Anime & Manga > Captain Tsubasa
Segui la storia  |       
Autore: Yoshiko    19/12/2005    4 recensioni
+++++ Storia aggiornata +++++
Durante il rigido inverno dell'Hokkaido, quando la temperatura scende di almeno un paio di decine di gradi sotto lo zero, alcuni giocatori della Nazionale giovanile giapponese sono stati invitati (o piuttosto minacciati da Gabriel Gamo) ad andare in ritiro in una località tranquilla, per cercare di appianare certe incomprensioni interne che rischiano di compromettere l'affiatamento della squadra, nonché per fortificarsi con un sano ed efficace allenamento sulla neve. Ma cosa succede se a questo ritiro prendono parte anche quattro ospiti inattese?
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Jun Misugi/Julian Ross, Kojiro Hyuga/Mark, Ryo Ishizaki/Bruce Arper, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly, Yayoi Aoba/Amy, Yoshiko Fujisawa/Jenny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Time' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
- 1 -
Ritiro con sorpresa
Prima parte
 
 
Erano le sette in punto di un gelido febbraio.
La volta del cielo azzurro profondo senza traccia di nuvole, si scoloriva a oriente nella luce del sole appena sorto mentre brillava a ovest con il blu dello zaffiro. Fujisawa era ancora in gran parte addormentata. Le vacanze scolastiche rallentavano notevolmente il frenetico ritmo della città poiché un buon terzo della popolazione rimaneva a poltrire oltre l’ora di punta mattutina.
Il quartiere in cui la famiglia Hutton aveva traslocato dieci anni prima non era cambiato granché nel corso del tempo. Nessuna nuova costruzione moderna aveva deturpato il paesaggio, nessun trasloco aveva portato negli immediati dintorni vicini maleducati e rumorosi. L’armoniosità e la tranquillità delle villette e dei suoi abitanti era sempre la stessa.  
-Holly, quanto ci metti?-
La voce di Bruce riecheggiò nelle strade silenziose di un quartiere che stava appena iniziando a svegliarsi. Nell’elegante e curato vialetto del giardino di casa Hutton, tre ragazzi attendevano con impazienza che il capitano li raggiungesse. Gli abiti li avvolgevano a strati, terminando con un corredo di guanti e sciarpe. Ma il freddo pungente di quel rigido inverno li stava ugualmente gelando fino alle ossa. I raggi del sole solcavano l’aria trasparente come il cristallo e si riflettevano sulle finestre delle abitazioni circostanti con lame di luce abbagliante che ferivano gli occhi ancora assonnati di Benji, Tom e Bruce. Quel giorno la sveglia aveva suonato troppo presto per tutti.
Benji percorse il vialetto a ritroso fino al cancello, giusto per scaldare i muscoli delle gambe e impedire che i suoi piedi, nell’attesa, si trasformassero in due dolorosi pezzi di ghiaccio. La ghiaia scricchiolò sotto le suole delle scarpe da ginnastica finché non si fermò e gettò un’occhiata distratta alla strada, ancora pressoché deserta. Infilò le mani nelle tasche, tornò dai compagni e li oltrepassò sbuffando, poiché gli seccava da morire essere costretto ad aspettare in strada che Holly finisse di fare i suoi comodi. Il percorso del portiere proseguì verso l’edificio, terminando alla base dei tre gradini d’ingresso, da dove scrutò il corridoio dell’abitazione oltre la porta lasciata socchiusa da Holly stesso. Il ragazzo già pronto per uscire, con la giacca e la sciarpa avvolta intorno al collo, dopo aver aperto e averli salutati era rientrato in fretta e furia e ancora non tornava.
Lo stavano aspettando ormai da cinque minuti così gelidi da essersi dilatati e allungati quanto un’ora.
-Holly! Che stai facendo?-
Bruce si massaggiò le dita intirizzite sotto i guanti di lana che le avvolgevano senza riuscire a ripararle dal freddo. Poi le mise in tasca e riprese a scalpitare impaziente.
-È più lento di Evelyn! Che accidenti sta combinando?-
Tom, appoggiato al muretto dell’aiuola, sospirò. Di indole paziente e tranquilla, provava più fastidio per l’insistenza dei loro richiami che per la lentezza del compagno.
La loro inquietudine non smosse Holly, che continuò a non comparire sulla soglia ma spinse invece sua madre ad affacciarsi. La voce dei ragazzi riecheggiava da troppo tempo nelle strade silenziose del quartiere.
Asciugandosi le mani nel grembiule annodato in vita, Maggie Hutton uscì dalla cucina e lanciò un’occhiata al figlio che stazionava nel corridoio. Holly indossava la giacca a vento e la sua valigia era pronta, vicino alla porta. Tuttavia continuava a restare impalato davanti al telefono, la cornetta accostata all’orecchio, lo sguardo fisso sul portapenne e sul blocco notes collocati sul ripiano. Passandogli accanto, Maggie gli accarezzò la schiena con un gesto affettuoso che conteneva tutta la nostalgia e l’amarezza di una madre nei confronti di un figlio cresciuto troppo in fretta e troppo lontano. Poi lo superò, s’infilò le scarpe, si avvolse in un caldo scialle di lana e uscì sul vialetto, lanciando un’occhiata furtiva alle case circostanti. Se quei benedetti ragazzi avessero continuato a fare tanta confusione, più tardi i vicini sarebbero arrivati a frotte a lamentarsi.
-Buongiorno! Perché non entrate? Vi preparo un caffè al volo!- li salutò con  un sorriso e la speranza di traslocarli all’interno dell’abitazione dove sarebbero risultati meno molesti.
-Grazie, ma non abbiamo tempo. È già tardi. Cosa sta facendo Holly? È in bagno?-
Bruce diede un calcetto spazientito alla valigia depositata ai suoi piedi e solo dopo averlo fatto si rese conto con un sussulto che non si trattava della propria ma di quella di Benji. Il portiere lo incenerì con un’occhiata assassina.
-Se lo rifai ti stacco un piede, Harper.- spostò gli occhi sulla donna -Dov’è Holly? Non ci ha sentiti?-   
-E come avrebbe potuto non sentirci? Ci ha sentito tutto il quartiere.-
Maggie annuì, approvando le sagge parole di Tom. Lo conosceva da quando era bambino e aveva apprezzato fin da subito la sua sensibilità nei confronti del prossimo. Così gli dedicò un sorriso tutto particolare.
-A me?- chiese Benji con aria innocente.
Becker annuì inesorabile.
-Sì, anche tu.-
Il portiere lo liquidò con una scrollata di spalle, poi si rivolse alla donna.
-Holly ha deciso di venire o no? Dov’è?-
-È al telefono.-
Bruce sbirciò curioso attraverso la fessura della porta, che il passaggio di Maggie aveva allargato ancora un poco, consentendogli di individuare agevolmente parte della schiena del compagno che si muoveva e si voltava.
-E con chi?-
-Patty… credo.-
Holly arrivò in quel preciso istante con la valigia in mano, tentando un sorriso che non gli venne granché per parecchie ragioni che non aveva nessuna voglia di analizzare. Quella giornata dal dubbio esito non stava cominciando per niente bene visto che non riusciva neppure a contattare Patty.
-Ciao ma’. Io vado.-
La donna si scostò per lasciarlo passare.
-Mi raccomando, fai attenzione.-
-Non c’è proprio nulla da temere, lo terrò d’occhio io.- replicò Bruce rassicurante.
Lei rise e lo prese in giro con affetto.
-Questa è proprio una delle cose che mi mette più pensiero.-
Il giovane cacciò un sospiro incompreso.
-Mai nessuno che mi apprezzi quanto merito.- disse, fingendosi più afflitto di quanto fosse in realtà e guadagnandoci un affettuoso buffetto dalla donna. Poi seguì i compagni lungo il vialetto fin sulla strada e si volse a salutare Maggie. Lei sollevò una mano e l’agitò sorridente.
