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Autore: Joseph Bell    11/01/2011    1 recensioni
Una volta si riteneva che lavorare in banca fosse un mestiere tranquillo, sicuro e senza rischi. Samuel Donovan potrebbe non essere d’accordo. Tra cassette di sicurezza, bombardamenti della Luftwaffe, intrighi internazionali e nobiluomini eccentrici, un giovane impiegato di banca inglese e la sua amata moglie scoprono cosa è accaduto a Sherlock Holmes durante il cosiddetto Hiatus. Dimenticate le Reichenbach e preparatevi a viaggiare, parecchio.
Note dell’Autore: prima di qualsiasi cosa debbo ringraziare miss Bellis, senza di lei questa opera non sarebbe mai nata. Poi debbo precisare che quella che andrete a leggere è un’opera di fantasia liberamente ispirata ai personaggi di Sir Arthur Conan Doyle. Ogni altro personaggio, luogo o situazione è frutto della fantasia di chi scrive.
Tutti i personaggi realmente esistiti citati nel racconto non hanno mai preso parte a colpi di stato, distribuzione su larga scala di sostanze stupefacenti o sovvertimenti di governi legittimi. Solamente miss Bellis ed io, alle volte, ci dilettiamo a sovvertire il vassoio del tè procurando tanto rumore ed un congruo numero di cocci rotti. Per pura curiosità, chi fosse interessato agli eventi legati al crack della Banca Romana può consultare la pagina apposita di Wikipedia.
Buona lettura.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO  I  -  Due cuori nella casa delle bambole

 

 

Terminato il turno alle cinque del pomeriggio, uscii dalla banca. Alcuni colleghi mi invitarono al pub, ma io declinai:

“Non posso, Bess mi aspetta a casa, non vorrete rendervi responsabili del fallimento del mio matrimonio, vero?”

“Ah, e bravo Sam!” rispose uno, “Vai vai, che la mogliettina italiana ti aspetta,” poi rivolgendosi alla compagnia, “Io la mia la lascio volentieri a casa!”

Al che io risposi placido, “Vedi, questo è il vantaggio di avere una moglie italiana: tu devi tornare a casa, mentre io voglio tornare a casa.”

Piovve uno scroscio di risate ed ammiccamenti che interruppi dicendo:

“Poi sono curioso di leggere queste carte che ho ereditato oggi.”

Thomas, il cassiere più giovane, mi disse scherzando:

“Ah! Se dovessimo aprire la cassetta del duca di York voglio essere presente. Accidenti, con questi pazzi in giro ti puoi trovare tra le mani qualche milione di sterline senza neppure accorgertene. Ma dimmi Sam, c’erano soldi li dentro?”

Scossi il capo ridendo e poggiata la scatola metallica sul tavolo, all’ ingresso del salone della banca, la aprii per mostrare che c’erano solo carte.

“Ecco, come vedete non c’è nulla di importante qui dentro, solo carte stenografate che non riesco a leggere. Parola mia, questo dottor Watson non doveva avere tutte le rotelle a posto per arrivare a spendere cinque sterline all’anno per una cassetta di sicurezza in cui conservava delle carte!”

“Si vede che aveva soldi da buttare,” rispose Thomas, “Certo con questi tempi che corrono e quei crucchi pazzi di là del Canale, io mi terrei stretto anche un penny bucato, ma si vede che il vecchio dottore non la pensava così.”

“Nient’affatto!” Rispose la voce traballante di Oswald Cullen, il direttore di sala, a cui ormai mancavano pochi mesi per la pensione “Signor Donovan, la invito prima di tutto a mantenere un certo decoro nel salone della banca, quanto a voi signori, ritengo cosa di pessimo gusto spettegolare sulle volontà testamentarie di un nostro cliente. Se volete chiacchierare andate al pub. Quanto alle carte del dottore, signor Donovan, le suggerisco di custodirle con cura. Lei è troppo giovane per capire di cosa sto parlando, ma se avrà modo di leggere quei manoscritti, la scongiuro di farne un uso responsabile. Conobbi personalmente il dottore e le garantisco che era una persona molto seria!”

