La piccola campana del college scoccò distrattamente l’una e
un quarto di notte, accompagnando il rintocco principale con uno più piccolo e
fine.
Se ne rese solo distrattamente conto, senza che questo disturbasse i suoi
respiri pesanti in un crescendo cullato.
Avrebbe dovuto dormire e ne era conscio, ma in quel momento la razionalità che
calcava su quanto sarebbe stata fastidiosa la sveglia alle 7 del mattino non lo
distoglieva dal voler assaporare la libertà rinnovata di una stanza singola.
Voleva proprio godersela.
Teneva la guancia premuta sul cuscino, con volute di calore che gli salivano
per tutto il corpo, al contempo provenienti e dirette all’eccitazione che
accarezzava con tanta solerzia. Dietro le palpebre chiuse, la visuale della
pelle morbida di Susan baciata dal sole, delle sue lunghe dita che sfregavano
la corona del suo personaggio con un panno, non faceva che acuirgli la
sensazione di tensione. Il desiderio divorante che le sue mani fossero quelle
di lei.
Gli piaceva immaginarla impacciata, titubante. Eppure così talentuosa, come se
sotto sotto fosse fatta per atti del genere. E
avrebbe cercato la sua approvazione in ogni momento. E lui gliel’avrebbe data,
guidando la sua mano, senza trattenersi dall’accarezzarle un seno per il gusto
di sentirla mugolare. Per il gusto di sentirla chiamare il suo nome…
«Jack…»
Un soffio suadente nel suo orecchio, da dietro la sua schiena, che no, proprio
non era quello a cui stava pensando.
Eppure gemette strozzato, quando l’unica risposta corretta e doverosa sarebbe
stata “vai a fare in culo”.
Sapeva che era dietro di lui, chinato al lato del letto, mentre lui era
beatamente rivolto verso il muro.
Ne sentiva il respiro ad accarezzargli i capelli sulla nuca.
«E’ una meraviglia, vero, Jack? Così morbida e leggiarda…innocente…ma
sarebbe ancor più una visione sulle sue ginocchia…»
Una parte di lui avrebbe voluto tirargli una gomitata in pieno viso. Perché
quelli erano i suoi pensieri. E la
voce di Nigel era l’ultima dalla quale avrebbe voluto sentirgli espressi.
Ma il buio e il calore vischioso dell’eccitazione, sotto le coperte,
distorcevano la sua realtà, rendendo facile la confusione tra sogno,
immaginazione, desiderio.
Era tutto così splendidamente ovattato, attraverso i suoi occhi socchiusi.
E Nigel continuava a sussurrare, sussurrare, sussurrare.
Con quell’inflessione sorniona e morbida, che sembrava lenirlo e schernirlo al
contempo.
Non riusciva a bloccare la mano. E nemmeno voleva. Forse perché Nigel non
l’aveva richiesto.
E respirava spezzato, con le labbra socchiuse, appesantito nel suo affanno.
«Dwellar ti direbbe che non si fa…che
si diventa ciechi, lo sai, vero?...Ti senti cieco, Jack?»
Reclinò leggermente la testa all’indietro, con la sensazione di aver sfiorato
la fronte di Nigel. Ma era un gesto senza violenza, e l’altro evidentemente si
ritrasse quel poco che bastava a mantenere una distanza di nemmeno un
centimetro, ma al contempo a non concedere contatto.
Gemette piano, ancora, in una specie di rantolio. Ed effettivamente la penombra
della stanza gli appariva offuscata, mentre continuava ad indulgere nelle sue
carezze.
«E’ solo un effetto del piacere, Jack, non si diventa ciechi veramente. E’ la
sensazione del respiro che manca che ottenebra la vista. E una serie di altre
piccole cose…»
Cristo, avrebbe voluto ammazzarlo. Lui e questa mania di fare il clinico in
ogni dannata situazione. Come se lui fosse l’ennesimo ranocchio da sezionare,
con una strana erezione supplementare.
Non lo stava sfiorando, non con qualcosa che non fosse la sua voce. Ma era come
essere avvolti nelle spire delle sue parole, in quel tono cadenzato e
soverchiante. Come una lingua che ti scorre addosso. Impossibile sia da
arrestare che da azzittire.