Mentre si incamminavano a passo svelto verso la fermata dell’autobus, Benji preferì affiancarsi a Holly per beffarsi del suo umore malinconico piuttosto che indugiare a riflettere su ciò che li aspettava. La dura e insopportabile realtà era che il portiere detestava dover fare quel viaggio, aborriva i giorni che gli si prospettavano davanti. Non riusciva neppure a sfiorare l’idea che una volta raggiunta la stazione ferroviaria di Fujisawa, sarebbero saliti su un treno diretto a Yokohama e da lì su un altro per l’aeroporto di Haneda. Dopodiché avrebbero volato fino in Hokkaido, cioè nella selvaggia Siberia giapponese. Benji, al solo pensiero, sentiva un gelo profondo e micidiale penetrargli nelle ossa. Se proprio dovevano riunirsi per quel maledetto ritiro, perché non Okinawa? Al mister non importava dove avrebbero soggiornato e a Okinawa avrebbero evitato non solo di morire di freddo ma anche di caricare le borse di maglioni di lana. E poi a Okinawa ci sarebbe senz’altro stato da svagarsi, molto più che in Hokkaido, l’isola di Callaghan, dei lupi e degli orsi. Bah…
-Allora, romanticone, stavi salutando la tua bella?-
-Se proprio vuoi saperlo, no.- la voce di Holly risuonò abbastanza seccata -Non l’ho salutata. Il suo cellulare è staccato e casa non c’è. Sua madre mi ha detto che è partita.-
-E perché te l’ha detto sua madre? Perché non te lo ha detto lei? E dov’è andata? Quand’è partita? Con chi?-
Tutte quelle domande in successione infastidirono Holly semplicemente perché erano le stesse che si stava ponendo lui da almeno un paio di giorni, senza peraltro riuscire a darsi una risposta.
Benji lo scrutò, chiudendo in bellezza la tirata.
-Avete litigato?-
-No!-
Holly allungò il passo per lasciarlo indietro insieme alla sua curiosità e procedette lungo il marciapiede pensieroso, tenendo gli occhi fissi al suolo. Quegli ultimi giorni Patty era stata sfuggente come un’anguilla e criptica come un rebus. Cosa stava accadendo? Erano in crisi e lui non se n’era accorto?
Benji gli rispuntò accanto.
-Allora?-
-Allora cosa?-
-Allora cosa è successo?-
-Non lo so.- ammise con un moto di fastidio. Perché quel terzo grado? Perché Benji non si faceva gli affari suoi? Glielo chiese.
-Ma questi sono affari miei! Sono anni che ci conosciamo, permetti che mi interessi?-
Holly alzò gli occhi al cielo.
-Sarà fuggita con qualche bel ragazzo che la considera più importante di un pallone da calcio.- rise Bruce.
Holly non replicò. La battuta era scontata e non fece breccia nella sua inquietudine.
-Non è da lei comportarsi così, andarsene senza dirmi nulla. Non ha pensato che mi sarei preoccupato?-
-Sei preoccupato?-
-Come potrei non esserlo?-
-E cos’è che ti preoccupa?-
Holly fu colto da un pensiero improvviso. Riflettendoci bene, forse l’altro giorno Patty aveva accennato qualcosa riguardo una partenza, ma lui stava seguendo la rubrica sportiva in tv e non le aveva prestato attenzione. Forse, invece del cronista, avrebbe dovuto concentrarsi sulle sue parole… Com’era potuto accadere? si chiese incredulo. Patty sapeva benissimo che il momento della rubrica sportiva non era il più adatto a discutere di cose importanti.
-Che vuoi farci, le donne… beato chi le capisce!- Bruce sospirò -Anche Eve non si fa sentire da tre giorni.-
-Non potevi chiamarla tu?- chiese Tom candidamente.
-Credi che non l’abbia fatto? Al cellulare non risponde. Ho provato a casa ma i suoi genitori hanno detto che è via da un’amica.- il giovane alzò le spalle -È partita senza neppure avvertirmi.-
-Perché probabilmente non è andata da un’amica ma da un amico.-
Bruce lanciò a Benji un’occhiata infastidita, poi Tom riportò il discorso al presente e su questioni meno spinose.
-Hai parlato con Julian, Holly?-
-Ci aspetta all’aeroporto di Haneda.-
-E Mark?-
-Non sono riuscito a contattarlo. Il suo cellulare era staccato.-
-Speriamo sia sparito anche lui.- borbottò il portiere -Magari con Evelyn!- rise della sua stessa battuta.
-Per favore Benji, non cominciare fin da ora.-
-Holly ha ragione. Perché per una volta non provi ad andarci d’accordo?-
-Scherzi, Tom? Il solo pensiero mi dà il voltastomaco. Io non ho niente da spartire con quel troglodita ignorante e con il cervello nei bicipiti!-
Holly sospirò.
-Ho come la sensazione che la mia pazienza stia cominciando a esaurirsi.-
-Di già? Non siamo ancora partiti!-
Il ragazzo lanciò un’occhiata a Bruce.
-Forse sto invecchiando.-
-Su, non dire così…- il placido Becker gli diede una pacca incoraggiante -Sei depresso perché non sei riuscito a salutare Patty, ma vedrai che quando saremo tutti insieme andrà molto meglio.-
Holly gli lanciò un’occhiata scettica mentre percorrevano di gran carriera l’ultimo tratto di strada per raggiungere la fermata dell’autobus. Non credeva neanche un po’ alle sue parole, ma pensò bene di non distruggere il fiducioso ottimismo del compagno, che ci metteva così tanta buona volontà a far andare d’accordo tutti.
-Allora, vi muovete?- li chiamò Benji.
Holly si accorse che erano rimasti indietro quando vide Bruce e il portiere già sotto la pensilina della fermata. Fecero appena in tempo a raggiungerli che l’autobus comparve all’orizzonte, venendo giù dalla discesa della collina dove sorgeva il santuario shintoista più grande della città. Quante volte aveva percorso la sua ripida scalinata di pietra che si inerpicava tra alberi di ginko palleggiando prima in salita e poi tutto in discesa, ottantacinque scalini che ti riducevano i polpacci allo stremo... Ah, bei tempi!
La vettura si arrestò davanti a loro e la porta anteriore si spalancò per lasciarli salire. Montarono uno dopo l’altro, prendendo posto in un autobus semivuoto. L’autista ripartì di gran carriera ma svoltate due strade, attraversati tre incroci e un passaggio a livello, dopo pochi chilometri e ancor meno fermate, si ritrovarono definitivamente imbottigliati in una coda interminabile di veicoli diretti nella loro stessa direzione, vale a dire verso Tokyo.
Nonostante la vettura si muovesse a passo di lumaca, all’inizio Benji fu l’unico a non farci caso. Dopo aver sprecato giusto un paio di pensieri a chiedersi dove fosse finita Patty e appena uno per porsi la stessa domanda su Evelyn, era tornato ad angustiarsi sullo scopo di quel viaggio e sulla loro meta finale finché il suo sguardo afflitto era stato catturato dalla ragazza che sedeva dal lato opposto, poco distante da lui, occupata a digitare un messaggio al cellulare, sulle labbra un sorrisetto dedicato al suo invisibile interlocutore. Non era una grande bellezza ma aveva una massa di capelli stupendi che attiravano inesorabilmente, come una calamita, la sua totale attenzione. Non ne aveva mai visti di così: neri, lunghi, lisci e splendenti come fili di seta. Le scendevano giù dritti ai lati del volto, si adagiavano morbidamente sulle pieghe del cappotto color crema e le arrivavano alla vita. Oltre i capelli c’era la bocca. Brillava di un velo di lucidalabbra rosa che la faceva apparire simile a una fragola matura.
-Perché tutto questo traffico proprio oggi?-
Benji venne distolto dalla contemplazione dalla voce di Bruce e spostò controvoglia, giusto per un istante, gli occhi dalla giovane ai fanalini di coda dei veicoli che li precedevano. Poi tornò a guardarla, incantato da quei fili di seta nera che gli era venuta una gran voglia di toccare. Alla fermata successiva lei scese e ogni possibile fonte di distrazione scomparve.