Così dicendo, l’anziano funzionario mi prese il braccio in una stretta solida, un gesto di confidenza di cui non l’avrei mai ritenuto capace e mi disse:

“Quelli che lui ha pubblicato per anni erano solo romanzetti, li dentro,” indicando con lo scarno dito la scatola, “Ci sono dei segreti che possono irritare numerose persone. Stia attento signor Donovan, non le è stato fatto un bel regalo e francamente, non vorrei trovarmi al suo posto.”

Con passo celere mi diressi verso la stazione. Passando davanti la tabaccheria Sampson, a Walbrook, mi toccai le tasche del paltò ricordandomi che avevo finito il trinciato per la pipa, ma non feci in tempo a tornare indietro, che la mia ampia falcata mi aveva già condotto sui gradini della stazione di Cannon Street. Dentro di me fui felice di risparmiare sei pence e carezzai la mia vecchia Peterson, che giaceva nella tasca destra del cappotto, come per consolarla, perché per un po’ non l’avrei fumata.

Durante il viaggio in metropolitana pensai ai nuovi acquisti da fare per la casa. Bess ed io, infatti, ci eravamo sposati da pochi mesi e nonostante gli aiuti delle nostre famiglie, dovevamo fare non pochi sacrifici per mettere su famiglia.

Numero 16, Church Street, Luton, appena poche miglia fuori Londra, come dicevano i latini: Domus mea parva est, sed mihi apta.

Entrai, chiusi la porta e buttai la giacca su una poltrona gridando:

“Bess! Sono tornato.”

Posai le carte sul tavolo ed andai nella stanza attigua a cercare mia moglie.

“Bess, ma dove sei? Bess!”

La trovai affacciata alla finestra che guardava infondo alla strada in direzione della ciminiera della Bedford1.

“Bess, ma che fai? Perché non rispondevi?”

“Guardavo quell’enorme camino nero, mamma mia, che brutto.”

“Sei triste? Che succede?”

“No, niente, oggi sono andata a fare la spesa con Franca e Anna e loro dicono che presto ci sarà la guerra e che gli Inglesi combatteranno contro gli Italiani e che noi Italiani che siano qui in Inghilterra verremo mandati via o addirittura imprigionati,” era molto spaventata e triste, “Ma è vero, Sam?”

Purtroppo era vero,  le nostre due nazioni si stavano già combattendo  per colpa di folli decisioni che avrebbero portato un completo sovvertimento degli equilibri politici del mondo. La colonia italiana di Londra, numerosissima fin dai tempi dei Re Plantageneti, si sarebbe ridotta quasi a scomparire dopo la guerra. Ma in quel momento non volevo credere a tanto orrore e quindi abbracciai mia moglie dicendole:

“Ma certo che no, sciocchina! Tu sei la signora Donovan e sei inglese, come me. Capito Bess?”

“Mi piace quando mi chiami Bess, mi fa dimenticare di essere Elisabetta Fucini, figlia di un anarchico condannato all’esilio.”

Rimanemmo ancora qualche ora a discutere delle paure di Bess, di suo padre, che da bambino aveva conosciuto Gabriel Rossetti2, anche lui vittima dell’esilio, parlammo della guerra, che era cominciata a giugno,  poi cenammo e passammo il resto della serata in salotto ascoltando la radio. La BBC parlava delle azioni dei soldati inglesi contro gli Italiani in nord Africa ed invitava la popolazione a non intraprendere viaggi nei territori sotto il controllo italiano. Ero francamente imbarazzato, mia moglie soffriva trovandosi in mezzo a questa sorta di schizofrenia. Le emozioni del suo cuore, mi confidò, erano contrastanti e temeva per l’incolumità di ognuna delle due parti. Spensi la radio buttando il giornale sul divano e presi le mani di Bess dicendole:

“Adesso basta tesoro, basta! Il mondo faccia pure ciò che vuole, noi siamo qui e dobbiamo rimanere uniti per…” il mio sguardo si abbassò verso il suo grembo, poi la guardai negli occhi sorridendo. “Quando diventeremo genitori.”

Mi persi in quei suoi immensi occhi neri che avevano preso a guardarmi con una infinita dolcezza.

“Sam, vieni qui. Ho paura,” disse, ed io la portai sul letto in braccio addormentandomi vicino a lei.

