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Autore: Elos    15/01/2011    5 recensioni
Gabriel non ricorda di essere stato umano, Gabriel non ha più nessuno. C'è stato un tempo in cui era bello, molto bello, bellissimo, ma adesso quel tempo è passato. Gabriel viaggia con un armadio al seguito e quattrocento anni di ricordi perduti sulle spalle.
In una casa antichissima piena di cose rotte e di cose preziose avrà inizio la più bizzarra delle convivenze.
Prima classificata e vincitrice del Premio Attinenza al concorso Once upon a Bloody December indetto da storyteller lover.
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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5. nastro



Gabriel tiene la mano di Etienne mentre questi tossisce sangue sulla sua camicia bianchissima, mentre boccheggia, gli lava la bocca con un panno pulito, gli asciuga la fronte. Lo tiene al caldo e lo culla, dolcemente, dicendogli che andrà tutto bene, mentendogli, andrà tutto bene, Etienne, tutto bene. Andrà tutto bene.
Cade una neve pesante oltre le cortine e le tende, oltre i vetri alle finestre, che dipinge ogni cosa di bianco e di gelo.
E' quasi l'alba quando lascia sul letto a raffreddarsi il cadavere di suo fratello, perché ci sarà tempo per il lutto, poi, tutto il tempo di questo mondo, un'eternità e anche oltre, e raggiunge le stanze di Edouard.

Il sole sorge la mattina di Natale su un mondo innevato in cui Etienne non respira più, e Gabriel nemmeno - però è vivo - e i loro visi non sono più uguali.
Edouard è morto, adesso. Gabriel è solo. Edouard l'ha sfregiato durante lo scontro, e Gabriel è solo. Notte, notte. Vorrebbe che venisse notte per sempre.


Il sole tramontò la sera della viglia di Natale. Nella casa di Candledoore Square Gabriel se ne stava seduto davanti ad un armadio spalancato e teneva tra le mani diciassette anni di vita, i diciassette anni che avevano contato più che tutti quelli che erano seguiti, poi, più che tutti quelli che sarebbero seguiti mai.
Aveva tra le dita la seta di una sciarpa vaporosa, vecchissima, trasparente, la fibbia metallica di una cinta. Le bende gli s'erano sciolte attorno ai polsi e pendevano molli, flosce. Tutto aveva odore d'Etienne, sentore d'Etienne, forma d'Etienne, ricordo d'Etienne. Tutto era come i talismani che teneva al collo, antico e morto e perduto, ma le cose nell'armadio non servivano a fermare il tempo. Etienne non sarebbe stato mai più con lui. Non l'avrebbe avuto mai più, neanche dopo, perché Etienne era morto come un essere umano, e Gabriel, invece...
Affondò il viso in una camicia e pensò che doveva essere dolore, quello, straziante. Sentiva un vuoto allo stomaco che era come quello della fame, ma incandescente. Lo logorava.
Pensò che avrebbe potuto uscire a cercarsi una cena. Trovare un posto pieno di luci di Natale, di decorazioni, ed entrare per uccidere le persone al suo interno. Strappare il vischio dalle pareti e bruciarlo nei caminetti accesi, sporcare con il sangue l'albero, il pavimento. Macchiare la neve, macchiarla.
Pensò che avrebbe potuto dar fuoco alla casa. Portare fuori l'armadio e poi appiccare l'incendio ai mobili polverosi, e guardarla bruciare. Il legno vecchio e asciutto sarebbe arso in un attimo, e dopo ne sarebbero rimaste solo ceneri.
Pensò che c'era Morrigan, nello sgabuzzino. Morrigan che respirava ancora, ma che domattina non avrebbe più respirato.
Si alzò e lasciò cadere a terra le cose di Etienne. Strinse le bende tra le mani, aggrappandosi ad esse come fossero funi, corde, una rete verso la salvezza, mentre usciva dalla stanza. Scese le scale - lentamente. Non c'era fretta, non c'era ansia. L'alba era ancora lontana.
Avrebbe bevuto dal collo di Morrigan. Si sarebbe seduto sull'ultimo gradino in fondo alle scale e l'avrebbe tenuta ferma tra le braccia mentre si nutriva da lei, di lei. Morrigan aveva sbagliato. Morrigan sarebbe stata punita, ma lui sarebbe stato misericordioso, in questo, non le avrebbe causato troppo dolore. Sarebbe stato gentile con lei.
Dalla porta chiusa proveniva il suono debolissimo di un respiro molto stanco. Era un suono fievole, affannato, e tutto ad un tratto Gabriel si scoprì immobile sulla soglia, senza alcun desiderio di aprirla. Doveva aprirla. L'avrebbe fatto. L'avrebbe uccisa. Aprila, si disse. Aprila.
Lo fece.
Lo sgabuzzino buio, la nuvola di fetore. Il gelo e il panico e gli occhi grigi che si sollevavano verso di lui, che si serravano nel tentativo di metterlo a fuoco.
- Sento un po' di freddo. - aveva detto Etienne.
Anche Morrigan doveva avere freddo, adesso. Stava piegata tutta da una parte attorno al braccio ferito, e Gabriel si chiese se avrebbe potuto ballare anche così, se si sarebbe potuta alzare in piedi e girare, girare, girare...
Ma tanto, che importava? A chi importava, adesso? Stava per morire.
Glielo disse:
- Stai per morire. - Morrigan lo guardava ancora e non sembrava spaventata, confusa, niente. Solo molto lucida, e molto stanca.
- Stai per morire. - ripeté lui. - Non hai paura? -
Morrigan non annuì né scosse la testa, ma si avvicinò alla porta dello sgabuzzino - si avvicinò a lui. Dovette strisciare per riuscirci, perché non sembrava capace di risollevarsi da terra.
- Stai per morire. - Ancora e ancora. - Ti ucciderò. -
Si accovacciò davanti a lei, allungò una mano per sollevarle la testa ed esporle il collo. Morrigan si piegò in avanti e, inaspettatamente, gli appoggiò una guancia alla spalla.
- Mio. - gli disse.
Aveva una voce meravigliosamente rauca, roca, una voce che sembrava uscire dal fondo del suo stomaco più che della gola, una voce che non sembrava essere stata usata spesso. Una voce come miele, liquida, fusa, e con quella fusa voce lei gli disse di nuovo:
- Mio. -
E poi gli annidò la testa contro il collo.