Realizzò così anche lui che a causa dell’intenso traffico rischiavano di perdere il treno. Cosa che poteva rappresentare una valida scusa per tornare a casa e trascorrere ciascuno per i fatti propri le due settimane che avrebbero dovuto invece dedicare al ritiro in Hokkaido, se la scelta di disertare l’incontro non avesse avuto come conseguenza quella di scatenare le ire funeste di Gamo. Il fatto era che non aveva vie d’uscita. Era costretto a partecipare a quella gita e un ritardo sulla tabella di marcia avrebbe soltanto compromesso tutte le tappe del loro lungo e indesiderato viaggio.
Seduto dall’altra parte del corridoio Holly si volse verso Tom e i loro sguardi si incontrarono. Becker accennò un sorriso rassicurante mentre Bruce, spaparanzato al suo fianco, si sporgeva tra i sedili per scrutare la strada oltre la cabina dell’autista. La carreggiata era un serpente lunghissimo di auto in coda di cui era impossibile scorgere la fine. Harper si alzò, raggiunse il conducente e osservò perplesso la strada.
-Si tenga sulla destra, la fila scorre più veloce.-
Il conducente era uomo sulla sessantina, con la divisa di ordinanza comprensiva di cappello e guanti bianchi, una statura mingherlina e un paio di radi baffi tendenti fortemente al grigio. Il consiglio lo seccò parecchio e con un moto di fastidio spostò gli occhi dalla carreggiata al ragazzo che lo fissava dietro il vetro divisorio della cabina.
-Questo è un autobus, non una motocicletta.-
Espressa con convinzione la sua perla di saggezza, tornò a seguire rassegnato l’andamento del traffico. La vettura che lo precedeva si mosse e lui sollevò il piede dal freno, consentendo all’autobus di avanzare di qualche metro.  
Dopo una manciata di minuti, Tom si alzò e si avvicinò a Holly.
-Forse faremmo prima a piedi.-
-Mi sa che hai ragione.-
Tom raggiunse Bruce e si sporse verso il conducente.
-Mi scusi, ci farebbe scendere per favore?-
-Impossibile. Non siamo sulla fermata.-
-Ma se lei non ci fa scendere, noi rischiamo di perdere il treno.- insistette Bruce -Non potrebbe fare un’eccezione, per una volta?-
-È contro il regolamento.-
-Ma noi stiamo facendo tardi.- insistette petulante.
-Come può ben vedere, la colpa non è mia.-
-Però potrebbe farci scendere.-
I guanti bianchi di ordinanza si contrassero sul volante, mentre l’uomo prendeva in seria considerazione l’idea di sbarazzarsi di quei fastidiosi passeggeri.
-Quanto manca alla prossima fermata?-
-Se andiamo avanti di questo passo, più o meno un anno.-
Rispondendo a Bruce, l’autista non tentò neppure di dissimulare lo scherno che gli incurvò le labbra, ma l’effetto pungente di quella replica si perse nella brusca frenata a cui fu indotto dalla vettura che li precedeva e che era tornata a fermarsi.
L’improvviso arresto dell’autobus colse impreparato Benji, che si era appena alzato per raggiungere i compagni. Catapultato in avanti dalla frenata, inciampò nella propria valigia. Perse stabilità, un piede bloccato tra le ruote del trolley, l’altro a cercare scompostamente di superarlo. Cadde, e con un guizzo fulmineo si aggrappò alla spalliera di un sedile laterale stringendo la presa. Per pochissimo non rotolò a terra. Ondeggiò avanti e indietro nello spazio vuoto dell’abitacolo come un pendolo e quando le sue dita scivolarono dolorosamente via dal sedile, si salvò dalla caduta abbracciando un paletto di sostegno. Come se l’urto con il cilindro di acciaio non bastasse, sbilanciato a sua volta Holly gli piombò addosso a peso morto, togliendogli il respiro.
-Cazzo!-
-Scusa Benji, non l’ho fatto apposta.-
-Vorrei vedere! Chi ha dato la patente a quest’imbecille?-
Nel silenzio dell’autobus l’imbecille lo udì, sollevò di scatto gli occhi allo specchietto puntato verso l’interno della vettura e lanciò al portiere una lunga occhiata contrariata che il giovane sostenne senza batter ciglio. Tanto che ad abbassare per primo lo sguardo fu proprio l’autista. Mentre arrivavano proteste anche da parte degli altri passeggeri, furibondo e umiliato il conducente arrestò la vettura da quel passo di lumaca che ormai rimaneva costante da dieci minuti pieni e abbondanti e aprì la porta anteriore senza proferire parola. Una discesa fuori fermata non era prevista dal regolamento e lui finora, in ventott’anni di servizio, non l’aveva mai addirittura contemplata. Ma a tutto c’era un limite!
I ragazzi colsero l’invito al volo, recuperarono in fretta i bagagli e scesero di corsa.  
-È stato gentile ad aprirci.- disse Holly quando fu sul marciapiede. Si volse a ringraziare ma l’autobus era già ripartito.  
-Gentilissimo.- gli fece eco Bruce.
Benji li riscosse.
-Se non vi muovete perderemo davvero il treno!-
Corsero lungo il marciapiede superando la lenta fila di macchine in coda. Arrivarono al semaforo e attraversarono la strada quando ormai il verde dei pedoni era sul punto di mutare in rosso. Voltarono l’angolo e nella loro folle corsa quasi travolsero una ragazza vestita da pinguino che distribuiva volantini davanti al McDonald’s. Superarono l’ufficio postale, il parcheggio a pagamento, la fermata dell’autobus che era stata la loro meta originaria e finalmente raggiunsero l’edificio della stazione.
-Holly! Tom!- ansimò Bruce senza fiato. Una decina di metri più in là, gli amici avevano appena varcato l’ingresso lasciandolo paurosamente indietro -Aspettatemi! Non ce la faccio più!-
Un bel pezzo avanti, Benji si volse e rise.
-Il treno non aspetta, Harper! Sei davvero fuori forma. Sarai l’unico a cui il ritiro farà bene!-
Il portiere non aveva tutti i torti visto che Bruce li raggiunse alle biglietterie automatiche completamente spompato, la lingua di fuori e la milza che gli bruciava in modo insopportabile.
La stazione di Fujisawa era relativamente piccola ma molto frequentata grazie alla sua vicinanza con Kamakura, storica cittadina che si affacciava sull’oceano. Località di villeggiatura di spicco per le sue spiagge ventilate meta di surfisti, era rinomata specialmente per la presenza di dozzine di pittoreschi templi buddhisti e santuari shintoisti che richiamavano visitatori da ogni parte del Giappone e del mondo. Turisti e sportivi di passaggio affollavano di riflesso anche Fujisawa, snodo ferroviario sulla linea rapida Tokyo-Kyoto.
Tutta quella gente rese il tratto dalle biglietterie al binario un vero e proprio percorso a ostacoli. Il rapido per Yokohama venne annunciato in arrivo mentre Bruce ancora infilava gli spiccioli nella macchinetta dei biglietti.
-Harper, muoviti!- lo sollecitò Benji volando su per le scale.
Corsero attraverso il sovrapassaggio mentre i vagoni si arrestavano sul binario e s’infilarono dentro in quell’attimo sospeso tra il segnale sonoro della chiusura e l’effettivo blocco delle porte. Poi il treno si mosse.
-Appena in tempo. Pensavo di non farcela!- Bruce si aggrappò esausto a un paletto di sostegno, ansimando per la corsa -Ho bisogno di acqua. Avete dell’acqua?-
I tre scossero all’unisono la testa. Tom alzò gli occhi alla pianta del treno appesa in alto tra le pubblicità, sopra le porte.
-Forse c’è un distributore automatico in uno dei vagoni. Proviamo a vedere.-
Percorsero il convoglio per buona parte della sua lunghezza in una infruttuosa ricerca. Alla fine rinunciarono.
-Ci sono dei posti, mettiamoci qui. È il vagone meno affollato.-
Benji si volse sgomento verso Tom.