Il sonno durò poco, in quella strana nottata non potei chiudere occhio. Mia moglie dormiva profondamente ed io stetti a guardarla per molti minuti, rapito dai suoi capelli corvini gettati sul cuscino di lino chiaro. La tenue illuminazione della strada emanava tonalità azzurrine che si riflettevano sul soffitto. Mi alzai dal letto cercando qualcosa da fare, scorsi la scatola metallica che avevo ereditato e decisi che era arrivato il momento giusto per aprirla.

Alla discreta luce di una vecchia lampada ad olio esplorai il contenuto della cassetta. Carte, carte e carte stenografate. Null’altro. Duecentotrentasei fogli numerati nell’angolo in alto a destra, scritti su ambo i lati, che non riuscivo a leggere dal momento che la stenografia era un’ arte a me oscura. Levai i fogli dalla scatola e li misi ordinatamente uno sull’ altro di fronte a me. Poi mi dedicai al plico. I sigilli che avevo rotto la mattina in banca, erano stati fatti con un timbro che recava l’effige di una lanterna di terracotta affiancata dalle lettere D C. Rimuginai a lungo pensando a quale eccentrico figuro potesse chiudere un plico con un sigillo simile e ad un tratto mi sentii toccare una spalla. Trasalii per un momento, poi mi accorsi che era mia moglie.

“Che ci fai ancora in piedi?” mi chiese, assonnata.

“Potrei farti la stessa domanda, sai? Stavo consultando la mia eredità.” risposi sorridendo.

“Cosa? Cosa è questa roba?”

“Nulla, sono le carte di un povero vecchio morto dieci anni fa, che aveva una cassetta di sicurezza in banca, da noi. Non avendo figli o altri eredi ha deciso di lasciare i suoi fogli al primo che avesse aperto il suo testamento e quel fortunato sono io!”

Mia moglie sorrise incredula: “Beh, era un bel po’ strano questo vecchio.”

“Direi di sì, anche se il vecchio Cullen dice il contrario. A quanto pare doveva essere una persona importante qualche anno fa,” presi il coperchio della scatola metallica e ne lessi il nome, “Era un militare, o qualcosa del genere, si chiamava John Hamish Watson.”

Mia moglie trasalì. “Come hai detto? Watson? Il dottor Watson?”

“Sì, perché? Lo conosci pure tu? Sai che era un medico?”

“Sam, quello fuori di testa sei tu, davvero! Accidenti, ma non conosci i racconti del dottor Watson?” rise di gusto, “Vorresti dire che tu non conosci Sherlock Holmes?”

“Mai sentito nominare, Bess!”

Ogni frase venne interrotta dalle sirene antiaeree. Il suono cupo di quei segnalatori di morte scandiva le serate inglesi da almeno quindici giorni. Dopo pochi minuti udii il rombo delle squadriglie di Messerschmitt3 che si avvicinavano. Mi aspettavo di li a poco rumori di esplosioni, ma il tuonare dei motori dei caccia tedeschi era più forte del solito. Chiusi le carte nella scatola metallica e vi forzai dentro anche il plico, misi tutto nella credenza e con mia moglie ci nascondemmo sotto il tavolo. Un boato inumano ci privò dell’udito per qualche minuto. Un ronzio fastidioso fischiava nelle orecchie e solo la percezione fisica dello stringere nella mia la mano di Bess, mi dava la sicurezza di non essere ancora morto. Passarono minuti lunghi come ore ed alla fine uscimmo dal nostro nascondiglio scoprendo con orrore che il muro che limitava la nostra casa era crollato. Mi sentivo come un pupazzo nella casa delle bambole. Per tutta la città la luce elettrica era sparita e dall’ orribile finestra che aveva aperto il bombardamento, mi apparve la notte rischiarata dai bagliori e dalle esplosioni della fabbrica Bedford in fiamme.

 

1, Bedford Vehicles: fabbrica Britannica di mezzi pesanti, operativa dal 1931, impegnata nella costruzione dei carri armati  “Churchill Mk IV”. Non fu mai bombardata.

2, Dante Gabriel Rossetti: Poeta e Pittore Italo-Britannico, fondatore del movimento Preraffaellita, il padre, Gabriele Rossetti, filologo e studioso di Dante Alighieri, venne condannato all’esilio dal Regno delle Due Sicilie per la partecipazione ai moti rivoluzionari del 1820.

3, Messerschmitt, aereo da caccia tedesco in dotazione alla Luftwaffe.


  
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