Anche Edouard l'aveva guardato, un attimo prima che la testa gli venisse staccata dal corpo con uno strattone, e non aveva detto niente. Aveva sorriso, solo, di quello strano sorriso che aveva sempre prima di nutrirsi, e Gabriel se n'era sentito agitato, spaventato, per un attimo; ma poi Edouard aveva chiuso gli occhi e il suo capo era volato via.
Non aveva opposto molta resistenza, aveva pensato Gabriel, inebetito. Guardando il cadavere, si era sentito tutto ad un tratto vuoto.
Edouard aveva lasciato morire Etienne. Edouard aveva preso Gabriel con sé, era stato indulgente, accomodante. Edouard aveva accontentato tutti i suoi capricci, tranne quello che proprio capriccio non era - non l'aveva accontentato per Etienne. Edouard era stato geloso, adesso Gabriel lo capiva, geloso e frustrato e furioso perché il compagno dai capelli rossi e dagli occhi neri che s'era scelto, il bel compagno educato che non sapeva bene cosa fosse la morale umana, questi, ebbene, aveva un fratello, la sua cosa preziosa. Non si possono avere due cose preziose contemporaneamente, questo Edouard l'aveva capito.
Era morto per questo.
Fissando la sua testa spiccata, Gabriel si era detto:
sono solo, adesso. Sono solo.

Gabriel tolse Morrigan dallo sgabuzzino prendendola tra le braccia, con delicatezza, badando a non toccare la sua spalla slogata.
Mio, si ricordava tutte le volte che per la testa gli passava il pensiero che avrebbe dovuto ucciderla, punirla.
Mio. La portò in bagno, riempì la vasca con l'acqua più calda che c'era. La lavò, l'asciugò. La mise sul letto e la vestì con gli abiti più belli che la gens gli avesse lasciato per lei. Le intrecciò i capelli, dopo averli pettinati, e, invece che cercare un nastro, sciolse una delle bende che aveva ai polsi ed usò quella.
Morrigan gli appoggiò ancora la testa contro una spalla e lui se la prese in braccio, sedendosi sul letto, per poterle passare le dita sulla schiena.
- Era di Etienne, ma adesso è tuo. Lo puoi tenere. - le disse, accarezzando il fiocco in fondo alla treccia. Era ruvido, mentre i capelli di Morrigan erano lisci, serici. Avevano un odore buonissimo, quand'erano puliti, buono quanto quello di Etienne.

Poco prima che fosse l'alba, si sfregò un polso contro le zanne sino a lacerare la carne innaturalmente liscia e le premette la ferita aperta sulla bocca.
- Bevi. -
Morrigan oppose resistenza, scosse la testa e cercò di tirarsi indietro, ma lui insisté:
- Obbedisci, avanti! -
E Morrigan lo fece. Succhiò piano e poi leccò il sangue che usciva con la punta della minuscola lingua rosata, e come un gatto inseguì le gocce sul palmo e sulle dita. Gabriel la osservava con curiosità, perché all'inizio Morrigan era sembrata preoccupata, timorosa, ma poi il sapore dovette piacerle, la sensazione - il potere - dovette inebriarla. Bevve e bevve e lui che le accarezzava il braccio sentì finalmente la cartilagine rimarginarsi, l'osso tornare nella sua sede. Morrigan mugolò per un'ultima fitta improvvisa di dolore, ma poi fu tutto guarito.
- Lo sai cosa sono io? - le chiese.
Morrigan annuì e rispose sicura:
- Mio. -
Mio.
La parola si trasformò in un brivido di piacere assoluto giù per la sua schiena, e Gabriel dimenticò tutto ad un tratto qualunque discorso razionale avesse in mente di portare avanti. Morrigan non aveva più paura e, ora che non era più rigida per il dolore, era morbida, era leggera. Era di nuovo il suo carillon ma adesso, mio, era ancora meglio di prima.
- Avrò cura di te... - esclamò. - … se resterai con me. -
Lo diceva, lo pensava.
Morrigan ricambiò il suo sguardo: e, per una volta, il viso che quegli occhi d'argento riflettevano apparve perfettamente integro, intatto.


Grazie di cuore a tutti coloro che si sono fermati a commentare lo scorso capitolo. Pubblico appena scoccata la mezzanotte, come Cenerentola, perché i prossimi due giorni saranno caotici come non mai, e non voglio trovarmi in ritardo con la pubblicazione di un altro capitolo.

Un altro capitolo, poi un breve epilogo, e la storia sarà conclusa. Per il 12 Febbraio, quindi, dovrebbe essere pubblicata integralmente. Al prossimo capitolo!


Immagine di Prisca Turazzi
  
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