-No, qui no.- dichiarò risoluto e proseguì in direzione della porta che comunicava con la carrozza successiva. L’avrebbe volentieri oltrepassata se Holly non l’avesse richiamato con asprezza.
-Ci fermiamo qui, Benji.-
L’equilibrio psichico del portiere ebbe un improvviso cedimento. Il suo istinto di sopravvivenza gli diede un calcione verso la porta che separava i due vagoni. Si volse non per tornare sui propri passi e ubbidire all’ordine perentorio del capitano, quanto per perorare le proprie ragioni. Con grande disappunto si accorse invece che i compagni stavano prendendo posto senza esitazione in alcuni sedili liberi. Allora si guardò intorno costernato, mettendo a fuoco ciò che aveva finto di non vedere e che aveva tentato di ignorare schermandosi i sensi della vista e dell’udito. Il vagone era sì meno affollato degli altri, ma in compenso i suoi occupanti erano un’orda di bambini vocianti e confusionari che stavano facendo di quella carrozza un inferno in terra. Era palese che, pur di non restare invischiati neppure un attimo tra gli schiamazzi, i viaggiatori avessero preferito strizzarsi negli altri vagoni.  
Tornò verso Holly e lo fronteggiò.
-Perché qui?-
-Perché qui no?-
Con un gesto del braccio racchiuse ogni singolo posto occupato da un minorenne.
-È così ovvio!-
-Sono solo dei bambini, Benji!- si spazientì Holly.
-E ti pare poco?-
Il capitano gli lanciò un’occhiata storta mentre ficcava il trolley nel portabagagli sopra i sedili che avrebbero occupato lui e Tom.
-Mettiti lì Benji, c’è posto.-
“Lì” non era certo il sedile che il portiere avrebbe desiderato occupare, proprio di fronte a dove si stava accomodando Bruce, che lo osservava divertito. Sembrava essersi completamente ripreso dallo sforzo della corsa, tanto da trovare persino la voglia di prendersi gioco di lui.
-Che fai, ti siedi?-
Il portiere si fece largo tra quella calca vociante e si lasciò cadere sbuffando sul sedile. Dopodiché manifestò ai compagni la propria contrarietà, calcandosi il cappellino in testa e abbassando la visiera sugli occhi.
A quel punto non gli restava altro da fare che sforzarsi di ignorare la confusione. Ma come poteva, maledizione? I bambini erano tanti, per lo meno una quarantina di piccoli animaletti scatenati ed eccitati dalla novità del viaggio. Non solo totalmente incapaci di rimanere seduti composti, ma persino di stare in silenzio per più di un minuto ciascuno. Un tale baccano non ricordava di averlo mai udito neppure a scuola durante l’ora di ricreazione, quando frequentava le elementari nell’elegantissimo istituto privato della Saint Francis.
Lui e Bruce occupavano i sedili esterni di quattro e sui restanti, lato finestrino, Benji faceva in modo di non dirigere lo sguardo per ignorare al meglio i due marmocchi lì seduti. Avrebbe dovuto scegliere con più cura il suo posto e non dar retta a Holly. Lui e Tom sì che erano capitati bene. Per caso o per consapevole scelta, si erano sistemati di fronte a una coppia di bimbe precoci e procaci che li riempivano di sguardi pieni d’ammirazione, così dissonanti con la loro giovane età. Quei quattro sedili isolati dalla confusione dei maschiacci erano circonfusi di una tranquillità idilliaca.
Benji fece saettare lo sguardo sotto la visiera in direzione dei suoi vicini di posto più prossimi. La confusione del vagone gli stava urtando i nervi, messi già duramente alla prova dal fatto stesso di essere su quel maledetto treno invece che a farsi i fatti propri con chi voleva e non con chi Gamo aveva scelto per lui.  
E invece no, era in viaggio verso l’Hokkaido di Callaghan e degli orsi. Un concetto così assurdo che per crederci doveva continuare a ripeterselo come un mantra, ed era impossibile riuscire a farsene una ragione. Sospirò in sordina e spostò lo sguardo sul ragazzino che sedeva di fianco a Bruce. Un paio di occhiali sul naso e la faccia da secchione, leggeva un manga in un mite silenzio. Al contrario, il marmocchio che gli era toccato accanto, seguitava ad alzarsi e sedersi di continuo, facendo la spola tra il proprio posto e gli amichetti sparpagliati nel vagone, aprendosi un varco tra le ginocchia sue e di Bruce a suon di spinte e manate senza porsi il problema di disturbarli. Anzi, si era scusato solo all’inizio, come se quell’unica volta avesse dato il via libera a ogni passaggio successivo.
Accompagnato da un grido acuto che gli penetrò all’istante nel cervello, il musetto sorridente di un bambino apparve sullo schienale alle sue spalle.
-Teddy, vieni a vedere che sta facendo Meg!-
Figuriamoci se Teddy si perdeva lo spettacolo. Il bambino saltò giù dal sedile con energico entusiasmo e scosse l’amico secchione per la giacca.
-Vieni, Mik?-
Michael alzò il naso dal manga quanto bastava per rivolgergli un’occhiata completamente disinteressata.
-Non mi va.-
Il rifiuto non scoraggiò Teddy. Desideroso di raggiungere gli amici, s’infilò come un tornado tra le ginocchia dei ragazzi.
Ma stavolta no. Benji era stufo di tutti quei viavai. Si tese, piantò saldamente i piedi a terra e bloccò il passaggio. Nei suoi occhi guizzò un lampo e da sotto la visiera ghignò un avvertimento.
-Perché non leggi qualcosa anche tu? Sai leggere, vero Teddy?-
Teddy annuì. Certo che sapeva leggere. Sapeva leggere benissimo e stava anche per dirlo a quel signore. Ma l’atteggiamento maldisposto che si ritrovò ad affrontare lo indusse d’istinto a indietreggiare. Si volse in cerca della solidarietà e dell’appoggio di Mik contro quella vera e propria prepotenza ma l’amichetto, immerso nelle pagine del manga, non si era accorto di nulla.
Incastrato al suo posto, Teddy dovette rinunciare afflitto al giro di perlustrazione e tornò a sedersi mogio mogio.
Soddisfatto del buon esito della manovra intimidatrice, Benji si sistemò meglio sul sedile e si impose di rilassarsi, senza tener conto che l’ottimismo dei bambini è inesauribile e l’inattività genera noia nel tempo di un istante. Dunque, straconvinto di aver sradicato il problema una volta per tutte, si rifiutò di notare che più i minuti passavano e più Teddy ritornava a essere irrequieto, dando cenni via via più espliciti di impazienza. Logicamente era sempre più stufo di star seduto senza far niente e i suoi piedini che avevano preso a battere impazienti contro il bordo inferiore del sedile ne erano un chiaro segnale. D’altra parte quel martellamento a Benji stava cominciando a dare seriamente fastidio. In che modo farlo smettere se non legandogli le gambe?
Mentre rifletteva su come risolvere anche quel problema, Teddy tirò su da terra lo zainetto e prese a frugare al suo interno. Benji sperò, anzi quasi pregò, che ne estraesse un libro. Invece tra quelle piccole dita frenetiche comparve una macchina giocattolo. Una bella Ferrari rossa, nuova e fiammante, grosso modo delle dimensioni di una pallina da tennis. Era un regalo dei nonni per il compleanno festeggiato la settimana prima e tutti i compagni della sua classe gliela invidiavano. Per questo l’aveva portata con sé. La fece correre avanti e indietro sulle gambe, mostrandola al mondo in tutta la sua sfolgorante bellezza, certo che i suoi vicini adulti gliel’avrebbero invidiata anche loro. Il percorso della Ferrari proseguì quasi timidamente sul bracciolo in comune, inducendo Benji a spostare il gomito per non essere investito.
Teddy era certo che prima o poi quel tipo torvo che gli aveva impedito con tanta cattiveria di raggiungere gli altri, lo avrebbe pregato di fargliela tenere in mano, proprio come era successo con i suoi amichetti. Passò un minuto, ne passarono due ma la richiesta non arrivò. Così l’automobile rossa iniziò un vero e proprio viaggio.
