«Charlie? Stai bene?»
«Sì, ah… sì, certo… mi – mi spiace, hai detto qualcosa?» Ti prego, non
smettere di parlare con me in modo normale.
«Si. Ho detto che intendo venire di nuovo il prossimo fine settimana. Non
ho servizio, né altro impegni. Potrei prendermi il fine settimana libero per
te»
Charlie arrossì un po’. «Lo sai che non ce n’è bisogno. Questa clinica è
talmente lontana da voi e tutto questo per… ebbene…».
«Che vuoi dire?» Don insistette vedendo che il fratello non continuava. La sua
fronte era aggrottata.
«E beh’, venite sempre, facendo un viaggio enorme e poi non potete rimanere per
più di un’ora o due perché dopo sono… ebbene, allo stremo. Inoltre è sempre
così complicato; dovrete di nuovo mettere quella maschera chirurgica per
evitare che mi ammali e tutto il resto... Voglio dire: avrete davvero migliore
cose da fare che sprecare una giornata intera solo per visitare uno scheletro
con cui non si sa che fare». E inoltre non voglio che mi vediate così. E se
non venite, forse la nostalgia diventerà più grande e mi sforzerò di più e poi
forse ce la farò… non voglio essere un peso.
Don era rimasto in silenzio, profondamente scioccato. Gli mancavano le
parole. Certo, di tanto in tanto Charlie aveva accennato a cose del genere, ma
non l’aveva ancora mai pronunciate tanto chiaramente come adesso.
«Sono stanco adesso. A domani».
Fu il timbro malinconico di Charlie a far saltare Don dai suoi pensieri.
«NO! Aspetta, Charlie!» Non puoi lasciare l’argomento così! Non devi
pensarla in quel modo!
Per un attimo Don fu certo che suo fratello avesse già riattaccato, quando
nonostante tutto rispose in modo un po’ farfugliante.
«Che c’è?»
Ad un tratto, Don non seppe più che cosa voleva dirgli. «Non… non avrai parlato
sul serio ora, vero? Charlie?»
Charlie tacque.
«Ascolta, Charlie, papà e io veniamo a farti visita con piacere, non importa
per quanto tempo possiamo rimanere o quanti chilometri ci sono fino a quella
stupida clinica». Voglio finalmente vederti di nuovo. Voglio darti forza.
Siamo qui per te, lo sai, vero?
«Ma… ma sicuramente avete delle cose più importanti da fare».
«No» disse Don semplicemente. «No, non c’è una cosa più importante».
I sentimenti minacciavano di sopraffare Charlie e di nuovo sentì la pressione
di dover proteggere suo fratello da un errore terribile.
«Ci… ci hai pensato ancora una
volta? Il trapianto, intendo…» Non voglio che tu corra un rischio che non
puoi stimare e che qualcosa ti succeda per colpa mia…
«Charlie, dai, non cominciare di nuovo! Non c’è una ragione per me di non darti
il mio midollo». Sorrise, e la sua voce diventò più dolce. «Ma ci sono un sacco
di ragioni per farlo».
Con un po’ di riluttanza, anche Charlie sorrise.
«Allora verrai per il fine
settimana?» Sono davvero così importante per te da sacrificare il tuo fine
settimana libero?
Inizialmente non aveva voluto chiederlo nemmeno. Si sentiva come un bambino
piagnucolante che stava mendicando un dolcetto al supermercato.
«Certo. Devo, perché l’ultima volta non ho terminato con… come si chiamava?
Kelly, vero?»
Charlie sogghignò.
«Allora così stanno le cose, eh?
Non vieni per me ogni volta, ma per le belle infermiere del posto!».
«Ma no!» si indignò Don falsamente e lo corresse: «Vengo a causa di una
bella infermiera». E lo sai bene che non è vero. Vengo solamente per te. Mi
manchi.
Charlie rise e a Don faceva tenerezza. La conversazione era di nuovo così… normale, come se non ci fossero affatto
quei nuvoli scuri che pressavano sugli animi.
Forse, pensò, forse tutto
sarebbe tornato a posto malgrado la situazione attuale. Forse ce l’avrebbero
fatta insieme a far passare l’oscurità, finché non sarebbe rimasto che il suo
ricordo, un’ombra, un nulla.