«Alla fine è tutto un bigottismo illogico. E’ risaputo da così tanto tempo che
un uomo produce talmente tanti spermatozoi, specialmente nel pieno
dell’adolescenza, da doversene liberare volente o nolente. E’ solo una
questione tecnica, non è vero, Jack?»
Continuava a mischiare la sua ossessione medica con questi perpetrati sfottò
che lo mandavano fuori di testa. Letteralmente.
Non riusciva più a sentire il controllo di niente. Del suo corpo, dei suoi
pensieri. Del suo nome.
Udiva la sua stessa voce gemere rocamente e strozzatamente,
e c’era un che di doloroso nei tendini del braccio destro, provato dai lunghi
colpi sempre più veloci.
Nigel parlava così, e lui non riusciva a controllarsi. Proprio non poteva
evitarsi di immaginare l’altro steso a letto, come lo era lui in quell’esatto
momento. Solo molto più composto, dritto a guardare il soffitto, con la mano
che si muoveva clinicamente su e giù. Ad ottimizzare i tempi di raggiungimento
dell’orgasmo.
Il flusso libero di pensieri gli mandò una tale vampata di calore lungo tutta
la colonna vertebrale, e poi indietro verso il suo membro, che per un attimo
pesò di essere vicino all’autocombustione.
Non aveva idea di quale potesse essere la visuale del tutto dall’ottica
dell’altro.
Sapeva solo che lo sentiva.
Lo sentiva.
Ben più di quanto riuscisse a sentire qualsiasi altra cosa, a partire dal piumone
fino ad arrivare a se stesso, addirittura, in quella stanza.
Sentiva lui e il suo respiro denso e pesante contro il collo, unico contatto
laddove non c’era niente dell’altro che fisicamente lo sfiorasse.
«Potresti anche venire, Jack…»
Era un sussurro un po’ più roco nei toni rispetto agli altri, ma forse era solo
la sua immaginazione. Forse era solo la pressione dei suoi stessi gemiti contro
la gola.
Era un suggerimento, che suonava come un comando, e gli riverberò per tutto il
corpo.
Come se lo avesse preso e accartocciato su se stesso.
Per un attimo, un lunghissimo, infinito, dilatatissimo
attimo, si sentì ben più che cieco. Accecato. Come se il corpo vitreo gli
avesse strappato la retina e non ci fossero che lampi nella sua visuale.
Era un piacere così vibrante che si sentiva tremare persino le ossa.
E durò così a lungo che pensò che sarebbe prima ceduto il suo cuore, in un
infarto di protesta, piuttosto che quell’orgasmo ben oltre i livelli
dell’estasi.
Ma anche dopo i peggiori tsunami l’acqua in qualche modo comincia a ritirarsi,
e così anche lui lentamente smise di tremare, con l’ondata ovattata che si
stemperava.
Tornò a respirare, sentendosi la gola come carta vetrata, e forse aveva gemuto
un po’ troppo. Magari anche urlato un po’ troppo.
Il silenzio era teso e appesantito dal poco ossigeno, e nessuno dei due parlò,
mentre lui lentamente recuperava la cognizione di sé e di quel che gli stava
intorno.
Non riusciva a sentirsi imbarazzato, non ancora. Non riusciva a sentire o a
pensare niente, a dire il vero, come se si fosse svuotato di qualsiasi cosa,
compresa la capacità di muoversi.
Un fruscio sommesso gli diede segno che Nigel si era alzato.
Non era in grado di spostarsi da sdraiato sul fianco dov’era, sommerso dalle
endorfine al punto tale che i muscoli erano una percezione accessoria. Ma poté
sentirlo chinarsi sul suo orecchio, in un soffio dritto sulla sua pelle sudata
e sensibile che gli spedì un brivido tremante.
«Te la porterò, Jack. Ti porterò la tua amata Maraclea»
Una frase di significato assolutamente imperscrutabile. Non fu nemmeno così
certo che l’avesse detta davvero, che tutto quello fosse accaduto davvero. In
mezzo a quel buio ovattato, che dilatava ogni percezione, si limitò a chiudere
gli occhi.
Accompagnato dal sommesso tonfo di una porta, Nigel uscì.