La tenuta delle gomme venne testata sul vetro del finestrino, sulle gambe di Mik e sulla sua giacca a vento. Il ragazzino scacciò il fastidioso molestatore con una manata e un mugolio di protesta che non fece demordere l’energico pilota. Teddy cambiò sì percorso ma per dare un tocco di realismo, completò l’esibizione della Ferrari emettendo un borbottio a imitazione del motore. Con la speranza che la benzina finisse presto, Benji sollevò il viso e incrociò gli occhi di Bruce, illuminati di genuino divertimento.
Dopo un paio di metri percorsi in lungo e in largo, Teddy parcheggiò la vettura sul margine più esterno del sedile e si guardò intorno esterrefatto. Possibile che nessuno volesse giocare con lui? Mik continuava a voltare una pagina dopo l’altra e quei due signori non sembravano interessati alla sua macchinina nuova. Innervosito dall’indifferenza che lo circondava, ricominciò testardamente il suo giro. In piedi nello spazio tra i sedili, fece arrampicare la piccola automobile su per la spalliera libera fin dove riuscì ad arrivare. E quando il suo braccio si tese allo stremo, si accorse che la Ferrari non avrebbe raggiunto il poggiatesta, la meta più alta. Sia mai!
Montò in ginocchio sul sedile, aggrappandosi alla spalliera con una mano e stringendo la macchinina nell’altra. E con la stessa baldanza di chi ha raggiunto la cima dell’Everest dopo giorni di estenuanti arrampicate tra i ghiacciai, si affacciò dall’altra parte. Le risate allegre e divertite dei compagni nei quattro sedili successivi lo investirono con un contrasto così netto rispetto al silenzio da cui era circondato, che una curiosità viscerale lo assalì. Si spencolò più che poté oltre il poggiatesta per guardare dall’altra parte e il motore della Ferrari si spense del tutto.
-Meg, che stai facendo?-
Intanto gli occhi di Benji seguivano con preoccupazione le suole delle scarpe del bambino, che guizzavano qua e là senza una logica arrivando vicinissime ai suoi jeans. Spostò le gambe più che poté, urtando quelle di Bruce. E non appena si reputò salvo, un colpo improvviso fece sobbalzare la visiera del cappellino. Un piccolo gomito la sfiorò di nuovo mentre il ragazzino si sporgeva a scatti, come se cercasse di afferrare qualcosa.
-Ridammela, Meg!-
Dovevano avergli soffiato la Ferrari. Alleluia!
Quel barlume di intensa soddisfazione lo indusse a spostare gli occhi ai compagni lontani. E il sorriso gli svanì di colpo dalle labbra quando li trovò a godersi spensierati l’interesse di un intero gruppo di bambine. Non più soltanto le due che sedevano di fronte. Se ne erano aggiunte altre tre in piedi nel corridoio e una di loro teneva una mano sul ginocchio di Holly, un po’ a sostenersi, un po’ attratta dal ragazzo, ascoltandolo parlare rapita. Aveva lo stesso sguardo incantato di Patty alle scuole elementari.
-Teddy, stai seduto composto.- la voce ragionevole di un adulto riportò il bambino sul sedile. Il capogruppo percorse il corridoio, cercando di richiamare all’ordine il vagone. Chiaramente senza troppo successo, visto che dopo il suo passaggio la confusione ricominciò identica.
Infatti, dopo una brevissima tregua, un altro colpo arrivò improvviso sul cappellino di Benji, facendo balenare un lampo di collera sotto la visiera. Il terzo colpo fu quello decisivo. La macchinina piombò giù, finendogli in grembo. L’afferrò fulmineo, prima che riuscisse a farlo Ted. Bruce temette che la fracassasse e fu tentato di sottrargliela.
Il bambino tese fiducioso una mano per farsi restituire il giocattolo. Benji non si mosse, si limitò a fissarlo.
-Apri bene le orecchie, pulce! Se non la pianti all’istante, te la faccio ingoiare, questa Ferrari!-
Gli occhi, il tono e la voce di quell’adulto a Teddy non piacquero per niente. Lasciò perdere i compagni, ripose prudentemente la macchinina nello zaino e dopo aver mentalmente soppesato le scarse alternative che teneva disordinatamente ammucchiate al suo interno, tirò fuori un manga tutto spiegazzato. Cercò lo sguardo di Mik, neanche stavolta lo trovò e si rassegnò a leggere. Lo fece ininterrottamente, finché non arrivarono a destinazione.

Il sole era alto nel cielo quando giunsero ad Haneda e il tepore dei suoi raggi aveva iniziato a riscaldare la rigida mattina invernale. I corridoi della stazione del treno li catapultarono direttamente all’interno dell’aeroporto e, varcato il controllo dei biglietti ferroviari, si fermarono discosti dal viavai fitto e continuo dei passeggeri. Tom accantonò la valigia da un lato e si guardò intorno.
-Non vedo Julian. Dove ti ha detto che ci avrebbe aspettati?-
-Esattamente qui.- rispose Holly.
Bruce lo individuò e lo indicò agli amici.
-Infatti eccolo!-
La sciarpa avvolta intorno al collo a coprirgli mezza faccia, Ross stazionava nei pressi delle uscite da una buona mezz’ora e si stava annoiando da matti. Soprattutto aveva sonno e sbadigliava a ripetizione. Quando si sentì chiamare si volse e si staccò dal pilastro che aveva sostenuto finora il peso del suo corpo. A terra c’erano due borse. Aspettò che i compagni lo raggiungessero, poi abbassò la lana sotto il mento per scoprire la bocca e salutarli.
-Sei in incognito?- domandò Bruce curioso, lanciando sguardi qua e là senza tuttavia trovare nessuno che li osservasse con interesse.
-Quando sono arrivato sono stato fermato per un autografo e mi seccava che la cosa si ripetesse.-
-Ragazze?-
L’altro annuì e Bruce si lasciò andare a un moto di invidia e sconforto.
-C’era da scommetterci. Carine?-
-Ero di fretta e non le ho guardate.-
-Sono sicuro di sì, invece.-
-E allora cosa lo chiedi a fare? Come mai ci avete messo tanto?-
-Siamo stati travolti da una scolaresca.- lo sguardo di Tom era carico di divertimento quando lanciò un’occhiata allusiva a Benji che non raccolse la provocazione -Dov’è Mark?-
-È andato a comprare qualcosa da mangiare. Dice che non ha fatto colazione.-
-Io la rifarei volentieri.- sospirò Bruce.
Holly, chino a terra, aprì la borsa e frugò al suo interno spiegazzando buona parte dei vestiti.
-Dove accidenti sono finite?-
-Cosa?-
-Le prenotazioni del volo… Eccole.- tirò fuori un fascio di fogli, li scorse rapido e li rificcò tutti nella borsa, tranne una pagina stampata al pc. La porse a Tom e richiuse la zip.
Un cellulare trillò tra loro con inaspettata e improvvisa allegria. Holly si tirò su di colpo, scrutando i compagni con uno sguardo assassino così insolito sul suo volto da incutere davvero timore.
-Cos’è?-
Ma lo sgomento non era solo del capitano. Quel trillo tra loro non avrebbe dovuto suonare perché i cellulari, nei ritiri, erano banditi. Su questo punto si erano trovati sempre tutti d’accordo per anni, o almeno così si era illuso Holly. Scrutò i compagni uno per uno e fu semplicissimo indovinare chi non aveva rispettato il patto. Figurarsi, conosceva troppo bene i suoi polli.
Bruce, le mani in tasca, fissava un punto lontano spostando a disagio il peso del corpo da un piede all’altro, neanche stesse calpestando dei carboni ardenti. Nel frattempo il telefonino continuava a vibrargli nella tasca.
-Almeno spegnilo!- lo aggredì Holly.
Bruce annuì subito e lo tirò fuori all’istante. Chiuse la chiamata attaccando in faccia a sua madre, che non avrebbe potuto telefonare in un momento meno opportuno. Che accidenti voleva?
-Perché l’hai portato? Avevamo detto niente cellulari!-
La risposta del ragazzo fu un incrocio tra una supplica e un lamento.
-È per Evelyn! Visto che non so dov’è e visto che lei non sa che non l’avrei portato con me, ho pensato che se mi avesse cercato non avrei potuto risponderle!-
-Quando arriviamo al ryokan te lo requisisco!-
A infastidire di più Holly era che nonostante non fosse riuscito a contattare Patty, aveva diligentemente lasciato il cellulare a casa. A dirla tutta, l’idea di portarlo al ritiro non gli era proprio passata per la testa. Certe volte era così ingenuo… e stupido.
Mark sopraggiunse alle sue spalle con incedere felino e il suo saluto brusco lo fece sobbalzare.
-Ciao.- disse a tutti lasciando che i suoi occhi si posassero per ultimi su Price -Ho sperato fino all’ultimo che non venissi.-
-Anch’io. E invece...- il portiere lasciò il proprio scontento a metà, costretto a prendere atto della presenza dell’eterno rivale.
Con un gesto stizzito, Holly afferrò la borsa.
-Ora che vi siete salutati con tanto calore, possiamo muoverci.-
Julian percorse per ultimo l’atrio dell’aeroporto, verso il terminal delle partenze. Aveva seguito lo scambio di convenevoli tra il portiere e l’attaccante del Giappone con un filo di preoccupazione, perché era sicuro che tanta tensione non avrebbe influenzato favorevolmente l’incontro con le ragazze. La telefonata di Philip lo aveva reso irrequieto ed erano ormai ore che si interrogava su come sarebbe andata a finire quella giornata. Era difficile immaginare cosa sarebbe successo trovando le ragazze ad aspettarli al ryokan. Landers e Price non lasciavano presagire nulla di buono già da ora, figuriamoci dopo.
In attesa che il check-in aprisse, Mark si stravaccò su una delle poltroncine allineate lungo le pareti, non troppo distante né troppo vicino, addentando ciò che gli era rimasto in mano del panino acquistato poco prima. Mentre ruminava con convinzione, osservava Julian pensieroso. Deglutì l’ultimo boccone, poi lo apostrofò.
-Che ti passa per la testa, Ross? Oggi sei poco loquace.-
-Veramente sei tu che parli più del solito.-
Con le sue chiacchiere Mark lo stava assillando fin dall’incontro nella stazione di Shinagawa, da dove avevano proseguito insieme per l’aeroporto. Lo scontento di Landers era un fiume in piena che aveva trovato sfogo nel tormentare Julian. Quest’ultimo, dopo averlo assecondato per i primi dieci minuti, s’era stufato parecchio di sorbirsi le sue lamentele e si era chiuso nel silenzio. A quel punto Landers aveva cominciato a tempestarlo di domande sul percome e perdove di quel ritiro. E Julian era sicuro che se il compagno avesse continuato su quella strada, prima o poi avrebbe finito per lasciarsi sfuggire qualcosa. Non poteva rischiare, erano ancora a Tokyo, troppo vicini a casa.
-Vado al bagno.-
Tom lo seguì con lo sguardo mentre si dileguava tra la gente.
-Cos’ha?- guardò Mark -Julian ha qualche problema?-
Landers fece spallucce.
-Che ne so? Non sono mica il suo medico curante. Stamattina è di poche parole.-
-Mi piacerebbe conoscerla la persona che trova piacevole conversare con te.- Benji si tolse i guanti di lana e li infilò in tasca, guardando poi i compagni con saccenza e noncuranza -E per quanto riguarda Ross, ha né più né meno la stessa sindrome di Holly. Gli si legge in faccia.-
Il capitano saltò su come un grillo.
-Che sindrome?-
-Crisi d’astinenza.-
-Non sono in crisi d’astinenza!-
-Be’ insomma…- borbottò Bruce -Ti stai lagnando da quando sei uscito di casa.-
Holly si volse imbufalito.
-Ma se per parlare con Evelyn, hai persino portato con te il cellulare! A un ritiro!-
Mark seguiva interessato la discussione, poi un pensiero gli attraversò la testa facendolo scoppiare in una risata che attirò l’attenzione di tutti.
-Immaginate allora che rottura sarà Callaghan! Callaghan sta appiccicato alla sua donna come un koala a un eucalipto.-
-Come fai a dirlo se non li hai mai visti insieme?- fece notare giustamente Bruce -Nessuno di noi l’ha mai incontrata.-
-Come se non avessimo notato quante volte la chiama durante i ritiri e le trasferte.-
Fu Benji a parlare stavolta e che Landers e Price sostenessero lo stesso punto di vista era così inconsueto, da indurre Tom e Holly a scambiarsi un’occhiata tra il sorpreso e il divertito.
Che si trovassero in Giappone o in qualsiasi altra parte del mondo, in una manciata di giorni Philip era capace di chiamare Jenny decine di volte, così spesso che anche il mister e Pearson a lungo andare se ne erano accorti. E un giorno Gamo davanti a tutti gli aveva detto chiaro e tondo che se avesse passato con il pallone lo stesso tempo che perdeva al telefono, la squadra ne avrebbe certamente guadagnato. Nonostante le risate e le prese in giro scaturite dal commento, Callaghan aveva continuato a telefonare alla fidanzata con la stessa intensità, impegnandosi però di più in campo per evitare ulteriori rimproveri.
Benji in vita sua non aveva mai visto un tale appiccicume. E più ne prendeva atto, più si riprometteva che a lui non sarebbe mai successo. Non avrebbe mai accettato di annullarsi per una donna, come invece era convinto che Philip avesse finito per fare. Benji non solo non ammetteva tanto attaccamento, ma non riusciva proprio a concepirlo. Qual era il problema di restare separati per un po’, di non sentirsi per qualche giorno? Non era anche meglio, anzi, per non rischiare assuefazione? Tutto ciò era assurdo e questa assurdità gli aveva reso Jenny antipatica senza neppure conoscerla di persona. Soltanto una volta l’aveva intravista in foto: era carina, non poteva non concederglielo, ma la sua bellezza non era sufficiente a giustificare tutte le attenzioni e la dedizione che Callaghan le dedicava. Philip era senza dubbio un ragazzo intelligente e ciò infittiva il mistero. Se aveva abbastanza cervello per ragionare, allora perché non lo capiva? Corresse immediatamente le proprie conclusioni. Evidentemente Philip era intelligente quando non c’era di mezzo la sua fidanzata. In caso contrario diventava lo stupido tappetino di una femmina. Come poteva sopportare un legame tanto esclusivo e oppressivo? Chi accidenti era questa Jenny? Come era riuscita a imporsi così?
Holly sollevò da terra il proprio bagaglio.
-Il check-in è aperto, imbarchiamo le valigie.-
-Manca Julian.- notò Tom.
-Ora vado a recuperarlo.-
-Ti accompagno.- si offrì Bruce.
Tom osservò lui e Holly allontanarsi tra la gente. A guardar bene c’erano più persone in giro a Fujisawa che in aeroporto. Forse perché era ancora giovedì, comunque la maggior parte dei viaggiatori erano soli e con pochi bagagli, in partenza probabilmente per lavoro. Un po’ come loro, in fondo.  Seguì con lo sguardo un’affascinante e giovanissima mammina che teneva per mano una graziosa bimbetta sgambettante. Fece per indicarla ai compagni, poi ricordò gli insulti di cui li aveva ricoperti Benji quando erano scesi dal treno, conditi dall’accusa di non aver scelto più accuratamente il vagone da occupare. Fissò il portiere, che comunque aveva notato da solo la ragazza (figuriamoci), e prese atto del fatto che lui e Mark seguitavano a ignorarsi fingendo l’assenza dell’altro. Una sensazione spiacevolissima lo assalì, così violenta da serrargli lo stomaco. Non vedeva l’ora di raggiungere Philip. Sapeva che anche lui si sarebbe prodigato per aiutare Holly a far andare d’accordo quelle due teste calde e il suo apporto poteva far pendere definitivamente l’ago della bilancia dalla parte della civile convivenza. Per la prima volta si chiese perplesso se davvero il ritiro sarebbe servito a qualcosa o se quei due, approfittando del fatto che Gamo non fosse presente, avrebbero finito per fare a botte, come del resto tutti si aspettavano che prima o poi sarebbe successo di nuovo. Si alzò.
-Faccio un salto in libreria. Vorrei comprare qualcosa da leggere in aereo.- e così forse sarebbe riuscito ad allontanare dalla testa il groviglio di spiacevoli pensieri. Che l’ansia di Holly fosse contagiosa?
-Anch’io.- Benji ne approfittò per mettere maggiore distanza tra sé e Landers. Più si teneva alla larga da quel pezzente e meglio si sentiva.
Mark neppure li udì. Era diventato così bravo a filtrare la voce del portiere che di riflesso non aveva ascoltato neppure Tom, che gli era stato seduto vicino. Allungò una mano verso il sedile accanto, afferrò la bottiglietta di coca-cola e la svuotò fino all’ultima goccia. Aveva ancora fame e sperava che gli snack sull’aereo fossero più sostanziosi del solito. Al limite avrebbe mangiato anche la razione di Tom che, era sicuro, non avrebbe protestato. Si accomodò meglio contro lo schienale della poltroncina e rimase pensieroso a giocherellare con la bottiglia vuota, finché vide Holly tornare.
-Dove sono Benji e Tom?-
-Non ne ho idea.-
Il giovane gli mise in mano tre carte d’imbarco.
-Tieni, una è tua. Per le altre, trovali e dagliele.-
Mark gli lanciò un’occhiata incredula.
-Cos’è che devo fare?-
-Trova Tom e Benji, porta loro i biglietti e avvertili che cominciamo a fare la fila per l’imbarco.-
-Holly, sia chiaro da subito…- s’inalberò bellicoso -Sei il capitano solo in campo e puoi darmi ordini esclusivamente lì.-
-Cos’è che non ti va bene? Ti sto soltanto chiedendo un favore.-
-Non c’è nulla che non vada bene e la tua non è una richiesta ma un ordine.-
Holly sospirò e capitolò, perché era l’unico modo per riuscire a fargli fare ciò che gli aveva chiesto.
-Per favore Mark, potresti portare questi due biglietti a Tom e Benji?-
-Dov’è Ross?
-A recuperare un carrello su cui caricare i nostri bagagli e portarli al check-in.-
-Allora perché non vai tu a cercare Becker e Price?-
Il capitano lo fissò stralunato e con la tentazione fortissima di saltargli al collo per shakerargli un po’ il cervello.
L’altoparlante che annunciava l’imbarco lo salvò.
- I passeggeri del VOLO JAL 566 PER OBIHIRO sono pregati di raggiungere il GATE 8 -
La voce ripeté l’annuncio due volte, poi tacque.
Nel frattempo Holly aveva ritrovato la calma e, insieme a essa, la soluzione al  problema.
-Vuoi davvero sapere perché ti sto chiedendo di andare a cercare Tom e Benji?-
La sicurezza di Mark vacillò. Che gliene importava, in fondo? Stava per dirglielo ma non fece in tempo, l’altro era già partito con la spiegazione.
-Te lo sto chiedendo perché la hostess del check-in è purtroppo una ragazza che non passa inosservata. E infatti Bruce l’ha notata. Adesso si è attaccato come la colla al bancone della consegna bagagli e la sta assillando per avere il suo numero di telefono e chissà cos’altro. Se non vado a toglierlo di lì, lei chiamerà la sicurezza. O vuoi pensarci tu mentre io cerco Tom e Benji?-
-Haper non ce l’ha già la ragazza?-
-Certo che ce l’ha!-
-E allora che diavolo sta facendo?-
-Il deficiente!-
Mark valutò in fretta le opzioni che il capitano gli stava servendo su un vassoio pieno di spine. Fare una figura barbina insieme ad Harper o rintracciare l’odiato portiere? Tra i due mali scelse quello che gli parve minore: strappò i biglietti dalle mani di Holly e si allontanò dalla parte opposta.
Dov’è che erano andati quei due? Tom aveva detto qualcosa ma lui non gli aveva prestato attenzione. Forse in libreria, o almeno così gli pareva di aver udito. Che palle, quel viaggio non gli era piaciuto fin dall’inizio. Se il mister non lo avesse minacciato di lasciarlo in panchina e se non avesse dovuto restarci con Price, a cui Gamo aveva ripetuto le stesse identiche parole, avrebbe trovato il modo di rimanere a casa. Percorrendo l’atrio dell’aeroporto a passi lunghi e scontenti, quasi superò la libreria. Tornò indietro imprecando e varcò rapido l’ingresso. I due compagni erano proprio lì, nel reparto dedicato alle pubblicazioni sportive, a leggere con interesse la rivista che Tom teneva in mano.
-I biglietti.- disse allungandoli sopra la pagina -Stiamo imbarcando le valigie.- lanciò un’occhiata all’articolo, riconobbe le divise della nazionale e la curiosità ebbe la meglio -Cos’è?-
-Parlano di noi.- lo mise al corrente Tom. Era sempre un’emozione ritrovarsi sul giornale, un’emozione a cui non riusciva ancora ad abituarsi.
Il portiere scostò i biglietti che Landers seguitava a sventolare sulla rivista, impedendogli di continuare a scorrere l’articolo. Da parte sua, Mark si avvicinò di più, gli occhi puntati sulla foto che li ritraeva il giorno della partita contro l’Uzbekistan. Era venuta benissimo ed erano tutti sorridenti perché lo scatto era stato fatto  prima dell’incontro.
-Davvero? Cosa dicono?-
-Di te niente! Parlano soltanto di me e di Holly.- gongolò il portiere fastidiosamente euforico. Afferrò il giornale per scorrere l’articolo fino in fondo, poi voltò pagina, proseguì nella successiva e sorrise perché in effetti a Landers avevano dedicato soltanto una riga striminzita. Soddisfatto, mollò di nuovo la pubblicazione a Tom.
-E cosa dicono di te? Che ti sei fatto infilare un goal come un cretino? Che era molto meglio se in campo scendeva Ed? O addirittura Alan Crocker?- domandò stizzito Mark. Appioppò le prenotazioni a Price, afferrò dal ripiano un’altra copia della stessa rivista, la sfogliò e trovò subito la pagina. Scorse alcune righe, poi tornò a rivolgersi al portiere che ribolliva dell’appunto, leggendo a voce alta e chiara una frase che lo citava -“Come di consueto Landers ha scagliato verso la porta dell’Uzbekistan una serie di tiri di grande potenza e precisione…”-
-E poi prosegue…- infierì Benji, appoggiando le carte d’imbarco sul ripiano per togliere di nuovo la rivista dalle mani di Tom -“Davvero un peccato che tranne uno, nessun altro dei suoi stupendi tentativi si sia trasformato in un goal.”- al ricordo i suoi occhi lampeggiarono di collera -Come cazzo hai potuto sbagliare su quella rimessa?-
Tom trasalì e li fissò sgomento. Quei due ricominciavano?
-Stiamo facendo tardi.- chiuse il giornale con un gesto brusco e si avviò verso la cassa, dove trovò ad attenderlo una fila non indifferente.
- Ultima chiamata per i passeggeri del VOLO JAL 566 PER OBIHIRO -
L’annuncio li indusse a scambiarsi un’occhiata inquieta, l’istinto di abbandonare le riviste fu fortissimo, ma nessuno dei tre volle rinunciare a portarsi sull’aereo l’articolo che li riguardava. E poi la fila scorreva veloce, tanto che quando raggiunsero il gate, le hostess stavano ancora imbarcando l’ultima manciata di ritardatari. A un passo dagli ingressi, neanche si fossero messi d’accordo, i tre ragazzi si bloccarono di colpo affastagliati come le tessere di un domino. Si guardarono le mani l’un l’altro inutilmente, nessuno di loro aveva più i biglietti. Era come se quei tre pezzi di carta si fossero magicamente dissolti.
-Cazzo!- da sotto la visiera, gli occhi di Benji brillarono di sgomento -Dove sono le carte d’imbarco, idiota d’un Landers?-
-Idiota a chi, pezzo di deficiente? Le ho date a te, non ricordi?-
Benji si sforzò senza successo di recuperare quel ricordo svanito. Niente da fare. Il passaggio di consegne di cui lo accusava Mark gli risultò del tutto alieno.
Tom non perse tempo e fece un fulmineo dietrofront.
-Sono sicuramente rimaste in libreria!-
Benji e Mark lo seguirono difilato, correndo in mezzo ai viaggiatori che bighellonavano tra i negozi e i ristoranti per ammazzare il tempo dell’attesa, beati loro. Sullo stand delle riviste non c’era traccia dei biglietti.
-Diamine Price. Dove li hai messi?-
-Li avrò appoggiati qui! Maledizione, che fine hanno fatto?-
Tom frugò tra i giornali mescolando le testate. Una commessa li raggiunse prima che combinassero qualche danno e domandò se per caso i signori clienti avessero bisogno di aiuto.
-Sì, abbiamo dimenticato da qualche parte le nostre carte d’imbarco.-
-Veramente le hai perse tu.- disse Landers a Benji.
-Grazie per la precisazione, questo ci aiuterà senz’altro a trovarle più velocmente.- replicò il portiere a denti stretti.
Lei diede un’occhiata rapida tra le riviste, scostando tutta la pila di giornali.
-Qui non ci sono, vado a chiedere in cassa.-
Peccato che in quel preciso momento la cassa fosse deserta. Così la donna perse preziosissimi minuti a girovagare per il negozio in cerca del collega. Benji la braccò come un segugio e non gli importò che, quando lo trovarono, il tizio fosse impegnato con un cliente. Superò la commessa e apostrofò bruscamente l’uomo, interrompendo le sue prolisse e dettagliate spiegazioni.
-Qualcuno le ha lasciato tre carte d’imbarco?-
L’impiegato lo squadrò ostile dall’alto in basso e mentre lo faceva ebbe come una specie di dejavu. Quella faccia, quell’espressione, gli sembrava di averle già viste da qualche parte. Ma il fastidio di essere stato interrotto ebbe la meglio. Così, piuttosto che arrovellarsi su un’impressione che gli avrebbe forse fatto perdere un cliente, preferì togliersi rapidamente di torno il maleducato seccatore.
-No, non è venuto nessuno a portarmi nulla.-
Benji tornò dai compagni.
-Niente, non ci sono.-
Mark lo fissò con malcelato sospetto.
-Non l’avrai mica fatto apposta per non partire, Price?-
L’altro sostenne sia sguardo che accusa.
-Non mi costerebbe nulla dirti di sì, ma no! Non l’ho fatto apposta! Sono qui proprio per non sentirle, le urla di Gamo! Altro che perdere i biglietti. Tom!-
-Tom cosa?
-Fatti venire un’idea.-
-Ce l’ho già. Vediamo se ci fanno salire lo stesso. I nostri nomi sono sulla lista.-
Alla fine di una pazza corsa nei corridoi dell’aeroporto, si arrestarono impietriti davanti al gate, dove le hostess stavano chiudendo gli ingressi e smontando le apparecchiature. Gli sguardi dei tre ragazzi si spostarono increduli alle grandi vetrate che si affacciavano sulle piste. Il loro aereo si era sganciato dal tunnel di gomma e stava facendo retromarcia nello sterminato parcheggio. Seguirono come ipnotizzati tutta la manovra fino al circuito di decollo.
Mark reagì per primo allo shock.
-Maledizione!- colpì il basamento in metallo di una fila di poltroncine con un calcio ben assestato che le fece sobbalzare tutte e sei -Non è possibile, non possono partire senza di noi!-
L’aereo proseguì dietro le vetrate. Pochi istanti dopo lo videro passare in decollo, la fusoliera puntata verso il cielo mentre prendeva quota. Lo osservarono senza poter far nulla portarsi via Bruce, Holly e Julian abbandonando loro lì, tre deficienti che avevano perso tempo a pavoneggiarsi su una rivista e per questo erano rimasti a terra.
Tom si afflosciò sul bordo di un sedile, gli occhi fissi sull’asfalto grigio della pista, sull’erba ingiallita dal freddo e sul cielo azzurro, tre fasce cromatiche che si dipanavano in strisce orizzontali. Come poteva essere successo? Come potevano essere stati così stupidi da perdere l’aereo per un motivo così idiota? E adesso? In che modo avvertire Holly? Chinò il viso a terra sconsolato e si prese la testa tra le mani, affondando le dita nei capelli, sforzandosi di scacciare la stizza e la delusione e smuovere le rotelline del cervello in cerca di una soluzione. Holly non aveva il cellulare e neppure loro ma Bruce sì. Si tirò su. Benedetta Evelyn che non si era fatta trovare, inducendo il compagno a infrangere il patto e portare il telefonino con sé. Per una volta la disubbidienza di Harper era stata utile a tutti.
Una parte del piombo che gli pesava sullo stomaco scivolò via. Non gli restava che aspettare che Bruce atterrasse a Obihiro e riaccendesse il cellulare perché, nonostante il divieto del capitano, era sicuro che l’avrebbe fatto. Anzi, forse sarebbe stato lo stesso Holly a ordinargli di tenerlo acceso sperando di avere notizie da loro. Adesso però doveva assolutamente trovare tre posti sul volo successivo. Si alzò e raggiunse l’unica hostess rimasta al gate a radunare le ricevute delle carte d’imbarco.
-Abbiamo perso il volo.- le disse, le guance appena arrossate di vergogna -E anche le prenotazioni. Anzi, per cercare le prenotazioni non siamo riusciti a salire sull’aereo.-
La hostess recuperò tre biglietti accantonati sul ripiano.
-Mark Landers?-
-No, Tom Becker.-
-E Benjamin Price. Le vostre carte d’imbarco erano qui. Le ha portate un passeggero che le ha trovate in libreria. Vi abbiamo anche chiamati.-
Li avevano chiamati? Come? Quando? Non aveva sentito nulla! Si volse stizzito verso i compagni. Sicuramente il loro continuo battibeccare aveva coperto la voce dell’annuncio.
La hostess lo lasciò qualche istante con i suoi cupi pensieri per digitare alcune parole sulla tastiera del computer.
-Il volo successivo per Obihiro è tra due ore.-
Tom sbiancò. Due ore! Philip li avrebbe uccisi, sempre che non gli prendesse un colpo prima in balia di Benji e Mark. Tornò a guardarli. Anche ora discutevano, glielo leggeva in faccia che lo stavano facendo, anche se fortunatamente era abbastanza lontano da non udirli. La curiosità di sapere cosa stessero dicendo non lo sfiorò.
-I posti ci sono. Vuole che glieli fermi tutti e tre?- domandò lei.
-Sì.-
-Paga in contanti?-
-Sì, ma solo il mio.-
Riponendo il portafoglio nella tasca dei jeans tornò verso gli amici, chiedendosi come sopportarli per due lunghissime e interminabili ore. Era probabile che neppure la sua riserva di pazienza, quella dei casi eccezionali, sarebbe stata sufficiente. Si avvicinò, li informò di ciò che avrebbero fatto, li invitò ad andare a comprarsi il volo, ignorò le imprecazioni di Mark che non era intenzionato a sborsare uno yen per quella merda di ritiro - testuali parole - e si sedette su una poltroncina, lasciando ciascuno dei due a prendere la decisione che riteneva più opportuna. Fingendo di non conoscerli, si immerse nella lettura della rivista che aveva continuato a stringere tra le dita per tutto il tempo, riducendola praticamente a un pezzo di carta straccia.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: Yoshiko